IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4868 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Alfredo Schettini, rappresentato e difeso dall'avv. Fulvio Merlino, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli, via Parco Margherita n. 49; Contro A.S.L. Napoli 1 Centro, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Iervolino, Annamaria De Nicola, Ornella Giaculli, Annalisa Intorcia, Franco Lembo, Rosa Maiello, Gianpiero Mesco, Isabella Selvaggi, Maria Fusco, Anna Vingiani, con domicilio eletto in Napoli, P. Nazionale 95 presso i Servizi Legali della Asl; Ottemperanza al decreto ingiuntivo n. 7128 del 22 giugno 2009 emesso dal tribunale di Napoli; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.S.L. Napoli 1 Centro; Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Con il ricorso in esame, notificato il 5 settembre 2011, parte ricorrente chiedeva l'ottemperanza del decreto ingiuntivo n. 7128/2009, emesso dal Tribunale Civile di Napoli, in data 18 giugno 2009, notificato il 30 luglio 2009 e successivamente rinotificato in forma esecutiva il 18 dicembre 2009, con il quale era stato ingiunto al Comune in epigrafe di pagare al ricorrente per la somma di euro 112.389,07, oltre interessi, nonche' spese e competenze di procedura; In particolare, parte ricorrente, a fronte del mancato pagamento di tali importi, chiedeva al presente T.A.R. di voler disporre l'esecuzione del decreto ingiuntivo in epigrafe indicato, nominando a tal fine un commissario ad acta che provvedesse al pagamento delle somme dovute, a cura e spese del Comune in epigrafe; Si costituiva in giudizio il Comune intimato formulando memorie difensive. Il Collegio rileva, in fatto, che, stante anche l'assenza di contestazione sul punto da parte del Comune costituito, risulti comprovato che il decreto ingiuntivo sia divenuto definitivo prima della instaurazione del giudizio e che, pertanto, alla luce di consolidata giurisprudenza anche di questa Sezione in ordine all'efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto, parte ricorrente possa agire in sede di giudizio di ottemperanza ai sensi dell'art. 112 e seguenti del codice di procedura amministrativa (ex multis T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2463). Rileva, altresi', che non risulta che il Comune intimato abbia provveduto al pagamento, sebbene sia anche decorso il termine dilatorio di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo, concesso alle amministrazioni pubbliche dall'art. 14 del decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996 (convertito nella legge n. 30/1997, modificato dall'art. 147 legge n. 388 del 23 dicembre 2000, e successivamente dall'art. 44 n. 269 del decreto-legge 30 settembre 2003, convertito, dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003), per completare le procedure ai fini dell'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro, e, pertanto, il ricorso si presenta come potenzialmente accoglibile. Viene pero' in rilievo in senso ostativo la questione dell'applicabilita', alla fattispecie in esame dell'art. 1, del comma 51, legge n. 220 del 12 dicembre 2010, che nel testo modificato dall'art. 17, comma 4, lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (che ha prorogato al 31 dicembre 2012 il termine originariamente fissato nel 31 novembre 2012) dispone «Al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all'art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche' al fine di consentire l'espletamento delle funzioni istituzionali in situazioni di ripristinato equilibrio finanziario per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e gia' commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2012. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime ... non producono effetti fino al 31 dicembre 2012...». La Regione Campania infatti, con delibera della Giunta regionale n. 1843 del 9 dicembre 2005 (Bollettino ufficiale della Regione Campania - n. 1 del 2 gennaio 2006), ha adottato disposizioni per il triennio 2006 - 2008 al fine di riportare l'equilibrio economico delle Aziende sanitarie locali, delle Aziende ospedaliere, delle Aziende ospedaliere universitarie e della Fondazione Pascale, in conformita' all'art. 1, comma 173, legge n. 311 del 30 dicembre 2004 (Finanziaria 2005), il quale ha subordinato l'accesso delle singole Regioni al finanziamento integrativo a carico dello Stato (previsto dal comma 164) alla stipula ed al rispetto di una precisa intesa tra quest'ultimo e le Regioni, diretta a contenere la