IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 78 del 2011, proposto da: Francesco Abate, Mariano Alviggi, Roberto Beghini, Michele Maria Benini, Enrico Borrelli, Arianna Busato, Simona Caterbi, Ugo Cingano, Anna Maria Creazzo, Michele Cuccaro, Valerio Giorgio Davico, Fabrizio De Angelis, Giuseppe De Benedetto, Riccardo Dies, Stefano Diez, Renata Fermanelli, Giuseppe Maria Fontana, Sabino Giarrusso, Aldo Giuliani, Monica Izzo, Marco La Ganga, Alessandra Liverani, Fabio Maione, Anna Mantovani, Raffaele Massaro, Carmine Pagliuca, Laura Paolucci, Giovanni Pescarzoli, Giuseppe Pietrapiana, Pasquale Profiti, Iolanda Ricchi, Bernardetta Santaniello, Licia Scagliarini, Giuliana Segna, Giuseppe Serao, Alessia Silvi, Domenico Tagliatatela e Maria Grazia Zattoni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Daria de Pretis ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultima in Trento, via SS. Trinita' n. 14; Contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento domiciliata per legge in Trento, Largo Porta Nuova n. 9. Per il riconoscimento - del diritto al trattamento retributivo spettante senza le decurtazioni di cui ai commi 21 e 22 dell'art. 9 del D.L. 31.5.2010, n. 78, come convertito, con modificazioni, in L. 30.7.2010, n. 122; nonche' per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni della Giustizia, dell'Economia e delle Finanze, nonche' della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2011 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Fatto e diritto 1. I ricorrenti, tutti magistrati dell'Ordinamento giudiziario in servizio presso la Corte d'Appello di Trento, il Tribunale di Trento, la Procura della Repubblica di Trento, il Tribunale e la Procura della Repubblica di Rovereto, con il presente ricorso chiedono il riconoscimento del proprio diritto alla retribuzione, da calcolare senza le decurtazioni di cui ai commi 21 e 22 dell'art. 9 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, nonche' la condanna dell'Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso con ogni accessorio di legge. 2. Essi affidano la predetta pretesa ai seguenti motivi di diritto: I - "violazione e falsa applicazione del comma 22 dell'art. 9 del D.L. 31.5.2010 n. 78, come convertito nella L. 30.72010, n. 122, anche in relazione alla L. 19.2.1981, n. 27; violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione; irragionevolezza ed illogicita' manifeste; eccesso e sviamento di potere"; i ricorrenti ricordano che, secondo la giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il trattamento economico dei magistrati corrisponde alla "peculare ratio di attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri" (cfr., sentenze n. 42 del 1993 e n. 409 del 1995, ordinanza n. 346 del 2008); le misure di taglio del trattamento economico di cui e' causa, incidendo in riduzione sulle retribuzioni dei magistrati, si appalesano in contrasto con i principi di certezza e di continuita' delle retribuzioni spettanti ai magistrati; II - "violazione e falsa applicazione del comma 22, primo periodo, dell'art. 9 del D.L. 31.5.2010 n. 78, come convertito nella L. 30.7.2010, n. 122, anche in relazione alla L. 19.2.1981 n. 27, sotto altro profilo". Gli istanti precisano che il comma 21 dell'art. 9 ha disciplinato, ai fini del "contenimento delle spese in materia di pubblico impiego", i "meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato per gli anni 2011, 2012 e 2013" . Il successivo comma 22, riferendosi piu' distintamente, al "personale di cui alla legge 27/1981" (ossia ai magistrati), ha previsto che "non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014". Le predette disposizioni, non specificando quali siano i "conguagli" e gli "acconti" (termini relativi e non assoluti) appaiono - secondo la difesa dei ricorrenti - del tutto generiche ed inconcludenti e, come tali, inapplicabili. Di conseguenza, i ricorrenti hanno chiesto che questo Tribunale "accerti" che la predetta disposizione non sarebbe in grado di sortire alcun effetto sul trattamento economico dei magistrati, i cui adeguamenti retributivi devono quindi rimanere inalterati; III - "illegittimita' costituzionale del comma 22, secondo periodo, dell'art. 9 del D.L. 31.5.2010 n. 78, come convertito nella L. 30.7.2010, n. 122". Detta norma stabilisce che "l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013". In relazione al carattere di questa "indennita' speciale" - che costituisce una voce fissa della retribuzione e che presenta carattere ristorativo degli oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita' - il taglio su di essa operato sarebbe contrario alla Costituzione, facendo venir meno quella stretta correlazione fra l'indennita' in parola e gli specifici e particolari oneri connessi alla funzione giurisdizionale, come da sempre precisato nella giurisprudenza costituzionale ed amministrativa. Ne risulterebbero violati gli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione. Con il ricorso e' stata presentata istanza di sospensione degli effetti delle disposizioni contestate. 3. Si e' costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato per le Amministrazioni intimate (Presidenza del Consiglio, Ministeri della Giustizia e dell'Economia e delle Finanze), contestando diffusamente ed analiticamente la fondatezza del ricorso. In particolare, la difesa erariale ha sottolineato come le norme di legge oggetto delle censure avversarie si inseriscano nell'ambito di un complesso di misure volte al contenimento della spesa in materia di impiego pubblico "in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea", secondo quanto recita il comma 2 dell'art. 9 in esame. Nell'ambito di tale finalita', il legislatore avrebbe legittimamente ritenuto che anche il personale di magistratura dovesse, al pari del restante personale statale, concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, attraverso misure che attengono direttamente al rapporto d'impiego e non all'esercizio delle funzioni giurisdizionali, rispetto alle quali, pertanto, non si ravviserebbe violazione dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura, trattandosi, oltretutto, di misure gia' adottate in precedenti leggi di risanamento. 4. Con ordinanza n. 24, resa nella camera di consiglio del 21 aprile 2011, questo Tribunale ha respinto la domanda incidentale di misure cautelari. Con lo stesso provvedimento ha disposto adempimenti istruttori a carico dell'Amministrazione finanziaria, di quella della Giustizia e dell'INPDAP, che hanno risposto con note pervenute rispettivamente in data 2 agosto, 21 giugno e 12 agosto 2011. All'esito di detti adempimenti, i ricorrenti hanno depositato articolata e puntuale memoria di replica. Anche la difesa erariale ha depositato memoria di replica. 5. All'udienza pubblica del 10 novembre 2011 la causa e' stata trattenuta in decisione. 6a. Cosi' riassunti i punti di fatto della vicenda sottoposta all'esame di questo Tribunale, il Collegio ritiene utile premettere una breve ricostruzione del quadro normativo in cui si colloca il presente contenzioso. Il trattamento economico dei magistrati ordinari, amministrativi e della giustizia militare e' disciplinato dalla legge 2.4.1979, n. 97, che, con effetto dal 1° gennaio 1979, lo ha rideterminato nella misura indicata, per ciascuna qualifica, nelle tabelle allegate ad essa (lo stipendio tabellare, per l'appunto) e che ha altresi' precisato che a tale misura vanno aggiunte le sole indennita' integrativa speciale e giudiziaria, quest'ultima, a sua volta, disciplinata dall'art. 3 della legge 19.2.1981, n. 27. In particolare, gli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979, nel testo novellato dall'art. 2 della citata legge n. 27 del 1981, prevedono che: - gli stipendi dei magistrati sono adeguati di diritto, ogni triennio, nella misura percentuale pari alla media degli incrementi delle voci retributive, esclusa l'indennita' integrativa speciale, ottenuti dagli altri pubblici dipendenti (appartenenti alle amministrazioni statali, alle aziende autonome dello Stato, universita', regioni, provincie e comuni, ospedali ed enti di previdenza); - la percentuale spettante e' calcolata dall'Istituto centrale di statistica rapportando il complesso del trattamento economico medio per unita' corrisposto nell'ultimo anno del triennio di riferimento al trattamento economico medio dell'ultimo anno del triennio precedente, ed ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello di riferimento; - gli stipendi al 1° gennaio del secondo e del terzo anno di ogni triennio sono aumentati, a titolo di acconto, sull'adeguamento triennale, per ciascun anno e con riferimento sempre allo stipendio in vigore al 1° gennaio del primo anno, per una percentuale pari al 30 per cento della variazione percentuale verificatasi fra le retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio precedente, salvo conguaglio a decorrere dal 1° gennaio del triennio successivo; - la percentuale dell'adeguamento triennale e' determinata entro il 30 aprile del primo anno di ogni triennio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia e con quello del tesoro; a tal fine, entro il mese di marzo, l'ISTAT comunica la variazione percentuale di cui sopra. 