Ricorso del Presidente del Consiglio dei  Ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso  i
cui Uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi,  12  nei  confronti
della Regione autonoma della  Sardegna,  in  persona  del  Presidente
della  Giunta  regionale  pro  tempore,  per  la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale  della  legge  della  Regione  autonoma
della Sardegna del 21/11/2011, n. 21 pubblicata sul  BUR  n°  35  del
29/11/2011 recante: "Modifiche e integrazioni alla legge regionale n.
4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale
n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre  norme
di carattere urbanistico". 
    Quanto: 
    - all'art. 7, comma 1,  lettera  f),  della  legge  regionale  n.
21/2011 per contrasto con gli articoli: 9;  117,  primo  comma;  117,
secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione; 
    - all'art. 18 per contrasto con l'articolo  117,  secondo  comma,
lettera s) della Costituzione; 
    - all'articolo 20 per contrasto con gli articoli 9 e 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione; 
    - all'art. 23, commi 6  e  7,  perche'  eccede  dalle  competenze
statutarie di cui all'articolo 3 dello statuto speciale di  autonomia
della Regione Sardegna adottato con legge  costituzionale  n.  3  del
1948 e contrasta con gli articoli 117, comma 2  lettera  s),  e  118,
terzo comma, della Costituzione. 
    La predetta legge della Regione  autonoma  della  Sardegna  viene
impugnata con riferimento alle norme sopra indicate  giusta  delibera
del Consiglio dei Ministri  in  data  20  gennaio  2012  allegata  in
estratto al presente ricorso. 
 
                               Motivi 
 
    1) L'art. 7, comma  1,  lettera  f),  della  legge  regionale  n.
21/2011 e' illegittimo per contrasto con gli articoli: 9; 117,  primo
comma; 117, secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione. 
    Com'e' noto la Regione Sardegna ha potesta' legislativa  di  tipo
primario  in  materia  di   urbanistica   ed   edilizia,   ai   sensi
dell'articolo 3, comma  1,  lettera  t)  dello  Statuto  speciale  di
autonomia, l.cost. n. 3/1948. La Regione e',  altresi',  titolare  di
competenza esclusiva in materia di «piani  territoriali  paesistici»,
in base all'articolo 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975,  n.  480,
di approvazione delle Nuove norme di attuazione dello Statuto. 
    Sul piano  legislativo  la  Regione  nell'esercitare  la  propria
competenza esclusiva e',  tuttavia,  tenuta  ad  osservare  i  limiti
espressamente individuati nell'art. 3 dallo  Statuto  in  riferimento
alle  materie  affidate  alla  potesta'  legislativa  primaria  della
Regione e cioe' l'armonia  con  la  Costituzione  e  con  i  principi
dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica  e  il  rispetto  degli
obblighi internazionali e degli interessi  nazionali,  nonche'  delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. 
    In relazione a quest'ultimo  limite,  codesta  Corte,  anche  con
riferimento  alla  Regione  Sardegna,  ha,  invero,  avuto  modo   di
affermare che: 
    - il legislatore statale  conserva  il  potere  di  vincolare  la
potesta'  legislativa  primaria  della  Regione  speciale  attraverso
l'emanazione di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali",
e cio' anche sulla base del titolo di  competenza  legislative  nella
materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali",
di cui all'art. 117, secondo comma, lettere s),  della  Costituzione,
comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanta della tutela  del
beni  ambientali  o  culturali;  con  la  conseguenza  che  le  norme
fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale
materia potranno continuare ad imporsi  al  necessario  rispetto  del
legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza
statutaria   nella   materia   "edilizia   ed   urbanistica"   (Corte
Costituzionale sentenza n. 51 del 2006, riferita proprio alla Regione
Sardegna; v. anche sentenza n. 536 del 2002); 
    -  la  potesta'  normativa  della  Regione  autonoma,  che   deve
esercitarsi  «in  armonia  con  la  Costituzione  e  con  i  principi
dell'ordinamento, nonche'  delle  norme  fondamentali  e  di  riforma
economico-sociale», deve rispettare quali norme  «di  grande  riforma
economico-sociale» le disposizioni della c.d. legge "Galasso"  ed  in
specie l'elenco delle aree tutelate per legge contenuto  nell'odierno
art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 (sentenza n. 164 del 2009  che  ha
accolto un ricorso in via d'azione  dello  Stato  avverso  una  legge
della Regione autonoma della Valle d'Aosta). 