dinamica dei costi con il ricorso a misure specifiche. In seguito, con deliberazione n. 460 del 20 marzo 2007 (Bollettino Ufficiale della Regione Campania - n. 17 del 26 marzo 2007), la Giunta regionale ha approvato il Piano di Rientro dal disavanzo e di riqualificazione e razionalizzazione del Servizio Sanitario Regionale ai fini della sottoscrizione dell'Accordo tra Stato e Regione Campania, ai sensi dell'art. 1, comma 180, della citata legge n. 311/2004. Con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 luglio 2009, il Governo ha nominato il Presidente pro tempore della giunta regionale Campania, quale Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di Rientro dal disavanzo sanitario, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 159 del 1o ottobre 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007, e successive modifiche. La delibera e' stata poi confermata dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2010, con la quale il Presidente pro tempore della Regione Campania, in qualita' di Commissario ad acta, ha assunto il compito di proseguire nell'attuazione del Piano di Rientro secondo i programmi operativi di cui all'art. 1, comma 88, della legge n. 191 del 2009. Ora l'accertato stato di dissesto finanziario riconducibile al disavanzo sanitario potrebbe potenzialmente comportare l'applicazione dell'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 con conseguente inammissibilita' del presente ricorso e frustrazione delle pretese creditorie della societa' ricorrente. Parte ricorrente ha sostenuto al riguardo che tale norma risulti applicabile esclusivamente alle procedure di esecuzione forzata per espropriazione dinanzi al giudice ordinario e non sia riferibile al giudizio di ottemperanza. Secondo parte ricorrente, difatti, la norma in esame avrebbe lo scopo di garantire l'attuazione, attraverso i Piani di Rientro, un percorso virtuoso di riequilibrio economico finanziario, unitamente a quello di consentire la riorganizzazione del Servizio sanitario, fermo restando il mantenimento dei livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni, in coerenza con i livelli essenziali di assistenza in materia sanitario. Da cio' parte ricorrente dedurrebbe che la norma postuli solo l'indispensabilita' del mantenimento dei beni strumentali e funzionali all'erogazione delle prestazioni sanitarie, che non potrebbero essere sottratti alla loro destinazione funzionale, e di essa andrebbe data una interpretazione restrittiva, nel senso della sua applicabilita' esclusivamente alle procedure di esecuzione forzata in senso stretto, precludendo gli atti tipici del processo di esecuzione, quali il pignoramento. In particolare, non rientrerebbe nell'ambito di azione di questa norma il giudizio di ottemperanza caratterizzato dalla mancata aggressione di singoli beni strumentali al servizio e dalla nomina di un commissario ad acta in grado di espletare il suo incarico senza intaccare beni strumentali al servizio sanitario e le somme destinate all'erogazione del servizio, reperendo in altro modo gli importi necessari, magari mediante ricorso a finanziamenti. A parere del Collegio la tesi di parte ricorrente non e' fondata e la norma in questione risulterebbe applicabile anche al giudizio per ottemperanza. Cio' in primo luogo per l'ampiezza del termine «azioni esecutive» utilizzato dalla norma. Fuori di dubbio risulta, a parere del Collegio, la valenza di azione esecutiva del giudizio di ottemperanza soprattutto nei riguardi dei provvedimenti del giudice ordinario. In tal senso il giudizio di ottemperanza giunge all'esito di un precedente provvedimento decisorio del giudice ordinario ed e' volto alla mera attuazione di quest'ultimo, tendendo al materiale conseguimento, in fase esecutiva, di quanto statuto nella decisione attuata. Per la giurisprudenza, difatti, l'oggetto del giudizio di ottemperanza e' rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell'esatto adempimento da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di conformarsi al giudicato (C.d.S., sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512), al fine di far conseguire concretamente all'interessato l'utilita' o il bene della vita gia' riconosciutogli in sede di cognizione. In sede di giudizio di ottemperanza, difatti, non puo' essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (C.d.S., sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel «decisum» della sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459; Consiglio di stato, sez. V, 18 agosto 