IL TRIBUNALE Esaminati gli atti della causa n. 6746/10 R.G.; sciogliendo la riserva assunta in data 16 maggio 2011; Osserva L'attore, premesso di aver intrattenuto un rapporto di conto corrente con la banca convenuta e denunziata la nullita' di alcune clausole contrattuali contenute nel contratto, proponeva domanda di ripetizione delle somme indebitamente pagate alla convenuta. La banca convenuta eccepiva la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito. Su tale questione sono intervenute in rapida successione una pronunzia della Suprema Corte (Cass. sez. un. n. 24418/10) e l'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 (cd. «decreto mille proroghe»), convertito con modifiche dalla legge n. 10/2011. La norma dettata dall'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 cosi' dispone «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge»; L'attore, all'udienza del 16 maggio 2011, ha dedotto la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 sotto il profilo della violazione degli articoli 3, 24, 41, 47, 102 e 111 della Costituzione. In ragione delle questioni che la norma in esame pone, appare opportuno esaminare separatamente le due parti di cui si compone. La prima parte della norma dispone «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa». A giudizio del decidente e' solo a tale parte della norma che puo' attribuirsi carattere interpretativo mentre tale carattere non si rinviene nella seconda parte della norma. La Suprema Corte con la recente pronunzia a sezioni unite n. 24418/10 ha ribadito che annotazioni in conto e pagamenti afferiscono momenti e piani diversi del rapporto di conto corrente, specificando «... come difficilmente possa essere condiviso il punto di vista della ricorrente, che, in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista. L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: non vi corrisponde alcuna attivita' solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimita' dell'addebito in conto, il correntista potra' naturalmente agire per far dichiarare la nullita' del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potra' farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilita' di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non puo' agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo ...». Prendendo spunto dalla riferita differenziazione puo' affermarsi che mentre le annotazioni in conto afferiscono al piano cartolare del rapporto, i negozi (e tra questi i pagamenti dovuti o meno che siano) che alle annotazioni in conto danno luogo afferiscono al piano causale del negozio. Una volta ritenuta la diversita', proprio sotto il profilo tecnico- giuridico, dell'annotazione in conto e del pagamento delle somme risultanti dalle annotazioni in conto, l'ambito operativo della norma in esame si palesa alquanto ristretto. Essa risulta, infatti, destinata - per espressa e testuale volonta' del legislatore - a disciplinare, interpretando la norma dettata dall'art. 2935 c.c., il regime della prescrizione dei diritti nascenti dalle annotazioni in conto (sia in favore della banca che del cliente), cioe' del diritto ad ottenere la rettifica di «... errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o per duplicazioni» (cosi' l'art. 1832, comma 2, c.c., applicabile al conto corrente bancario per effetto del richiamo operato dall'art. 1857 c.c.). Tale interpretazione e' gia' stata sposata da autorevole dottrina ed affermata da alcune pronunzie di merito (cfr. Trib. Milano, 4 aprile 2011 e 7 aprile 2011). Cosi' interpretata la norma, la questione di costituzionalita' e' manifestamente infondata per irrilevanza nella controversia in esame che nessuna questione relativa alle annotazioni in conto presenta. La seconda parte dell'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 cosi' dispone: «In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge»; La previsione in esame non appare dotata di valenza interpretativa ma innovativa ed e' implicitamente retroattiva; preclude, quindi, sia alla banca che al cliente, razione di ripetizione di somme che siano gia' state (indebitamente) corrisposte alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225/2010. La norma assume indubbia rilevanza nel giudizio in esame nel quale l'attore ha proposto domanda di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte alla banca, domanda che, applicando la norma, non potrebbe che essere rigettata. Il precetto normativo appare violare i parametri di costituzionalita' di seguito elencati. Articolo 3 Costituzione La norma viola il principio di eguaglianza tra i cittadini discriminando in modo del tutto irragionevole - e senza che sussista plausibile giustificazione di una siffatta differenziazione - la posizione del correntista che abbia eseguito un versamento non dovuto prima dell'entrata in vigore della norma censurata (soggetto alla norma) da quella di chi abbia eseguito il versamento non dovuto il giorno successivo all'entrata in vigore della norma. Il parametro di riferimento che dovrebbe fornire giustificazione alla macroscopica disparita' di trattamento tra soggetti che vertono in identiche situazioni giuridiche e' la data di entrata in vigore della legge di conversione. Non sembra necessario spendere argomentazioni per supportare la conclusione che si tratta di un elemento casuale, assolutamente inidoneo a giustificare il diversificato trattamento di identiche posizione soggettive dei cittadini. Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla disparita' di trattamento, priva di ragionevolezza e giustificazione, che si verrebbe a creare tra istituti di credito. Si pensi al caso in cui due banche siano destinatarie di sentenze di primo grado (ma non definitive) che condannino alla restituzione di somme indebitamente percepite e che una delle due banche abbia dato esecuzione alla sentenza mentre l'altra non ancora. Appare evidente che la banca che ha eseguito la sentenza pagando il dovuto prima dell'entrata in vigore della norma censurata non potra' piu' impugnare la sentenza per effetto della preclusione introdotta dalla norma censurata mentre l'istituto di credito che non ha dato esecuzione alla sentenza di primo grado non solo potra' appellarla ma anzi sara' certo del buon esito del giudizio perche' in tal caso lo sbarramento legale alla ripetizione dell'indebito colpira' il correntista (anche se vittorioso in primo grado). Articolo 24, comma 1 e 2, Costituzione La scelta del legislatore comporta per i correntisti che una condotta illecita tenuta dalla banca (l'indebita percezione di somme) viene ex lege esonerata da responsabilita' e, sotto altro profilo, che un diritto soggettivo (azione di ripetizione dell'indebito) viene privato di tutela e, di fatto, cancellato dall'ordinamento, violando sia il primo che il secondo comma dell'art. 24 Costituzione. La norma viola l'art. 24 Costituzione anche se riferita agli istituti di credito. La banca che abbia spontaneamente pagato quanto ritiene che il correntista abbia indebitamente versato o che abbia pagato perche' destinataria di una sentenza di primo grado di condanna non potrebbe piu' agire per tutelare la propria posizione soggettiva, ne' proporre impugnazione avverso la sentenza di primo grado. Articolo 117, primo comma, costituzione in relazione all' art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. L'articolo 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo dispone che «ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale ...». La norma in esame spiega effetti nell'ordinamento interno per effetto del meccanismo detto di «rinvio mobile» del diritto interno alle norme internazionali pattizie, rinvio operativo in ottemperanza all'art. 117, primo comma, Costituzione che impone al legislatore il rispetto «... dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». L'art. 6, nell'interpretazione datane dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (le cui pronunzie sono vincolanti per il giudice interno), afferma (limitandosi a quanto di interesse nella fattispecie in esame) che il diritto ad un giusto processo in linea di principio preclude al legislatore dei singoli Stati contraenti la possibilita' di incidere su singole cause o su determinate tipologie di controversie gia' pendenti, attraverso norme interpretative o comunque retroattive volte determinare un vantaggio per una delle parti del giudizio. Tale limite, afferma la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, puo' essere travalicato solo in caso di «ragioni imperative d'interesse generale», la cui sussistenza la Corte di Strasburgo valuta con riferimento al singolo caso concreto. In proposito appare utile riferire il pensiero della Corte europea in un caso riguardante la violazione dell'art. 6 C.E.D.U. ad opera di una norma italiana in materia di espropriazioni. «126. La Corte ribadisce che se, in linea di principio, in materia civile non e' vietato al potere legislativo disciplinare con nuove disposizioni, di natura retroattiva, i diritti che derivano dalle leggi vigenti, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, sanciti dall'art. 6 della Convenzione, si oppongono, fatte salve prevalenti necessita' di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia con lo scopo di influire sull'esito giudiziario di una controversia (v. la sentenza nel caso Zielinski e Pradal & Gonzales c. Francia, GC, par. 57; la sentenza 9 dicembre 1994 nel caso Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis e. Grecia, serie A n. 301 B e la sentenza 22 ottobre 1997 nel caso Papageorgiou c. Grecia). 