Ricorso  della  regione   Veneto   (c.f.   80007580279   e   p.i.
02392630279), in persona del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta
regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del
22 febbraio 2012, n. 272, rappresentata e  difesa,  come  da  procura
speciale a margine  del  presente  atto,  dagli  avv.ti  prof.  Mario
Bertolissi (c.f. BRTMRA48T28L483I) del Foro di Padova e Andrea  Manzi
(c.f.  MNZNDR64T26I804V)  del  Foro  di  Roma,  presso   quest'ultimo
domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5; 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n.
12; 
    Per la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
35, comma 8, 9, 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,  recante
«Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture  e  la  competitivita')»,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012, S.O. n. 18, per violazione degli
artt. 3, 5, 41, 42, 81, 97, 117, 118, 119,  120  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, comma 2,
Cost., e del seguente parametro interposto: legge 5 maggio  2009,  n.
42. 
 
                              F a t t o 
 
1. - Introduzione. 
    In data 24  gennaio  2012  e'  stato  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 19, S.O. n. 18, il decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,
meglio conosciuto come  «decreto  Monti»,  relativo  alle  cosiddette
«liberalizzazioni». 
    Nell'ambito del citato provvedimento normativo, la Regione Veneto
ha individuato alcune disposizioni (segnatamente i commi 8 e 9  e  10
dell'art.  35)  lesive  di  proprie  prerogative   costituzionalmente
sancite e tutelate nonche' numerosi altri profili di contrasto con il
dettato  costituzionale,  che  ridondano   in   altrettante   lesioni
dell'autonomia regionale e degli enti locali, Province e Comuni,  dei
cui interessi si fa in questa sede portatrice. 
    Per questi motivi la ricorrente si rivolge a Codesta Ecc.ma Corte
costituzionale   affinche'   intervenga   ripristinando   la    piena
conformita' a Costituzione. 
2. - Il sistema attuale di contabilita' e tesoreria regionale. 
    In via preliminare si osserva che la Regione  Veneto,  in  virtu'
della previsione di cui all'art. 52 della propria legge regionale  n.
39 del 29 novembre 2001 (recante «Ordinamento del  Bilancio  e  della
Contabilita' della Regione»), ha in corso  con  l'istituto  Unicredit
Banca  s.p.a.  un  contratto  per  l'affidamento  del   servizio   di
tesoreria, stipulato in Venezia il 17 dicembre 2008 (doc.  2),  della
durata di anni cinque, con decorrenza dal 1o gennaio 2009 e  scadenza
al 31 dicembre 2013, che  viene  svolto  secondo  le  modalita'  e  i
contenuti previsti dal  Capitolato  speciale  d'oneri  allegato  allo
stesso. 
    In adempimento a questo contratto Unicredit Banca  s.p.a.  esegue
tutt'ora, per conto della Regione Veneto, il «complesso di operazioni
connesse alla gestione  finanziaria  dell'Amministrazione  Regionale,
tra l'altro alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese,
nonche' all'amministrazione e alla custodia dei titoli e  valori  ed,
in generale, agli adempimenti previsti dalla  Legge  di  contabilita'
regionale n. 39 del 29 novembre 2001». 
    Tale   servizio   costituisce   una   fonte   di   entrata    per
l'amministrazione regionale dato che alle operazioni esecutive  degli
obblighi  contrattuali  viene  applicato  a  credito   sui   depositi
(giacenze di cassa) «un tasso attivo a  capitalizzazione  trimestrale
di interesse lordo pari a + 66 (sessantasei)  punti  base  di  spread
sull'Euribor un mese (base 365) media mese  precedente  pro  tempore»
(cfr.  art.  4  del  contratto),  verso  un  tasso  passivo  per   le
anticipazioni di tesoreria pari  a  «+  41  (quarantuno)  punti  base
sull'Euribor un mese (base 365) media mese precedente pro tempore». 
    Il contratto non prevede altri oneri, ne' commissioni bancarie  a
carico di terzi, ne' addebiti  per  incassi  o  emissioni,  RID  MAV,
commissioni pagamenti all'estero, spese postali, etc.  ne'  per  ogni
altra imposta o onere conseguente all'attivita'  oggetto  di  appalto
(cfr. art. 5 del contratto). Ne' prevede aggio o corrispettivo alcuno
per il tesoriere (cfr. art. 11 del Capitolato d'oneri, allegato D  al
contratto). 
    Conseguentemente ogni attivita'  viene  gestita  dalla  Unicredit
Banca s.p.a. attraverso la propria filiale di Venezia,  sita  in  San
Marco - Mercerie dell'Orologio, 191, presso la  quale  e'  aperto  il
conto corrente speciale n. 000100537110 sul  quale,  quotidianamente,
corrisponde  la  Direzione  Ragioneria   della   Regione,   sia   per
l'esecuzione dei mandati  emessi,  sia  per  la  registrazione  delle
reversali di incasso, che  per  ogni  altra  operazione  inerente  al
rapporto. 
    Come da estratto conto al 31 dicembre 2011 (doc. n.  3),  a  fine
anno questo presentava un  saldo  di € 346.659,50  a  fronte  di  una
movimentazione nel mese di dicembre  2011  di €  1.469.623.076,07  in
entrata  e  di €  1.481.967.129,32  in  uscita,   che   corrispondono
all'andamento medio mensile della finanza regionale,  che  opera  per
bilancio di cassa con circa 14 miliardi di euro all'anno. 
    Quanto alle risorse amministrate queste provengono da piu' fonti:
accanto alla entrate per trasferimenti  dallo  Stato,  si  registrano
anche  entrate  proprie,  distinguibili  perche'  derivanti  sia  dai
tributi, sia da entrate patrimoniali conseguenti a rapporti, vuoi  di
diritto pubblico vuoi di diritto privato. 