2010, n. 5817). A fronte di statuizioni giudiziali rese dal giudice civile, il giudice dell'ottemperanza svolge una mera attivita' esecutiva, tant'e' che non ha possibilita' di integrare la decisione civile ed, anzi, qualora gli si riconoscesse una «cognitio» piena, con possibilita' di modificare ed integrare la decisione del giudice ordinario, si ammetterebbe la sindacabilita' attraverso il giudizio d'ottemperanza del rapporto sottostante ove difetta di giurisdizione. La sfera di attinenza del giudizio di ottemperanza nei confronti delle sentenza del giudice ordinario puo' quindi senz'altro essere ascritta alle azioni esecutive. A tale riguardo la giurisprudenza ha evidenziato come il giudizio di ottemperanza possa assumere la prospettazione di giudizio misto (di cognizione ed esecuzione al contempo) nei soli casi in cui si tratta dell'esecuzione di sentenze del giudice amministrativo, e non anche nel caso di sentenze del giudice ordinario (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011, n. 515). La natura di giudizio misto e' affermabile solo per la prima delle ipotesi richiamate in quanto spesso la regola posta dal giudicato amministrativo e' una regola implicita, elastica, incompleta, che spetta al giudice dell'ottemperanza completare ed esplicitare. Sia le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. sez. Un. , 30 giugno 1999, n. 376) che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 15 marzo 1989, n. 7) hanno difatti ritenuto che il giudice dell'ottemperanza, in caso di sentenze del giudice amministrativo - diversamente da quanto accade in caso di sentenze rese dal giudice di un altro ordine - ha il potere di integrare il giudicato, nel quadro degli ampi poteri, tipici della giurisdizione estesa al merito (e idonei a giustificare anche l'emanazione di provvedimenti discrezionali), che in tal caso egli puo' esercitare ai fini dell'adeguamento della situazione al comando rimasto inevaso (cfr. anche Consiglio di stato, sez. VI, 16 ottobre 2007, n. 5409). Infine, per quanto riguarda il giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di un decreto ingiuntivo non opposto, la giurisprudenza ha condivisibilmente ritenuto che «il giudice amministrativo, accertato il mancato pagamento delle somme ingiunte, e' investito solo della funzione di garantire gli adempimenti materiali per soddisfare tale precetto, senza poter valutare le ragioni della situazione debitoria e dell'imputabilita' dell'inerzia riscontrata» (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011, n. 515; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 17 novembre 2008, n. 10251), assumendo compiti meramente esecutivi. Ulteriore prova della valenza esecutiva del giudizio di ottemperanza e' la pacifica alternativita', per l'esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, del rimedio del ricorso per l'ottemperanza agli strumenti esecutivi previsti dal codice di procedura civile, potendo la parte liberamente scegliere se agire in sede di esecuzione civile ovvero in sede di giudizio di ottemperanza (T.A.R. Sicilia Catania sez. III Sent., 14 luglio 2009, n. 1268). Per tali rilievi il Collegio ritiene che presente giudizio di ottemperanza sia qualificabile come «azione esecutiva» ai sensi dell'art. 1, comma 51, della legge n. 220/2010. In secondo luogo, a parere del Collegio, anche la rado della disciplina in esame depone per l'applicabilita' di quest'ultima norma anche al giudizio di ottemperanza. Appare evidente, difatti, che una normativa che dispone la temporanea sospensione delle azioni esecutive allo scopo di consentire il ripristino dell'equilibrio economico finanziario delle aziende sanitarie ed ospedaliere delle regioni in dissesto, non possa che riguardare tutte le azioni esecutive che riguardino i debiti dell'ente, ovverosia tutte quelle procedure che, in attuazione di un decisum di condanna, consentano procedure giudiziarie volte al materiale pagamento dello stesso. La ratio di dare la possibilita' a tali enti di provvedere al riequilibrio economico e finanziario e di riorganizzare il servizio, risulterebbe, difatti, frustrata nel caso si consentisse l'azionabilita' di singoli crediti mediante il giudizio di ottemperanza. La possibilita' da parte dei creditori di agire con lo strumento alternativo (all'esecuzione civile) del giudizio di ottemperanza non farebbe che frustrare la finalita' della norma, consentendo l'instaurazione di singole procedure di recupero dei crediti dinanzi al giudice amministrativo con l'effetto di agirare sostanzialmente