6b. La successiva legge 6.8.1984, n. 425, all'art. 3 ha stabilito che dal 1° luglio 1983 la progressione economica degli stipendi dei magistrati si sviluppa in otto classi biennali del 6%, da determinarsi sullo stipendio iniziale di qualifica o livello retributivo, nonche', allo scadere del dodicesimo anno, in successivi aumenti biennali del 2,50%, da calcolare sull'ultima classe di stipendio. L'art. 51 del D.Lgs. 5.4.2006, n. 160, di profonda riforma della disciplina dell'accesso in magistratura, nonche' in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 30.7.2007, n. 111, ha confermato integralmente il complesso e risalente sistema determinativo del trattamento stipendiale dei magistrati, precisando espressamente che "continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di progressione stipendiale dei magistrati ordinari e, in particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425, l'articolo 50, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l'adeguamento economico triennale di cui all'articolo 24, commi 1 e 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, della legge 2 aprile 1979, n. 97, e della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e la progressione per classi e scatti, alle scadenze temporali ivi descritte e con decorrenza economica dal primo giorno del mese in cui si raggiunge l'anzianita' prevista". Infine, il comma 12 dell'art. 11 dello stesso D.Lgs. n. 160 del 2006 ha stabilito che una valutazione negativa della professionalita' - alla quale sono sottoposti con cadenza quadriennale tutti i magistrati ordinari, a decorrere dalla data di nomina e fino al superamento della settima valutazione di professionalita' - comporta "la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio". 6c. Appare opportuno osservare e sottolineare, sin da subito, che a seguito della risalente disciplina introdotta dalla legge n. 27 del 1981 la determinazione degli stipendi spettanti ai magistrati e' sottratta a qualsiasi genere di contrattazione, essendo essa assoggettata ad un "sistema automatico", regolato direttamente dalla legge: cio' al fine, ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, "di attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi (i magistrati, n.d.r.) siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri", nonche' quello di "assicurare la completa autonomia ed indipendenza dei giudici dall'Esecutivo" (cfr., Corte Costituzionale, 27 luglio 1995, n. 409; id., 10 febbraio 1993, n. 42; C.d.S., sez. IV, 20.3.2006, n. 1472). Il riportato "sistema automatico" stabilisce la misura dell'adeguamento triennale degli stipendi del personale della magistratura basandosi su di un indice statistico, espressamente definito un termine "ragionevole e non arbitrario", perche' l'adeguamento triennale e' calcolato non sulla sommatoria di tutti gli incrementi retributivi intervenuti ma "soltanto sulla loro media, e rapportando il complesso del trattamento economico medio per unita' corrisposto nell'ultimo anno del triennio di riferimento a quello dell'ultimo anno del triennio precedente. Gli incrementi retributivi realizzati nel triennio precedente da tutti gli altri dipendenti pubblici non rilevano pertanto come accertamento della quantita' della maggiore retribuzione automaticamente dovuta anche ai magistrati, ma esclusivamente quali indici ai fini della determinazione della giusta retribuzione spettante a questi ultimi dal primo gennaio dell'anno successivo al triennio di riferimento" (cfr., C.d.S., sez. IV, n. 1472 del 2006, cit.). A tal fine, il sistema in esame stabilisce che dapprima siano rilevati gli incrementi retributivi gia' erogati ai dipendenti pubblici, che sia poi calcolata la variazione percentuale ed, infine, che la determinazione del nuovo incremento degli stipendi avvenga con l'emanazione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il nuovo trattamento stipendiale, adeguato in virtu' della variazione percentuale, ha effetto solo dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. Il sistema di adeguamento, dunque, e' un criterio di determinazione stipendiale indiretto e per relationem, con riferimento all'andamento delle politiche retributive degli altri settori del pubblico impiego, di cui il meccanismo dell'adeguamento non rappresenta, tuttavia, la pedissequa trasposizione automatica ma solo un indice rilevatore di variazioni sistemiche gia' intervenute e di cui si deve tener conto per assicurare che anche lo stipendio erogato ai magistrati risponda ai principi fissati nell'art. 36 della Costituzione. Il decreto triennale del Presidente del Consiglio dei Ministri "non rappresenta una mera ricognizione degli incrementi retributivi gia' maturati nel triennio precedente in favore dei magistrati, ma e' il provvedimento costitutivo del diritto al nuovo trattamento stipendiale attuale" (cfr., C.d.S., sez. IV, n. 1472 del 2006, cit.). 6d. Da qui una prima conclusione: - gli andamenti retributivi dei magistrati sono solo il riflesso di quelli piu' generali gia' verificatisi per il restante pubblico impiego, di cui scontano eventuali virtuosita' o lassismi delle politiche retributive del settore pubblico e non rappresentano, di per se', alcun privilegio distintivo; - il meccanismo di adeguamento si correla a precisi e svariati valori costituzionali, in primis quelli di cui agli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, e 36, rispetto ai quali va verificata e rapportata la dichiarata e parimenti primaria esigenza di ripiano dei conti pubblici. 7. Il Collegio ritiene altresi' utile rappresentare come incide sullo stipendio dei magistrati, stabilito dalla legge e rideterminato periodicamente in base al sistema "automatico" sopra descritto, la complessa disciplina introdotta nel 2010 con i commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del D.L. 31.52010, n. 78: a) - per tutte le categorie del personale delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (e quindi anche per i magistrati) a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 il trattamento economico complessivo superiore a 90.000 € lordi annui e' ridotto del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo e fino a 150.000 €, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 € (comma 2 dell'art. 9); b) - per tutte le categorie del personale non contrattualizzato della pubblica amministrazione (che ricomprenderebbero, astrattamente, anche i magistrati), e' stato introdotto il blocco dei "meccanismi di adeguamento retributivo" per gli anni 2011, 2012 e 2013, la cui operativita' e' estesa sia a livello di acconto che a livello di conguaglio (comma 21, primo periodo, dell'art. 9); c) - per i soli magistrati e' stato poi previsto il blocco degli acconti per gli anni 2011, 2012 e 2013 e dei conguagli per il triennio 2010-2012 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9); d) - per i soli magistrati e' stato altresi' previsto un "tetto" per l'acconto per l'anno 2014 (che non puo' superare quello dell'anno 2010) ed un "tetto" per il conguaglio dell'anno 2015, che sara' determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo pertanto il triennio 2011-2013 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9); e) - per i soli magistrati e' stata stabilita la riduzione annualmente progressiva (pari al 15, al 25 e al 32 per cento), nel triennio 2011-2013, dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 della L. 19.2.1981, n. 27 (comma 22, secondo periodo, dell'art. 9); - infine, per i soli magistrati, a differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato, sono stati salvaguardati i meccanismi di "progressione automatica dello stipendio" per gli anni 2011-2013, ossia le classi e gli scatti di carriera (comma 22, quarto periodo, che richiama ad excludendum il secondo e il terzo periodo del comma 21 dell'art. 9). 8a. Ancora preliminarmente, il Collegio reputa doveroso riportare quanto emerso dall'articolata istruttoria disposta con la menzionata ordinanza n. 24/2011, tesa a verificare - naturalmente ab externo e senza impingere nelle scelte discrezionali dell'Esecutivo e del Parlamento - la razionalita', l'efficacia e la legittimita' della manovra in esame, anche in relazione all'applicazione, in concreto, delle sopra riportate misure e del loro concreto impatto sui saldi del bilancio pubblico. 8.a.1. Al quesito relativo alle modalita' con le quali l'Amministrazione finanziaria avrebbe applicato la riduzione del 5 per cento e del 10 per cento della parte eccedente il trattamento economico complessivo superiore, rispettivamente, a 90.000 € e a 150.000 € lordi annui (comma 2 dell'art. 9), la Ragioneria generale dello Stato ha corrisposto spiegando che: - la riduzione e' applicata al "trattamento economico complessivo", nel quale sono comprese tutte le componenti del trattamento annuo lordo (fondamentali e accessorie, fisse e variabili) che comprende le seguenti voci retributive: stipendio con relativa progressione automatica per classi e scatti, indennita' integrativa speciale e indennita' giudiziaria (quest'ultima, nelle misure gia' ridotte ai sensi del comma 22 dell'art. 9); - le ritenute previdenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro sono applicate sul trattamento economico interamente spettante, senza quindi considerare le riduzioni retributive introdotte dalla legge; - il trattamento economico annuo lordo cosi' determinato e' la base di calcolo delle decurtazioni percentuali da applicare per la parte eccedente gli importi stabiliti dalla disposizione in esame; piu' precisamente, la base di calcolo e' determinata dal "trattamento economico complessivo annuo del singolo dipendente", sul quale devono essere quindi considerate le variazioni che intervengono per ogni anno di riferimento. 