IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 311 del 2011, proposto da Doriana Meloni,  Stefania
Selis,  Elisabetta  Tuveri,  Monica  Moi,  Francesco  Alterio,  Mauro
Pusceddu,  Andrea  Mereu,  Maria  Cristina  Lampis,  Giovanni  Dessy,
Giovanni Massidda, Lucia Perra,  Maria  Gabriella  Muscas,  Giampiero
Sanna,  Riccardo  Ponticelli,   Valeria   Pirati,   Mauro   Grandesso
Silvestri,  Ornella  Anedda,  Giorgio  Cannas,  Alessandro  Castello,
Roberto Cau, Simone Nespoli,  Giovanni  La  Rocca,  Armando  Mammone,
Giovanna Osana, Angelo Leuzzi,  Emanuela  Muscas,  Elisabetta  Murru,
Maria Luisa Scarpa, Giorgio Alfieri, Daniela Amato, Stefano  Giovanni
Fiori, Maura Nardin, Elena Maria Grazia Pitzorno, Claudio  Lo  Curto,
Massimo Zaniboni, Mariano Giovanni Agostino Brianda, Nicoletta Leone,
Giovanni Lavena, Tiziana Rosalba  Marogna,  Alfonso  Nurcis,  Roberta
Malavasi, Gian Carlo Moi, Fiorentina  Buttiglione,  Valerio  Cicalo',
Claudio Gatti, Carlo Renoldi, Paolo Cossu,  Silvia  Bandas,  Gilberto
Ganassi, Donatella Satta, Maria Grazia Cabitza, Luisella Paola  Fenu,
Antonio Minisola, Ida Aurelia Soro, Maria  Grazia  Campus,  Valentina
Frongia, Elisabetta Atzori, Giorgio  Latti,  Emanuela  Cugusi,  Maria
Mura, Liliana Ledda, Maria Virginia  Boi,  Maria  Isabella  Delitala,
Donatella Aru, Grazia Maria Bagella, Vincenzo Amato, Francesco Sette,
Guido  Vecchione,  Modestino  Villani,   Michele   Incani,   Domenico
Fiordalisi, Francesco Mameli, Andrea Padalino  Morichini,  Anna  Rita
Murgia, Lucina Serra, Silvia Palmas,  Anna  Cau,  Mauro  Mura,  Diana
Lecca, Rossella Spano, Marco  Ulzega,  Mario  Biddau,  Elisa  Marras,
Riccardo Ariu, Guido Pani, Maria Cristina Elisabetta Ornano, Vincenzo
Aquaro, Mariano Arca, Fiorella  Pilato,  Manuela  Anzani,  Sergio  De
Nicola, Maria Gabriella Pinna, Enzo Luchi; 
    tutti rappresentati e difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco
Cuniberti, Andrea Pubusa, con domicilio eletto presso  Andrea  Pubusa
in Cagliari, via Tuveri n. 84, contro il Ministero  della  Giustizia;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze; Presidenza del  Consiglio
dei Ministri, in persona dei  rispettivi  legali  rappresentanti  pro
tempore, rappresentati e difesi  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato, presso i cui uffici domiciliano per legge,  in  Cagliari,  via
Dante n. 23, per il riconoscimento,  previa  idonea  cautela,  e  con
riserva di motivi aggiunti, del diritto  al  trattamento  retributivo
spettante senza tener conto delle decurtazioni di  cui  al  comma  22
dell'art. 9 del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78,  come  convertito
con modifiche nella legge 30 luglio 2010, n.  122,  nonche',  per  la
condanna delle Amministrazioni resistenti al  pagamento  delle  somme
corrispondenti, con ogni accessorio di legge. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Ministero  della
Giustizia; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  2  novembre  2011  il
dott. Giorgio Manca e uditi l'avv. Andrea Pubusa per i  ricorrenti  e
l'avv.  Giandomenico  Tenaglia,  avvocato   dello   Stato,   per   le
amministrazioni statali; 
    1. Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti - nella  loro  comune
qualita' di magistrati ordinari in  servizio  presso  i  vari  Uffici
giudiziari  ricompresi  nell'ambito  di  competenza  territoriale  di
questo T.A.R., chiedono la declaratoria d'illegittimita' delle misure
che hanno inciso sul loro rispettivo trattamento economico, derivanti
dall'applicazione delle disposizioni contenute nel comma 22 dell'art.