    Cio' detto in linea generale,  la  legge  regionale  n.  21/2011,
nell'intervenire  sulla  legge  regionale  n.  4/2009  ("Disposizioni
straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio  del
settore edilizio e per la promozione di  interventi  e  programmi  di
valenza strategica per lo sviluppo"), apporta, fra  le  altre,  delle
significative  modifiche  alla   disciplina   degli   interventi   di
adeguamento ed ampliamento del patrimonio  edilizio  esistente  (art.
2), di ampliamento per le costruzioni in zona agricola (art.  3),  di
ampliamento degli immobili a finalita' turistico-ricettiva (art. 4) e
di demolizione e ricostruzione (art. 5). 
    L'articolo 7, comma 1, lettera f), della  legge  n.  21  prevede,
inoltre, che gli interventi edilizi di cui ai novellati  articoli  2,
3, 4, 5 e all'art. 6 (riferito al patrimonio edilizio pubblico) siano
realizzabili non solo "in  deroga  alle  previsioni  dei  regolamenti
edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti", ma in deroga
anche "alle vigenti disposizioni normative  regionali".  Viene  fatto
"salvo il rispetto delle disposizioni del codice civile e  i  diritti
dei terzi". 
    Tale disposizione, nel consentire di effettuare gli interventi in
deroga non solo alle  previsioni  dei  regolamenti  edilizi  e  degli
strumenti urbanistici comunali, ma anche  alle  vigenti  disposizioni
regionali, con il solo limite del rispetto del codice  civile  e  dei
terzi,  senza  alcuna  ulteriore  clausola  di  salvaguardia,  appare
suscettibile di essere interpretata secondo un'accezione ampia.  tale
da ricomprendere nella deroga  anche  normative  che  afferiscono  ad
ambiti di legislazione statale esclusiva. 
    Dall'ampia  accezione  della   norma   conseguono   pertanto   le
violazioni che si vanno ed esporre. 
    1.1.  In  primo  luogo.  la  generica   locuzione   "disposizione
normative regionali" e' suscettibile di essere interpretata  in  modo
ampio. comprensivo anche  della  disciplina  di  uso  del  territorio
stabilita dal piano paesaggistico regionale, con la  conseguenza  che
si ha una incostituzionale riduzione della tutela paesaggistica, agli
effetti della realizzazione del piano casa, allo stesso livello degli
strumenti urbanistici ed edilizi. 
    Cio' comporta un diretto contrasto con la norma di grande riforma
economico-sociale posta dall'art. 5 dei decreto legge n. 70 del  2011
(convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2011), che  ha
posto i principi fondamentali sui cosiddetti "piani  -  casa"  (legge
nazionale quadro  per  la  riqualificazione  incentivata  delle  aree
urbane), chiarendo,  senza  ombra  di  dubbio,  che  resta  fermo  il
rispetto delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e
del paesaggio (in linea,  del  resto,  con  i  contenuti  dell'intesa
sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni in data  1  aprile  2009,
che ha fissato gli ambiti e i limiti di intervento generali dei piani
casa regionali, salvaguardando le reciproche competenze dello Stato e
delle   regioni   nelle   materie   della   tutela    ambientale    e
dell'urbanistica). 
    Di conseguenza, la disciplina dettata dalla legge  della  Regione
Sardegna  in  esame,  consentendo,  nell'accezione  prospettata,  una
deroga generale alle vigenti disposizioni normative  e  regolamentari
che  disciplinano  l'attivita'  edilizia  senza  tener  conto   della
disciplina  statale  paesaggistica  ed  in  particolare  dei  vincoli
paesaggistici, contrasta in generale con i  principi  di  tutela  dei
beni paesaggistici contenuti nel Codice  dei  beni  culturali  e  dei
paesaggio (art. 131 e ss., parte terza del codice di settore). 
    Ne deriva che l'art. 7, viola gli artt. 9 e 117,  secondo  comma,
lettera  s),  della   Costituzione,   di   cui   dette   disposizioni
costituiscono diretta attuazione. 