la previsione di sospensione delle azioni esecutive posta per l'azione davanti al giudice civile. A tale riguardo non pare sufficiente, ai nostri fini, a giustificare la possibilita' di agire in ottemperanza la differenza strutturale che presenta quest'ultima rispetto all'azione esecutiva in sede civile, costituita dalla nomina di un commissario ad acta. Non si vede, difatti, come il commissario ad acta investito del singolo incarico possa procedere al pagamento del singolo debito senza interferire con la finalita' della norma di consentire l'organica attuazione di programmi di riequilibrio economico finanziario (e, nello specifico, del regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto dell'art. 11, comma 2, della legge n. 122/2010, che prevedeva una procedura di ricognizione dei debiti e la predisposizione di un piano con le modalita' ed i tempi di pagamento). La ratio della norma in esame non pare solo quella di sottrarre i beni strumentali al servizio al riparo da singole azioni esecutive idonee a distrarle dalla loro destinazione, bensi' anche quella di consentire la realizzazione di un organico programma di riassetto economico finanziario. Per tali rilievi il Collegio ritiene che anche la proponibilita' del giudizio d'ottemperanza sia assoggettata ai termini di sospensione previsti dalla legge n. 220/2010. Detto questo, pero', il Collegio ritiene possa prospettarsi una questione di possibile incostituzionalita' dell'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010, con riferimento agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 41 e 111, comma 2, della Costituzione. In tal senso peraltro si e' gia' espresso il T.A.R. Campania Salerno, sez. I, con le ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale n. 1479 ed n. 1481, entrambe del 7 settembre 2011, di cui verranno in gran parte riprese le motivazioni. Il Collegio, pur ravvisando l'identita' delle questioni di costituzionalita' in questione ritiene pero' di dover sollevare anch'esso questione di costituzionalita' perche', da un lato, le questioni gia' oggetto di rimessione alla Corte costituzionale riguardano ricorsi per l'ottemperanza che, al contrario di quello ora in questione, sono stati instaurati prima dell'intervenuta modifica dell'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 ad opera cui all'art. 17, comma 4, e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 e, pertanto, le relative questioni erano formalmente riconducibili al testo della norma antecedente alla modifica (anche se le ordinanze di rimessione davano debitamente conto dell'intervenuta sopravvenienza normativa). Dall'altro il Collegio ha tenuto conto di quanto indicato dalla giurisprudenza civile ed, in particolare, dalla Corte di Cassazione, sez. II, 24 novembre 2006, n. 4946, atteso altresi' che l'art. 79 del codice del processo amministrativo rinvia, per quanto riguarda le cause di sospensione del processo al codice di procedura. La pronuncia in questione si determinata negativamente in ordine alla possibilita' di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. nel caso di pendenza di giudizio di costituzionalita' sulla stessa questione sollevata in altro giudizio, ritenendo che, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, quando in un giudizio civile si pone una questione di costituzionalita', anche qualora penda, in quanto sollevata in altro giudizio, la medesima questione avanti la Corte costituzionale il giudice e' tenuto, qualora ritenga la questione rilevante, a investire a sua volta la Corte costituzionale e solo per questa ipotesi che e' prevista la sospensione del giudizio. Per quanto riguarda i profili di incostituzionalita', appare opportuna in via preliminare una ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Al riguardo, si rammenta che l'art. 2, comma 89, della legge n. 191 del 23 dicembre 2009 (Legge finanziaria 2010), per un periodo di dodici mesi decorrenti dalla sua data di entrata in vigore (1° gennaio 2010), impediva ai creditori di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie od ospedaliere delle regioni che avessero sottoscritto i piani di rientro ai sensi dell'art. 1, comma 180, della menzionata legge n. 311 del 2004, cio' allo scopo di conseguire gli obiettivi sottesi ai piani medesimi, volti ad aggredire i disavanzi verificatisi nel settore sanitario. La norma stabiliva inoltre che i pignoramenti, eventualmente eseguiti, non avrebbero vincolato gli enti debitori e i' tesorieri, i quali avrebbero potuto ugualmente disporre