9  del  decreto-legge  31  marzo  2010,   n.   78,   convertito   con
modificazioni  dalla  legge  30  luglio  2010,  n.  122;  e  per   il
conseguente  accertamento  del  diritto  al  trattamento  retributivo
asseritamente spettante senza tener conto delle contestate riduzioni. 
    2. A sostegno delle  predette  domande  giudiziali  i  ricorrenti
deducono  violazione  di  legge,  altresi'  lamentando  la   sospetta
illegittimita'  costituzionale  della  sopra   richiamata   normativa
primaria. 
    3. Le Amministrazioni convenute si sono costituite  in  giudizio,
chiedendo il rigetto del ricorso. 
    4. All'udienza pubblica del 2 novembre 2011, la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    5. Il Collegio ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  9,  comma  22,
del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, convertito con  modificazioni
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    6.  In  punto  di  rilevanza  della  questione  di   legittimita'
costituzionalita', deve osservarsi come l'applicazione delle norme in
questione ha comportato, a partire dal 1° gennaio 2011 (come  risulta
dalla documentazione in atti), le lamentate trattenute sugli stipendi
dei ricorrenti, sia  sotto  il  profilo  della  mancata  applicazione
dell'adeguamento automatico degli  stipendi,  sia  sotto  il  profilo
della riduzione dell'indennita' giudiziaria speciale di cui  all'art.
3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. 
    L'art. 9,  comma  22,  del  decreto.legge  n.  78/2010,  dispone,
infatti, per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981: 
        a) che «non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli
acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il  conguaglio  del  triennio
2010-2012»; 
        b) che (per il triennio  2013-2015  l'acconto  spettante  per
l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno  2010  e  il
conguaglio per l'anno 2015 viene  determinato  con  riferimento  agli
anni 2009, 2010 e 2014»; 
        c) che «l'indennita' speciale di  cui  all'articolo  3  della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante  negli  anni  2011,  2012  e
2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25  per  cento
per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno  2013»,  con  riduzione
non operante ai fini previdenziali. 
    Appare evidente che l'eventuale pronunzia di  incostituzionalita'
delle  dette  disposizioni  condurrebbe  de  plano   all'accertamento
dell'illegittimita' del mancato adeguamento degli  stipendi  e  delle
trattenute  in  parola  e  consequenzialmente  all'accoglimento   del
ricorso: di qui la rilevanza delle questioni di costituzionalita' che
dappresso si illustreranno. 
    7. Sempre sul piano della rilevanza, non puo' essere condivisa  -
con riferimento alle sole parti dispositive del comma 22 dell'art.  9
riguardanti    l'adeguamento    triennale    degli     stipendi     -
l'interpretazione  costituzionalmente   orientata   ed   adeguatrice,
prospettata dai ricorrenti sul presupposto che il predetto  comma  22
dell'art. 9 cit., non contenendo specificazioni  in  ordine  a  quali
siano gli acconti e i conguagli oggetto di  mancata  erogazione,  sia
inapplicabile. 
    E' noto, infatti, e comunque  chiaramente  indicato  dall'art.  2
della legge n. 27/1981, che il meccanismo di dinamica retributiva del
personale di magistratura prevede un adeguamento triennale sulla base
degli incrementi  conseguiti  nel  precedente  triennio  dalle  altre
categorie del pubblico impiego, che si realizza mediante due  acconti
di pari importo nel secondo e nel  terzo  anno  del  triennio  ed  un
successivo  conguaglio,  con   la   conseguenza   che   l'ambito   di
applicazione del comma 22 cit. appare sufficientemente  chiaro,  tale
comunque  da  escludere  la  plausibilita'  di  una   interpretazione
conforme che consenta o imponga di  non  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    8. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma
22,  del  decreto-legge  31  marzo  2010,  n.  78,   convertito   con
modificazioni  dalla  legge  30  luglio  2010,   n.   122,   non   e'
manifestamente infondata con riferimento, in primo luogo, alle misure
incidenti sul meccanismo di adeguamento automatico della retribuzione
dei magistrati, per la violazione degli  artt.  101,  comma  2,  104,
comma 1, 111, commi 1 e 2  e  117,  comma  1  della  Costituzione  in
relazione all'art. 6 della C.E.D.U. 
