LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
 
    Premesso che la societa' ricorrente ha eccepito  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 4-bis,  della  legge  24  dicembre
1993 n. 537, introdotto dall'art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre
2002 n. 289, per contrasto con gli artt. 53 e 27 della Costituzione. 
    Prima di valutare se l'eccezione in parola sia o  meno  assistita
dal requisito della «non manifesta  infondatezza»,  e'  necessario  e
preliminare   esaminare   la    rilevanza    della    questione    di
costituzionalita' sulla decisione che  la  scrivente  Commissione  e'
chiamata ad emettere nella presente controversia. 
A - A tale fine si premette quanto segue. 
    L'Agenzia delle entrate con autonomi  avvisi  di  accertamento  a
carico di Acque Chiare s.r.l. ha riportato a materia imponibile tutti
i costi e le spese dichiarati dalla predetta  societa'  relativamente
agli armi 2004, 2005 e 2006, sul presupposto che la stessa, allorche'
ha costruito (nel 2004 e 2005) le unita' immobiliari poi vendute (nel
2006 e  successivamente),  ha  svolto  attivita'  qualificabile  come
reato, cioe' attivita' di lottizzazione abusiva di cui agli artt.  6,
18 e 20 lett. c) della  legge  n.  47/85.  Contestualmente  l'Agenzia
delle  Entrate  ha  liquidato  l'IRES  sul  maggior   reddito   cosi'
determinato, nonche' l'IRAP  sul  conseguente  maggior  valore  della
produzione. Con gli stessi avvisi di accertamento l'ufficio ha  mosso
ulteriori  contestazioni,  che  si  riportano  per  mera  completezza
espositiva  in  quanto  relative  a  questioni  su  cui  i  dubbi  di
costituzionalita' avanzati non appaiono  rilevanti.  Sul  presupposto
che il complesso immobiliare costruito  e  negoziato  costituisca  un
complesso turistico-alberghiero, illegittimamente frazionato,  e  non
un gruppo di singole unita' abitative,  l'Agenzia  delle  Entrate  ha
rideterminata l'IVA sulla base dell'aliquota ordinaria del 20%  sulle
fatture emesse per la  vendita  di  ciascuna  delle  predette  unita'
immobiliari, contestando alla contribuente l'illegittima applicazione
dell'IVA ridotta del 10% e di quella  ulteriormente  ridotta  del  4%
concessa agli acquirenti della prima  casa.  Uguale  rideterminazione
dell'IVA veniva effettuata (e per la stessa motivazione) anche  sulle
fatture  passive  dei  fornitori.  Infine  l'ufficio,  ravvisando  la
violazione dell'art. 26, comma 3, del d.P.R. n. 633/72, ha contestato
alla contribuente la  illegittima  detrazione  dell'IVA  relativa  ad
alcuni atti di recesso  posti  in  essere,  oltre  un  anno  dopo  la
sottoscrizione del compromesso, da promettenti  acquirenti  non  piu'
interessati all'acquisto. 
    Contro gli avvisi predetti la societa' contribuente  ha  proposto
separati ricorsi, distinti dai nn. 321, 322 e 323 del 2010  del  RGR,
successivamente riuniti. Con i gravami predetti  la  contribuente  ha
avanzato in primis la gia'  richiamata  eccezione  di  illegittimita'
costituzionale e, sempre in via principale, l'errata  interpretazione
ed applicazione della norma citata. 
    Con quest'ultimo motivo la contribuente ha contestato in fatto  e
in diritto la qualificabilita' come reato  dell'attivita'  e/o  delle
operazioni da essa  poste  in  essere  e,  in  diritto,  ha  avanzato
l'obiezione secondo cui la norma in parola si riferirebbe non a tutte
le attivita'  qualificabili  come  reato,  ma  solo  alle  operazioni
penalmente illecite dirette all'ottenimento  di  vantaggi  di  natura
fiscale e solo se gia' dichiarate penalmente illecite dal  competente
Giudice  Penale  (non  invece   se   ritenute   potenzialmente   tali
dall'Amministrazione  Finanziaria).  Sempre  secondo  la  ricorrente,
inoltre, la norma in parola mirerebbe a dare piu' incisiva attuazione
a quella del comma 4 che la precede, cosi' da impedire che,  in  caso
di sequestro o confisca penale dei proventi illeciti, i  costi  e  le
spese (ugualmente inerenti all'attivita' penalmente illecita) vengano
portati in deduzione dall'imponibile delle annualita' successive. 
    In subordine, la ricorrente ha inoltre contestato  l'applicazione
al caso specifico della  disposizione  in  esame,  assumendo  che  le
imprese edili adottano un sistema di contabilizzazione  dei  costi  e
delle rimanenze in virtu' del quale i costi e le  spese  direttamente
inerenti  alla  costruzione  degli  immobili  vengono  riportati   in
contabilita' anche come rimanenze e quindi come  componenti  positivi
del reddito, sicche' l'applicazione della prefata norma comporterebbe
il contestuale azzeramento sia di costi che di ricavi. 