delle somme per i loro fini istituzionali. Quest'ultima previsione introduceva un meccanismo retroattivo in grado di rendere del tutto inefficaci i pignoramenti eseguiti in data antecedente l'entrata in vigore della legge e di consentire agli enti debitori di rientrare nella piena disponibilita' delle somme dovute, ancorche' pignorate (cd. «svincolo delle somme»). Le perplessita' legate ai probabili profili di illegittimita' costituzionale e di contrasto con la normativa comunitaria, ha indotto il legislatore a modificare la disposizione citata con l'art. 1, comma 23-vicies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (c.d. decreto Milleproroghe, convertito, con modificazioni, nella legge n. 25 del 26 febbraio 2010), il quale ha ridotto da dodici a due mesi l'efficacia temporale del blocco delle azioni esecutive. In virtu' di questa modifica, a partire dal 1° marzo 2010, veniva ripristinato il diritto dei creditori di agire in giudizio per il soddisfacimento delle pretese vantate nei confronti delle aziende sanitarie ed ospedaliere debitrici. Sennonche', la situazione di deficit complessivo del sistema sanitario e le difficolta', da parte delle aziende sanitarie ed ospedaliere, di raggiungere l'auspicato riequilibrio economico-finanziario, hanno tuttavia indotto il Governo ad intervenire nuovamente. L'art. 11, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2010, n. 78 - convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 - stabiliva infatti che «Per le regioni gia' sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e gia' commissariale alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi dei medesimi piani di rientro nella loro unitarieta', anche mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei medesimi piani, i Commissari ad acta procedono, entro 15 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, alla conclusione della procedura di ricognizione di tali debiti, predisponendo un piano che individui modalita' e tempi di pagamento. Al fine di agevolare quanto previsto dal presente comma ed in attuazione di quanto disposto nell'Intesa sancita dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 3 dicembre 2009, all'art. 13, comma 15, fino al 31 dicembre 2010 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime». Questa norma - rispetto all'art. 2, comma 89, legge n. 191 del 2009 - presentava la novita' sostanziale di non contemplare piu' lo «svincolo delle somme». In seguito, il legislatore - con l'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 - ha riproposto la precedente disposizione nella sua interezza, posticipando pero' al 31 dicembre 2010 il termine sino al quale non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime ed ha reinserito il principio secondo cui i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni alle aziende sanitarie locali e ospedaliere, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri i quali possono disporre, per le loro finalita' istituzionali, delle somme ad essi trasferite durante il suddetto periodo. Infine l'art. 17, comma 4 e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (entrato in vigore il 6 luglio 2011) convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha modificato il suindicato articolo l'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010, portando al 31 dicembre 2012 il termine sino al quale non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive e quello sino al quale i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri. Illustrato il quadro normativo di riferimento, il Collegio e' dell'avviso che, per quanto la disposizione contenuta all'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010, cosi' come modificata dall'art. 17, comma 4, lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, sia ispirata dall'intento di contribuire al risanamento, nel settore sanitario, dei bilanci deficitari delle amministrazioni regionali, la stessa presenti possibili molteplici violazioni di fondamentali principi di diritto espressamente tutelati dalla Costituzione e dal diritto comunitario. Pertanto, avuto riguardo alla concreta incidenza della richiamata normativa sui diritti creditori di parte ricorrente, il Collegio ritiene - riprendendo gli assunti motivazionali delle suindicate ordinanze n. 1479 ed n. 1481 del T.A.R. Salerno - che i dubbi stilla legittimita' costituzionale del citato art. 1, comma 51, si presentino non manifestamente infondati, sotto plurimi e concorrenti profili. L'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 