    Le disposizioni  appaiono,  infatti,  in  contraddizione  con  il
principio (desumibile dall'art. 104,  1°  comma  Cost.)  per  cui  il
trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella  libera
disponibilita'  del  potere  legislativo  o  del  potere   esecutivo,
trattandosi  di  un  aspetto  essenziale  per  attuare  il   precetto
costituzionale dell'indipendenza. 
    Come piu' volte ribadito dal Giudice delle leggi,  il  meccanismo
del  c.d.  adeguamento  automatico  (essenzialmente   fondato   sulla
garanzia di un aumento delle retribuzioni, che, sulla base di  indici
appositamente ed obiettivamente elaborati dall'Istituto  centrale  di
statistica, viene  assicurato  "di  diritto",  ogni  triennio,  nella
misura percentuale pari alla media degli  incrementi  realizzati  nel
triennio precedente  dalle  altre  categorie  del  pubblico  impiego)
rappresenta un elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni
in discorso„ inteso  alla  "attuazione  del  precetto  costituzionale
dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il
profilo economico" (Corte cost. 16 gennaio 1978, n. 1), "evitando tra
l'altro che essi  siano  soggetti  a  periodiche  rivendicazioni  nei
confronti di altri poteri" (Corte cost. 10  febbraio  1993,  n.  42),
concretizzando "una guarentigia idonea a  tale  scopo"  (Corte  cost.
sentenza  8  maggio  1990,  n.  238).  La  tradizione  costituzionale
italiana risulta, sul punto, confermata e rafforzata dalla c.d. Magna
carta dei Giudici, approvata a Strasburgo il  17  novembre  2010  dal
Consiglio d'Europa - Comitato consultivo dei Giudici  europei  (CCJE)
(la quale, seppur beninteso priva ex se di valore  cogente  sotto  il
profilo giuridico, costituisce una decisione  fondamentale  alla  cui
luce devono essere interpretate le disposizioni interne, per  la  sua
autorevole fonte di provenienza, esprimendo il  CCJE  le  "tradizioni
costituzionali" dei quarantasette Stati europei che ne sono  membri):
secondo l'espresso disposto  degli  artt.  2  e  4  della  Carta,  in
particolare,  l'indipendenza  dell'ordine  giudiziario  rispetto   ai
poteri legislativo ed esecutivo va garantita anche sotto  il  profilo
della tutela finanziaria della retribuzione dei Magistrati; e  l'art.
7 prevede espressamente che  "il  giudice  deve  beneficiare  di  una
remunerazione e di un  sistema  previdenziale  adeguati  e  garantiti
dalla legge, che lo mettano al riparo da ogni indebita influenza". 
    I valori dell'autonomia e della indipendenza  della  Magistratura
da ogni altro Potere dello Stato sono sanciti in via  generale  dagli
artt. 101, comma 2 ("I giudici sono soggetti soltanto alla legge")  e
104, comma 1, cost. ("La magistratura costituisce un ordine  autonomo
e indipendente da ogni altro potere"). 
    Proprio per la delicatezza dei compiti  anzidetti  e'  essenziale
che sia assicurata l'indipendenza della Magistratura. 
    L'art. 9, comma 22, del decreto-legge n. 78  del  2010,  ha  come
fine, o quantomeno come effetto, quello di ledere non  solo  il  dato
testuale, ma altresi' i principi e valori sottesi  alle  disposizioni
richiamate. 
    9. I valori anzidetti sono a loro volta funzionali  all'esercizio
imparziale ed  obiettivo  della  funzione  giudicante,  come  esigono
molteplici norme costituzionali anche in vista della celebrazione  di
un "giusto" processo (cfr. artt. 24, 103 e 111  Cost.;  Corte  cost.,
cent. n. 381/1999). 
    Il legislatore, mediante uno  strumento  che  formalmente  incide
(solo) sulla retribuzione del magistrato, viene in realta' ad operare
un   indebito   condizionamento   sull'esercizio    della    funzione
giurisdizionale, poiche' costringe l'Ordine di  appartenenza,  quando
non addirittura il magistrato come singolo, ad un  confronto  con  il
pubblico potere al fine  di  ripristinare  le  condizioni  economiche
originarie, o  quantomeno  di  elidere  o  attenuare  le  conseguenze
negative della misura disposta. 
    La costante giurisprudenza della Corte costituzionale  induce  il
Collegio a ritenere  la  non  manifesta  infondatezza  della  censura
dedotta,  sussistendo  la  necessita'  di  "attuazione  del  precetto
costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato
anche sotto il profilo economico", onde evitare "tra l'altro che essi
siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri" (Sentenze nn. 1/1978, 42/1993, 238/1990). 