    1.2. L'art. 7, comma 1, lett. f), inoltre, contrasta anche con  i
principi    dell'ordinamento    civile    laddove    nell'autorizzare
genericamente, attraverso la norma in esame, interventi  edilizi  "in
deroga alle previsioni dei  regolamenti  edilizi  e  degli  strumenti
urbanistici comunali vigenti", e in generale in  deroga  anche  "alle
vigenti disposizioni normative regionali", facendo salvo il  rispetto
del solo codice civile  e  dei  diritti  dei  terzi,  non  impone  il
rispetto del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444,  contenente
disposizioni in materia di distanze e altezze degli edifici. 
    In proposito, la giurisprudenza amministrativa ha sempre ritenuto
che gli artt. 8 e 9 del predetto  decreto  ministeriale  in  tema  di
distanze tra edifici per la genesi del decreto (e' stata adottato  ex
art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150) e per  la
sua  funzione  igienico-sanitaria  (evitare   intercapedini   malsane
mediante la fissazione di valori minimi inderogabili),  costituiscono
un principio inderogabile  della  materia  anche  per  le  regioni  e
province autonome che, in  base  agli  statuti  di  autonomia,  siano
titolari di competenza esclusiva nella materia urbanistica  (cfr.  ex
pluribus, Consiglio di  Stato,  sez.  IV,  sentenze  7731/2010  e  n.
4374/2011). 
    In proposito codesta Corte, sin dalla sentenza n. 120  del  1996,
ha ritenuto che "la predetta norma sulle distanze tra  edifici,  deve
considerarsi integrativa di quelle previste dal codice  civile  (art.
873 cod. civ. e segg.)" e che "le  disposizioni  sulle  distanze  fra
costruzioni sono giustificate dal fatto di  essere  preordinate,  non
solo alla tutela degli interessi dei due frontisti ma,  in  una  piu'
ampia visione, anche al rispetto di una serie di  esigenze  generali,
tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione
e buona gestione del territorio. Si tratta, quindi, di una  normativa
che prevale sulla potesta' legislativa regionale, in  quanto  integra
la  disciplina  privatistica  delle  distanze"  (cfr.   anche   Corte
Costituzionale 16 giugno 2005, n. 232)". 
    Nella sentenza 16 giugno 2005, n. 232,  codesta  Corte  ha  avuto
modo, peraltro, di precisare che le  normative  locali  (regionali  o
comunali) possono si' prevedere distanze inferiori alla misura minima
di cui all'art.  9  del  D.M  1444/1968,  ma  entro  precisi  limiti:
l'introduzione  di  deroghe  e'  consentita  solo  nell'ambito  della
pianificazione urbanistica, come nell'ipotesi espressamente  prevista
dall'art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici  tra  loro
omogenei perche' inseriti in un piano particolareggiato o in un piano
di lottizzazione. 
    Ne consegue che l'articolo 7, comma 1  lettera  f),  della  legge
regionale in esame, laddove, non  prevede  la  salvezza  anche  delle
disposizioni in materia di  altezze  e  distanze  di  cui  al  citato
decreto ministeriale n.  1444/1968,  contrasta  con  l'articolo  117,
secondo comma, lettera  1).  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza esclusiva statale la materia dell'ordinamento civile. 
    1.3. Infine, lo stesso art. 7, comma 1,  lettera  f),  nella  sua
ampia accezione gia' ricordata,  derogatoria  delle  -previsioni  dei
regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali  vigenti",
e in  generale  delle  "vigenti  disposizioni  normative  regionali",
consente che gli interventi edilizi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e
6  siano  realizzabili  senza  fare  salve  le  misure  di  controllo
dell'urbanizzazione stabilite dalla normativa in materia di rischi di
incidenti rilevanti previste dal decreto legislativo 17 agosto  1999,
n. 334, recante attuazione della direttiva 96182/CE (Seveso). 
    Al riguardo, il decreto legislativo 17 agosto  1999,  n.  334,  e
successive modifiche, recante  attuazione  della  direttiva  96/82/CE
(c.d.  direttiva  Seveso),  relativa  al  controllo  dei  rischi   di
incidenti rilevanti causati da determinate sostanze pericolose, detta
disposizioni vincolanti  in  materia  di  assetto  del  territorio  e
controllo dell'urbanizzazione. 