    Dal punto di vista della prassi contabile  il  rilievo  e'  stato
confermato anche dalla relazione tecnica  del  CTU  incaricato  dalla
scrivente. 
    Si omettono le doglianze avverso i restanti rilievi  in  tema  di
aliquote IVA in quanto estranee alla questione  di  costituzionalita'
in discussione e non incise da essa. 
    La scrivente Commissione non ritiene, prima facile e  salvo  piu'
approfondito esame, di poter  condividere  le  interpretazioni  della
norma avanzate dalla contribuente in quanto non legittimate dal testo
della  disposizione.  Va  infatti   ricordato   il   principio   base
dell'ermeneutica  legislativa,  secondo  cui  quando  il  significato
proprio delle parole usate dal legislatore, secondo la connessione di
esse, e' chiaro ed univoco,  come  nel  caso  delle  disposizioni  in
esame, l'interprete non e'  facultato  a  cercare  altri  significati
sulla base di  ulteriori  criteri  interpretativi  (art.12  del  Cod.
Civ.). 
    In forza  delle  considerazioni  che  precedono  appare,  dunque,
evidente ed inconfutabile la rilevanza della sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale sull'esito della controversia. 
B - Tornando ai  rilievi  di  illegittimita'  costituzionale,  questi
possono essere cosi' riassunti: 
    1) Violazione del principio della capacita' contributiva (art. 53
Cost.). 
    L'art.  53  Cost.  recita  testualmente:  «Tutti  sono  tenuti  a
concorrere alle spese  pubbliche  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva».  Aggiunge  il  comma  2:  «Il  sistema  tributario  e'
informato a criteri di progressivita'». 
    Secondo parte ricorrente la disposizione di cui  al  comma  4-bis
dell'art. 14 della legge  24  dicembre  1993  n.  537  confliggerebbe
appunto con il principio della capacita' contributiva  sancito  dalla
norma costituzionale citata. Difatti - si  sostiene  -  la  capacita'
contributiva, data dai ricavi al netto  dei  costi  di  produzione  e
delle  spese,  costituisce  il  limite   costituzionale   al   potere
impositivo  dell'amministrazione  finanziaria.   Orbene,   la   norma
sospettata di illegittimita' costituzionale travalicherebbe, appunto,
quel limite, tassando una capacita' contributiva inesistente, perche'
calcolata  al   lordo   di   costi   effettivamente   sostenuti   dal
contribuente. 
    Con precedente  decisione  (sentenza  n.  53  del  18.2.2010)  la
scrivente  commissione,  decidendo  sulla  medesima  fattispecie,  ha
ritenuto che l'indeducibilita' dei costi inerenti  ad  attivita'  e/o
operazioni   delittuose   risponda    prevalentemente    a    logiche
repressivo/sanzionatorie e dissuasive e sia pertanto  affrancata  dai
vincoli costituzionali riconducibili al citato art. 53 Cost. 
    Un  piu'  attento  esame   di   alcune   sentenze   della   Corte
costituzionale, piu' risalenti, autorizza, pero', qualche  dubbio  su
questa interpretazione. 
    In proposito e' stata di recente richiamata (Comm. Trib. Reg. del
Veneto - Verona, Sez. XI, 11 aprile 2011 n. 27) la  sentenza  n.  103
del   1967   con   la   quale   venne   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 22, comma primo, del d.P.R. 5 luglio 1951 n.
573 per violazione dell'art. 53 Cost., nella parte in  cui  la  norma
predetta disponeva che, in caso di omessa dichiarazione  dei  redditi
soggetti ad imposte dirette, il contribuente veniva  tassato  per  un
reddito pari a quelli dichiarati nell'anno precedente maggiorati  del
10 per cento. La motivazione con cui la Corte  Costituzionale  giunse
alla dichiarazione di incostituzionalita' suggerisce una  riflessione
ulteriore sul giudizio di non manifesta infondatezza  qui  in  esame.
«La pura e semplice considerazione  -  si  legge  nella  sentenza  n.
103/67 - di un  presumibile  ulteriore  sviluppo  dell'attivita'  del
contribuente con  conseguente  aumento  del  reddito  e'  inidonea  a
legittimare  la  maggiorazione  in  esame  poiche'  nessun   elemento
concreto o indice positivo puo' essere posto  a  suo  fondamento.  La
norma denunciata preclude  al  contribuente  di  dimostrare  di  aver
realizzato un reddito inferiore a quello iscritto a ruolo ed  e'  del
tutto irrazionale estendere tale preclusione all'aumento del  10  per
cento». 