    Tale stato  di  cose,  generando  un  sotterraneo  conflitto  tra
Istituzioni che mina alla radice la  serenita'  del  Giudice,  appare
particolarmente grave per la specifica funzione del magistrato. 
    Un Magistrato «condizionato», quand'anche solo apparentemente  (e
potenzialmente) e non nella sostanza (e nella realta'), da una misura
legislativa fortemente penalizzante per i  suoi  interessi  economici
rischia di vedersi sottratto quel credito e quel prestigio di cui  il
singolo magistrato e l'Ordine  giudiziario  nel  suo  insieme  devono
sempre ed indefettibilmente godere presso la comunita' dei cittadini. 
    Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981,
ha chiarito che "I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101,
comma secondo, e 104, comma primo, Cost.), debbono essere  imparziali
e indipendenti e tali valori vanno tutelati non  solo  con  specifico
riferimento al concreto esercizio delle funzioni  giurisdizionali  ma
anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al
fine  di  evitare  che  possa  fondatamente  dubitarsi   della   loro
indipendenza ed imparzialita': nell'adempimento del loro  compito.  I
principi  anzidetti  sono  quindi   volti   a   tutelare   anche   la
considerazione di cui il magistrato deve godere  presso  la  pubblica
opinione,  assicurano,  nel  contempo,  quella  dignita'  dell'intero
ordine giudiziario, che la norma denunziata qualifica prestigio e che
si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria
e nella credibilita' di essa". 
    10. In senso analogo si e'  espresso,  come  sopra  rilevato,  il
Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa  nella  gia'  richiamata
Raccomandazione del 17 novembre 2010. 
    Il   prestigio   e   l'onorabilita'    dell'Ordine    giudiziario
resterebbero  esposti  a  critiche  e  perplessita'  che  il  sistema
costituzionale impone di evitare nel modo piu' assoluto. 
    In tale ottica, la misura legislativa potrebbe apparire come  una
sorta di punizione o di monito per il  Potere  giudiziario,  rendendo
manifesta  ai  cittadini  una  condizione  di   evidente   supremazia
gerarchica di un Potere sull'altro, in contrasto - anche  sotto  tale
profilo - con i dettami costituzionali che improntano i rapporti  tra
Poteri alla separazione, all'equilibrio ed al bilanciamento. 
    L'idea  di  un  magistrato  punito,   ammonito   o   anche   solo
"influenzabile"  dalla  consapevolezza  che  il  taglio   stipendiale
disposto oggi puo' ben essere ripetuto o addirittura inasprito (oltre
il 2013), ripugna al nostro sistema costituzionale ed  ordinamentale,
godendo della piu' elevata tutela, in esso, anche la  mera  apparenza
della imparzialita' della funzione giurisdizionale, in quanto  valore
fondante per l'affidabilita' e la  credibilita'  istituzionale  della
figura del Magistrato. 
    Alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve
ritenersi che il trattamento economico dei  magistrati  debba  essere
(oltreche' "adeguato" alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato,
come imposto, in termini generali, dall'art. 36  della  Costituzione)
certo  e  costante,  e  in  generale  non  soggetto  a   decurtazioni
concretanti, come tali, una surrettizia  menomazione  delle  garanzie
della sua indipendenza ed autonomia. 
    11. Avuto distinto riguardo  alla  (diversa  ed  autonoma  misura
della) contestata riduzione percentuale della indennita' speciale  (o
indennita'  giudiziaria),  oltre  ai  rilievi  sopra  formulati,   va
ulteriormente considerato quanto segue in termini  di  non  manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita'. 
    Trattandosi obiettivamente, come non e' dato  di  dubitare  anche
alla luce del contesto normativo  in  cui  e'  stata  codificata,  di
prestazione   patrimoniale   imposta   di   natura    sostanzialmente
tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli artt. 23  e
53 della Carta  costituzionale,  la  sua  previsione  (esclusivamente
rimessa, al  di  la'  del  nomen  iuris  utilizzato,  alla  normativa
primaria, in forza dei principi di  legalita'  e  sostanzialita'  dei
tributi) avrebbe dovuto gravare, a  parita'  di  redditi  incisi,  su
tutti i cittadini (c.d. principio di generalita' delle  imposte),  in
ragione della loro capacita' contributiva, in un sistema informato  a
criteri di progressivita' (c.d. principio di progressivita'). 