    Quanto alle entrate da tributi propri, queste derivano  in  buona
parte da imposte quali: l'addizionale regionale IRPEF (per un gettito
di circa due miliardi di euro) e l'IRAP, entrambe incassate  a  mezzo
dell'Agenzia  delle  Entrate;  tributi  riscossi  direttamente  dalla
Regione avvalendosi della tesoreria, quali,  ad  esempio,  il  «bollo
auto» (per un gettito nel 2011 di 676,05 milioni di euro circa) e  le
varie tasse  di  concessione  regionale,  tasse  universitarie  e  di
abilitazione, il tributo speciale per il deposito  in  discarica  dei
rifiuti, le accise per gasolio e benzina, l'addizionale regionale sul
gas metano ed altre entrate proprie registrate al  Titolo  1°  fra  i
tributi propri (per un gettito di 284,5 milioni di euro circa). 
3. - La novella governativa. 
    3.1.  Come  rammentato  in  premessa,  di  recente   il   Governo
nazionale, con il qui gravato decreto-legge 24 gennaio  2012,  n.  1,
all'art. 35, commi 8, 9 e 10, ha  introdotto,  a  sedicenti  fini  di
«tutela dell'unita' economica della Repubblica  e  del  coordinamento
della finanza pubblica»,  disposizioni  a  contenuto  sostanzialmente
ablativo delle risorse regionali. Cio' senza soprattutto  distinguere
-  e  qui  la  peculiare  gravita'  dell'iniziativa  -  fra   risorse
provenienti dallo Stato e risorse che sono il provento dell'attivita'
propria dell'amministrazione regionale. 
    Per opportuna ricognizione si riportano per intero,  al  fine  di
una loro piu' precisa contezza, i commi 8, 9 e 10 del menzionato art.
35: 
    «8. Ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica e
del coordinamento della finanza pubblica, a decorrere dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2014, il
regime di  tesoreria  unica  previsto  dall'articolo  7  del  decreto
legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e' sospeso.  Nello  stesso  periodo
agli enti e organismi pubblici soggetti al regime di tesoreria  unica
ai sensi del citato articolo 7 si applicano le  disposizioni  di  cui
all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984,  n.  720  e  le  relative
norme amministrative di attuazione. Restano escluse dall'applicazione
della presente disposizione le disponibilita'  dei  predetti  enti  e
organismi pubblici rivenienti da operazioni di mutuo, prestito e ogni
altra forma di indebitamento non  sorrette  da  alcun  contributo  in
conto capitale o in conto  interessi  da  parte  dello  Stato,  delle
regioni e delle altre pubbliche amministrazioni. 
    9. Entro il 29 febbraio 2012 i tesorieri o cassieri degli enti ed
organismi pubblici di cui al comma 8 provvedono a versare il  50  per
cento delle disponibilita' liquide esigibili  depositate  presso  gli
stessi alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto  sulle
rispettive  contabilita'  speciali,  sottoconto  fruttifero,   aperte
presso la tesoreria statale. Il versamento della quota rimanente deve
essere effettuato entro il 16 aprile 2012. Gli eventuali investimenti
finanziari individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze - Dipartimento del Tesoro da emanare entro il 30 aprile 2012,
sono  smobilizzati,  ad  eccezione  di  quelli  in  titoli  di  Stato
italiani, entro il 30 giugno 2012 e le relative risorse versate sulle
contabilita' speciali aperte presso la tesoreria  statale.  Gli  enti
provvedono al riversamento presso i tesorieri e cassieri delle  somme
depositate presso soggetti diversi dagli stessi tesorieri o  cassieri
entro il 15 marzo 2012. 
    10.  Fino  al   completo   riversamento   delle   risorse   sulle
contabilita' speciali di cui al comma 9, per far fronte ai  pagamenti
disposti dagli enti ed organismi  pubblici  di  cui  al  comma  8,  i
tesorieri o cassieri  degli  stessi  utilizzano  prioritariamente  le
risorse  esigibili  depositate  presso  gli  stessi  trasferendo  gli
eventuali vincoli di destinazione sulle somme  depositate  presso  la
tesoreria statale». 
    3.2. Come appare dalla lettura dei tre commi  sopra  esposti,  il
linguaggio utilizzato non e' dei piu' chiari e lineari. 
    Comunque sia, il significato concreto  di  tali  disposizioni  e'
ricavabile dal contenuto degli artt. 7, 8 e 9 del decreto legislativo
7 agosto 1997, n. 279 (recante «Nuove  modalita'  di  attuazione  del
sistema di tesoreria  unica»),  il  quale,  derogando  al  regime  di
tesoreria unica di cui alla previgente legge 29 ottobre 1984, n. 720,
aveva, in sintesi, previsto che le Regioni,  attraverso  un  percorso
istituzionale ben definito, potessero, in modo  progressivo,  dotarsi
di una propria tesoreria, in corrispondenza  al  maggior  livello  di
autonomia da queste conseguite: a) sia a coronamento degli ambiti  di
competenza nel frattempo trasferiti dallo  Stato,  anche  in  materia
tributaria; b) sia  in  adeguamento  al  nuovo  quadro  istituzionale
proveniente dai cd. «Decreti  Bassanini»  (in  particolare  legge  n.
59/1997 e decreto legislativo n. 112/1998); c) sia in  ragione  della
prevista modifica dell'assetto costituzionale delle autonomie  locali
poi trasfuso nella modifica del Titolo V della  seconda  parte  della
Costituzione. 