8.a.2. Al quesito relativo alla misura concreta della mancata erogazione degli acconti e/o dei conguagli per gli anni 2011, 2012 e 2013, come stabiliti dagli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9 del D.L. n. 78), la Ragioneria generale dello Stato ha puntualizzato che il personale di magistratura, nel triennio di riferimento, avrebbe conseguito: - nell'anno 2011 la corresponsione del secondo acconto, pari al 3,04%, come gia' determinato con D.P.C.M. 23.6.2009 [la misura della mancata erogazione di tale voce varia in relazione alle qualifiche: 1.970 € per i magistrati ordinati (gia' magistrato di tribunale); 2.670 € per i magistrati ordinari dopo la prima valutazione di professionalita' (gia' magistrato di tribunale dopo tre anni); 3.420 € per i magistrati ordinari dopo un anno dalla terza valutazione di professionalita' (gia' magistrato di corte d'appello); 4.260 € per i magistrati ordinari dopo la quinta valutazione di professionalita' (gia' magistrato di cassazione); 5.490 € per i magistrati ordinari dopo la settima valutazione di professionalita' (gia' magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori); 7.090 € per i magistrati con funzioni direttive superiori (gia' presidente aggiunto di cassazione); 7.170 € per i magistrati con funzioni direttive apicali requirenti di legittimita' (procuratore generale di cassazione); 7.610 € per i magistrati con funzioni direttive apicali giudicanti di legittimita' (primo presidente di cassazione)]; - nell'anno 2012 non sarebbe stato erogato alcun conguaglio, tenuto conto della crescita contenuta registrata nel triennio di riferimento dalle retribuzioni del pubblico impiego prese a riferimento; - nell'anno 2013 la corresponsione del primo acconto (pari al 30% dell'incremento relativo al triennio precedente, stimato nella misura del 6%), pari ad 1,8% [la misura della mancata erogazione di tale voce varia in relazione alle qualifiche: 1.240 € per i magistrati ordinari (gia' magistrato di tribunale); 1.670 € per i magistrati ordinari dopo la prima valutazione di professionalita' (gia' magistrato di tribunale dopo tre anni); 2.150 € per i magistrati ordinari dopo un anno dalla terza valutazione di professionalita' (gia' magistrato di corte d'appello); 2.670 € per i magistrati ordinari dopo la quinta valutazione di professionalita' (gia' magistrato di cassazione); 3.450 € per i magistrati ordinari dopo la settima valutazione di professionalita' (gia' magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori); 4.450 € per i magistrati con funzioni direttive superiori (gia' presidente aggiunto di cassazione); 4.500 € per i magistrati con funzioni direttive apicali requirenti di legittimita' (procuratore generale di cassazione); 4.780 € per i magistrati con funzioni direttive apicali giudicanti di legittimita' (primo presidente di cassazione)]; 8.a.3. Al quesito relativo agli importi delle decurtazioni progressive del 15, del 25 e del 32 per cento, sino al 2013 compreso, dell'indennita' giudiziaria (comma 22, secondo periodo, dell'art. 9), la stessa Ragioneria ha precisato che, a fronte di un importo tabellare annuo lordo pari a 13.420,34 €, le riduzioni per l'anno 2011 corrispondono a 2.013,05 € annui lordi e a 167,75 € mensili lordi; per l'anno 2012 detta riduzione e' rispettivamente pari a 3.355,08 € annuali e a 279,59 € mensili, mentre per l'anno 2013 la riduzione corrisponde a 4.294,51 € annuali e a 357,87 € mensili. 8.a.4. Con riguardo al prospetto comparativo degli andamenti stipendiali nel quadriennio 2010-2013, la tabella n. 1 allegata alla relazione del MEF rivela i seguenti dati negativi: - i magistrati con qualifica apicale subiscono nel 2011 una decurtazione di oltre 10.000 € annui rispetto al 2010, unico parametro temporale di riferimento significativo e costante in quanto anteriore alla manovra de qua (passando da 257.912 € a 247.059 €), una riduzione di 7.000 € annui nel 2012 e di oltre 1.000 € nel 2013, con una perdita complessiva di oltre 18.000 € nel periodo; - a loro volta, i magistrati di qualifica iniziale nel 2011 si vedono prelevati 500 € annui nel 2011 (da 46.880 € a 46.381 €), 600 € nel 2012, e poco meno di 200 € nel 2013, con un prelievo complessivo nell'intero periodo di circa 1.300 €. 8b. Con riguardo alla richiesta di "un analitico e dettagliato prospetto comparativo sui concreti livelli retributivi complessivi dei dirigenti del MEF, titolari di uffici di livello dirigenziale generale, equiparati o superiori", come espressamente richiesto con l'ordinanza istruttoria di questo Tribunale, vale riportare un estratto letterale della relazione ministeriale sul punto, laddove essa dichiara, a pag. 9, quanto segue: "prima di corrispondere a quanto richiesto appare utile precisare che presso il MEF il ruolo del personale dirigente si articola in due fasce (I e II) a ciascuna delle quali corrispondono, rispettivamente, piu' livelli di funzione, come stabilito dall'art. 24 del D.Lgs. n. 165/2001, con un conseguente trattamento economico accessorio differenziato (retribuzione di posizione - parte variabile e retribuzione di risultato). Peraltro, poiche' i dati relativi ai concreti livelli retributivi complessivi per gli uffici richiesti sono ricavabili soltanto dai contratti individuali, dei quali pero' lo scrivente non ha la disponibilita', non possono che fornirsi le retribuzioni medie dei dirigenti in questione, la cui entita' complessiva tiene conto anche dell'onnicomprensivita' della retribuzione come stabilito dalla vigente normativa. Nelle allegate tabelle n. 3 e n. 4 e' stato rappresentato un prospetto comparativo dei livelli retributivi medi complessivi dei dirigenti del MEF, sia di prima che di seconda fascia, distinti tra retribuzione fissa ed accessoria. Al riguardo si rappresenta che i valori relativi all'anno 2010 sono stati desunti dai dati del conto annuale 2009 (non essendo ancora disponibili i dati relativi all'anno 2010). Per gli anni relativi al triennio 2011-2013, la componente stipendiale risulta incrementata limitatamente alla corresponsione dell'indennita' di vacanza contrattuale (520 € annui lordi per i dirigenti di prima fascia e 325 € annui lordi per i dirigenti di seconda fascia ...)". 8.b.1. Il Collegio deve preliminarmente rilevare, con profondo rammarico istituzionale, che rispetto alla richiesta formulata da questo Tribunale di esporre le "concrete retribuzioni" - nella consapevolezza che i livelli retributivi della dirigenza pubblica, soprattutto di vertice (art. 24, comma 2, D.Lgs. 30.3.2011, n. 165) non sono determinati direttamente, come per il resto del pubblico impiego, compreso il personale di magistratura, da fonti eteronome certe ed astratte, ma esclusivamente dal contratto individuale (art. 24, cit.) - il contenuto della relazione ministeriale si manifesta sostanzialmente elusivo delle precise richieste istruttorie, non essendo verisimile che l'Amministrazione datrice di lavoro non abbia la disponibilita' dei contratti di lavoro o di prestazione professionale (ai sensi dell'art. 19 del D.lgs. n. 165 del 2001) dei propri dipendenti, seppure di elevatissima ed elevata posizione funzionale. Anche a voler, per remota ipotesi, ammettere una tale evenienza, cio' avrebbe dovuto comportare, da parte dell'Amministrazione, la diligente acquisizione degli stessi contratti o, almeno, l'indicazione dei soggetti pubblici detentori degli stessi: cio' in doveroso ed agevole ossequio (non soltanto ai generali e fondamentali principi di leale collaborazione tra livelli istituzionali e trasparenza ma) al puntuale e pertinente principio di comunicazione interna ed esterna di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 165 del 2001. La rilevata elusione istruttoria, come detto, e' una grave mancanza di rispetto istituzionale e di inammissibile aggiramento di una precisa richiesta istruttoria non pretestuosa ne' provocatoria, essendo essa rivolta a verificare la coerenza complessiva e la portata dei sacrifici richiesti ad una categoria di funzionari pubblici coperta da precise e non negoziabili garanzie costituzionali rispetto a quelli effettivamente subiti da altre categorie. Detto ancora piu' esplicitamente, la richiesta istruttoria formulata dal Tribunale era tesa, tra le altre finalita', a verificare se i doveri inderogabili di solidarieta' di cui all'art. 2 della Costituzione, predicati nei confronti della magistratura, fossero praticati, in ossequio al complanare principio di eguaglianza, anche da altre qualificatissime categorie di lavoratori pubblici e privati, a cominciare proprio da quelli dell'apparato burocratico che elabora o propone le linee della politica economica e finanziaria del nostro Paese. Una richiesta, dunque, finalizzata a conoscere gli effetti della manovra di contenimento della spesa pubblica compiuta con il decreto legge piu' volte richiamato e a verificare se essa abbia inciso in modo irrazionale, sperequato e irrispettoso o, almeno, ignaro di precisi parametri costituzionali sulla condizione e sul patrimonio solo di taluni pubblici funzionari e non anche (o in misura irrazionalmente diversa) su quello di altre categorie di lavoratori pubblici e privati: cio' che porterebbe ad una conclusione di incostituzionalita' della manovra stessa in parte qua (cfr., Corte Costituzionale, 14.7.1999, n. 299). 8.b.2. In ogni caso, dalle pur incomplete indicazioni ministeriali, emerge che la retribuzione media del dirigente di I fascia subisce una decurtazione costante annua, sino al 2013, di circa 10.000 € (passando da 223.216 € annui dell'anno 2010 a 213.362 € annui per gli anni successivi), mentre per la dirigenza di II fascia si registra un leggero incremento costante nel triennio, passandosi da 95.564 € annui del 2010 a 95.595 € annui per gli anni successivi. 8c. Il Ministero della Giustizia, al quale era stato chiesto di conoscere il numero dei magistrati collocati anticipatamente in quiescenza per effetto di domanda presentata nell'anno 2010 e cessati dal servizio entro la data del 30 novembre 2010 (entro la quale scattavano le misure limitative dei trattamenti previdenziali di cui al comma 9 dell'art. 12 dello stesso D.L. n. 78 del 2010), ha precisato che (a fronte di 149 magistrati collocati a riposo nell'anno 2007, di 193 nell'anno 2008 e di 211 nell'anno 2009) nell'anno 2010 si e' registrato un "massiccio esodo". In dettaglio, il personale di magistratura collocato in quiescenza e' stato pari a 414 unita', delle quali 285 hanno "evitato" la rateizzazione dell'indennita' della buonuscita perche' collocati a riposo dopo l'entrata in vigore del D.L. n. 78 e prima del 30 novembre; per 267 di essi il C.S.M. ha dovuto revocare la delibera con cui era stato disposto il trattenimento in servizio fino al 75° anno di eta'. 