    Avuto riguardo al comune e condiviso intendimento  del  requisito
della capacita' contributiva previsto dall'art. 53 Cost. quale valore
diretto ad orientare la discrezionalita' del  legislatore  in  ordine
alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni  tributari  -  deve
ritenersi che limite espresso all'azione impositiva  sia  quello  per
cui "a situazioni uguali corrispondano tributi uguali": di  tal  che,
anche alla  luce  del  correlato  principio  di  uguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2,  il
sacrificio patrimoniale che -  per  non  implausibili  e  contingenti
ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto  sulla
condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di  pubblici
impiegati, lasciando indenni,  a  parita'  di  capacita'  reddituale,
altre  categorie  di  lavoratori   (essenzialmente   e   segnatamente
autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole  (arg.  ex  Corte
cost. [ord.] 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18  luglio  1997,  n.
245). 
    12. Si tratta altresi' di prelievo sul trattamento  economico  in
godimento sostanzialmente regressivo, poiche' (essendo, come e' noto,
l'indennita' speciale di cui all'art. 3 della legge n. 27  del  1981,
corrisposta in misura uguale ad  ogni  magistrato,  indipendentemente
dall'anzianita' di servizio) finisce per colpire (in  violazione  del
canone di cui al 2° comma dell'art. 53  Cost.)  in  misura  minore  i
magistrati con retribuzione complessiva piu'  elevata  ed  in  misura
maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore. 
    Inoltre,   anche   gli   interventi   normativi   sull'indennita'
giudiziaria appaiono, per le ragioni gia' esposte, in  contraddizione
con il principio per cui il trattamento economico dei magistrati  non
puo'  ritenersi  nella  libera  disponibilita'  del   Legislativo   o
dell'Esecutivo, trattandosi di  aspetto  essenziale  per  attuare  il
precetto costituzionale dell'indipendenza (art. 104, 1° comma  Cost.;
e cfr., proprio in  relazione  alla  indennita'  speciale  in  quanto
assoggettata al meccanismo di adeguamento automatico, Corte cost.  n.
238 del 1990). 
    13. L'art. 9, comma 22, cit., sembra al Collegio porsi, altresi',
in  contrasto  con  l'art.  36  della  Costituzione,  in  quanto   la
prefigurata ed incisiva riduzione del trattamento  economico  finisce
per alterare la "proporzione" tra  la  retribuzione  complessiva  del
magistrato ed il lavoro giudiziario svolto,  inteso  complessivamente
come l'insieme delle attivita' materiali, delle attivita' giuridiche,
delle responsabilita' e degli oneri su di esso gravanti. 
    Cio' in  quanto  -  riconoscendo  la  legge  come  "adeguato"  il
complessivo trattamento economico  solo  in  quanto  integrato  dalla
indennita' speciale - una decurtazione  di  quest'ultima,  a  parita'
dell'attivita' svolta e degli oneri incontrati (che  l'indennita'  in
questione   mira,   come   e'   noto,   a   compensare   in   termini
omnicomprensivi), costituisce in sostanza una palese alterazione  dei
principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. 
    14. L'ingiustificata ed indifferenziata riduzione dell'indennita'
giudiziaria a tutti  i  magistrati,  a  prescindere  dalla  posizione
giuridico  economica  e  dal  trattamento  economico  complessivo  in
godimento,  costituisce,  altresi',  di  per  se',   violazione   del
principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Cio' in quanto, essendo la  misura  dell'indennita'  giudiziaria,
uguale per tutti i  magistrati  proprio  perche'  sono  uniformi  gli
"oneri" che essi incontrano nello svolgimento della  loro  attivita',
il paradossale risultato della omogenea riduzione percentuale  e'  di
compensare in modo minore  i  magistrati  con  minore  anzianita'  di
servizio, che sono  notoriamente  impegnati  principalmente  in  sedi
disagiate con evidente esposizione a rischi ed oneri spesso di  fatto
maggiori dei magistrati piu' anziani. 
    15. Le disposizioni di cui al comma  22  dell'art.  9  cit.,  sia
nella  parte  in  cui  incidono  sull'adeguamento  automatico   delle
retribuzioni dei magistrati, sia in ordine alla riduzione progressiva
dell'indennita' giudiziaria, configurano, infine, anche la violazione
del principio costituzionale di  tutela  dell'affidamento  ingenerato
dai comportamenti del legislatore, del  principio  costituzionale  di
leale cooperazione  tra  i  poteri  dello  Stato,  del  principio  di
ragionevolezza e del principio di uguaglianza di fronte alla legge di
cui all'art. 3 Cost. 