presenta aspetti di contrasto con l'art. 24, commi 1 e 2, e 111, comma 2, della Costituzione perche' introduce una norma speciale che elide la possibilita' della soddisfazione concreta ed effettiva dei diritti del creditore in applicazione delle norme di diritto comune. L'entrata in vigore della citata disposizione ha in pratica reso inutile la possibilita' riconosciuta ai creditori di agire in giudizio al fine di ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni dagli stessi vantate nei confronti delle aziende sanitarie ed ospedaliere delle Regioni soggette a commissariamento per dissesto finanziario. Cio' appare ancora piu' evidente ove si consideri che la norma contestata ha reintrodotto la previsione secondo la quale divengono del tutto inefficaci i pignoramenti eseguiti in data antecedente l'entrata in vigore della legge e consente agli enti debitori di rientrare nella piena disponibilita' delle somme dovute, ancorche' pignorate. Una norma della specie, incidendo retroattivamente su posizioni consolidate per effetto di una procedura esecutiva giurisdizionale si pone in evidente contrasto con il principio di effettivita' del diritto di difesa sancito dall'art. 24, commi 1 e 2. Si palesa inoltre la violazione del principio del giusto processo proclamato dall'art. 111, comma 2, perche' la norma censurata, da un lato, altera la condizione di parita' tra le parti, ponendo l'amministrazione in una posizione di ingiustificato privilegio e, dall'altra, incide sulla ragionevole durata del processo. Non sembra deporre, in senso contrario, la considerazione secondo la quale il legislatore, con la norma contestata, non ha inteso privare in via definitiva i creditori delle aziende sanitarie o ospedaliere di promuovere azioni a tutela del proprio diritto, ma lo ha soltanto sospeso per un tempo determinato, allo scopo di agevolare in concreto le possibilita' delle regioni di rientrare dal dissesto finanziario ed evitare, nel frattempo, che le stesse siano sottoposte alla pressione derivante dalle esposizioni debitorie delle aziende sanitarie ed ospedaliere. Per questa ragione e per un limitato intervallo di tempo, i debiti delle predette aziende sono semplicemente congelati, cio' a tutela dell'interesse pubblico al corretto andamento dei conti pubblici e, pertanto, a beneficio della collettivita' . E' facile sul punto ribattere che una mera sospensione del diritto di azione a tutela del proprio credito puo' produrre effetti considerevoli sulla situazione economica e patrimoniale del creditore. Peraltro, l'efficacia limitata nel tempo di tale sospensione e' nei fatti smentita dalla prassi seguita dal legislatore che, negli scorsi anni e, da ultimo, con il recente decreto-legge n. 98/2011, ricorre allo strumento della proroga allo scopo di mantenere in vita il regime speciale. Sicche', la fissazione di un termine finale di efficacia della norma derogatoria di diritto speciale appare sempre piu' spesso un meccanismo elusivo al quale il legislatore ricorre per rendere in apparenza piu' «digeribili» misure legislative volte in concreto a disattivare a tempo indeterminato - grazie all'espediente delle proroghe - l'efficacia del diritto ordinario. In senso contrario alla censura di violazione dell'art. 111, comma 2, Cost. potrebbe osservarsi che un'eventuale azione del creditore proposta nei confronti delle aziende sanitarie o ospedaliere, in presenza di una normativa che sospende il pagamento dei relativi crediti, sarebbe suscettibile di pronuncia di inammissibilita' in rito, salvo la possibilita' di proporre nuovamente l'azione giurisdizionale, una volta che la normativa derogatoria esaurisca i suoi effetti per lo spirare del termine finale fissato per legge. In questo senso, un'eventuale lesione del principio della ragionevole durata del processo, potrebbe eventualmente porsi per i ritardi registrati nel giudizio successivo che affronti il merito della questione. A questa osservazione e' facile tuttavia replicare che il principio della ragionevole durata del processo va sempre collegato alla pretesa sostanziale che si intende fare valere in giudizio. In altri termini, per valutare se un processo si e' svolto in tempi ragionevoli occorre considerare la durata complessiva della vicenda giudiziaria in relazione alla pretesa di diritto sostanziale per la quale il soggetto ha adito il giudice, essendo del tutto indifferente che per quella pretesa siano state proposte in successione una pluralita' di azioni. Utile appare, in proposito, uno sguardo sull'ordinamento