8d. L'INPDAP, che doveva indicare l'importo complessivo delle indennita' di buonuscita erogate al personale di magistratura collocato anticipatamente in quiescenza per effetto di domanda presentata nell'anno 2010 e cessato dal servizio entro la citata data del 30 novembre 2010, nonche' l'importo complessivo annuo delle pensioni previste per il medesimo personale dal 2011 al 2013, ha comunicato di aver liquidato 170 indennita' di buonuscita al personale di magistratura cessato entro il 30 novembre 2010, delle quali 125 posizioni hanno evitato la rateizzazione della prestazione; alla relazione ha allegato l'elenco degli importi erogati, sia in unica soluzione che come prima rata con l'aggiunta dell'importo delle rate successive. Da detto elenco allegato alla relazione INPDAP risulta che l'esborso complessivo per le indennita' di buonuscita (altrimenti qualificata, nella stessa relazione, come TFS) erogate in un unica soluzione ai magistrati esodati anticipatamente per evitare gli effetti della manovra e' pari a poco meno di 59 milioni di €. 8e. In conclusione, quanto agli effetti di risparmio per il bilancia dello Stato derivanti dall'introduzione dei tagli stipendiali in oggetto, essi ammontano a: - 41.631.937 € per il mancato adeguamento della retribuzione (blocco degli acconti e del conguaglio); - circa 21 Mln., 35 Mln. e 45 Mln. di €, rispettivamente per i tre anni 2011, 2012 e 2013, per il prelievo di parte dell'indennita' giudiziaria; - 21.286.580 €, in misura costante per il triennio 2011-2013, per il prelievo del 5% e del 10%. Tuttavia, a fronte di tali risparmi, si deve anche registrare, ai fini della diminuzione della spesa pubblica, che la somma complessiva che si e' dovuto erogare in un'unica soluzione nel 2010 al personale anticipatamente esodato e' stata, come visto, pari a circa 59 milioni di €. In base a quanto riportato, in definitiva, possono ricavarsi i seguenti elementi complessivi che il Collegio ritiene utili ai fini della valutazione della razionalita' e della legittimita' del citato comma 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010, senza che possano assumere rilevanza processuale le ulteriori - ma non richieste, ne' trasfuse in rituale atto processuale, ne' comunque convincenti - ragioni giustificatrici della manovra in questione contenute nella stessa relazione del MEF: - i tagli stipendiali incidono, in misura piu' o meno significativa, su tutte le qualifiche magistratuali, secondo gli importi sopra indicati; - dal raffronto con le tavole stipendiali della dirigenza, emerge che quella di II fascia non risulta toccata dalla manovra, mentre l'analoga qualifica magistratuale di magistrato di I valutazione perde oltre 500 € annui. Gli effetti positivi sulla diminuzione dell'indebitamento pubblico per l'anno 2011 oscillano attorno a circa 84 milioni di annui a cui, pero', devono essere sottratti i 59 milioni di € erogati per indennita' di buona uscita correlate a collocamenti a riposo anticipati per effetto dell'esodo causato dalla stessa manovra. Il risparmio netto, quindi, e' stato in realta' pari a 25 milioni di €. 9a. Da quanto sopra esposto emerge, innanzitutto, che nel primo periodo del comma 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 in esame, laddove e' prevista la mancata corresponsione "degli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013", e' presente un'inesattezza in quanto nell'anno 2012 non sarebbe stato corrisposto al personale di magistratura alcun acconto ma, piuttosto, il conguaglio della variazione triennale relativa agli anni 2009-2011. Tuttavia, osserva il Collegio che, nonostante la sussistenza di tale differenza tra il dato esatto e quello errato citato dalla lettera della legge, il senso complessivo della norma non risulta incerto e generico, secondo l'assunto della difesa dei ricorrenti, ne' possono sorgere dubbi interpretativi in sede applicativa. 9b. Pertanto, anche alla luce di quanto emerso in sede di istruttoria, non puo' essere dato seguito positivo alla prima pretesa dei ricorrenti avanzata con l'azione di accertamento con la quale essi hanno chiesto che questo Tribunale "accerti" che il primo periodo del comma 22, che causerebbe una situazione di "intollerabile incertezza circa le sorti del trattamento economico dei magistrati", non sarebbe idoneo a definire il suo campo di applicazione a causa dell'indeterminatezza dei termini "acconti" e "conguagli" ivi contenuti. All'opposto, in applicazione della puntuale disciplina prevista dagli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979 risulta agevole individuare e calcolare, come ha fatto su richiesta di questo Tribunale la Ragioneria generale dello Stato, gli "acconti" e i "conguagli" da corrispondere virtualmente ai magistrati (spettando i primi per gli anni 2011 e 2013 e appurando che nell'anno 2012 non sarebbe stato versato alcun conguaglio). Il primo motivo di ricorso, che fa leva esclusivamente su di una pretesa genericita' e inapplicabilita' della norma, non puo', di conseguenza, essere apprezzato favorevolmente. 10a. Sennonche', da quanto esposto dai ricorrenti con gli altri mezzi introdotti, da quanto sopra ricapitolato in relazione alla normativa che disciplina la materia di causa, nonche' da quanto in concreto emerso in sede di istruttoria, risulta incontestabile che le misure introdotte con i commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010: - incidono in maniera significativa sul trattamento economico dei magistrati; - sono incoerenti rispetto alla precedente normativa di riferimento, confermata anche con la radicale riforma dell'ordinamento magistratuale del 2006, posta al fine di garantire che il trattamento economico del personale della magistratura sia determinato tramite un sistema automatico, regolato direttamente dalla legge ordinaria, al fine di assicurare la completa autonomia e l'indipendenza dei giudici; - si presentano manifestamente sproporzionate ed ingiustamente penalizzanti rispetto non solo al restante personale non contrattualizzato (che, notoriamente, non possiede copertura costituzionale), ma anche nei confronti di tutte le altre categorie di lavoratori privati di qualifiche e livelli retributivi analoghi. 10b. Al riguardo, il Collegio ritiene pertanto che le questioni di legittimita' costituzionale prospettate dai ricorrenti, e comunque rilevabili d'ufficio, siano rilevanti e non manifestamente infondate sotto plurimi e concorrenti aspetti. Tanto, peraltro, e' gia' stato rilevato anche da vari Tribunali amministrativi regionali: T.A.R. Campania, sezione staccata di Salerno, sez. I (ordinanza n. 1162, pubblicata il 23.6.2011); TAR. Piemonte, sez. II (ordinanza n. 846, pubblicata il 28.7.2011); TAR Veneto, sez. I (ordinanza a 1685, pubblicata il 15.11.2011). 11. In punto di rilevanza, si osserva che l'interesse che ha mosso i ricorrenti e' palese in quanto: - le norme di cui al comma 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010 sono di immediata applicazione; - quelle di cui al comma 21, primo periodo, dello stesso articolo si presentano di applicazione certa in caso di caducazione del comma 22, perche' comprendono tutte le categorie del personale non contrattualizzato; - a decorrere dal 1° gennaio 2011 i ricorrenti hanno visto inciso il loro trattamento economico, sia per quanto concerne il mancato incremento del 3,04% della voce stipendio (corrispondente al secondo acconto spettante ai sensi del D.P.C.M. 23.6.2009, come si e' gia' detto "provvedimento costitutivo" del relativo diritto), sia perche' e' stata operata la riduzione dell'indennita' giudiziaria nella misura lorda di 167,75 € mensili (cfr., allegate copie dei cedolini degli stipendi relative ai mesi dicembre 2010, gennaio e febbraio 2011). A cio' si aggiunga che la Ragioneria Generale dello Stato ha fornito un prospetto comparativo (per la redazione del quale, peraltro, ha considerato i valori complessivi medi delle retribuzioni) da cui emerge l'effettiva incidenza delle misure introdotte dall'art. 9 del D.L. n. 78 sugli stipendi del personale della magistratura suddiviso per qualifiche. A titolo meramente esemplificativo si riporta che: - un magistrato ordinario (ex magistrato di tribunale) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 66.768 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 65.565 €; - un magistrato ordinario dopo la prima valutazione di professionalita' (quindi dopo tre anni dalla nomina) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 90.433 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 89.893 E; - un magistrato ordinario dopo un anno dalla terza valutazione di professionalita' (ex magistrato di corte d'appello, quindi dopo 13 anni dalla nomina) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 115.903 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 114.634 €; - un magistrato ordinario dopo la quinta valutazione di professionalita' (ex magistrato di cassazione, quindi dopo 20 anni dalla nomina) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 144.398 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 142.326 €; - un magistrato ordinario dopo la settima valutazione di professionalita' (ex magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 185.998 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 180.872 €; - un magistrato con funzioni direttive superiori di legittimita' (quindi un presidente aggiunto della corte di cassazione) nell'anno 2010 ha conseguito una retribuzione media complessiva lorda pari a 240.429 €, mentre nell'anno 2011 detta retribuzione sara' pari a 230.968 €. 12a. Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il Collegio premette che, da quanto sopra esposto, emerge con chiarezza come il sistema normativo vigente abbia stabilito che la retribuzione dei magistrati considerata in senso lato non presenti alcun elemento accessorio (a differenza, per esempio, della dirigenza pubblica) ma che sia composta da sole tre voci (di cui una, peraltro, a carattere meramente indennitario, come gia' detto sopra): stipendio, indennita' integrativa speciale e c.d. indennita' giudiziaria. Il sistema e' stato cosi' delineato in piana e riconosciuta attuazione dei valori costituzionali di autonomia e di indipendenza della magistratura da ogni altro potere dello Stato, sanciti in via generale dagli artt. 101, comma 2 ("i giudici sono soggetti soltanto alla legge"), 104, comma 1 ("la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"), e 108 ("le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge") della Costituzione. Di conseguenza, anche il trattamento economico dei magistrati, ossia la traduzione in corrispettivo materiale della valutazione del servizio da essi prestato, non e' nella libera disponibilita' del Potere legislativo o del Potere esecutivo. In altri termini, dal sistema ordinamentale sopra rappresentato risulta che il trattamento economico dei magistrati e' assistito da "certezza" e da "continuita'" e che non puo' essere soggetto a irrazionali, sbilanciate, sperequative e sostanzialmente inutili decurtazioni, le quali, in quanto tali, si presentano comunque distoniche alla luce delle garanzie di indipendenza e di autonomia dell'ordine giudiziario. Sicche', quand'anche una decurtazione del trattamento economico dei magistrati dovesse sopraggiungere in relazione a peculiari situazioni di emergenza, come quelle concernenti la finanza pubblica, sarebbe allora doveroso che essa sia inserita in un assetto da cui evincere non solo le specifiche (e non genericamente emergenziali) ragioni che spingono all'introduzione di nuovi oneri nei confronti della magistratura ma anche la compatibilita' di essi con i ricordati principi costituzionali, ai quali deve aggiungersi anche quello di "buon andamento" degli uffici giudiziari di cui all'art. 97 della Costituzione. 12b. Come piu' volte ribadito anche dalla Corte Costituzionale, il meccanismo sopra descritto, che assicura ai livelli retributivi fissati dalla legge un adeguamento "di diritto" ogni triennio, basato sulla media degli incrementi realizzati dalle altre categorie nel pubblico impiego, rappresenta un elemento intrinseco e peculiare della struttura dello stipendio, volto - secondo quanto rilevato dalla stessa Corte in analoghi momenti storici di drammatica emergenza monetaria e finanziaria - all'"attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il profilo economico" (cfr., sentenza 16.1.1978, n. 1), e a evitare, "tra l'altro che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri" (cfr., sentenza 10.2.1993, n. 42), cosi' concretizzando "una guarentigia idonea a tale scopo" (cfr., sentenza 8.5.1990, n. 238). A cio' consegue che l'applicazione del primo periodo del comma 22 dell'art. 9, che impone di non erogare: - l'acconto 2011 (il che si traduce nel diniego, posto con norma primaria, di corrispondere somme certe, liquide ed esigibili perche' gia' quantificate con il ricordato D.P.CM. 23.6.2009, costitutivo del relativo diritto patrimoniale); - l'eventuale conguaglio 2012; - il prossimo acconto 2013; senza alcuna possibilita' di recupero delle relative somme, lede non solo il dato testuale delle gia' ricordate norme costituzionali di cui agli artt. 101, 104 e 108, ma soprattutto i principi e i valori sottesi ad esse, funzionali all'indipendenza e l'imparzialita' del giudice, che costituiscono presupposto e requisito essenziale di ogni giusto processo" di cui agli artt. 24, 101 e 111 della Costituzione (cfr., sentenza 7.10.1999, n. 381). 12c. Da non sottovalutare, inoltre, e' il fatto che l'automatismo che garantisce la periodica quantificazione in concreto del trattamento economico dei magistrati configura un sistema - disciplinato con legge ordinaria emanata a seguito degli accurati e approfonditi procedimenti parlamentari - che, oltre a non richiedere periodici interventi, normativi o tantomeno contrattuali, per adeguare nel tempo le retribuzioni secondo intenti meramente conservativi e non lucrativi, realizza il tendenziale equilibrio tra la pluralita' dei Poteri dello Stato perche' non comporta la subordinazione di uno di essi agli altri, secondo quanto rilevato ripetutamente dalla ricordata giurisprudenza costituzionale e amministrativa. Percio', i prelievi introdotti con i commi 22 e 21 (rispettivamente in via primaria ed alternativa) dell'art. 9 del D.L. n. 78, qui contestati, che bloccano il meccanismo garantista dell'adeguamento automatico della retribuzione, sostanzialmente operano un indebito condizionamento all'esercizio della funzione giurisdizionale, intaccando sia l'indipendenza personale che quella organica. Cio', infatti, potrebbe ingenerare, in alcune componenti, la ricerca di un confronto con il Potere esecutivo e con le forze del Potere legislativo al fine di ripristinare le condizioni economiche originarie o, quantomeno, di attenuare la portata degli interventi riduttivi, in una logica fondata sulla contrattualizzazione delle disposizioni legislative attraverso un meccanismo do ut des, con conseguente compromissione non solo del prodotto legislativo ma soprattutto dell'autonomia delle Funzioni. 12d. Si tratta non di un pericolo virtuale (e gia' questo basterebbe per innestare profili di costituzionalita'), sbandierato dalla magistratura come una sorta di spauracchio istituzionale e costituzionale per mantenere presunti e addebitati privilegi, ma di un'evenienza che, nella specie, si e' concretamente verificata, come implicitamente ammesso nella stessa relazione del MEF acquisita in via istruttoria. Nel predetto documento, infatti, si insiste molto sull'aspetto concessivo ed immunitario delle misure in parola rispetto ad altri settori del pubblico impiego. A titolo meramente esemplificativo, si riporta quanto dichiarato a pag. 3 della relazione del Ministero dell'economia: "se nei confronti del personale di magistratura fossero state applicate le misure relative al blocco degli automatismi e ai limiti negli avanzamenti di carriera, tale personale avrebbe perso, con effetti maggiormente penalizzanti anche a fini previdenziali, gli incrementi che invece vengono mantenuti in virtu' di quanto stabilito dal comma 22 dell'art. 9 e che di seguito si illustrano: - progressione automatica degli stipendi (classi e scatti): l'incremento medio su base annua e' stimabile in circa 1.500 € lordi per l'anno 2011, 3.000 € per l'anno 2012 e 4.500 € per l'anno 2013. Tali importi sorto stati ottenuti considerando uno stipendio annuo lordo di 65.000 euro". Tutto cio' come a dire, implicitamente: "avremmo potuto colpire di piu' e invece abbiamo lasciato una parte dei privilegi stipendiali". Ora, in disparte i discorsi, di facile e capziosa presa mediatica, su caste e privilegi (peraltro tutti da ricercare, scoprire e colpire), e' ampiamente notorio nell'ambito forense-giudiziario - per essere stato riportato nei comunicati dell'A.N.M. ampiamente pubblicizzati all'epoca sui siti degli organi di stampa - che le misure in questione vennero fortemente criticate dalla Giunta esecutiva centrale dell'A.N.M, la quale ebbe a proclamare "lo sciopero contro gli effetti della manovra economica varata dal Governo", osservando che "i magistrati sono consapevoli della crisi economica in cui versa il Paese e non intendono sottrarsi al loro dovere di cittadini e di contribuenti, ma devono denunciare che le misure approvate dal Governo sono ingiustamente punitive nei loro confronti e di tutto il settore pubblico. E' inaccettabile essere considerati non una risorsa, ma un costo o addirittura uno spreco per la giustizia. Questa manovra incide unicamente sul pubblico impiego, senza colpire gli evasori fiscali (gia' beneficiati da numerosi condoni), i patrimoni illeciti, le grandi rendite e le ricchezze del settore privato: paralizza l'intero sistema giudiziario e scredita e mortifica il personale amministrativo; svilisce la dignita' della funzione giudiziaria e mina l'indipendenza e l'autonomia della magistratura". Che tali dichiarazioni non fossero il frutto di reazioni di stampo "sindacale", scomposte ed invasive delle prerogative del Parlamento, e' dimostrato nei fatti. Le sopra riportate iniziative associative trovarono, infatti, ampi e vari riscontri in tutte le forze politiche provocando immediate reazioni anche di segno positivo e critico sulla manovra, tra cui, in particolare, quella del Guardasigilli dell'epoca che ebbe a dichiarare ai microfoni del Tg2 da Lussemburgo, dove si trovava per il Consiglio UE della Giustizia: "ai giovani magistrati si chiede un costo individuale troppo alto a fronte di un gettito complessivo abbastanza basso per il Paese quindi mi impegnero' per risolvere nel percorso di conversione questo aspetto del problema" (cfr., http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo483210.shtml, ecc.). E' altrettanto notorio - tramite i riferiti canali di informazione - che prima e dopo l'adozione del D.L. n. 78 vi furono ripetuti incontri dell'A.N.M. presso la Presidenza del Consiglio ed il MEF dai quali, verosimilmente, scaturirono quegli "sconti' cui fa riferimento la citata relazione del Ministero dell'economia (cfr., http://www.ilgiornale.it/interni/manovra_magistrati_proclamano_sciope ro/politica-politica economica_governo-anm-magistrati-sciopero-manovra-finanziaria/03-06- 2010/articolo-id=450273-page=0-comments=1). In conclusione, la compromissione dell'indipendenza dell'ordine giudiziario e' stata non solo messa in pericolo ma concretamente compromessa attraverso ripetute trattative con l'Esecutivo. 