LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
22178-2007  proposto  da:  I.N.P.S.  -   Istituto   nazionale   della
previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, via della  Frezza  n.  17,  presso
l'Avvocatura Centrale dell'Istituto,  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati Riccio Alessandro, Valente  Nicola,  Preden  Sergio,  giusta
delega in atti - ricorrente; 
    Contro Lorenzon Guido Luciano, elettivamente domiciliato in Roma,
via Pisistrato 11, presso lo studio dell'avvocato Romoli Gianni,  che
lo rappresenta e difende unitamente  all'avvocato  Romano  Francesco,
giusta delega in atti - contro ricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 15/2007 della Corte d'appello  di  Trento,
depositata il 18 maggio 2007 R.G.N. 1/07; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
27 aprile 2011 dal Consigliere Dott. Irene Tricomi; 
    Udito l'Avvocato Pulli Clementina per delega Riccio Alessandro; 
    Udito l'Avvocato Romoli Gianni; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Umberto Apice che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con  ricorso  depositato  il  12  maggio  2006  Guido  Luciano
Lorenzon conveniva l'INPS davanti al Tribunale di Trento, in funzione
di giudice del lavoro.  Il  ricorrente,  che  aveva  prestato  lavoro
dipendente in  Svizzera,  ottenendo  il  trasferimento  all'INPS  dei
contributi ivi accreditati, era titolare di pensione VO n.  10045844,
con decorrenza dall'aprile 1990. Tale pensione era  stata  calcolata,
con il sistema retributivo, all'esito del trasferimento all'INPS  dei
suddetti contributi. La retribuzione di riferimento a tale  fine  era
stata   determinata   con   riguardo   all'entita'   delle   aliquote
contributive svizzere, piu' bassa di quella italiane. 
    Il Lorenzon chiedeva la riliquidazione  del  proprio  trattamento
pensionistico, tenendo conto di quanto effettivamente percepito,  nel
periodo  lavorato  in  Svizzera,  e  non  di  quanto  figurativamente
ricostruito   dall'INPS,   sulla   base   della   maggiore   aliquota
contributiva italiana. 
    2. Si costituiva l'INPS chiedendo il rigetto del ricorso. 
    3. Il Tribunale di  Trento,  con  sentenza  n.  153/2006  del  27
ottobre 2006, accoglieva  la  domanda,  affermando  che  in  caso  di
trasferimento in Italia dei contributi accreditati in Svizzera, nella
determinazione  del  trattamento  pensionistico  in  base  al  metodo
cosiddetto retributivo occorreva fare riferimento  alla  retribuzione
effettivamente percepita in Svizzera. Pertanto, condannava  l'INPS  a
riliquidare il trattamento di pensione  in  questione,  maggiorati  i
ratei, nel frattempo maturati, degli interessi legali fino al saldo e
del  maggior  danno  da  svalutazione,  liquidato  sulla  base  della
differenza  tra  la  variazione  percentuale  degli   indici   ISTAT,
intervenuta dal 121° giorno successivo a quello  di  maturazione  del
diritto fino ad oggi, ed il saggio legale degli interessi. 
    4. L'INPS impugnava  la  suddetta  sentenza  dinanzi  alla  Corte
d'Appello di Trento, che rigettava il ricorso con la sentenza  n.  15
dell'8 marzo - 18 maggio 2007. In particolare, il giudice di appello,
riteneva  applicabile   l'art.   1   dell'Accordo   aggiuntivo   alla
Convenzione tra  l'Italia  e  la  Svizzera  relativa  alla  sicurezza
sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il 4 luglio  1969  (in
quanto successivo al d.P.R. 488 del 1968, art. 5, che  aveva  sancito
il  passaggio  dal  sistema  contributivo  a  quello  retributivo)  e
ratificato con legge 18 maggio 1973, n. 283, ed  attribuiva  all'art.
1, comma 777,  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296,  carattere
innovativo del quadro normativo, con la conseguenza che lo stesso non
poteva applicarsi che dalla data della sua entrata in vigore. 
    5. Ricorre l'INPS, nei confronti del Lorenzon, per la  cassazione
della suddetta sentenza.  L'INPS  prospetta  quale  primo  motivo  di
impugnazione la violazione dell'art. 1, comma 777, della legge n. 296
del 2006, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Deduce, quindi,  in
subordine, una duplice violazione dell'art. 112 c.p.c., in  relazione
all'art. 360, n. 4, c.p.c. Ad avviso del ricorrente, erroneamente  la
Corte d'Appello non ha  riconosciuto  carattere  interpretativo  alla
suddetta  disposizione,  non  dando  corso   all'applicazione   nella
fattispecie in esame,  attribuendo,  invece,  alla  stessa  carattere
innovativo, ex nunc. L'INPS chiede, quindi se la disposizione di  cui
all'art. 1, comma 777, della legge n. 296 del  2006  abbia  efficacia
retroattiva e si  applichi  ad  una  pensione  che  decorre  da  data
anteriore al 1° gennaio 2007 che non sia stata liquidata sulla scorta
di  criteri  piu'  favorevoli  rispetto  a  quelli  contemplati   dal
legislatore nella citata disposizione. 