    In  breve,  attraverso  il  meccanismo  introdotto  dal   decreto
legislativo n.  279/1997,  dapprima  in  via  sperimentale  ai  sensi
dell'art.  9,  quindi   attraverso   successivi   provvedimenti   del
Presidente del Consiglio dei Ministri, intercorsi tra il  1999  e  il
2001 (transitati attraverso le procedure di cui all'art. 8), tutte le
entrate della Regione, comprese quelle proprie (ai sensi dell'art.  7
originariamente non destinate ad essere versate nella tesoreria unica
nazionale), sono state  gestite  in  sede  locale  attraverso  propri
servizi di tesoreria. 
    Viceversa,  dal  novello  impianto  normativo  dell'art.  35  del
decreto-legge n. 1/2012 si ricava, in tutta evidenza, come  l'effetto
proprio dei commi 8,  9  e  10  sia  oggi  essenzialmente  quello  di
concentrare  presso   la   tesoreria   unica   dello   Stato   (sulle
«contabilita' speciali (...) aperte  presso  la  tesoreria  statale»)
tutto il patrimonio in numerarlo della Regione: a) quello formato  da
trasferimenti dello Stato; b) il  portato  delle  entrate  tributarie
proprie; e c) il  risultato  della  propria  attivita'  afferente  ai
rapporti esclusivi, di diritto pubblico o di diritto privato. 
    Il comma 9 dell'art. 35 rivolge all'attuale tesoriere l'ordine di
consegnare l'ammontare della  cassa  che  deteneva  presso  il  conto
corrente  intestato  alla  Regione  il  24  gennaio  2012,  con   due
versamenti da effettuarsi, il primo al 29 febbraio 2012,  il  secondo
entro il 16 aprile successivo; senza dire della smobilizzazione degli
investimenti  finanziari   da   individuarsi   con   futuro   decreto
ministeriale. Il tutto in spregio alla circostanza che  detto  ordine
interviene su un rapporto soggettivo di diritto privato che lega  tra
loro due portatori di diritti soggettivi ed autonomi. 
    Il comma 10 impone, infine, alla  banca  tesoriere  di  agire  su
somme che non sono oggetto di  trasferimento  immediato,  in  patente
violazione  dell'autonomia   contrattuale   delle   parti   e   della
circostanza che lo Stato,  per  volere  della  Costituzione,  non  ha
potere sulle modalita' organizzative e contabili con cui  la  Regione
gestisce il proprio patrimonio, a partire dall'indicazione dei  tempi
e delle modalita' con cui dare luogo ai pagamenti. 
    A cio' si accompagna la circostanza che, ad oggi, non sono  stati
affatto comunicati, per  converso,  all'amministrazione  regionale  i
tempi e i modi per poter continuare a svolgere le proprie funzioni di
entrata e di spesa attraverso la tesoreria unica dello Stato. 
    3.3. Va osservato, infatti, a riguardo, che alla Regione, al fine
di dare esecuzione al decreto-legge,  non  e'  ancora  pervenuta  una
formale comunicazione da parte dello Stato circa le modalita' con cui
sara' attivato e gestito il servizio di tesoreria  unica  sostitutivo
di quella  propria.  Questa,  infatti,  attivata  a  seguito  di  una
procedura  ad  evidenza  pubblica   e   poi   disciplinata   in   via
contrattuale, non viene contestualmente soppressa e  viene  piuttosto
lasciata in sospensione in una sorta di «limbo giuridico». 
    Che  manchi  del  tutto  una  qualsiasi  forma  di  raccordo  tra
Ministero dell'economia e destinatari degli effetti  della  norma  e'
altresi' testimoniato  da  un  «Messaggio  urgente  da  inviare  alle
direzioni e agli uffici  organizzazione  e  tesoreria  enti  soggetti
utenti del SITRAD» (doc. n. 4), privo di data  e  di  firma,  con  il
quale l'ABI  (l'associazione  delle  banche  italiane)  ha  informato
Unicredit Banca s.p.a. circa  i  «Criteri  di  versamento  presso  le
contabilita' speciali degli enti» in «attuazione» dell'art. 35, commi
8 - 13, del decreto-legge  n.  1/2012.  Espone,  infatti,  il  citato
messaggio  quanto  l'ABI  avrebbe  «appreso  per  le  vie  brevi  dai
competenti uffici ministeriali»:  segno  tangibile  di  una  assoluta
mancanza di indicazioni attuative provenienti da parte di chi avrebbe
dovuto  esercitare  la  dovuta  attivita'   di   informazione   circa
l'esecuzione del provvedimento legislativo. 
    A questo riguardo spiace poi dover notare che le informazioni per
«le vie brevi» fornite dai «competenti uffici ministeriali»  (quali?)
sarebbero peraltro state date dopo  essere  state  «condivise  con  i
rappresentanti (...) della Conferenza delle Regioni» (quando?). 
    Malgrado queste fantasiose affermazioni, nulla di cio' e' affatto
avvenuto.  Qualora  fosse  stato  espresso  un   consenso   in   sede
istituzionale dalle Regioni,  questo  si  sarebbe  dovuto  quantomeno
tradurre in un verbale di incontro, in una  nota  scritta  o  in  una
qualsiasi altra forma di documento,  dei  quali  non  vi  e'  traccia
alcuna. 
    Tant'e' che solo da queste non meglio  identificate  «vie  brevi»
l'amministrazione regionale veneta  e'  venuta  a  conoscenza  che  i
tesorieri dovranno, «indipendentemente da autorizzazione degli enti»,
far pervenire entro il 29 febbraio alla tesoreria dello Stato il  50%
delle somme esistenti presso la  banca  che  svolge  le  funzioni  di
tesoreria, come ricavate dalla «situazione di chiusura del giorno  24
gennaio (TI)» ed aventi «ad oggetto le somme esistenti alla  chiusura
del giorno di versamento (T2)». 