    15.1. Il discorso deve muovere dalla individuazione  della  fonte
cui e' riservata la disciplina e la  determinazione  del  trattamento
economico dei magistrati. In assenza  di  una  espressa  disposizione
costituzionale dedicata alla questione, il punto  di  riferimento  e'
solitamente costituito dalla ampia riserva di  legge  in  materia  di
ordinamento giudiziario, prevista dall'art. 108, primo  comma,  Cost.
E, d'altronde, la prassi  si  e'  costantemente  indirizzata  in  tal
senso. 
    Ma occorre stabilire se effettivamente questa sia  una  soluzione
costituzionalmente imposta. 
    15.2. Intanto, va rammentato che nell'Assemblea costituente vi fu
chi, in diverse fasi e occasioni, propose emendamenti che prevedevano
esplicitamente  la  riserva  alla  legge   della   disciplina   delle
retribuzioni dei magistrati. Tali iniziative  emendative  non  furono
approvate, lasciando pertanto aperta la possibilita' per l'interprete
di ricostruire la disciplina costituzionale in materia  sulla  scorta
dei principi. 
    15.3. In questa prospettiva, si deve, innanzitutto,  sottolineare
come l'attribuzione tendenzialmente esclusiva al legislatore di  tale
materia determina, come e' pacifico, la sottrazione  del  trattamento
economico dei magistrati alle procedure di contrattazione  collettiva
o di categoria; e cio' si giustifica con  il  principio  (cui  si  e'
accennato) per cui occorre evitare che i magistrati siano soggetti  a
periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri (Corte cost.,
sentenza n. 1 del 1978). 
    Tuttavia, il potere di iniziativa unilaterale del legislatore  in
tema di trattamento economico dei magistrati,  dovra'  essere  svolto
nel rispetto del principio di  affidamento  (ricavabile  dall'art.  3
Cost ovvero dall'intero impianto costituzionale) e del  principio  di
leale collaborazione tra poteri costituzionalmente rilevanti. 
    15.4. In ordine  al  primo  dei  principi  richiamati,  non  pare
revocabile in dubbio che a fronte del potere legislativo sussista una
situazione  giuridica  di  affidamento  tutelabile  dei   magistrati,
quantomeno nel senso della  esistenza  di  aspettative  generate  dai
precedenti comportamenti del legislatore, tradottisi nella previgente
disciplina legislativa fondata su uno schema prefissato  di  passaggi
di  qualifica,  progressione  economica  e  adeguamento  oggettivo  e
predeterminato  delle  retribuzioni  (per   il   riconoscimento   del
principio di tutela dell'affidamento cfr.  Corte  cost.  n.  416  del
1999; nonche', recentemente, Corte cost. n.  282  del  2005).  Tutela
dell'affidamento che, mentre  sul  piano  della  concreta  disciplina
legislativa dovra' svolgersi mediante  il  ragionevole  bilanciamento
tra opposte esigenze costituzionali (per un verso  l'indipendenza  ed
autonomia dei giudici, come si e' sottolineato; per altro  verso,  la
compatibilita' con gli equilibri della finanza  pubblica),  non  puo'
non  riflettersi  anche  sul  piano  procedimentale   attraverso   la
previsione di una idonea fase del procedimento legislativo  volta  ad
acquisire (sotto lo specifico riguardo del  trattamento  retributivo,
per quanto rileva nella presente controversia)  gli  interessi  degli
appartenenti  all'ordine  giudiziario.  Il  che  si  ricollega   alle
osservazioni svolte con riferimento  alla  disciplina  costituzionale
ricavabile dagli articoli 101, comma 2, 104, comma  1,  e  111  della
Costituzione, secondo cui il trattamento  economico  riconosciuto  ai
magistrati costituisce un aspetto della effettiva tutela  della  loro
indipendenza. 
    Il necessario  intervento  delle  rappresentanze  dei  magistrati
nell'ambito del procedimento legislativo destinato ad incidere  sulle
loro retribuzioni, replicando uno schema normativo ormai  tipicizzato
del  procedimento  amministrativo,  corrisponde,   d'altronde,   alla
effettiva natura di legge-provvedimento  non  solo,  per  quanto  qui
rileva, dell'art. 9, comma 22,  ma  in  generale  delle  disposizioni
legislative che abbiano  come  oggetto  la  concreta  disciplina  del
trattamento economico di una  circoscritta  categoria  di  lavoratori
quali i magistrati. 
