IL GIUDICE DI PACE Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe, viste le istanze dei procuratori delle parti, osserva: con atto di citazione iscritto al ruolo in data 7 novembre 2011 Sestito Stefania, cosi' come rappresentata e difesa, evocava il giudizio la Groupama Assicurazioni S.p.A. al fine di ottenere il risarcimento delle lesioni subite ed il rimborso delle spese mediche sostenute a seguito di un sinistro stradale verificatosi in Baronissi (SA) il giorno 17 gennaio 2011. Sosteneva l'attrice di aver stipulato con la convenuta societa' assicuratrice una polizza infortuni avente ad oggetto la copertura di eventuali danni subiti dal conducente a seguito di sinistro stradale. Tanto esposto, riportatasi al descritto sinistro, Sestito Stefania, cosi' come rappresentata e difesa, concludeva per la condanna della Groupama Assicurazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle somme cosi' come quantificate nel libello introduttivo del giudizio. Si costituiva la convenuta Groupama Assicurazioni S.p.A. la quale, cosi' come rappresentata e difesa, eccepiva l'improponibilita' della domanda attrice per violazione delle disposizioni di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, assumendo che non sarebbe stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione. Alla prima udienza di comparazione delle parti il Giudice si riservava la decisione ritenendo di dover sollevare ex officio la questione di legittimita' costituzionale sul disposto dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010. La succitata norma sembrerebbe in netto contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 70, 76 e 77 della Costituzione. Appare di palmare evidenza che una condizione di procedibilita' di una domanda giudiziaria, ex art. 24 della Costituzione, puo' essere introdotta in maniera esclusiva dal legislatore e non da un organo governativo che avrebbe potuto farlo soltanto se ne fosse stato autorizzato dalla legge di delega. Ai sensi dell'art. 70 della Costituzione la funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere, pertanto le ipotesi in cui si puo' deviare da tale principio, vale a dire i casi in cui ai sensi degli artt. 76 e 77 della Costituzione l'esercizio della funzione legislativa e' affidato al Governo che puo' adottare, rispettivamente, un d.lgs. od un decreto-legge, sono regolate attentamente e rigorosamente dalla Costituzione, cosi' come costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte adita. Per quanto riguarda specificatamente il caso de quo, vale a dire l'adozione da parte del Governo di un d.lgs., la giurisprudenza e' abbastanza univoca. Se nel suo provvedimento il governo eccede spazialmente l'ambito di intervento che e' stato delineato dalla legge delega non viola soltanto quest'ultima ma anche, attraverso il meccanismo del parametro costituzionale interposto, la disposizione costituzionale che definisce il contenuto obbligatorio della legge di delega e l'obbligo per l'esecutivo di attenersi ad esso. Analizzando il rapporto tra legge delega e d.lgs. n. 28/2010 emerge chiaramente che l'art. 26 attribuisce la delega al governo «esclusivamente» per recepire la disposizione prevista dall'art. 69/09 ed in particolare l'eccesso si configura laddove non e' stata recepita la parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilita' della domanda ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l'accesso alla giustizia ordinaria. Unico intento della legge delega era quello di creare esclusivamente un organismo deflattivo per la giustizia e non certamente di favorire la creazione di un elemento ostativo al suo accesso. Se dovesse passare il principio dell'eccesso di delega, tutto quanto previsto dal decreto in piu' rispetto al portato della legge delega potrebbe aprire ad una gestione della giustizia ad opera dei privati, come tali non legittimati dalla Costituzione a svolgere detta alta funzione e soprattutto non dotati del rigoroso tecnicismo richiesto. A parere di questo Giudice l'art. 5 del d.lsg. 28/2010, recante disposizioni in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, appare inoltre in palese violazione dell'art. 24 della Costituzione. La richiamata disposizione costituzionale sancisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; che la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento; che sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. L'art. 5 del d.lgs. n. 28/10 si pone in netto contrasto con il principio dell'art. 24 della Costituzione nella misura in cui ha reso la mediazione una condizione di procedibilita' della domanda giudiziaria, negando per tutto il tempo della sua durata l'accesso alla giustizia e soprattutto non prevedendo alcun mezzo per i meno abbienti per attivare il procedimento della media conciliazione. Ma vi e' di piu', in caso di fallimento del procedimento di media conciliazione le spese sostenute per adire l'organismo definito deflattivo non potranno essere ripetute e rimarranno esclusivamente a carico delle parti, con evidenti conseguenze economiche afflittive per le classi sociali meno agiate. La Consulta ha piu' volte ribadito il concetto secondo il quale un sistema di giustizia «condizionata» e' ammissibile solo nel caso in cui l'eccezione al principio dell'accesso immediato alla giurisdizione si presenti come ragionevole e risponda ad un interesse generale, purche' non vengano imposti oneri tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile far valere le proprie ragioni. Gli oneri a cui fa riferimento la Consulta devono intendersi ovviamente anche quelli di carattere economico. Il procedimento di mediazione obbligatoria e' un ipotesi di giustizia sottoposta a condizione. Di fatto chi intende ottenere giustizia in relazione ad una delle materie precedentemente indicate e' obbligato ad esperire preventivamente un procedimento dall'esito incerto e soprattutto a carattere oneroso, pena l'improcedibilita' della domanda giudiziaria.