    Il messaggio dell'ABI, poi, oltre a non dare - come rilevato - le
essenziali disposizioni attuatine,  si  prodiga,  invece,  a  fornire
istruzioni gravemente lesive degli obblighi  negoziali  previsti  nel
contratto di prestazione del servizio di  tesoreria,  laddove  queste
impongono alle banche associate e, nel caso di  specie  ad  Unicredit
banca s.p.a., adempimenti ultronei rispetto al  decreto-legge,  senza
averne - all'evidenza - la necessaria forza e legittimazione. 
    Inter alia, secondo l'ABI, (ma non ai sensi  del  decreto-legge),
che nuovamente  riferisce  le  indicazioni  di  non  meglio  definiti
«competenti uffici ministeriali», il trasferimento  de  quo  riguarda
anche le somme pignorate presso il  tesoriere,  malgrado  il  vincolo
giudiziario di indisponibilita' gravante sulle stesse, a meno di  non
presupporre (ma nuovamente il decreto-legge in questo senso non  dice
nulla) il trasferimento  ex  re  alla  tesoreria  unica  anche  degli
obblighi del terzo pignorato. 
    Tutto cio'  in  spregio  a  precisi  valori  costituzionali,  nei
termini di cui alle censure di seguito esposte, tali da  pregiudicare
l'ordine delle  competenze,  formali  e  sostanziali,  della  Regione
Veneto e degli  enti  locali,  nonche'  l'autonomia  contrattuale  di
soggetti pubblici e privati. 
 
                            D i r i t t o 
 
1. - Una indispensabile premessa. 
    Sostiene Silvio Trentin  che  non  e'  diritto,  ma  una  pura  e
semplice manifestazione di forza materiale, cio' che non  corrisponde
a un agire razionale, che e' tale quando si dimostra coerente con  le
regole del gioco (1) . Ed aggiungeva, parlando dello Stato:  «E'  per
questo  motivo  che  quest'ultimo,  pena  il  rendersi  completamente
estraneo alla Societa', quindi  il  cessare  di  essere  Stato,  deve
sempre piu' organizzarsi come un ordine delle autonomie»  (2)  .  Non
puo' sorprendere, dunque, questa ulteriore annotazione, che da' conto
di cio' che nella storia d'Italia e' sempre accaduto, vale a dire che
appaiono  e  sono  istituzioni  gracili  lo   Stato-apparato   e   lo
Stato-ordinamento (3) : «Il problema eterno dello  Stato  e'  proprio
quello di insediare lo Stato nella Societa', e'  quello  di  impedire
che l'ordine di integrazione implichi la sparizione,  l'annientamento
degli ordini integrati» (4) .  Tra  tante  condizioni,  ve  n'e'  una
esemplare, che va rispettata: e' la clausola delle  clausole,  quella
su cui si fonda il  patto  costituzionale  -  il  foedus  -,  che  si
riassume  nel  noto  brocardo  pacta  sunt   servanda.   Se   ragioni
contingenti oppure sistemiche suggeriscono o addirittura impongono un
mutamento di aspetti essenziali delle regole del gioco  lo  si  fara'
dialogando, nel rispetto - come la Corte costituzionale ha  da  tempo
immemorabile affermato - del principio di leale  collaborazione.  Non
certo operando alla luce di un altrettanto noto adagio: l'Etat  c'est
moi, oltretutto svilito da un testo primitivo, quale  e'  l'art.  35,
co. 8, 9 e 10 in particolare, del decreto-legge 24 gennaio  2012,  n.
1, dedicato a un vecchio arnese: la tesoreria unica. 
    Nell'esaminare il dettato normativa, il meno che  possa  accadere
e' che si riprendano massime tralatizie, ignorando  quel  che  le  ha
rese tali, secondo uno  schema  mentale  che  fa  della  fissita'  il
criterio ordinatore degli eventi: secondo, appunto,  una  prospettiva
collaudata, che vede  la  dottrina  «sempre  tarda  a  teorizzare  la
realta'» (5) .  Infatti,  quest'ultima  rappresenta  il  contenitore,
all'interno del quale e' stato calato dal Governo,  tra  l'altro,  il
disposto secondo  cui  «fino  al  31  dicembre  2014,  il  regime  di
tesoreria unica previsto dall'articolo 7 del  decreto  legislativo  7
agosto 1997, n. 297 e' sospeso», mentre «si applicano le disposizioni
di cui all'articolo 1 della legge  29  ottobre  1984,  n.  720  e  le
relative norme amministrative  di  attuazione»  (art.  35,  comma  8,
decreto-legge n. 1/2012). Dunque, un testo normativo fu in vigore dal
1984, uno ulteriore rinnovato dal 1997, quello  impugnato  dinanzi  a
Codesta  Corte  e'  operante   dall'entrata   in   vigore   dell'atto
governativo avente forza di legge:  dall'anno  2012.  Successione  di
atti  normativi,   modificazione   di   regime   giuridici,   ritorno
all'antico, giustificato piu' o meno cosi': lo Stato  ha  bisogno  di
cassa. Di liquidita'. 
    Come un tempo e con le ragioni di allora? (6) . Il Giudice  delle
leggi, nel definire  nei  suoi  caratteri  essenziali  il  regime  di
tesoreria unica di cui alla  legge  n.  720/1984,  con  la  sent.  n.