    A tal fine il D.M. 9 maggio  2001,  che  stabilisce  i  requisiti
minimi di  sicurezza  in  materia  di  pianificazione  urbanistica  e
territoriale per le zone interessate da  stabilimenti  a  rischio  di
incidente rilevante, prevede  che  le  autorita'  responsabili  della
gestione   del   territorio   recepiscono    negli    strumenti    di
regolamentazione   territoriale   ed   urbanistica   e   negli   atti
autorizzativi dell'attivita' edilizia. nelle aree  interessate  dagli
effetti degli scenari  incidentali  ipotizzabili  in  relazione  alla
presenza  di  stabilimenti  a  rischio  di  incidente  rilevante,  le
informazioni fornite dai gestori sulle aree di danno e le valutazioni
di compatibilita' degli  interventi  fornite  dall'autorita'  tecnica
competente. 
    La suesposta normativa statale e', pertanto, inderogabile e trova
fondamento nella disciplina recata dalla direttiva  96/82/CE,  ed  in
particolare nell'art. 12 della stessa direttiva che stabilisce misure
in materia di controllo dell'urbanizzazione. 
    Sulla scorta delle suesposte argomentazioni  la  norma  in  esame
viola, pertanto, l'art. 117, comma 1, della Costituzione nella misura
in cui contrasta con la normativa comunitaria e l'art. 117, comma  2.
lett. s), della Costituzione nella misura  in  cui  dispone  in  modo
difforme della normativa  nazionale  di  riferimento  afferente  alle
materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» nella quale lo
Stato ha competenza legislativa esclusiva. 
    2) L'art. 18 della l.r. n. 21/2011 e' illegittimo  per  contrasto
con l'articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 18  della  legge  regionale  n.  21/2011  inserisce,  dopo
l'articolo 5 della legge regionale n. 28 del 1998, il seguente: «Art.
5-bis   (Semplificazione   delle    procedure    di    autorizzazione
paesaggistica per gli interventi di lieve entita'). 
    1. In sede di prima applicazione, gli interventi di lieve entita'
da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela  di
cui alla parte  III  del  decreto  legislativo  n.  42  del  2004,  e
successive modifiche, ed indicati nell'elenco allegato al decreto del
Presidente della  Repubblica  9  luglio  2010,  n.  139  (Regolamento
recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per
gli interventi di lieve entita', a norma dell'articolo 146, comma  9,
del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42  e   successive
modifiche),  sempre  che  comportino  un'alterazione  dei  luoghi   e
dell'aspetto  esteriore   degli   edifici,   sono   assoggettati   al
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica cosi'  come
disciplinato  nel  regolamento  emanato   con   il   citato   decreto
presidenziale. 
    2.  La  Giunta   regionale,   con   direttiva   adottata   previa
deliberazione, puo' individuare ulteriori  forme  di  semplificazione
del procedimento di autorizzazione paesaggistica  in  conformita'  ai
principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139
del 2010.». 
    In sintesi l'art. 18 prevede  che,  dopo  la  prima  applicazione
(fase nella quale si applica il d.P.R. n. 139 del  2010),  la  Giunta
regionale per gli  interventi  di  lieve  entita'  possa  individuare
ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione
paesaggistica in conformita' ai principi contenuti  nel  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 139 del 2010. 
    Appare  dunque  evidente  l'irragionevolezza  della  disposizione
regionale ed il contrasto con le disposizioni  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio e  segnatamente  della  disciplina  statale
sull'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del Codice di settore. 
    Essa costituisce una norma di  grande  riforma  economico-sociale
perche' assicura su tutto il territorio nazionale, in una  fase  cosi
delicata come quella della  tutela  preventiva,  una  uniformita'  di
trattamento su tutto il territorio nazionale, e dunque  in  tutte  le
regioni, ivi incluse quelle che godono di autonomia speciale. 
    La  norma  regionale.  cosi  disponendo,  esercita  una  potesta'
legislativa che appartiene in via  esclusiva  alla  Stato.  al  quale
spetta di  disciplinare  la  materia  della  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema e,  per  l'effetto,  viola  l'articolo  117,  secondo
comma, lettera s), della  Costituzione  che  riserva  al  legislatore
statale  la  predetta   materia   della   «tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema». 
    3) L'articolo 20 e' illegittimo per contrasto con gli articoli  9
e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    L'articolo 20 della legge in esame introduce modifiche alla legge
regionale n. 22 del 1984 ("Norme per la classificazione delle aziende
ricettive"), riformulando l'art. 4-bis, come inserito dalla  l.r.  n.