    6. Resiste con controricorso Lorenzon Guido Luciano, chiedendo il
rigetto  del  ricorso  e  in  subordine  la  rimessione  alla   Corte
costituzionale  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 777, della legge n. 296  del  2006,  in  relazione
agli artt. 3 e 38 Cost., con la conseguente sospensione del giudizio. 
    7. In prossimita' dell'udienza il Lorenzon ha depositato  memoria
ai sensi dell'art. 378 c.p.c., con la quale, dato atto che nelle more
del giudizio e' intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n.
172 del 2008, che ha ritenuto la natura interpretativa  del  suddetto
art. 1, comma 777,  della  legge  n.  296  del  2006,  rigettando  la
relativa questione di legittimita' costituzionale.  Anche  l'INPS  ha
depositato memoria, con la quale  insisteva  nelle  conclusioni  gia'
rassegnate. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il ricorrente nel giudizio a quo ha svolto attivita' di lavoro
dipendente  in  Svizzera,  maturando  un  periodo  di   contribuzione
previdenziale di cui ha chiesto il trasferimento dalla  assicurazione
sociale elvetica a quella italiana. 
    Nella presente controversia questa Corte e'  chiamata,  in  primo
luogo, a pronunciarsi sulla applicazione alla  fattispecie  in  esame
dell'art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006, in  ragione  del
primo e principale motivo di impugnazione articolato dall'INPS. 
    2. La citata norma prevede  «l'articolo  5,  secondo  comma,  del
decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile  1968,  n.  488,  e
successive modificazioni, si interpreta nel senso  che,  in  caso  di
trasferimento presso l'assicurazione generale  obbligatoria  italiana
dei contributi versati ad  enti  previdenziali  di  Paesi  esteri  in
conseguenza di convenzioni ed  accordi  internazionali  di  sicurezza
sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi  di  lavoro
svolto nei Paesi esteri e' determinata  moltiplicando  l'importo  dei
contributi  trasferiti  per  cento  e  dividendo  il  risultato   per
l'aliquota contributiva per invalidita', vecchiaia  e  superstiti  in
vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti  salvi
i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla  data
di entrata in vigore della presente legge». 
    Il suddetto art. 5, secondo comma, a sua volta,  stabilisce  «per
retribuzione annua pensionabile si intende la terza parte della somma
delle retribuzioni determinate ai sensi dell'articolo 27  e  seguenti
del  testo  unico  delle  norme  sugli  assegni   familiari,   estese
all'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia  ed  i
superstiti dell'articolo  17  della  legge  4  aprile  1952,  n.  218
risultanti  dalle  ultime  156  settimane  coperte  da  contribuzione
effettiva in costanza di lavoro o figurativa antecedenti la  data  di
decorrenza della pensione. A tal fine, con decreti del  Ministro  per
il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il
tesoro,  sentito  il  consiglio  di   amministrazione   dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale entro il 31  dicembre,1968,  sara'
stabilito un  nuovo  sistema  di  versamento  dei  contributi  dovuti
all'assicurazione generale  predetta,  che  consenta  la  rilevazione
diretta della retribuzione assoggettata a contributo». 
    Le  modifiche  sulle  regole  del  computo   della   retribuzione
pensionabile, introdotte da successive  disposizioni  di  legge,  non
rilevano ai fini del presente esame. 
    3. In ordine alla richiamata norma della  legge  finanziaria,  la
Corte d'Appello di Trento ha affermato  che  «l'art.  1,  comma  777,
della legge n. 296 del 2006, ha introdotto elementi di novita'  quali
l'esplicazione di un criterio di calcolo che  e'  diverso  da  quello
espresso  dalle  leggi  in  vigore  e  richiamato  espressamente  dal
suddetto art. 5 del d.P.R. del 1968,  n.  488,  come  si  evince  dal
raffronto testuale delle disposizione. La  norma  interpretativa  ha,
pertanto, contenuto innovativo e non  puo'  pertanto  che  applicarsi
dalla data della sua entrata in vigore». 
    Su tale statuizione del giudice di secondo grado s'incentra, come
si e' sopra esposto, il  primo  motivo  di  impugnazione  prospettato
dall'INPS in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c. 
    4. Occorre rilevare che la questione delle  cosiddette  «pensioni
svizzere»,   presenta    un    articolato    quadro    normativo    e
giurisprudenziale,  sviluppatosi  nel  tempo,  nella   pendenza   del
presente giudizio, in ordine al quale e' opportuno  procedere  ad  un
breve riepilogo. 