132/1993 ha precisato che  «la  ratio  del  complesso  di  norme  ora
ricordato e' quella di consentire allo Stato,  in  riferimento  a  un
interesse  dell'intera  comunita'  nazionale,  il   controllo   della
liquidita' e  la  disciplina  dei  relativi  flussi  monetari  e,  in
particolare, di evitare che somme reperite dallo Stato attraverso  il
ricorso al mercato finanziario e comportanti, pertanto, il  pagamento
di onerosi interessi da  parte  dello  Stato  stesso,  finiscano  per
giacere  presso  i  tesorieri  regionali,  dando  cosi'  vita  a  una
produzione  di  interessi  a  favore  delle  Regioni  scaturente,  in
definitiva, da erogazioni di somme prese a prestito dallo Stato».  Ed
ha aggiunto: «Questo  circolo  vizioso  delle  finanze  pubbliche  e'
impedito  dal  "sistema  della  tesoreria  unica",  il   quale,   per
riprendere valutazioni gia' espresse da questa Corte ..., e' ispirato
alla "esigenza  fondamentale  per  lo  Stato  (di)  limitare  l'onere
derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva
capacita' di spesa degli enti (regionali)". Tale esigenza e le  norme
di legge che ad essa si ispirano sono, dunque, espressione del potere
di coordinamento della finanza regionale con quella nazionale e degli
enti locali, che  l'art.  119  della  Costituzione  attribuisce  allo
Stato». 
    Dunque, la finalita' era quella di evitare  un  «circolo  vizioso
delle finanze pubbliche» - un cortocircuito - in caso  di  «provvista
anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacita' di spesa» delle
Regioni, in un contesto di finanza  territoriale  caratterizzato  non
dall'autonomia del prelievo tributario, ma -  pure  la  Corte  lo  ha
ripetutamente riconosciuto, oltretutto dopo l'entrata in vivore della
legge  costituzionale  n.  3/2001  -  da  una  larva  prevalenza  dei
trasferimenti erariali. Del resto, e' scritto a  chiare  lettere  nei
lavori preparatori e nel testo della  legge  di  delega  n.  42/2009,
avente ad oggetto l'attuazione dell'art. 119 Cost. (7) .  L'interesse
tutelato era  quello  generale,  che  trovava  la  sua  piu'  limpida
giustificazione nella necessita' di non dissipare  risorse  pubbliche
pagando - a chiunque, fossero pure soggetti pubblici - interessi,  da
finanziare, comunque, attraverso la fiscalita'. Perche', c'e'  sempre
qualcuno che  paga  (8)  .  Si  era  in  presenza  di  interessi  non
frazionabili. 
    Condivisibili o meno che fossero quegli  assunti  (9)  (si  dira'
oltre in che termini comunque criticabili), e' fuori discussione  che
non possono essere - il discorso si fa rigoroso, perche'  impiega  le
categorie del ragionamento scientifico - trasferiti omisso medio  nel
2012. Tra il 1984 e il 2012 non solo sono passati poco  meno  di  una
trentina  d'anni;  non  solo   si   sono   verificati   i   mutamenti
istituzionali, economici e sociali ordinari; non solo e'  intervenuta
nel 2001 una riforma del Titolo V della Parte II della  Costituzione;
si sono prodotti anche eventi che hanno interferito  sulle  relazioni
tra Stati e, all'interno degli Stati, tra i livelli di governo  ed  i
cittadini, soprattutto quando costoro sono contribuenti:  come  tali,
destinati a sobbarcarsi, nonostante  le  tante  partite  del  dare  e
dell'avere che spesso si traducono  in  partite  di  giro,  il  grave
fardello del  debito  pubblico,  ora  comunemente  denominato  debito
sovrano (10) . E' con  il  debito  sovrano  che  ha  a  che  fare  la
tesoreria unica dell'anno di grazia 2012. 
    Si tratta di un rilievo - decisivo, a parere della  difesa  della
Regione Veneto - che si puo' spiegare con solare limpidezza. 
    Da un lato, riprendendo una millimetrica annotazione  (11)  ,  si
deve essere ben consapevoli che  «i  motivi  per  cui  Mario  Draghi,
presidente della Bce, ha aperto il rubinetto  della  liquidita'  sono
molti. Innanzi tutto  bisognava  salvare  molte  banche  che  stavano
morendo per asfissia finanziaria: nessuno prestava piu' loro i  soldi
necessari per vivere. Tanti analisti sono convinti che senza  il  suo
intervento di emergenza,  il  2012  avrebbe  registrato  piu'  di  un
fallimento bancario in Europa. Inoltre  bisognava  creare  liquidita'
per favorire l'acquisto di titoli di Stato: rendimenti al 7% e  oltre
erano insostenibili per Paesi come l'Italia o la Spagna. Dato che  la
Bce piu' di tanto non poteva comprare BTp, ha dovuto  finanziarie  le
banche perche' lo facessero al posto suo. Questi due  obiettivi  sono
gia' stati raggiunti: lo dimostra l'euforia che c'e' sul mercato  dei
titoli di Stato e sulle banche. E' pero' il terzo  obiettivo,  quello
piu' strutturale, che ancora manca all'appello: la politica della Bce
raggiungera' veramente l'obiettivo solo  quando  fara'  ripartire  il
circuito  del  credito.   Insomma:   quando   i   soldi   arriveranno
all'economia reale. La logica della Bce  e'  questa:  le  imprese  in
Europa ottengono 1'87% dei finanziamenti  in  banca  (contro  il  24%
negli Stati Uniti), per cui se gli istituti sono  impossibilitati  ad
erogare  credito,  le  imprese  muoiono.  Salvando  le  banche,   con
maxi-prestiti agevolati, la Bce spera  dunque  di  far  ripartire  il
motore della crescita. Che  questo  accada,  pero',  non  e'  affatto
scontato» (12) . 