127. La Corte ricorda che prima dell'entrata in vigore dell'art. 5-bis legge n. 359 del 1992, considerate le sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale italiana il 25 gennaio 1980 e il 15 luglio 1983, la legge applicabile alla fattispecie era la legge n. 2359 del 1865, che prevede all'art. 39 il diritto di essere indennizzato in misura pari al valore venale del bene. Come conseguenza della disposizione contestata, i ricorrenti hanno subito una consistente diminuzione del loro indennizzo. 128. Modificando il diritto applicabile agli indennizzi conseguenti alle espropriazioni in corso e ai relativi procedimenti giudiziari pendenti, eccezion fatta per quelli in cui il principio di indennizzo ha costituito oggetto di decisione irrevocabile, l'art. 5-bis della legge. n. 359 del 1992 ha applicato un nuovo regime di indennizzo a situazioni pregiudizievoli antecedenti alla sua entrata in vigore e che avevano gia' dato luogo a crediti risarcitori - e anche alle procedure pendenti a quella data - producendo cosi' un effetto retroattivo. 129. Per effetto dell'applicazione di tale disposizione, i proprietari dei terreni espropriati sono stati privati di una parte consistente dell'indennizzo che avrebbero potuto precedentemente pretendere in base alla legge n. 2359 del 1865. 130. Cosi', anche se il procedimento contestato non e' stato annullato a' sensi dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, la disposizione in questione, applicabile al procedimento giudiziario che i ricorrenti avevano introdotto e che era in corso, ha avuto l'effetto di modificarne definitivamente l'esito, definendo retroattivamente i termini della questione a loro svantaggio... La disposizione contestata aveva comunque manifestamente per oggetto, ed ha avuto per effetto, di modificare il criterio indennitario applicabile, anche nel caso di procedimenti giudiziari in corso, nei quali lo Stato era parte (v. la sentenza nel caso Anagnostopoulos e altri c. Grecia, par. 20-21). 131. Senza dubbio l'applicabilita' alle indennita' non definite e alle procedure pendenti non potrebbe, di per se', costituire un problema sotto il profilo della Convenzione, non essendo impedito al legislatore, in linea di principio, di intervenire in materia civile per modificare lo stato del diritto con una legge immediatamente applicabile (v. la sentenza nel caso OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X et Bianche de Castille e altri cit., par. 61 e la sentenza nel caso Zielinski et Pradal & Gonzalez e altri c.Francia, cit., par. 57). Tuttavia, nella fattispecie, l'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 ha semplicemente soppresso retroattivamente una parte consistente dei crediti indennitari, di ammontare elevato, che i proprietari espropriati, come i ricorrenti, avrebbero potuto richiedere agli esproprianti. Al riguardo, la Corte ricorda di aver appena constatato che l'indennita' concessa ai ricorrenti non era adeguata, considerato il suo modesto ammontare e l'assenza di motivi di pubblica utilita' che potessero giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato del bene (par. 103-104 supra). 132. A parere della Corte, il Governo non ha dimostrato che le considerazioni da esso evocate - cioe' le considerazioni finanziarie e la volonta' del legislatore di attuare un programma politico - consentivano di far emergere «l'interesse generale evidente e imperativo» richiesto per giustificare l'efficacia retroattiva, che essa ha riconosciuto in alcuni casi (v. la sentenza 23 ottobre 1997 nel caso National & Provincial Building Society, LeedsPermanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Regno Unito; la sentenza 27 maggio 2004 nel caso OG1S-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X et Bianche de Castille e altri c. Francia, cit., par. 61; la sentenza 20 febbraio 2003 nel caso Forrer-Niedenthal c. Germania e la sentenza nel caso Beick c. Finlandia). 133. Pertanto, vi e' stata violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione. «(cosi' Corte europea dir. Uomo, sez. grande chambre, sentenza 29 marzo 2006 n. 36813, Scordino c. Italia). Parafrasando la Corte europea, puo' affermarsi che non esiste ragione alcuna che giustifichi - sotto il profilo dell'interesse generale evidente e imperativo - la soppressione del diritto alla ripetizione dell'indebito operata dall'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 che dispone: «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. Posta tale conclusione, l'univoco dato testuale della norma censurata non ne consente una interpretazione, costituzionalmente orientata, che permetta di eliminarne (in via interpretativa) il conflitto con l'art. 6 della C.E.D.U. Escluso che il contrasto della norma interna con l'art. 6 C.E.D.U. sia superabile in via interpretativa non resta che denunziarne l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, comma primo, Costituzione e/o dell'art. 10, comma primo, Costituzione.