    4.1.  L'art.  1  dell'Accordo  aggiuntivo  alla  Convenzione  tra
l'Italia e  la  Svizzera  relativa  alla  sicurezza  sociale  del  14
dicembre 1962, Accordo concluso a Roma il 4 luglio 1969, cui e' stata
data esecuzione con la legge di ratifica 18 maggio 1973 n.  283,  che
trova applicazione nel caso di  specie,  recita  al  primo  comma  «i
cittadini italiani hanno la facolta',  in  deroga  alle  disposizioni
dell'art.  7  della  Convenzione,   di   chiedere,   al   verificarsi
dell'evento assicurato in caso di vecchiaia secondo  la  legislazione
italiana, il trasferimento alle assicurazioni  sociali  italiane  dei
contributi versati da  loro  stessi  e  dai  loro  datori  di  lavoro
all'assicurazione sociale svizzera ove non abbiano ancora beneficiato
di alcuna  prestazione  dell'assicurazione  vecchiaia,  superstiti  e
invalidita' svizzera, a  condizione  che  essi  abbiano  lasciato  la
Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia (...)». Il  secondo
comma regola la  connessa  perdita  di  ogni  diritto  nei  confronti
dell'assicurazione   svizzera   e   il   terzo    comma    disciplina
l'utilizzazione   in   Italia   dei   contributi,   prevedendo:   «le
assicurazioni sociali italiane utilizzano a favore dell'assicurato  o
dei  suoi  superstiti  i  contributi  trasferiti  al  fine  far  loro
conseguire i vantaggi derivanti dalla legislazione  italiana,  citata
dall'art. 1 della Convenzione, secondo  le  disposizioni  particolari
emanate dalle autorita' italiane. Se in base alle disposizioni  della
legislazione italiana non derivi all'assicurato o ai suoi superstiti,
dal trasferimento dei contributi, alcun vantaggio  nel  regime  delle
pensioni,  le  assicurazioni   sociali   italiane   rimborsano   agli
interessati i contributi trasferiti». 
    Al momento della stipulazione del suddetto Accordo aggiuntivo del
1969 era gia' stata  introdotta  in  Italia  la  cosiddetta  pensione
retributiva (art. 5 del citato d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488). 
    In base all'art. 10 del secondo Accordo aggiuntivo alla  medesima
convenzione del 1962, firmato a Berna il 2 aprile 1980  e  ratificato
con legge 7 ottobre 1981, n. 668, la normativa sul trasferimento  dei
contributi  e'  stata  applicata  ai  fini  del  conseguimento  della
pensione di anzianita'. 
    4.2. In presenza del richiamato quadro normativo,  questa  Corte,
con la sentenza n. 4623 del 2004 (v.  anche  Cass.,  Sezione  lavoro,
sentenze n. 20731 dei 2004 e n. 7455  del  2005),  nel  rigettare  il
ricorso statuiva  che  «la  circostanza  che  siano  state  applicate
aliquote contributive diverse e piu' basse di quelle vigore in Italia
non puo' indurre a  introdurre  una  corrispondente  riduzione  anche
della retribuzione di riferimento, perche' un tale procedimento,  non
previsto dalla legge, comporterebbe un'arbitraria  modificazione  dei
criteri di determinazione della pensione. Del resto  l'entita'  delle
aliquote contributive non sono un elemento rilevante  ai  fini  della
determinazione della pensione in  base  alla  retribuzione  percepita
nell'ultimo periodo lavorativo, potendo le aliquote variare per legge
nel corso del tempo, oppure essere determinati in  misura  diversa  a
seconda delle  varie  categorie  produttive  o  di  lavoratori  o  in
presenza di situazioni particolari». 
    4.3. Successivamente, interveniva  l'art.  1,  comma  777,  della
legge  n.  296  del  2006,  sopra  citato,  che  prevedeva   che   la
retribuzione percepita all'estero, da porre a base del calcolo  della
pensione, doveva essere  riproporzionata  al  fine  di  stabilire  lo
stesso rapporto percentuale previsto per  i  contributi  versati  nel
nostro   Paese   nel   medesimo    periodo,    cosi'    introducendo,
nell'ordinamento, una interpretazione della  disciplina  applicabile,
di senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati. 
    4.4. La Corte di cassazione con ordinanza n.  5048  del  5  marzo
2007 sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 777, della legge n. 296 del 2006, in riferimento agli artt.  3,
primo  comma,  35,  quarto  comma,  e  38,   secondo   comma,   della
Costituzione. 
    4.5. La Corte costituzionale con la sentenza n. 172  del  2008  -
che ha esaminato, tra l'altro, censure analoghe a quelle  prospettate
dal resistente Lorenzon nel controricorso, e che, dunque, non possono
essere riproposte - nel dichiarare non fondata la relativa  questione
di costituzionalita' ha  affermato  che  tale  disposizione  ha  reso
esplicito un  precetto  gia'  contenuto  nelle  disposizioni  oggetto
dell'interpretazione autentica. 