13a. Da altro ma non secondario punto di vista, si deve altresi' osservare che le disposizioni in esame intaccano la fiducia e la considerazione di cui deve godere ciascun magistrato, oltre al prestigio dell'ordine giudiziario nel suo complesso. In tal senso la giurisprudenza costituzionale ha osservato che i magistrati debbono essere imparziali e indipendenti; che tali valori devono essere tutelati; che detti principi sono "volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione; assicurano, nel contempo, quella dignita' dell'intero ordine giudiziario, che si qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilita' di essa" (cfr., sentenza 7.5.1981, n. 100). 13b. In relazione alle predette affermazioni della Corte le norme denunciate si presentano come una oggettiva occasione di compromissione della fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria, accreditando apertamente l'immagine di una categoria privilegiata immeritevole del mantenimento di retribuzioni considerate di livello "alto" le quali, pertanto, "devono" essere riviste al ribasso in una logica di sforzo complessivo cui sono chiamate anzitutto le categorie piu' benestanti tra cui, assertivamente, quella dei magistrati. 13c. Questo Tribunale amministrativo non ignora certo gli orientamenti espressi dalla Corte con riguardo a precedenti manovre incidenti sugli assetti retributivi dei pubblici dipendenti (quindi, anche dei magistrati), delle quali si e' ritenuta la costituzionalita'. In occasione delle tante e ricorrenti manovre di finanza pubblica di carattere emergenziale, che da oltre vent'anni si ripetono con cadenza quasi annuale, il Giudice delle leggi ha rilevato come le stesse fossero state emanate in momenti assai delicati per la vita economico-finanziaria del Paese e caratterizzati dalla necessita' di recuperare l'equilibrio di bilancio. Per esigenze cosi' stringenti il Legislatore ha imposto "a tutti" sacrifici anche onerosi ma non lesivi del principio di cui all'art. 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia al principio di uguaglianza sostanziale sia a quello della non irragionevolezza). Tutto cio', pero', "a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso" (cfr., sentenze 14.7.1999, n. 299 e 18.7.1997, n. 245). 13d. Tuttavia, i chiari messaggi della Corte sono stati ancora una volta stravolti dall'ennesima manovra contingente e solo apparentemente temporanea (il blocco stipendiale, in realta', si risolve, per quanto sopra detto, in un riassetto negativo dell'intero sistema stipendiale della magistratura), secondo una logica perennemente emergenziale non incidente su alcun problema strutturale e culturale del "sistema Italia", come le percussive ed ancora contingenti manovre successive hanno dimostrato. In definitiva, dalle misure in questione risulta gravemente compromessa, piu' complessivamente, la credibilita' della magistratura, a scapito dell'esigenza di una rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i piu' rilevati beni costituzionalmente protetti" (cfr. Corte Costituzionale 22.6.1976, n. 145). 13e. E' poi anche indubbio che le misure in esame abbiano generato un evidente conflitto tra Istituzioni, percepito e sicuramente enfatizzato dai media, ma che oggettivamente mina la serenita' del giudice, la sua credibilita' e autorevolezza e che appare, comunque, particolarmente grave per la specifica funzione che nell'ordinamento ricopre l'ordine giurisdizionale. Le misure legislative volte al contenimento del debito pubblico, anche quelle piu' rigide, quando riguardano l'operato delle componenti dell'Ordinamento costituzionale devono essere sempre improntate al necessario bilanciamento dei molteplici interessi coinvolti, fra i quali anche la tangibile manifestazione dell'equilibrio e del rispetto nei rapporti tra i Poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. In quest'ottica si spiegano, ad esempio, le opportune e anzi doverose deroghe a quelle misure nei confronti del Capo dello Stato, del Presidente della Consulta e dei componenti della stessa. Non puo' essere in questo senso sottovalutato che i principi dell'imparzialita' e della terzieta', reale ed apparente, dei magistrati sono sottesi alla disciplina dell'ordinamento giudiziario perche' costituiscono i presupposti dei principi codificati di autonomia e di indipendenza dei giudici. A presidio di tali presupposti vi sono anche le norme sul trattamento retributivo improntate ai ricordati rigorosi criteri di automaticita'. Per concludere sul punto, il blocco dei meccanismi di adeguamento stipendiale disposto dalla disciplina in esame contrasta con il nostro sistema costituzionale di cui agli artt. 101 e seguenti, perche' in esso gode della piu' elevata tutela anche la sola apparenza dell'imparzialita' della funzione giurisdizionale in quanto valore fondante per l'affidabilita', la credibilita', la stima istituzionale della figura del magistrato. Sotto un diverso profilo, il Collegio rileva che alla sospetta violazione dei principi di indipendenza e di imparzialita' del giudice si associa, peraltro in stretta connessione, la possibile violazione dei principi di proporzionalita' e di adeguatezza retributiva posti dall'art. 36 della Costituzione. Non puo' infatti essere disconosciuto che la retribuzione dei magistrati, stabilita con legge formale ed aggiornata, solo di riflesso e per relazionem, con l'automatismo sopra delineato, e' rappresentata da un importo fisso e invariabile correlato non solo alla generica quantita' e qualita' delle funzioni ed incarichi singolarmente svolti ma anche al ruolo istituzionale e costituzionale cui essi sono preordinati. In definitiva, la citata norma costituzionale assume per la magistratura una valenza particolare, per la quale l'adeguatezza e la proporzionalita' sono riferite a specifiche funzioni e a correlate qualifiche di rilievo costituzionale, delle quali il legislatore ha tenuto conto nel delineare i corrispondenti meccanismi retributivi. Per cui, incidendo su di essi, si vanno a colpire, nel loro assetto complessivo, quelle funzioni. Anche codesta Corte ha avuto occasione di esprimersi in tal senso, affermando che "una diminuzione, per qualsiasi causa, del trattamento retributivo rompe la proporzionalita' e infrange quindi la norma costituzionale" (cfr., sentenza 5.2.1975, n. 24). 15a. Quanto all'indennita' speciale (c.d. indennita' giudiziaria) di cui all'articolo 3 della legge 19.2.1981, n. 27, per la quale il secondo periodo del comma 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010 prevede la riduzione del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013, il Collegio deve anzitutto rammentare che la ratio di questa voce entrata a far parte della retribuzione in senso lato dei giudici consiste nella compensazione degli specifici oneri, anche di natura economica, gravanti sul magistrato. Il fondamento della c.d. indennita' giudiziaria e', infatti, rinvenibile in un predeterminato "rimborso spese". Costituisce, per l'appunto, fatto notorio che (al di la' di qualche recente messaggio mediatico di ingiusto screditamento, circa la "nullafacenza" e la mancata presenza dei magistrati negli uffici giudiziari) gran parte dei magistrati italiani e' priva di un pur minimo ufficio stabile e fisso, ossia di una stanza entro le sedi dei tribunali, ove studiare i fascicoli e scrivere i provvedimenti ed e' costretta, suo malgrado, a svolgere parte della propria attivita' istituzionale nella propria abitazione. Se tale situazione puo' dare adito a qualche sporadico abuso ad opera di magistrati indegni di tale nome, e percio' passibili delle piu' severe misure sanzionatorie previste dall'ordinamento giudiziario, per converso e' di pubblica conoscenza che cio' consente un notevole risparmio di spesa da parte dell'Amministrazione della giustizia, secondo un modello organizzativo "domestico" sconosciuto a qualsiasi altro titolare di apparati burocratici di vertice. Tanto e' stato riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale, la quale ha ben chiarito come l'indennita' in esame, non a caso attribuita in misura uguale a tutti i magistrati investiti di funzioni giurisdizionali a prescindere dall'anzianita', dalle funzioni e dalla qualifica rivestita (e non corrisposta durante il periodo di congedo straordinario per malattia), sia "espressamente correlata ai particolari oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita', la quale tra l'altro comporta un impegno senza precisi limiti temporali, dal che discende un rigoroso collegamento con il servizio effettivamente prestato" (cfr., sentenza 8.5.1990, n. 238). A cio' e' stato successivamente soggiunto che "l'indennita' di funzione per i magistrati e gli avvocati dello Stato, unitariamente contemplati dall'art. 9, comma terzo della legge 2 aprile 1979, n. 97 ... ha mantenuto, sin dalla sua istituzione, connotati peculiari perche' assoggettata al meccanismo di rivalutazione automatica previsto per gli stipendi dei magistrati (ed avvocati dello Stato) dal precedente art. 2 della legge n. 27 del 1981; che tale rivalutazione si ispira al precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati; costituendo una guarentigia idonea a tale scopo" (ordinanza 23.10.2008, n. 346). 15b. A sostegno della sospetta illegittimita' costituzionale di tale prelievo forzoso, che cresce progressivamente negli anni, devono essere qui richiamate le osservazioni sopra esposte circa la violazione dei principi sanciti dagli arti. 101, 104 e 108 della Costituzione, ribadendo che tutte le voci che compongono la "retribuzione dei magistrati non sono nella libera disponibilita' del Potere legislativo o del Potere esecutivo e che quindi, a maggior ragione, la riduzione dell'indennita' giudiziaria opera un indebito condizionamento nei confronti dell'ordinamento giurisdizionale con conseguente lesione dei parametri gia' considerati (artt. 101, 104 e 108). 