    15.5. Sempre sul piano procedimentale, il pregiudizio della buona
fede e dell'affidamento rileva anche sotto altro punto di vista. 
    L'attribuzione tendenzialmente esclusiva al legislatore  di  tale
materia determina la sostituzione della fonte legislativa alla  fonte
contrattuale (tipico strumento del lavoro privato). Cio' finisce  col
far coincidere nella stessa parte (pubblica) la figura di  chi  detta
le regole del rapporto e  di  chi  tali  regole  deve  applicare  con
effetti nella sfera giuridica  di  terzi.  Appare  costituzionalmente
necessario, pertanto, che  l'impiego  dello  strumento  della  legge,
anche al fine di recuperare il carattere imparziale  della  soluzione
del  contrasto  di  interessi  di  cui  si  e'  detto,  debba  essere
accompagnato da un meccanismo correttivo idoneo a compensare  la  sua
unilateralita' e autoritativita', attraverso una presenza adeguata  e
formalizzata  dei  magistrati  nella  fase  della  trattativa   sulla
disciplina economica del rapporto. 
    15.6. Una diversa soluzione, quale quella applicata  in  sede  di
approvazione della disciplina legislativa impugnata, produce altresi'
(e per le stesse ragioni appena esposte) la  violazione  dell'art.  3
Cost.  sotto  i  due  profili  della  violazione  del  principio   di
ragionevolezza  e  della  violazione  della  parita'  di  trattamento
rispetto ad altre categorie di lavoratori (anche se si  consideri  il
solo ambito dei rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche),
le quali sono protette dal contratto contro  eventuali  modificazioni
in peius da parte dei datori di lavoro. 
    15.7. La traduzione della tutela  dell'affidamento  in  norma  di
carattere procedimentale, nei  termini  che  si  sono  detti,  appare
conforme, altresi', al principio di leale collaborazione tra i poteri
costituzionali, secondo lo schema tipico che la Corte  costituzionale
ha piu' volte affermato per quanto concerne la relazione tra Stato  e
Regioni. Sia che lo si definisca come potere giudiziario ovvero  come
ordine giudiziario, o come funzione di controllo (da  collocare,  nel
quadro della separazione dei poteri statuali, accanto  alla  funzione
normativa e alla  funzione  attuativa  delle  norme)  non  sembra  in
discussione la circostanza che  queste  formule  siano  semplicemente
riassuntive   di   una    complessiva    disciplina    costituzionale
(essenzialmente ricavabile dal Titolo  IV  della  Costituzione),  che
delinea una organizzazione complessa, caratterizzata da un dato:  che
i provvedimenti giurisdizionali (in primis le sentenze)  non  possono
essere posti nel nulla o modificati da altre autorita' (collocate  al
di fuori dell'organizzazione giudiziaria).  Il  che,  in  definitiva,
esprime  proprio  la  natura  indipendente  e  autonoma  del   potere
giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato. Indipendenza che
- come si e' piu' volte sottolineato -  deve  essere  tutelata  anche
sotto  il  profilo   del   trattamento   economico   dei   magistrati
appartenenti all'ordine giudiziario. 
    Si puo' concludere sul punto parafrasando  quanto,  recentemente,
la  Corte  costituzionale  ha  avuto  occasione  di   affermare   con
riferimento  al   principio   di   leale   collaborazione   «le   cui
potenzialita' precettive si manifestano compiutamente negli ambiti di
intervento nei quali s'intrecciano interessi ed esigenze  di  diversa
matrice (...) cui consegue l'applicazione di quel "canone della leale
collaborazione, che impone alla legge statale di predisporre adeguati
strumenti di coinvolgimento" degli esponenti o titolari delle  figure
organizzatorie costituzionalmente  implicate  "a  salvaguardia  delle
loro competenze"» (sentenze n. 278 del 2010; n. 88 del 2009 e n.  219
del 2005) (cosi' sentenza n. 33 del 2011). 
    16. In conclusione, ritenuta la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza della  questione  di  legittimita'  costituzionale  deve
essere  sospeso  il  giudizio  e  trasmessi  gli  atti   alla   Corte
costituzionale.