    Alla  luce  di  questa  decisione   la   dedotta   questione   di
illegittimita'  costituzionale  appare,  penano,  non  manifestamente
infondata. 
    2) Violazione del principio della presunzione di  innocenza  (27,
comma 2, Cost.) 
    Secondo  la  disposizione  costituzionale  «L'imputato   non   e'
considerato colpevole sino alla condanna definitiva». 
    Parte  ricorrente  sostiene  che  la  norma  denunciata,  poiche'
sottopone a tassazione costi di produzione effettivamente  sostenuti,
in quanto relativi ad attivita' e/o ad operazioni qualificabili  come
reato, sebbene non ancora riconosciute tali  in  via  definitiva  dal
Giudice  penale,  violerebbe  il  principio  della   presunzione   di
innocenza sino a condanna definitiva, sancito dalla Costituzione. 
    La Commissione scrivente, come dianzi ricordato, ha in precedenza
adottato un opposto indirizzo, sul presupposto che  l'indeducibilita'
dei costi e delle spese, stabilita dalla norma in esame, sia estranea
al sistema sanzionatorio penale, sebbene prevista per sanzionare  una
condotta penalmente rilevante, nonche' sul  rilievo  che  il  Giudice
tributario  possa  sempre  decidereincidenter  tantum  su   questioni
attribuite alla competenza di altre giurisdizioni, sicche' egli ha il
potere di delibare se la condotta del contribuente sia "qualificabile
come reato", benche' al solo fine di decidere sull'indeducibilita'  o
meno dei costi di produzione. 
    Tuttavia tale ultima interpretazione,  melius  re  perpensa,  non
appare scevra da dubbi e  incertezze,  perche'  lascia  irrisolto  il
problema della grave ingiustizia a cui puo'  portare  una  norma  che
sanzioni  in  sede  tributaria  (il  piu'  delle  volte  con  effetti
irreversibili  sulla   sopravvivenza   dell'impresa)   condotte   che
successivamente il Giudice penale puo' anche ritenere  meritevoli  di
assoluzione. 
    In forza di questo dubbio, la scrivente Commissione valuta  anche
quest'ultimo  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  come   non
manifestamente privo di fondamento. 
    3) Violazione dell'art. 3 Cost. (principio di razionalita'  e  di
uguaglianza). 
    La Commissione, sulla scorta di uno  dei  motivi  di  impugnativa
proposti  dalla  societa'  ricorrente,   intende,   infine,   muovere
d'ufficio il seguente ulteriore profilo di  possibile  illegittimita'
costituzionale della disposizione in esame. 
    Le imprese edili, la cui attivita' riguarda opere  con  tempi  di
esecuzione ultrannuali, portano in contabilita' i costi e le spese di
costruzione dei fabbricati anche come rimanenze finali,  quindi  come
componenti  attivi.  Sicche'  nel  caso  in   questione   negare   la
deducibilita' dei costi significa paradossalmente - secondo l'assunto
della ricorrente - azzerare anche le  rimanenze  finali  e  quindi  i
ricavi. 
    Consegue da cio' che con l'applicazione del comma 4-bis dell'art.
14 della legge  n.  537/93  si  avrebbero  due  possibili  e  opposte
conseguenze: o il contemporaneo azzeramento di costi e ricavi,  o  la
tassazione di ricavi fittizi,  perche'  del  tutto  inesistenti.  Nel
primo caso verrebbe vanificato l'intento sanzionatorio-dissuasivo che
sottende  la  ratio  della  disposizione  e  la  norma   risulterebbe
inutiliter data agli effetti sia  impositivi  che  sanzionatori.  Nel
secondo caso  ne  deriverebbe  una  sanzione  abnorme  e  irrazionale
perche'  svincolata  da  qualsiasi  parametro  idoneo   a   graduarne
l'entita' in funzione della gravita' della violazione. 
    In entrambi i casi,  inoltre,  si  determinerebbe  un'evidente  e
irragionevole disparita' di trattamento fra attivita' imprenditoriali
ugualmente illecite sul piano  penale,  che  verrebbero  pesantemente
sanzionate ovvero «graziate»  solo  in  ragione  della  tipologia  di
prodotti trattati (con tempi di fabbricazione ultrannuali  o  non)  e
dei settori produttivi in cui le imprese operano. 
    Le ragioni che precedono comportano che la  questione  sollevata,
oltre che essere rilevante  ai  fini  della  decisione  finale  della
controversia, appaia anche non manifestamente  infondata  e  pertanto
meritevole di esame da parte del Giudice delle leggi. 
    A tale conclusione spinge anche la constatazione che negli ultimi
mesi in varie sedi, non solo da parte della dottrina  e  dei  Giudici
tributari, siano stati  avanzati  pesanti  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale della disposizione in esame, sulla base di motivazioni
in gran parte conformi a quelle che precedono.