comunitario. L'art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, cd. Carta di Nizza, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, garantisce, quale diritto dell'Unione, il diritto di ogni individuo ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale ed entro un termine ragionevole. Sul punto, si rammenta che l'art. 6, 1° par., del Trattato di Lisbona sancisce che «L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 (Carta di Nizza), adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati». Il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti delle amministrazioni sanitarie pubbliche di Regioni in dissesto, divieto operante, per effetto della sovrapposizione di normative succedutesi nel tempo, da circa due anni con probabilita' di proroghe, sembra porsi in aperto contrasto con il diritto dell'individuo ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, da concludersi peraltro entro un termine ragionevole. La norma in discussione impedisce al creditore - persona fisica o giuridica che sia - l'esercizio del diritto soggettivo individuabile in una posizione giuridica di vantaggio consistente nel potere di agire nei confronti di altri soggetti, tra cui le pubbliche amministrazioni, per il soddisfacimento di interessi espressamente riconosciuti dall'ordinamento. L'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 presenta inoltre aspetti di contrasto con l'art. 3, comma 1, della Costituzione. A fronte dell'improcedibilita' dell'azione esecutiva e dell'odierno ricorso per ottemperanza, il diritto di credito vantato in virtu' di un titolo esecutivo e' subordinato all'adozione di atti amministrativi aventi natura previsionale e programmatica ed, in quanto tali, di contenuto del tutto generico. Il creditore si trova quindi nell'impossibilita' di realizzare liberamente la propria attivita' economica, allo scopo di ricavarne un legittimo profitto, in particolare laddove operi nel territorio della Regione Campania, con palese discriminazione rispetto ai creditori di aziende sanitarie ed ospedaliere ubicate, invece, in altre regioni per le quali un simile impedimento non sussiste. Ne deriva una evidente disparita' di trattamento, in contrasto al principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, comma 1, della Costituzione, Ne', in senso contrario, la previsione contenuta all'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 appare assistita dai principi di ragionevolezza e di adeguatezza. Ed invero, il rinvio della data di adempimento delle obbligazioni - le quali, per loro natura, non possono che riferirsi ad impegni assunti per il passato - si pone come un mero artificio per tamponare l'esposizione finanziaria della Regione in dissesto ma non sembra francamente in grado di realizzare l'obiettivo del rientro. Benche' i rapporti debitori abbiano contribuito ad incrementare la situazione di dissesto, e' tuttavia evidente che il risanamento dei conti e' conseguibile con ben diversi strumenti; valga tra tutte l'Osservazione che, comunque, i debiti pregressi, sebbene sospesi, continuano a fare parte della massa passiva del bilancio contabile dell'ente e che, in ogni caso, andranno pagati con la sola incertezza circa l'an. Il risanamento infatti puo' realizzarsi grazie ad una complessa attivita' programmatoria e di cooperazione tra Stato e Regione, secondo modalita' tra costoro concordate volte a scadenzare il contenimento e la razionalizzazione della spesa per il futuro. E' questa infatti la direzione indicata dall'art. 1, comma 180, della menzionata legge n. 311 del 2004. In questo senso, una previsione legislativa, quale l'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010, che preclude la richiesta di adempimento sino ad una data determinata non appare ne' adeguata ne' ragionevole perche', nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, quello del privato di ricevere soddisfazione della propria legittima pretesa pecuniaria, in virtu' della piana applicazione delle comuni regole del diritto privato e del diritto processuale civile, e quello pubblico, volto a ristabilire ordine nei conti dell'ente, sacrifica pesantemente il primo senza che vi sia una reale contropartita in favore del secondo. La normativa censurata presenta inoltre elementi di contrasto anche con il principio della liberta' di iniziativa economica privata, sancito dall'art. 41 Cost. Spesso, i soggetti che intrattengono rapporti economici con le amministrazioni pubbliche sanitarie sono in prevalenza imprenditori, i quali hanno stipulato con queste