15c. A tutto cio' deve essere soggiunto che tale diminuzione, che si risolve per ogni giudice in una minore entrata a copertura di voci di costo relative agli oneri che incontra nell'esercizio della sua attivita', si traduce - di fatto - nella dislocazione di quegli oneri (posto che i carichi di lavoro non sono mutati ma anzi accresciuti anche con le recenti e ripetute riforme ordinamentali e processuali) sulla voce stipendio, cosicche' parrebbe ulteriormente eclatante anche la violazione dell'art. 36 della Costituzione, che impone sia l'obbligo di rispettare la proporzionalita' tra la retribuzione e il livello quali-quantitativo del lavoro prestato che il correlato divieto di diminuire lo stipendio se non in conseguenza della diminuzione delle prestazioni richieste. 15d. La lesione dei considerati parametri di costituzionalita' appare al Collegio tanto piu' manifesta in quanto sulla predetta indennita' giudiziaria, una volta applicate le aliquote progressive ad essa specifiche del 15, 25 e 32 per cento, si abbatte l'ulteriore prelievo generalizzato del 5 e del 10 per cento di cui al comma 2 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010. 15e. In conclusione, la decurtazione che sara' operata nel triennio rende, in fatto, l'indennita' giudiziaria del tutto inidonea ad assolvere il suo compito di "compensazione" degli oneri vivi sopportati dai magistrati nel diuturno espletamento delle proprie funzioni; oneri che, dunque, resteranno privi di ristoro e che graveranno, in diminuzione, non sul loro stipendio ma addirittura sul loro patrimonio. In altri termini, poiche' la complessiva proporzionalita' della "retribuzione" latamente intesa e' raggiunta con il contributo delle sole tre voci che la compongono, dalla immotivata e consistente decurtazione di una di esse scaturisce un'alterazione della complessiva proporzionalita', distorcendo cosi' il significato della voce "stipendio" piu' specificatamente destinata al compenso della prestazione lavorativa. 16a. Sotto diverso aspetto, il Collegio rileva che il prelievo forzoso introdotto con il D.L. n. 78, in particolare di cospicua parte dell'indennita' giudiziaria, presenta un'indubbia natura tributaria traducendosi, nei fatti, in una innovativa forma di prelievo coattivo. L'imposizione di detti nuovi sacrifici economici individuali e' stata infatti realizzata attraverso un atto autoritativo generale di carattere ablatorio e la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione concorre al fabbisogno finanziario dello Stato sotto forma di risparmio di spesa. In realta', al di la' del nomen (risparmio, rallentamento di dinamiche retributive, ecc.), si tratta di un vero e proprio prelievo forzoso di somme stipendiali ed indennitarie a copertura di fabbisogni finanziari indifferenziati dello Stato apparato. Sussistono, pertanto, a parere di questo Collegio, gli elementi basilari per qualificare quella in esame quale una disposizione tributaria; elementi che sono costituiti "dall'ablazione di somme trattenute da parte del datore di lavoro e da costui successivamente versate nelle casse dell'erario" e "la destinazione delle somme in questione all'apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno dello Stato" (cfr., Corte costituzionale 12.1.1995, n. 11). Ma se cosi' e', appare evidente la violazione di un ulteriore parametro costituzionale: l'art. 53. 16b. In particolare, soprattutto il prelievo di parte dell'indennita' giudiziaria non si correla ad alcuna "capacita' contributiva", proprio alla luce della gia' rilevata natura di tale componente della "retribuzione" latamente intesa, non essendo essa, come gia' detto, un elemento di arricchimento della sfera del singolo ma un semplice ristoro di oneri che il magistrato deve necessariamente sostenere per organizzare il proprio lavoro, oneri presuntivamente e forfetariamente determinati, e circa i quali non si puo' neppure ipotizzare di gravare gli interessati di un onere probatorio diabolico richiedendo loro la dimostrazione di essi e/o della parte incisa dal prelievo de quo. Vale ricordare, al riguardo, che secondo il risalente orientamento della Corte Costituzionale, il citato articolo 53 della Costituzione sancisce "non gia' solo il dovere delle prestazioni tributarie, ma altresi' il principio della correlazione di queste con la capacita' contributiva di ciascuno" (cfr., sentenza 18.6.1963, n. 92). Le leggi, di conseguenza, devono individuare prestazioni commisurate alla "capacita' contributiva" degli obbligati: il che significa che la discrezionalita' legislativa e' vincolata al rispetto di un parametro che, teoricamente, e' un concetto giuridico a contenuto indeterminato ma che, concretamente, deve essere tradotto in un dato obiettivamente esistente e commisurato ad un indice effettivo di ricchezza (nella specie: il reddito da lavoro dipendente). La cognizione della congruenza del prelievo al parametro costituzionale, in fatto, e' da ultimo rimessa al Giudice delle leggi a cui non compete la valutazione della discrezionalita' del legislatore, bensi' il sindacato sulla razionalita' complessiva dell'intervento legislativo, al fine di scongiurare l'assoluta arbitrarieta', o illogicita', o vessatorieta', delle norme tributarie. In tal senso, la Corte Costituzionale ha affermato che, sebbene sia "sufficiente il collegamento dell'imposizione ad un presupposto rivelatore di ricchezza", il principio della capacita' contributiva, sul piano garantistico costituzionale, deve essere inteso come espressione dell'esigenza che "ogni prelievo tributario trovi una specifica, oggettiva e plausibile causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di maggiore ricchezza" (cfr., sentenza 10.7.1975, n. 201). Ne consegue che, ad esempio, avendo l'indennita' giudiziaria natura esclusivamente indennitaria, essendo essa "espressamente correlata ai particolari oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita'" (cfr., sentenza n. 238 del 1990, cit.), la stessa non puo' essere assunta ad indice di "capacita' contributiva", ed essere quindi gravata dal prelievo forzoso disposto dal comma 22 dell'art. 9 in esame che, in definitiva, colpisce non un indice di ricchezza statica o dinamica (patrimonio o reddito) ma un rimborso compensativo di spese strumentali all'attivita' svolta. 16c. La gratuita ed immotivata diminuzione di una garanzia specifica per i magistrati a copertura degli oneri funzionali che su essi pesano si presenta, obiettivamente, come una modalita' vessatoria, atta a togliere certezza al criterio di definizione della retribuzione dei magistrati fissato dalla legge formale, con un intervento d'urgenza anch'esso di rango legislativo ma, almeno per la categoria qui colpita, estemporaneo, irrazionale, iniquo e sostanzialmente inutile (si vedano i dati forniti dal Ministero della Giustizia e dall'INPDAP piu' sopra riportati), posto in essere su iniziativa del Potere esecutivo. 16d. Analogo discorso vale per il prelievo/congelamento degli acconti e dei conguagli, i quali, come detto, costituiscono un semplice meccanismo di recupero di quanto gia' corrisposto agli altri pubblici dipendenti essenzialmente a garanzia della perdita d'acquisto dei salari nominali e che, come tale, non puo' considerarsi indice di capacita' contributiva. 17. Tutto cio' sembrerebbe violare anche i precetti desumibili dall'art. 97, comma 1, della Costituzione, poiche' la manovra in questione si riflette sul buon andamento "degli uffici a qualsiasi potere appartenenti" (cfr., Corte Costituzionale 19.12.1973, n. 177): quindi a quelli dell'Amministrazione della giustizia. E' notorio che l'espressione "buon andamento" attiene all'elemento "oggettivo" dell'ufficio e riassume un principio generale e strumentale al raggiungimento delle finalita' istituzionali assegnate. In tal senso, le gravose misure in esame hanno certamente contribuito, anzitutto, a determinare quel "massiccio esodo" di personale dalla magistratura di cui da' conto la relazione del Ministero della giustizia, cosi' provocando una repentina perdita non solo di un ragguardevole numero dei giudici ma, fondamentalmente, di un inestimabile bagaglio di conoscenze e di esperienze. L'impoverimento dei ruoli organici della magistratura per effetto del predetto esodo ha prodotto un incontestabile aggravio di lavoro sui giudici rimasti a fare il proprio dovere perche' su di essi si e' spalmato il carico di lavoro gia' gravante sui colleghi andati in pensione. Da altro lato, non va neppure dimenticato che il buon andamento si traduce anche nella stabilita', nella certezza e nell'efficiente uso delle risorse a cui poter attingere sia collettivamente che personalmente nello svolgimento della quotidiana attivita'. Da questo verso, il concetto di buon andamento emerge come "regola di svolgimento della funzione" il cui rispetto e' assicurato da tutti gli strumenti di garanzia assicurati dalla complessiva organizzazione dell'Amministrazione della giustizia, fra i quali rientrano, certamente, anche le condizioni di serenita' e di stabilita' delle proprie condizioni economiche senza, tra l'altro, dover sopportare addirittura parte dei costi vivi del servizio. 