3/2009. 
    La nuova formulazione dell'articolo  4-bis,  prevede  che  «nelle
aziende ricettive all'area  aperta  regolarmente  autorizzate  e  nei
limiti della ricettivita'  autorizzata  gli  allestimenti  mobili  di
pernottamento,   quali   tende,   roulotte,   caravan,    mobil-home,
maxicaravan o  case  mobili  e  pertinenze  ed  accessori  funzionali
all'esercizio dell'attivita' sono diretti a  soddisfare  esigenze  di
carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via
continuativa,  non   costituiscono   attivita'   rilevante   a   fini
urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal  fine  tali  allestimenti
devono: 
    a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; 
    b) non possedere  alcun  collegamento  di  natura  permanente  al
terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli  accessori  e
le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento.". 
    Non spetta, tuttavia, alla normativa regionale qualificare alcuni
interventi  come   paesaggisticamente   irrilevanti,   ampliando   la
previsione dell'articolo 149 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    Peraltro, sul  piano  concreto,  l'estensione  dell'ambito  degli
interventi qualificati come paesaggisticamente irrilevanti, contenuta
nella  nuova  formulazione  dell'articolo  4-bis  (la  precedente  si
limitava agli "allestimenti  mobili  di  pernottamento"),  pone  seri
problemi di impatto paesaggistico. 
    Occorre, infatti, considerare che: 
    - per "aziende  ricettive"  si  intendono  villaggi  turistici  e
campeggi e, quindi, la previsione riguarda aree assai importanti  dal
punto di vista paesaggistico; 
    - la definizione delle "case mobili" e'  incerta,  e  rischia  di
costituire motivo di elusione dell'intera disciplina  di  tutela  del
territorio,  comportando   la   disapplicazione   delle   regole   di
edificazione   stabilite   nella   legge   e   negli   strumenti   di
pianificazione; tanto piu' che la disposizione in questione  vanifica
la necessaria sussistenza delle caratteristiche tecniche  individuate
quali  indici  di  precarieta'   e   temporaneita'   (esistenza   dei
"meccanismi  di  rotazione"  in   funzione,   "rinnovabilita'   degli
allacciamenti  alle  reti  tecnologiche"),  poiche'  qualifica  detti
interventi come comunque «diretti a soddisfare esigenze di  carattere
turistico meramente temporanee» anche e nonostante questi risultino «
collocati in via continuativa»; 
    -  tra  le  «pertinenze  ed  accessori  funzionali  all'esercizio
dell'attivita'»    ricettiva,    potrebbero    rientrare    strutture
edificatorie (ad esempio, quelle dei servizi e degli spazi comuni dei
villaggi  vacanze)  di  grande  dimensione  e   di   grande   impatto
paesaggistico,  che  altrimenti   dovrebbero   indubbiamente   essere
sottoposte ad una piena valutazione di  compatibilita'  paesaggistica
(oltre che di compatibilita' urbanistico-edilizia). 
    Si  aggiunga  che  interventi  del   tutto   analoghi,   se   non
sostanzialmente coincidenti con quelli che la l.r.  n.  21  del  2011
intende  "liberalizzare",  sono  compresi  tra  quelli  soggetti   al
procedimento  di  autorizzazione  paesaggistica,  seppure  in   forma
semplificata, dal d.P.R. n. 139 del 2010, attuativo della  previsione
dell'articolo 146, comma 9, del Codice di settore (vedi, tipologie di
cui al n. 38 e, soprattutto, al n. 39, dell'Allegato) e che il  Piano
Paesaggistico Regionale, all'articolo 20, comma 1, lettera b),  n.  3
("Fascia costiera"), detta una disciplina di tutela  che  esclude  la
realizzazione di detti interventi. 
    Appare dunque evidente, anche in questo caso,  l'irragionevolezza
della disposizione regionale ed il contrasto con le disposizioni  del
Codice  dei  beni  culturali   e   del   paesaggio   e   segnatamente
dell'autorizzazione ex art. 146, che costituisce una nonna di  grande
riforma economico-sociale perche' assicura  su  tutto  il  territorio
nazionale, in una  fase  cosi'  delicata  come  quella  della  tutela
preventiva, una uniformita' di trattamento  su  tutto  il  territorio
nazionale. e dunque in tutte  le  regioni,  ivi  incluse  quelle  che
godono di autonomia speciale. 