    La  norma  censurata,  ha  affermato  la  Corte   costituzionale,
assegnando alla disposizione interpretata un  significato  rientrante
nelle possibili letture del testo originario,  non  determina  alcuna
lesione    dell'affidamento    del    cittadino    nella     certezza
dell'ordinamento  giuridico.  Dunque,  il  Giudice  delle  Leggi   ha
ritenuto non ravvisabile un caso di ius superveniens  che  disciplina
ex  novo  la  materia,  la  cui   applicazione   «retroattiva»   alle
fattispecie non esaurite potrebbe ledere interessi costituzionalmente
protetti. 
    Non sussiste, altresi', violazione del principio di  eguaglianza,
sancito dall'art. 3, primo comma, Cost., perche'  la  salvezza  delle
posizioni dei lavoratori, cui gia' sia stato liquidato il trattamento
pensionistico secondo un criterio piu' favorevole,  risponde,  questo
si', all'esigenza di rispettare il principio  dell'affidamento  ed  i
diritti ormai acquisiti di detti lavoratori. 
    Non e' leso neppure  l'art.  35,  quarto  comma,  Cost.,  perche'
l'art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 non  attribuisce  al
lavoro prestato all'estero un trattamento deteriore rispetto a quello
svolto in Italia, ma anzi assicura la  razionalita'  complessiva  del
sistema  previdenziale,  evitando  che,  a  fronte  di   una   esigua
contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le stesse
utilita' che chi ha prestato attivita' lavorativa  esclusivamente  in
Italia puo' conseguire solo grazie ad una  contribuzione  molto  piu'
gravosa. 
    Infine, non e' ravvisabile un contrasto con  l'art.  38,  secondo
comma,  Cost.,  perche'  la  norma  censurata  non  determina  alcuna
«riduzione  ex  post  del  trattamento  previdenziale  spettante   ai
lavoratori. Ed infatti, in base al  sistema  retributivo  di  computo
delle  pensioni  erogate  dall'assicurazione  generale  obbligatoria,
introdotto dal d.P.R.  n.  488  del  1968,  la  pensione  si  calcola
applicando un coefficiente (proporzionato al  numero  complessivo  di
settimane   di   contribuzione   vantate    dall'interessato)    alla
retribuzione annua pensionabile, vale a dire alla retribuzione  annua
media  percepita  dal  lavoratore  durante  un   certo   periodo   di
riferimento.  Interventi  legislativi  succedutisi  nel  tempo  hanno
definito  in  maniera  diversa  i  criteri  di  determinazione  della
retribuzione pensionabile, come l'art. 5, secondo comma,  del  d.P.R.
n. 488 del 1968. Tuttavia,  afferma  il  Giudice  delle  Leggi  nella
sentenza n. 172  del  2008,  caratteristica  comune  delle  norme  di
definizione della retribuzione pensionabile e' che esse si  collocano
nell'ambito di un sistema previdenziale tendente alla  corrispondenza
fra le risorse disponibili e le prestazioni erogate. E cio' anche  in
ossequio  al  vincolo  imposto  dall'art.  81,  quarto  comma,  della
Costituzione. 
    4.6. Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale  n.
172  del  2008,  questa  Corte  modificava  il  proprio  orientamento
giurisprudenziale. 
    Con la sentenza n. 23754 del 2008 - nel  confermare  la  sentenza
impugnata, che aveva respinto la domanda, proposta da una  assicurata
nei confronti dell'I.N.P.S.,  di  riliquidazione  della  pensione  di
anzianita',  in  godimento  dal  gennaio  199,   sulla   base   della
retribuzione percepita  in  Svizzera  negli  ultimi  cinque  anni  di
lavoro,  invocando  la  Convenzione  tra  Italia  e  Svizzera   sulla
sicurezza sociale del  14  dicembre  1962,  e  i  successivi  accordi
aggiuntivi, ratificata con la legge n. 283 del 1973 - statuiva che in
base all'art. 5, secondo comma, del d.P.R.  n.  488  del  1968,  come
interpretato autenticamente dall'art. 1, comma 777,  della  legge  n.
296  del  2006  -  che  ha  superato  il   vaglio   di   legittimita'
costituzionale a seguito della sentenza n. 172 del 2008  della  Corte
costituzionale, in ipotesi di  trasferimento  presso  l'assicurazione
generale  obbligatoria  italiana  dei  contributi  versati  ad   enti
previdenziali di  Paesi  esteri  in  conseguenza  di  convenzioni  ed
accordi  internazionali  di  sicurezza   sociale,   la   retribuzione
pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri e'
determinata moltiplicando l'importo  dei  contributi  trasferiti  per
cento e  dividendo  il  risultato  per  l'aliquota  contributiva  per
invalidita', vecchiaia e superstiti  in  vigore  nel  periodo  cui  i
contributi si riferiscono. 