18a. Il Collegio deve poi osservare che nel corso del triennio 2011-2013, in base al solo combinato disposto dei commi 1, 21 e 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010 in esame, i dipendenti pubblici non subiranno aumenti dello stipendio ma neppure decurtazioni di esso in quanto, in detto periodo, la loro retribuzione rimarra' complessivamente "cristallizzata" al trattamento dell'anno 2010, con una serie non indifferente di esclusioni (fra cui la percezione degli arretrati). Con lo sblocco della contrattazione collettiva, tuttavia, essi potranno immediatamente recuperare, nelle misura stabilite in sede di trattativa sindacale, quanto sarebbe loro spettato nel periodo precedente. All'opposto, per i magistrati e' stato testualmente previsto: - che l'acconto 2011, sebbene gia' individuato con provvedimento costitutivo, non sia corrisposto; - che gli acconti 2011 e 2013, cosi come il conguaglio 2012, oltre a non essere erogati non potranno comunque essere recuperati; - che anche le somme derivanti dalla riduzione dell'indennita' giudiziaria non siano riassegnate decorso il triennio 2011-2013. Da cio' consegue che alcuna possibilita' di recupero di quanto non corrisposto nel triennio 2011-2013 e' stata prefigurata dal Legislatore per i magistrati, per i quali, oltretutto, con lo stesso comma 22 dell'art. 9, e' stato stabilito il "tetto" dell'acconto spettante per l'anno 2014 e del conguaglio per l'anno 2015. Il personale di magistratura, pertanto, in base al meccanismo della legge n. 97 del 1979 (mediante il calcolo della media degli incrementi delle voci retributive ottenuti dagli altri pubblici dipendenti) solo nel triennio 2016-2018 potra' - ulteriori manovre permettendo - recuperare "parte" di quanto gli altri pubblici dipendenti potranno ottenere con la libera contrattazione concluso il periodo di moratoria, senza possibilita' di alcun recupero, cosi' come e' irrecuperabile il prelievo forzoso di parte dell'indennita' giudiziaria. 18b. Dall'esame dei complessi meccanismi di "blocco" degli incrementi, cosi' differenziatamente disegnati per categorie appartenenti alla medesima area dei pubblici dipendenti e che hanno identica capacita' economica tratta da reddito di lavoro dipendente, appare fondata anche la dedotta disparita' di trattamento tra le categorie dei lavoratori del pubblico impiego e, in particolare, in prospettata violazione del precetto di cui all'art. 3 della Costituzione e del concorrente canone della ragionevolezza, ripetutamente applicato proprio da codesta Corte anche nella vessata materia. 18c. Con riguardo al primo termine, l'orientamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale si e' espresso nel senso che, se da un lato e' legittimo il blocco per un anno degli incrementi retributivi in conseguenza di automatismi stipendiali o per progressione automatica della carriera, per altro verso quel meccanismo "pur collocandosi in un ambito estremo", era limitato nel tempo ad un solo anno e non era "irrazionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini", giacche' la manovra di contenimento della spesa pubblica (allora si trattava dell'anno 1993) non incideva "soltanto sulla condizione e sul patrimonio dei pubblici impiegati, ma anche su quello di altre categorie di lavoratori" (cfr., ordinanza 14.7.1999, n. 299). In relazione dunque agli univoci messaggi della Corte la manovra finanziaria qui in esame appare del tutto irragionevole e sperequata, sia in ordine ad altre categorie di lavoratori pubblici (ma anche, e soprattutto, privati), sia con riguardo al lasso temporale di riferimento, che - anche a voler prescindere da precedenti, recenti interventi di analogo contenuto - supera abbondantemente il periodo annuale. 18d. Oltre al parametro di cui all'art. 3, risulta altresi' violato il piu' generale principio di ragionevolezza che, secondo la Corte, risulta vulnerato "anche in assenza di una sostanziale disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto al contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore". Codesta Corte ha valutato in piu' occasioni la coerenza delle norme sottoposte al suo esame rispetto alla ratio ad esse sottesa ("il criterio della ragionevolezza intrinseca si traduce in una valutazione di conformita' della norma alla ratio che la sostiene": cfr., sentenza 5.12.2008, n. 399), ovvero la loro non contraddittorieta' rispetto al previgente sistema complessivo, o la non manifesta inidoneita' degli strumenti ivi prescelti per conseguire un determinato fine, con un controllo comportante considerazioni di adeguatezza, pertinenza, proporzionalita', coerenza. In tal senso, la ragionevolezza intrinseca si valuta anche verificando se le norme censurate rivelino una contraddizione tra la previsione astratta e la sua concreta applicazione (cfr., da ultimo, sentenze 28.1.2010, n. 26, e 8.5.2009, n. 137). 19a. In definitiva, anche alla luce del criterio della ragionevolezza intrinseca la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di cui ai commi 21, primo periodo, e 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78 del 2010, predisposte per ridurre in sostanza (e a prescindere da ogni qualificazione formale dell'intervento) le retribuzioni dei magistrati nel triennio 2011-2013 tramite le misure esposte nella presente ordinanza, appare a questo Tribunale non manifestamente infondata, tenuto conto: - della loro incoerenza rispetto al consolidato sistema retributivo della magistratura rispondente ai valori costituzionali gia' ampiamente ricordati; - della loro incoerenza anche sotto il profilo della sproporzionalita' rispetto alle finalita' dichiaratamente perseguite dalla manovra in esame. 19b. La sproporzione, l'illogicita', l'inadeguatezza ed anche la pretestuosita' della parte qui impugnata della manovra 2010 si manifesta anche nella comparazione ab externo - effettuata senza sindacare le scelte discrezionali del Legislatore - degli effetti sostanzialmente irrisori dei prelievi in esame sulla diminuzione della spesa pubblica, come piu' sopra dimostrato, a fronte della compromissione, tutt'altro che irrisoria, dei ricordati principi costituzionali che garantiscono l'ordinamento giudiziario e della conseguente gravissima crisi istituzionale della quale sopra e' gia' stato riferito. 19c. Che la predetta manovra si presenti del tutto ed irrazionalmente confliggente con il sistema di determinazione della retribuzione dei magistrati che, nel passato, e' stato meditatamente ricercato dal Legislatore, ma anche del piu' generale assetto costituzionale sulla separazione dei poteri e delle funzioni, e che tale irrazionalita' celi una ratio sostanzialmente e preconcettualmente punitiva per l'intera magistratura, appare, da ultimo, ulteriormente comprovato dalla disposizione introdotta (dopo la proposizione del presente giudizio e di altri analoghi presso vari T.A.R) dal comma 7 dell'art. 16 del D.L. 6.7.2011, n. 98, convertito nella L. 15.7.2011, n. 111. La norma citata ha, testualmente, previsto che: "qualora, per qualsiasi ragione, inclusa l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni della Corte Costituzionale; non siano conseguiti gli effetti finanziari utili conseguenti, per ciascuno degli stessi anni 2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito; con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, i medesimi effetti finanziari sono recuperati, con misure di carattere generale nell'anno immediatamente successivo nei riguardi delle stesse categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni" . Questa "singolare" disposizione, ad avviso del Collegio - a parte restandone la valutazione sul piano giuridico, in questa sede irrilevante - dimostra un'impostazione ideologica precostituita, ed anche ingiustificatamente vessatoria, del Potere esecutivo nei confronti del personale della magistratura, posto che espressamente e solamente ad esso si rivolge l'ultimo intervento normativo sopra ricordato citando il comma 22 dell'art. 9 del D.L. n. 78. In definitiva, appare evidente che, nella specie, si sia voluto porre in essere un irragionevole intervento, del tutto sproporzionato rispetto agli inavvertibili effetti sui saldi di finanza pubblica, e del tutto distonico rispetto agli assetti costituzionali tra i Poteri dello Stato democratico. In base a detti assetti l'ordinamento giudiziario nel suo complesso, ma anche i singoli suoi componenti, hanno il diritto di essere rispettati e di non essere condizionati da direttive, poste nella forma di disposizioni di legge, che non sono pertinenti ai compiti affidati ad essi dalla Costituzione, la quale non consente che la logica economico-finanziaria sia sempre e comunque anteposta al funzionamento della giurisdizione e nemmeno che, nel rispetto della prima, si pongano in secondo piano le esigenze volte ad assicurare il buon andamento del servizio della giustizia. Nella specie, appare evidente al Collegio che ci si trovi innanzi ad opzioni irragionevoli, palesemente inadeguate, manifestamente irrispettose di un apparato ordinamentale coperto da specifiche garanzie costituzionali ed i cui appartenenti, nella stragrande maggioranza - e salvi episodi di indegnita' da reprimere con assoluto rigore e tempestivita' - dimostrano di saper meritare con dedizione ed impegno quotidiano. 20. Le suesposte considerazioni fondano, in definitiva, il giudizio di rilevanza, ai fini della compiuta decisione nel merito della controversia, e di non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale dei commi 21, primo periodo, e 22 del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui, per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981, hanno stabilito che: - non si applicano i meccanismi di adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012 e 2013 e non danno comunque luogo a possibilita' di recupero negli anni successivi; - non siano erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti per gli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; - per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 sia determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; - la c.d. indennita' giudiziaria spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta progressivamente del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013; il tutto, per contrasto con gli articoli 3, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione, nei termini e per le ragioni esposti in motivazione. Si rimette pertanto la sua definizione alla Corte Costituzionale, con sospensione del presente giudizio e con trasmissione degli atti a codesta Corte Costituzionale. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese del giudizio resta riservata alla decisione definitiva.