    Un'analoga questione,  del  resto,  e'  stata  gia'  esaminata  e
accolta da codesta Corte Costituzionale con sentenza n.  235  del  19
luglio 2011, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  degli
arti. 1, comma 1, e 2 della legge della Regione Campania  25  ottobre
2010, n. 11. nella  parte  in  cui,  nel  disciplinare  le  strutture
turistiche presso gli stabilimenti balneari, prevedendo, tra l'altro,
«la permanenza delle istallazioni e delle strutture,  realizzate  per
l'uso balneare, per l'intero anno solare», differiva dal  Codice  dei
beni  culturali  e  del  paesaggio,  con  particolare  riguardo  alla
pianificazione  paesaggistica   e   al   regime   dell'autorizzazione
paesaggistica. "La normativa censurata -  ha  osservato  la  Corte  -
prevede sia deroghe alla pianificazione paesaggistica,  sia  apposite
procedure  di  autorizzazione  paesaggistica.  Vi  e',  quindi,   una
invasione  nella  competenza  legislativa  statale,  in   quanto   le
disposizioni  impugnate  intervengono  in  materia  di   tutela   del
paesaggio, ambito riservato alla potesta' legislativa dello Stato,  e
sono in contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo  n.  42
del 2004 (da ultimo, sentenze n. 101 del 2010 e n. 272 del 2009)". 
    La norma in esame viola, pertanto, gli articoli 9 e 117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    4) L'articolo 23, commi 6 e 7, eccede dalle competenze statutarie
di cui all'articolo 3  dello  statuto  speciale  di  autonomia  della
Regione Sardegna e contrasta con gli articoli 117,  comma  2  lettera
s), e 118, terzo comma, Cost., 
    L'articolo 23, commi 6 e 7,  della  l.r.  in  esame,  sostituendo
l'articolo 5, commi 4 e 5, della l.r. n. 19 del 2011, ha previsto che
la  Giunta  regionale  sia   autorizzata   ad   adeguare   il   Piano
paesaggistico regionale consentendo  la  realizzazione  nella  fascia
costiera, entro la fascia di 1.000 metri dalla linea di battigia (500
metri  per  le  isole  minori)  di  nuove  strutture  residenziali  e
ricettive connesse ai  campi  da  golf  e  disponendo  che  per  tali
finalita' si applica la procedura di cui all'articolo 11 della  legge
regionale 23 ottobre 2009, n. 4 che si conclude con una deliberazione
della Giunta. 
    Segnatamente l'art. 23, ai commi 6 e  7,  cosi  dispone:  "6.  Il
comma 4 dell'articolo 5, e' sostituito dal seguente: 
    "4. La Giunta regionale,  entro  trenta  giorni  dall'entrata  in
vigore della presente legge, attiva la procedura di cui  all'articolo
11  della  legge  regionale  23  ottobre  2009,  n.  4  (Disposizioni
straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio  del
settore edilizio e per la promozione di  interventi  e  programmi  di
valenza strategica per lo sviluppo), proponendo  gli  adeguamenti  al
Piano   paesaggistico   regionale   necessari   per   consentire   la
realizzazione di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai
campi da golf anche in ambito costiero, sino alla distanza  di  1.000
metri dalla linea di battigia, 500 metri per le isole minori.". 
    7. Il comma 5 dell'articolo 5, e' sostituito dal seguente: 
    "5. In considerazione della valenza strategica  degli  interventi
di promozione e realizzazione di un sistema di campi da golf previsto
della presente legge, i termini del procedimento di cui  al  comma  4
sono eccezionalmente ridotti alla meta'.". 
    Ebbene,  il  principio   della   pianificazione   necessariamente
congiunta (Stato-Regione) sui  beni  paesaggistici,  contenuto  negli
artt. 135 e 143  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio
approvato con d.lgs. n. 42/2004 (e successivi decreti correttivi  del
2006 e del 2008) costituisce senz'altro una norma di  grande  riforma
economico-sociale (o norma fondamentale di riforma  economico-sociale
della Repubblica), che si impone, in quanto tale  -  come  anticipato
nell'esposizione del primo motivo di ricorso - uniformemente su tutto
il territorio nazionale, e dunque in tutte le  regioni,  ivi  incluse
quelle che godono di autonomia speciale. 