    4.7. Con la sentenza di questa Corte, Sezioni Unite, n. 17076 del
2011,  in  via  incidentale,  e'  stato  ribadito  il  carattere   di
disposizione di interpretazione autentica dell'art. 1, comma 777,  in
esame. 
    5. Tanto premesso, la Corte rileva che, nel presente giudizio, e'
chiamata a fare applicazione del suddetto art. 1,  comma  777,  della
legge n. 296 del 2006. 
    Ed infatti, la norma, trova  applicazione  nella  fattispecie  in
esame sia perche' la disciplina sostanziale  -  che  ha  superato  il
vaglio di costituzionalita' con riguardo agli arti. 35, quarto  comma
e 38, secondo comma, Cost. e al principio di uguaglianza  -  riguarda
le modalita' di determinazione  della  retribuzione  pensionabile  in
presenza  di  contributi  versati  all'estero  e  trasferiti   presso
l'assicurazione  generale  obbligatoria,  fattispecie  su  cui  verte
l'odierna controversia: sia, perche', avendo la stessa esplicitato un
precetto    gia'     contenuto     nelle     disposizioni     oggetto
dell'interpretazione  autentica,  non  incontra,  come  ritenuto  dal
Giudice delle Leggi, i  limiti  applicativi  dello  ius  superveniens
innovativo. 
    6. In ordine alla  suddetta  disposizione  si  palesa,  tuttavia,
ulteriore  diversa  questione  di  legittimita'  costituzionale,   in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.
6, paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU) sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e  resa  esecutiva
con legge 4  agosto  1955,  n.  848  (Ratifica  ed  esecuzione  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950  e  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952), secondo il quale ogni persona ha diritto a che la sua
causa  sia  esaminata  equamente  (pubblicamente  ed  in  un  termine
ragionevole) da un tribunale (indipendente ed imparziale,  costituito
per legge)  chiamato  a  pronunciarsi  sulle  controversie  sui  suoi
diritti e doveri di carattere civile (...), come  interpretato  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo, e, in particolare, in  relazione
ai principi enunciati rispetto alla  fattispecie  esaminata,  con  la
sentenza della seconda Sezione del 31  maggio  2011,  resa  nel  caso
Maggio  e  altri  contro  Italia  (ricorsi  nn.  46286/09,  52851/08,
53727/08, 54486/08 e 56001/08),  divenuta  definitiva  il  31  agosto
2011. 
    7. La questione  di  costituzionalita'  che  si  solleva  con  la
presente ordinanza e' senza dubbio rilevante, posto che,  come  sopra
esposto, la causa dovrebbe essere  decisa  con  l'applicazione  della
disposizione dettata dall'art. 1, comma 777, della legge n.  296  del
2006. 
    Tale questione involge il rapporto tra fonti e Corti nazionali  e
sovranazionali, tenuto conto che detta norma ha costituito oggetto di
pronunce, tra loro «dialoganti», del Giudice nazionale,  della  Corte
costituzionale e della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo.  Nella
prospettazione  dell'attuale  dubbio  di  costituzionalita',   assume
peculiare rilievo la pronuncia della Corte  di  Strasburgo  resa  nel
caso Maggio, intervenuta, come si e' detto, sull'art. 1,  comma  777,
della legge n. 296 del 2007,  quando  tale  disposizione  aveva  gia'
superato il vaglio dei Giudice delle Leggi -  come  dato  atto  dalla
stessa Corte EDU - con un conseguente mutamento della  giurisprudenza
di legittimita' in materia. 
    8. A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007  (da  ultimo
Corte costituzionale, sentenze n. 236, n. 113 e n. 1  del  2011),  la
giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che «le  norme
della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea  dei
diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per  dare   ad   esse
interpretazione  ed  applicazione  (art.  32,  paragrafo   1,   della
Convenzione)  -  integrano,  quali  norme  interposte,  il  parametro
costituzionale espresso dall'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  nella
parte in cui impone la conformazione della  legislazione  interna  ai
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali». Tale  ricostruzione
e' stata ribadita dopo l'entrata in vigore del  Trattato  di  Lisbona
del 13 dicembre 2007 dalla sentenza n. 80 del 2011. 
    La Corte costituzionale ha affermato  che  nel  caso  in  cui  si
profili un contrasto tra una norma interna e  una  norma  della  CEDU
(che deve essere applicata nel  significato  attribuito  dalla  Corte
EDU, cfr. citate sentenze n. 113  e  n.  1  del  2011),  «il  giudice
nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di
un'interpretazione della prima  conforme  alla  norma  convenzionale,
ricorrendo a tutti i  normali  strumenti  di  ermeneutica  giuridica»
(sentenze n. 93 del 2010, n. 113 del 2011, n. 311 e n. 239 del 2009).