    D'altro lato, non si deve dimenticare (13) che: «Dal 2007 al 2011
i contribuenti europei hanno  speso  duemila  miliardi  di  euro  per
salvare le banche,  l'equivalente  del  nostro  debito  pubblico.  In
Italia non e' stato speso un euro, grazie al nostro prudente  modello
di banca commerciale e all'attenta azione di vigilanza  svolta  dalla
Banca d'Italia. Se altrove gli Stati  hanno  salvato  le  banche,  in
Italia le banche hanno evitato il collasso del  debito  pubblico.  Di
cio' l'Italia deve essere orgogliosa» (14) . 
    Ergo: in estrema sintesi e con molte  approssimazioni,  anche  in
Italia, dopo il 2008 il debito pubblico si e' impennato a  tal  punto
da essere comunemente  definito  sovrano,  perche'  dello  Stato;  in
Italia, una quota-parte  significativa  e'  nelle  mani  del  sistema
bancario; i principali istituti di credito e  il  sistema  creditizio
nel suo insieme  sono  gravati,  in  termini  di  affidabilita',  dal
rischio-Paese,  che  ha  determinato   declassamenti   in   sede   di
attribuzione del rating, che hanno accresciuto il gia' enorme debito.
Tutto questo ed altro ancora,  unitamente  alla  crisi  economica  in
atto, ha posto all'ordine del giorno i temi della  liquidita'  e  del
rischio, che hanno inciso pesantemente sul  rapporto  banche-imprese,
cui non e' estraneo il settore pubblico, che acquisisce presso  terzi
beni, prestazioni e servizi, e non paga. O paga con tempi biblici. 
    Buon senso vorrebbe che le varie esigenze in  campo  fossero  tra
loro coordinate e che non si impartissero ordini  contraddittori.  Ad
esempio, alle banche, di acquistare titoli del debito pubblico  e  di
fare credito, ad un tempo, ed anche di  finanziare  le  imprese,  ben
sapendo che cio' e'  possibile  se  c'e'  liquidita'.  Ma  le  banche
usufruiscono di una liquidita' relativa, oltretutto perche' e'  erosa
da enormi sofferenze dei crediti e dal costo via via crescente  della
raccolta. Lapalissiano concludere che di tutto hanno bisogno le parti
che hanno stipulato il contratto di tesoreria, la Regione Veneto e il
tesoriere, meno che  di  vedersi  sottratte  le  risorse  finanziarie
depositate, che consentono a ciascuna di esse di  operare  impiegando
le  stesse  a  beneficio  dell'economia  reale.  La  Regione  paga  i
fornitori il tesoriere accorda  finanziamenti.  Da  questo  punto  di
vista, la centralizzazione del  comando  e  la  disponibilita'  della
cassa da parte dello Stato, se fa bene a quest'ultimo, fa  male  alla
Regione  e  all'economia  della  collettivita'   di   cui   e'   ente
esponenziale. 
    Tanto basta a rendere evidente quel che si e'  premesso:  vale  a
dire che il quadro di riferimento cui la Corte deve  ricollegarsi  e'
caratterizzato da peculiarita' tali  da  renderlo  incomparabile  con
esperienze del passato. In ogni caso, vale la pena  di  ricordare,  a
mo' di rassegna, quel che si e' detto e scritto a caldo, a  proposito
del contenuto dell'art. 35, commi 8, 9 e  10,  del  decreto-legge  n.
1/2012: ad esempio, che, «come non si possono introdurre imposte  che
colpiscano in modo incoerente i contribuenti solo  perche'  serve  il
gettito, cosi' non si possono punire solo gli enti locali "colpevoli"
di avere liquidita' e di gestirla con contratti  locali  vantaggiosi»
(15) ; che si e' prodotto un «danno  morale  e  costituzionale»,  dal
momento che e' lesa l'autonomia finanziaria di enti  garantiti  dalla
legge fondamentale (16) ; che,  oltretutto,  simili  misure,  in  una
scala di efficacia che va da alto-medio-basso, hanno un grado «basso»
(17) ; che la marcia verso il federalismo  -  cosiddetto,  ad  essere
sinceri - e' «interrotta (forse per sempre)» (18) . 
    L'Ecc.ma Corte consideri, infine, questo dato. Si e' osservato  -
in tempi lontani, con grande lucidita' - che, «proprio nei momenti di
grave crisi fiscale dello Stato, si registra la tendenza ad aumentare
l'entita' dei tributi propri degli enti minori», e cio'  «non  sempre
in termini  di  autonomia  tributaria»,  ove  «ad  una  riduzione  o,
comunque, ad un non  aumento  di  trasferimenti  dallo  stato  faccia
riscontro una fonte alternativa di risorse su cui l'ente locale possa
contare per finanziare le maggiori spese "obbligatorie"»  (19)  .  E'
cio' che si e' avverato, a causa della terribile crisi  in  atto.  La
singolarita' sta nel fatto che le risorse cosi' acquisite pure  dalle
Regioni - e dalla Regione Veneto, in particolare - vengono  assorbite
dallo Stato per essere dallo stesso impiegate: pronta cassa. In  modo
conforme a Costituzione?  Pare  proprio  di  no,  per  le  specifiche
ragioni che saranno a breve indicate. 
2. - Ancora e piu'  specificamente  sull'anacronismo  dei  precedenti
giurisprudenziali. 
    L'incostituzionalita' del sistema di tesoreria unica di cui  alla
legge n. 720/1984 rispetto, in generale, all'assetto delle competenze
(sul  piano  legislativo,  amministrativo,  fiscale)   Stato-Regioni,
voluto dalla novella costituzionale  del  2001,  diviene  ancor  piu'
evidente se  solo,  nella  prospettiva  diacronica  del  diritto,  si
considerano, sia pure brevemente,  le  tappe  che  segnarono  la  sua
introduzione e i rilievi critici con cui fu stigmatizzata. 