    Nella nuova disciplina di tutela e valorizzazione del  paesaggio,
introdotta dal codice dei 2004, la pianificazione paesaggistica, come
strumento di tutela dinamica del territorio, rappresenta, invero,  il
cuore del sistema, rispetto al quale ruotano sia i  vincoli  che  gli
strumenti autorizzatori e sanzionatori di gestione e controllo, e nel
quale la partecipazione statale assume  particolare  rilievo  in  via
preventiva soprattutto attraverso la pianificazione in conformita'  a
standard uniformi di tutela su tutto il territorio nazionale. 
    La  partecipazione  statale  in  sede   di   pianificazione   nel
consentire di assicurare proprio la  ridetta  uniformita'  di  tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei  beni  culturali  su  tutto  il
territorio impedisce, in altre parole, che le  Regioni,  con  propria
legge regionale. possano in ipotesi adottare piani paesaggistici  che
compromettono il bene primario del paesaggio. 
    Cio' detto in linea di principio. l'articolo 23, commi 6 e  7,  -
al pari del sostituito art. 5, commi 4 e 5, della legge regionale  n.
19/2011, invero  dal  contenuto  non  dissimile  e  gia'  oggetto  di
impugnativa in via diretta pendente presso codesta Corte -  contrasta
con la norma di grande riforma economico-sociale di  cui  agli  artt.
135 e 143  del  d.lgs.  n.  42/2004  sulla  pianificazione  congiunta
Stato-Regione in materia di piani paesaggistici. 
    Il comma 6, invero, senza  che  in  alcun  modo  la  Stato  abbia
partecipato alla scelta a monte di adeguare  il  piano  paesaggistico
per la realizzazione delle strutture connesse ai campi da golf  e  di
adeguarlo entro specifici limiti, stabilisce gia' in via  legislativa
che il piano va adeguato e le distanze  dalla  battigia:  "La  Giunta
regionale... attiva la procedura di cui all'articolo 11  della  legge
regionale 23 ottobre 2009, n. 4 ... ...proponendo gli adeguamenti  al
Piano   paesaggistico   regionale   necessari   per   consentire   la
realizzazione di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai
campi da golf anche in ambito costiero, sino alla distanza  di  1.000
metri dalla linea di battigia, 500 metri per le isole minori". 
    Sempre il comma 6 ed il comma  7,  dispongono,  inoltre,  secondo
quale procedimento e quali tempi il piano paesaggistico  deve  essere
modificato in via amministrativa atteso che «"La Giunta  regionale...
attiva la procedura di cui all'articolo 11 della legge  regionale  23
ottobre  2009,  n.  4  "  e  che  "In  considerazione  della  valenza
strategica degli interventi  di  promozione  e  realizzazione  di  un
sistema di campi da golf previsto della presente legge, i termini del
procedimento di cui al comma  4  sono  eccezionalmente  ridotti  alla
meta' (...) con i termini ridotti alla meta'». 
    L'art. 11 disciplina, infatti, il procedimento di  «aggiornamento
e revisione del Piano paesaggistico regionale», che si  conclude  con
una  deliberazione  della   Giunta,   senza   alcuna   partecipazione
dell'Amministrazione statale, con  la  conseguenza  che  anche  sotto
l'aspetto procedimentale amministrativo di  modificazione  del  piano
l'art. 6 non attribuisce alcun ruolo allo Stato. 
    Si tratta di modifiche al piano paesaggistico che  assumono  gia'
in linea programmatica particolare rilievo ove si consideri  che,  ai
sensi dell'articolo 19 delle norme tecniche  di  attuazione  del  PPR
vigente,  la  "fascia  costiera",  cosi'   come   perimetrata   nella
cartografia del PPR, rientra nella categoria dei  beni  paesaggistici
d'insieme ed e' considerata risorsa strategica  fondamentale  per  lo
sviluppo sostenibile del territorio sardo e che l'articolo 20,  comma
1, lett. b), n. 1), delle stesse N.T.A, stabilisce che  nella  fascia
costiera «non e' comunque ammessa la realizzazione di nuovi  campeggi
e strutture ricettive connesse a campi da golf». 