Se questa verifica da' esito negativo e il contrasto non puo'  essere
risolto  in  via  interpretativa,  il  giudice  comune,  non  potendo
disapplicare  la  norma  interna  ne'  farne  applicazione,  avendola
ritenuta in contrasto con la CEDU, e pertanto  con  la  Costituzione,
deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione  di
legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117, primo comma,
Cost., ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti  di  una
norma  convenzionale   ricognitiva   di   una   norma   del   diritto
internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113  del  2011,
n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009). 
    Sempre il Giudice delle Leggi  ha  affermato  che,  sollevata  la
questione di legittimita'  costituzionale,  lo  stesso  -  dopo  aver
accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e norma della
CEDU sussiste e non puo' essere risolto in via  interpretativa  -  e'
chiamato a verificare se la norma della Convenzione -  norma  che  si
colloca pur sempre  ad  un  livello  sub-costituzionale  -  si  ponga
eventualmente in conflitto con altre  norme  della  Costituzione.  In
questa, seppure eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l'idoneita'
della norma convenzionale a  integrare  il  parametro  costituzionale
considerato (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del  2010,  n.  311  del
2009, n. 349 e n. 348 del 2007). 
    Non si tratta, invero, da parte della  Corte  costituzionale,  di
sindacare l'interpretazione della norma CEDU operata dalla  Corte  di
Strasburgo, ma di verificare  la  compatibilita'  della  norma  CEDU,
nell'interpretazione  del  giudice  cui   tale   compito   e'   stato
espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti  norme
della Costituzione. In  tal  modo,  risulta  realizzato  un  corretto
bilanciamento tra l'esigenza di garantire il rispetto degli  obblighi
internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che cio'
possa comportare per altro verso un vulnus alla  Costituzione  stessa
(sentenza n. 349 del 2007). 
    9. Quindi, secondo  l'insegnamento  della  Corte  costituzionale,
quando sorga il dubbio di un contrasto tra una norma nazionale ed una
della Convenzione - da far valere per il tramite dell'art. 117, primo
comma, Cost., non potendo operare la  disapplicazione  -  il  giudice
nazionale deve verificare se effettivamente sussista  contrasto,  non
risolvibile in via interpretativa, tra la norma interna  e  le  norme
della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo  ed  assunte,
come  si  e'  detto,  quali  fonti  integratrici  del  parametro   di
costituzionalita' di cui all'art. 117, primo comma, Cost. 
    10. Questa Corte ritiene che la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2007,  in  riferimento
ai parametri costituzionali sopra invocati, non  sia  risolvibile  in
via interpretativa e, oltre ad essere  rilevante,  superi  il  vaglio
della non manifesta infondatezza. 
    11. La Corte EDU ha ritenuto che con  l'art.  1,  comma  777,  lo
Stato  italiano  ha  violato  i  diritti  dei   ricorrenti   di   cui
all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo intervenendo in modo decisivo per garantire che l'esito del
procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole. 
    La sentenza CEDU  pone  a  fondamento  del  decisum  le  seguenti
argomentazioni: 
        benche'  non  sia  precluso  al   legislatore   disciplinare,
mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti  da  leggi
in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione  di
processo equo contenuti nell'articolo 6 precludono,  tranne  che  per
impellenti  motivi  di   interesse   generale,   l'interferenza   del
legislatore nell'amministrazione della giustizia con il proposito  di
influenzare la determinazione indiziaria di una controversia (§ 43): 
        benche' le regole pensionistiche previste dalla legge possano
cambiare e non  si  possa  fare  affidamento  su  una  sentenza  come
garanzia contro tali cambiamenti in futuro, anche se tali cambiamenti
sono   svantaggiosi   per   alcuni   beneficiari    di    prestazioni
previdenziali, lo Stato non puo' interferire in modo arbitrario nella
procedura giudiziaria (§ 43); 
        nel caso in esame, la legge ha escluso espressamente dal  suo
ambito   di   applicazione   le   sentenze   diventate   irrevocabili
(trattamenti   pensionistici   gia'   liquidati)   e    ha    fissato
retroattivamente i termini delle controversie  davanti  ai  tribunali
ordinari. Invero la promulgazione della legge n. 296 del 2006, mentre
i procedimenti erano pendenti, in realta' ricadeva sul  merito  delle
controversie, e la sua  applicazione  da  parte  dei  vari  tribunali
ordinari ha privato di rilievo, per un intera  categoria  di  persone
che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione  del
giudizio.  Percio',  la   legge   aveva   l'effetto   di   modificare
definitivamente l'esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era
parte,  approvando  la  posizione  dello  Stato  a   svantaggio   dei
ricorrenti (§ 44); 
        al fine di determinare se vi e' stato un motivo impellente di