    Con riguardo alle Regioni, infatti, la  tesoreria  unica  non  fu
imposta uno actu ed ex abrupto,  bensi'  in  via  progressiva,  quale
sorta  di   nodo   scorsoio   al   collo   dell'autonomia   regionale
costituzionalmente (sulla carta) garantita. 
    Dapprima fu la legge n. 629/1966 (recante Norme circa  la  tenuta
dei conti correnti con il  Tesoro):  introduceva  l'obbligo  per  «le
amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo
e le gestioni speciali  dello  Stato,  di  tenere  le  disponibilita'
liquide in conti correnti con il Tesoro» (art. 1) e «per gli enti che
sotto qualsiasi forma beneficiano di contributi (...)  a  carico  del
bilancio dello Stato» di tenere le disponibilita'  liquide  in  conti
correnti con il Tesoro, «limitatamente all'ammontare  dei  contributi
medesimi» (art. 2). 
    Di  essa,  concordemente,  dottrina  e  giurisprudenza  esclusero
l'obbligatoria applicabilita' alle Regioni (20) , perche' «una simile
interpretazione  (che  avrebbe  condotto  a  ritenere  precluso  alle
Regioni di disporre di una propria tesoreria in cui fare affluire  le
somme liquide di propria pertinenza) confliggeva palesemente non solo
col comportamento di fatto tenuto  dalle  Regioni,  che  con  proprie
leggi  avevano  disciplinato  il  servizio  di  tesoreria  e  avevano
stipulato apposite convenzioni con istituti bancari, ma altresi'  con
l'art. 33 della legge statale n.  335  del  1976  sulla  contabilita'
delle Regioni, secondo il quale "la  legge  regionale  disciplina  il
servizio di tesoreria delle Regioni"» (21) . 
    Di fatto, tuttavia, la situazione  era  di  segno  diametralmente
opposto a causa degli inviti «ripetuti e pressanti» del Governo  alle
Regioni «affinche' esse - anziche' chiedere il versamento di tutte le
entrate loro spettanti presso le tesorerie regionali - aprissero  dei
conti correnti (fruttiferi) con il tesoro nei quali tenere depositate
le somme assegnate dallo Stato» (22) . 
    Ne' manco' chi, tempestivamente, rilevasse  come  tali  richieste
governative tenessero «celate le  intenzioni  -  noi  rivelatesi  nei
fatti - di generalizzare indiscriminatamente i depositi  a  tutte  le
risorse derivanti dal bilancio dello Stato» (23) . 
    Altri si dolevano del fatto che era stata  compiuta  «in  realta'
una ricostruzione dell'attuale  situazione  nel  settore  in  termini
cosi' lontani dalla realta' effettiva  che  il  rischio  e'  che  gli
organi governativi  possano  trovarvi  una  insperata  legittimazione
proprio dalla permanenza dell'attuale stato di fatto» col rischio «di
perpetuare ancora una ambigua situazione di fatto anticostituzionale»
(24) . 
    Fu la legge di riforma del bilancio dello Stato (n. 468 del 1978)
a introdurre, con l'art. 31, l'imposizione dell'obbligo alle  Regioni
di tenere le somme trasferite dallo  Stato,  in  conti  correnti  non
vincolati con il  Tesoro;  la  legge  finanziaria  per  il  1981  (n.
119/1981), con l'art. 40,  a  disporre  l'imposizione  di  un  limite
quantitativo alle disponibilita' che le  Regioni  potevano  mantenere
presso i propri tesorieri; la disciplina successiva  ad  estendere  a
tutto il settore pubblico allargato il sistema della tesoreria  unica
(legge n. 720/1984, con gli interventi di modifica e integrazione che
ne seguirono). 
    A  cio'  si  aggiunsero   ulteriori   restrizioni   all'autonomia
finanziaria regionale. 
    Fra esse, segnatamente,  vanno  rammentate  le  seguenti:  a)  il
carattere infruttifero dei conti aperti con il Tesoro (a partire  dal
d.m. del Tesoro 11 aprile 1981 in Gazzetta Ufficiale 4  maggio  1981,
n. 120);  b)  i  vincoli  relativi  alle  modalita'  e  ai  tempi  di
prelevamento e all'entita' delle somme prelevabili dalle Regioni  dai
conti correnti (a partire dall'art.  26  decreto-legge  n.  786/1982,
convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n.  51);
c)  i  margini  di  discrezionalita'   del   Ministero   del   Tesoro
nell'erogazione delle somme richieste (v. il d.m. e il  decreto-legge
supra citati); d) le progressive contrazioni del quantitativo massimo
imposto all'entita' delle disponibilita' liquide, fino ad arrivare al
3% dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio  di  competenza
(la legge n. 730/1983 ridusse il limite dal 12% al 6%;  la  legge  n.
720/1984 dal 6% al 4%). 
    Gia' in allora gli argomenti usati da Codesta Corte per «salvare»
dall'illegittimita' costituzionale la disciplina del  servizio  unico
di tesoreria furono di stampo contingente e  scarsamente  propensi  a
valorizzare i profili di  autonomia  riconosciuti  dalla  Carta  alle
Regioni e agli enti locali. 
    In tempi non sospetti, si ritenne di  concludere  che  si  poteva
«anche non mettere in discussione la soluzione legislativa e l'avallo
di legittimita' della Corte a patto che si dicesse  "con  franchezza"
che se la legge di contabilita' generale si deve intendere conforme a
Costituzione, allora significa, che il sistema finanziario  in  atto,
cosi' come si pretende delineato dal costituente, e'  quello  proprio
di un ordinamento unitario e non autonomistico"» (25) . 