contratti per la fornitura di beni o di servizi a seguito di procedure di evidenza pubblica. Per un imprenditore, in misura forse piu' accentuata rispetto ad un ordinario creditore, la puntualita' nel ricevere i pagamenti costituisce un fattore decisivo per il buon andamento dell'azienda. L'affidabilita' del contraente nell'adempiere alle obbligazioni assunte nei tempi pattuiti, rende possibile una saggia e piu' serena programmazione dell'attivita' d'impresa, ridimensiona notevolmente la necessita' del ricorso ad onerosi prestiti e finanziamenti bancari, consente all'imprenditore di rispettare le scadenze di pagamenti ai quali sia a sua volta tenuto. Non a caso, i rilevanti condizionamenti che la materia dei pagamenti produce sul libero mercato e la concorrenza hanno sollecitato l'interesse dell'ordinamento comunitario. Sul punto, la direttiva 2000/35/CE - che sara' sostituita, con effetto dal 16 marzo 2013, dalla Direttiva UE del Parlamento e del Consiglio n. 7 del 16 febbraio 2011 - ha introdotto a livello comunitario una normativa generale contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Nel settimo considerando, la direttiva chiarisce infatti che i periodi di pagamento eccessivi ed i ritardi di pagamento impongono pesanti oneri amministrativi e finanziari alle imprese, in particolare a quelle di piccole e medie dimensioni, dando origine a problemi che costituiscono una tra le principali cause d'insolvenza e determinano la perdita di numerosi posti di lavoro. Poiche', come chiarisce l'ottavo considerando, in alcuni Stati membri i termini contrattuali di pagamento differiscono notevolmente dalla media comunitaria, le differenze tra le norme in tema di pagamento e le prassi seguite negli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno. Questa situazione limita notevolmente le transazioni commerciali tra gli Stati membri, in contrasto all'articolo 1 4 del Trattato, secondo il quale gli operatori economici dovrebbero essere in grado di svolgere le proprie attivita' in tutto il mercato interno in condizioni tali da garantire che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. L'applicazione di norme sostanzialmente diverse alle operazioni interne e a quelle transfrontaliere comporterebbe la creazione di distorsioni della concorrenza. Il legislatore italiano ha dato attuazione alla richiamata direttiva 2000/35/CE, con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 che ha incluso nel suo ambito di applicazione anche le pubbliche amministrazioni, cio' allo scopo di contrastare la loro cronica e deprecabile lentezza di quest'ultime nell'adempiere ai propri debiti. L'art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 231 del 2002 ha fissato il fondamentale principio secondo cui gli interessi (moratori) decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Non puo' passare inosservato lo strabismo del legislatore italiano che, da un lato, con il d. lgs. 231/2002 traccia una disciplina generale, anche in attuazione della normativa comunitaria, volta a pressare le amministrazioni pubbliche, tendenzialmente recalcitranti, ad effettuare con regolarita' e tempestivita' i pagamenti dovuti e, dall'altro, con l'art. 1, comma 51, L. n. 220 del 2010, consente una deroga speciale per presunte superiori ragioni di finanza pubblica. Tale deroga appare invero vessatoria solo ove si rifletta sulla circostanza che, a parti invertite, ossia nei casi in cui sia l'amministrazione ad essere creditrice, in particolare nel caso delle obbligazioni di natura fiscale e previdenziale, il legislatore appronta un ben piu' efficace inventario di strumenti esecutivi per forzare l'adempimento. Tutto quanto premesso: alla luce dei riassunti rilievi, la questione di legittimita' costituzionale dell'1, comma 51, citato si appalesa prima facie: a) rilevante, in quanto la disposizione costituisce unico ed immediato paradigma normativo di riferimento che comporta l'inammissibilita' dell'odierno ricorso ed alla cui dichiarazione di illegittimita' costituzionale puo' seguire una pronuncia nel merito satisfattiva delle pretese di parte ricorrente; b) non manifestamente infondata, alla luce delle esposte considerazioni critiche. Pertanto, in applicazione dell'art. 23 della legge costituzionale n. 87 del 1953 e, riservata, ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla quale va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita', deve essere disposta la sospensione del giudizio e la remissione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci in proposito.