interesse generale in grado di giustificare tale misura, il  rispetto
della preminenza del diritto e delle regole del processo equo  impone
che le ragioni addotte per giustificare tale  misura  siano  valutate
con il massimo grado di cautela possibile (§ 45); 
        considerazioni di carattere finanziario non possono, da sole,
giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine  di
risolvere le controversie (§ 47); 
        dopo il 1982, l'INPS ha  applicato  un'interpretazione  della
legge in vigore all'epoca che  era  piu'  favorevole  ad  esso  quale
autorita'  erogatrice.  Questo  sistema  non  era   sostenuto   dalla
maggioranza della giurisprudenza. La Corte non riesce a immaginare in
quale modo il fine  di  rafforzare  un'interpretazione  soggettiva  e
parziale, favorevole  a  un  «ente  dello  Stato»,  quale  parte  nel
procedimento,    possa    equivalere    a     una     giustificazione
dell'interferenza legislativa mentre il procedimento era pendente. in
particolare quando tale interpretazione era  stata  ritenuta  fallace
nella maggioranza delle occasioni dai tribunali  nazionali,  compresa
la Corte di cassazione (§ 48); 
        quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge  era  stata
necessaria per ristabilire un equilibrio nel  sistema  pensionistico,
eliminando qualsiasi  vantaggio  goduto  dalle  persone  che  avevano
lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, la Corte accetta
che vi fosse un motivo di interesse generale, ma non e' convinta  del
fatto che  esso  fosse  sufficientemente  impellente  da  superare  i
pericoli inerenti all'utilizzo della legislazione retroattiva, che ha
l'effetto  di  influenzare  la  determinazione  giudiziaria  di   una
controversia pendente in cui lo Stato era parte (§ 49). 
    12. Si rileva, dunque, che la decisione della Corte di Strasburgo
non si fonda sulla  qualificazione  del  carattere  interpretativo  o
innovativo della disposizione (su cui  si  e'  gia'  pronunciata,  in
particolare, la Corte costituzionale)  in  quanto  l'incidenza  della
norma sopravvenuta sui giudizi in corso, di per se', non  costituisce
la ragione della ritenuta violazione dell'art. 6, paragrafo 1,  CEDU,
nella parte in cui stabilisce, come ricorda la sentenza Maggio, «Ogni
persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, ...
da parte di un  tribunale  ...  che  decidera'  sia  in  ordine  alle
controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile...». 
    Tale violazione, invece, e' stata ravvisata nella circostanza che
la soluzione  interpretativa  della  norma,  coincidente  con  quella
adottata  dall'INPS  (ente  dello  Stato),  si  sarebbe   riverberata
sull'esito dei giudizi, senza la sussistenza di motivi imperativi  di
interesse  generale,  interessi  che,  peraltro,   sono   alla   base
dell'esercizio del potere legislativo, ritenuti non  integrati  dalla
necessita' - dedotta dallo Stato - di procedere  ad  un  riequilibrio
del sistema pensionistico. 
    12.1. La Corte EDU - in un caso analogo  (relativo  al  personale
ATA): pronunce del giudice ordinario, norma interpretativa,  sentenza
della Corte  costituzionale,  sentenza  Corte  Strasburgo  -  con  la
sentenza del 7 giugno 2011, non definitiva, Agrati e altri c.  Italia
(ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09), ha affermato  che  se,  in
linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di disciplinare
in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata  retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della  preminenza
del diritto e la nozione di processo equo, sanciti  dall'articolo  6,
ostano, salvo che  per  imperative  ragioni  di  interesse  generale,
all'ingerenza  del  potere  legislativo  nell'amministrazione   della
giustizia  al  fine  di  influenzare  l'esito  giudiziario   di   una
controversia. La Corte rammenta inoltre che l'esigenza della  parita'
delle  armi  implica  l'obbligo  di  offrire  a  ciascuna  parte  una
ragionevole possibilita' di  prospettare  le  proprie  ragioni  senza
trovarsi  in  una  situazione  di  netto  svantaggio  rispetto   alla
controparte. 
    Analoghi principi sono stati affermati, altresi', nella  sentenza
del 25 novembre 2010, Lilly c.  Francia,  e  nella  sentenza  dell'11
febbraio 2010, Javaugue c. Francia. 
    13. Nella fattispecie in esame,  ritiene  questa  Corte  che,  in
riferimento dell'art. 6, paragrafo 1, della CEDU,  come  interpretato
dalla Corte EDU, nelle sentenze richiamate e  nella  sentenza  Maggio
(in uno all'art. 117, primo comma, Cost.), si prospetti il dubbio  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777,  della  legge  n.
296 del 2006, rispetto al quale  non  sortisce  esito  favorevole  il
tentativo dell'odierno interprete di  offrire  una  lettura  conforme
alla Convenzione. 
    Infatti la verifica di compatibilita' della norma  censurata  con
la  Convenzione  -  in  ragione  degli  elementi  valorizzati   dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo per ritenere ammissibili  le
disposizioni interpretative,  ravvisando  la  sussistenza  di  motivi
imperativi di interesse generale -  e'  gia'  stata  effettuata,  con
esito negativo, dalla sentenza Maggio. 