    Sulla  base  di  quanto  premesso   le   norme   censurate   sono
all'evidenza   illegittime   perche'   la   vigente    pianificazione
paesaggistica, non puo' essere modificata se non secondo le modalita'
("intese"  ed  "accordi")  previste  dall'articolo  143  del  Codice,
essendo quello della pianificazione congiunta  un  principio  cardine
del sistema di tutela del paesaggio, assicurato dal Codice in diretta
attuazione  del  principio  fondamentale  espresso  dall'articolo  9,
secondo comma, della Costituzione. 
    Invero,  la  Regione  Sardegna,  con  le  disposizioni  normative
censurate, pretende di modificare unilateralmente, con  lo  strumento
legislativo,  le  misure  di  tutela  concordate  con  lo   Stato   e
consacrate, in attuazione  degli  artt.  135  e  143  del  Codice  di
settore, nel previgente piano paesaggistico del 2006, quando, invece,
avrebbe dovuto concordare le modifiche nella appropriata  sede  della
nuova  concertazione  di  riforma  e  modifica  congiunta  del  piano
medesimo. 
    La scelta ed il limite entro il quale consentire i campi da  golf
e annesse strutture ricettive deve,  in  altri  termini,  tradursi  e
operarsi attraverso una modifica congiunta del  piano  paesaggistico,
con l'accordo dello  Stato,  mentre  viene  ad  essere  anticipata  e
compiuta unilateralmente dalla legge regionale censurata; del pari il
concreto adeguamento del piano paesaggistico vigente secondo le linee
direttive dettate con  il  comma  6  non  puo'  essere  rimesso  alla
procedura individuata dai commi 6 e 7, ma deve passare attraverso  un
accordo con lo Stato. 
    La  violazione  del  principio  di  pianificazione  congiunta  si
presenta, peraltro, di  particolare  rilievo,  atteso  che  il  piano
paesaggistico e' stato definito nel 2006 con l'accordo dello Stato  e
viene ora ad essere ridefinito, con la legge regionale in  esame,  in
base all'esclusiva volonta' regionale. 
    In questa ottica ogni Regione  con  il  succedersi  delle  giunte
regionali, potrebbe, in via di mera  ipotesi,  fare  e  disfare  ogni
volta a propria discrezione i piani paesaggistici concordati  con  lo
Stato, svuotando di ogni contenuto  le  norme  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio sopra richiamate. 
    In proposito giova, per mera completezza, chiarire sin d'ora  che
non si intende in questa sede in alcun modo discutere  o  contrastare
nel merito le scelte della Sardegna in  ordine  alla  opportunita'  e
convenienza di promuovere i campi da golf o  la  realizzazione  delle
annesse   strutture   ricettive   turistico   -    alberghiere,    ma
esclusivamente difendere il rispetto  dei  principi  fondamentali  di
grande riforma economico-sociale della materia, che impongono che  le
modifiche ai piani paesaggistici, concordati in ossequio al Codice di
settore, siano definite anch'esse con lo Stato. 
    Cio' tanto piu' se, come nella specie, le misure contenute  nella
legge  regionale,  oltre  alla  realizzazione  dei  campi  da   golf,
consentono, all'interno della  aree  paesaggistiche  qualificate  dal
vigente  piano  come  di  rispetto  della   "fascia   costiera",   la
realizzazione      di      cospicui      interventi       edificatori
(turistico-residenziali) fino a 75.000 mc. (per ciascun impianto), di
cui il 50 per cento a tipologia di villa unifamiliare (art. 6,  comma
1, lettera d)), oltre 4.000 mc. per "club house" e  altri  locali  di
servizio, volumi che possono essere poi  considerevolmente  aumentati
al ricorrere di determinati presupposti (fino  al  30%  nel  caso  di
impianti di prima categoria e di un altro 25% in caso  di  riutilizzo
di volumi - anche a destinazione rurale - preesistenti: art. 6, commi
2, 5 e 3). 
    La disposizione  regionale  nell'eliminare  in  radice  forme  di
intesa e di coordinamento tra la Regione e lo Stato viola,  altresi',
l'art. 118, comma terzo, Cost, che affida alla competenza legislativa
statale le "forme di intesa e di coordinamento  nella  materia  della
tutela dei beni culturali". 
    Per quanto detto, l'art. 23, commi 6  e  7,  e'  illegittimo  per
violazione dell'art. 3 dello  Statuto  speciale  di  autonomia  della
Regione Sardegna adottato con la legge costituzionale n. 3 del  1948,
e degli articoli 117, comma 2 lettera s, e 118,  terzo  comma,  della
Costituzione.