    Si puo' ricordare (v. sentenza Corte cost., n. 1 del 2011) che la
legittimita'   di   norme   nazionali   interpretative    concernenti
disposizioni oggetto di procedimenti nei quali e' parte lo Stato,  e'
stata, invece, in altri casi riconosciuta dalla Corte di  Strasburgo:
a - in presenza di «ragioni storiche epocali», come  nel  caso  della
riunificazione  tedesca,  unitamente   alla   considerazione   «della
sussistenza effettiva di un sistema che aveva garantito  alle  parti,
che contestavano le  modalita'  del  riassetto,  l'accesso  a,  e  lo
svolgimento di, un processo equo e garantito», caso Forrer-Niederthal
c. Germania, sentenza del 20 febbraio  2003;  b  -  per  «ristabilire
un'interpretazione  piu'   aderente   all'originaria   volonta'   del
legislatore», al fine di «porre rimedio ad una  imperfezione  tecnica
della legge interpretata»,  sentenza  23  ottobre  1997,  National  &
Provincial Building  Society,  Leeds  Permanent  Building  Society  e
Yorkshire Building Society c. Regno Unito;  sentenza  del  27  maggio
2004, Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie X e Blanche De Castille e
altri c. Francia. 
    Tanto premesso, non puo', nella specie, per le  ragioni  esposte,
questo Giudice sostituire il proprio giudizio a  quello  della  Corte
EDU   (sentenza   Maggio)   nella   valutazione   della   rispondenza
dell'approvazione della  norma,  alla  sussistenza  degli  stringenti
motivi di interesse generale,  assunti  dallo  Stato  alla  base  del
proprio intervento legislativo. 
    Cio' ancor piu', tenuto conto che la Corte costituzionale, in via
di principio,  ha  affermato  di  non  poter  sostituire  la  propria
interpretazione di una disposizione della CEDU a quella  della  Corte
di Strasburgo, mentre puo', pero', «valutare come ed in  qual  misura
il Prodotto dell'interpretazione della  Corte  europea  si  inserisca
nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel  momento
in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., da  questo
ripete il suo rango nel sistema  delle  fonti,  con  tutto  cio'  che
segue, in termini di interpretazione e  bilanciamento,  che  sono  le
ordinarie operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti i  giudizi
di sua competenza» (Corte cost. sentenze n. 236 del 2011, n. 317  del
2009 del 2011, n. 348 del 2007). 
    14. Alla luce di quanto  appena  sopra  richiamato,  si  osserva,
infine, che e' riservato in via esclusiva alla Corte  costituzionale,
a fronte di una dedotta violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,
in riferimento a disposizioni della CEDU, e  rientra,  dunque,  nello
spazio   officioso   del   complessivo   vaglio    di    legittimita'
costituzionale, e quindi, anche nel thema decidendum della  questione
di costituzionalita' oggi sollevata, il controllo  del  rispetto  dei
cosiddetti «controlimiti». 
    Detto controllo, assume peculiare rilievo nel caso di specie, nel
quale  e'  gia'  intervenuta  una  sentenza  della  Consulta  che  ha
vagliato,  proprio  con  riguardo  all'art.  1,  comma  777,  diversi
parametri   costituzionali   invocati   rispetto   alla    disciplina
sostanziale, ed ha fatto riferimento, inoltre,  ai  principi  di  cui
all'art. 81 Cost., considerato, altresi', che la Corte costituzionale
ha  affermato  che  «fare  salvi  i  «motivi  imperativi  d'interesse
generale»  che  suggeriscono  al  legislatore  nazionale   interventi
interpretativi  nelle  situazioni  che  qui  rilevano  non  puo'  non
lasciare ai singoli  Stati  contraenti  quanto  meno  una  parte  del
compito e dell'onere di  identificarli,  in  quanto  nella  posizione
migliore per assolverlo, trattandosi, tra  l'altro,  degli  interessi
che  sono  alla  base  dell'esercizio  del  potere  legislativo.   Le
decisioni  in  questo  campo  implicano,  infatti,  una   valutazione
sistematica   di   profili   costituzionali,   politici,   economici,
amministrativi e sociali  che  la  Convenzione  europea  lascia  alla
competenza degli Stati contraenti, come  e'  stato  riconosciuto,  ad
esempio, con la formula del margine di  apprezzamento,  nel  caso  di
elaborazione di politiche in materia fiscale, salva la ragionevolezza
delle soluzioni normative adottate» (sentenza Corte cost., n. 311 del
2009). 
    15. Per le ragioni sopra esposte, ritiene la Corte  che  sussiste
la rilevanza e la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777,  della  legge  n.
296 del  2009,  in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretato  dalla  Corte
di Strasburgo, in particolare, con sentenza resa nel  caso  Maggio  e
altri c. Italia.