    A maggior ragione oggi, le massime giurisprudenziali elaborate in
subiecta   materia   e   tralatiziamente    ripetute    negli    anni
Ottanta/Novanta, perdono in toto  di  pertinenza,  depotenziate  come
sono,  oltre  che  dai  limiti  intrinseci  che  nel   prosieguo   si
evidenzieranno, dall'anacronismo da cui sono affette, a meno  di  non
voler assegnare loro un'efficacia dogmatica che non hanno. 
    In particolare, le istanze  governative  di  aprire  un  apposito
conto corrente  presso  la  tesoreria  centrale  vennero  considerate
legittime  «per  il  prevalente  motivo  che  il  tenore  degli  atti
impugnati [due telegrammi  ministeriali  contenenti  gli  inviti  dei
quali si e' detto] e' tale da  esprimere  un  invito,  piuttosto  che
un'imposizione»,  trattandosi  di  «direttive  non  vincolanti»   non
finalizzate a «disporre in via diretta ed imperativa l'istituzione di
un conto corrente per ciascuna Regione» (cfr. sent. n. 155 del 1977).
Sennonche',  cosi'  facendo,  si  celava,  dietro  a   qualificazioni
puramente formali, la realta' fattuale del blocco delle erogazioni da
parte dello Stato alle Regioni  fino  al  momento  della  sollecitata
apertura del conto corrente presso la tesoreria centrale  e,  quindi,
la reale vincolativita' dei cosiddetti inviti. 
    Ancora.  Si  fece  salvo  l'art.  31  della  legge  n.  468/1978,
nonostante realizzasse  «per  via  di  imposizione  autoritaria  quel
risultato che precedentemente il  Tesoro  aveva  perseguito  mediante
inviti  alle  Regioni»  (26)  ,  perche'  «l'obbligo  di  tenere   le
disponibilita' liquide in conti correnti non vincolati con il  tesoro
e' limitato ad assegnazioni, contributi e quant'altro provenienti dal
bilancio dello Stato, e non  tocca  in  alcun  modo  fondi  di  altra
provenienza» (sent. n. 162 del 1982), sebbene tutti sapessero che  la
finanza regionale era quasi esclusivamente  finanza  derivata,  cioe'
finanza di trasferimento dal  bilancio  dello  Stato,  con  l'effetto
conseguente che il limite imposto riguardava, in  realta',  la  quasi
totalita' delle risorse regionali. 
    Si giustifico' l'art. 31 della legge n.  468/1978  in  forza  del
potere  statale  di  «coordinare  la  finanza  regionale  con  quella
statale» (art. 119 Cost.) in funzione di indispensabili  economie  di
spesa (sent. n. 162 del 1982, confermata dalle sentenze  successive).
Un tanto, tuttavia,  senza  nel  contempo  dichiarare  la  criticita'
implicita nella premessa dell'argomento usato, vale a dire che, cosi'
inteso, il potere di coordinamento della finanza pubblica  veniva  (e
viene) concepito «come funzione organizzativa a se',  riservata  allo
Stato, esercitabile unilateralmente  e  suscettibile  di  sovrapporsi
all'organizzazione e al funzionamento  dei  poteri  locali  delineati
nella Costituzione», finendo, quindi, col costituire  «in  ogni  caso
una ragione di potenziale e  permanente  compressione  dell'autonomia
finanziaria locale, il cui contenuto  non  potrebbe  essere  valutato
alla stregua di parametri costituzionali sostanziali  predeterminati,
bensi' definito lungo la linea variabile delle  scelte  discrezionali
operate di volta in volta dal legislatore» con l'avallo  del  Giudice
delle leggi (27) . 
    Si dichiaro' la legittimita' anche dell'art. 40  della  legge  n.
119/1981 in quanto espressione del potere  riservato  allo  Stato  di
«disciplina del  credito,  strettamente  (connesso)  alla  stabilita'
della moneta e,  quindi,  ad  un  interesse  che  travalica  l'ambito
regionale coinvolgendo la comunita'  nazionale»  (sent.  n.  162  del
1982). Ma, al contrario, «che la  disciplina  in  questione  riguardi
l'attivita' creditizia, e non piuttosto la contabilita'  regionale  e
la  gestione   della   cassa   regionale,   non   sembra   facilmente
sostenibile»; senza dire che «il limite ai  prelievi,  non  correlato
all'effettivo fabbisogno di cassa, conduce non  tanto  a  regolare  i
flussi monetari dallo Stato alle Regioni, quanto  a  interrompere  in
modo anomalo il nesso necessario fra  attribuzione,  da  parte  dello
Stato, di determinate risorse alle Regioni, ed effettiva possibilita'
per quest'ultime di spendere tali risorse secondo i fini e nei  tempi
autonomamente prescelti, e nell'osservanza dei propri bilanci e delle
procedure contabili stabilite dalle leggi (28) . 
    Non si ritenne incostituzionale neppure la previsione che  voleva
infruttiferi i conti presso il tesoriere centrale perche'  «anche  se
ne deriva  una  minore  redditivita'  delle  somme  depositate  nelle
tesorerie dello Stato rispetto a quella  che  si  avrebbe  presso  le
aziende di credito», e' questa «una  conseguenza  di  fatto  che  non
investe   aspetti   costituzionalmente   tutelati,   non    incidendo
sull'autonomia finanziaria delle Regioni» (sent.  n.  243  del  1985;
nello stesso senso v. anche le sentenze n. 162 del 1982 e n. 307  del
1983),  assumendo,  evidentemente,  l'autonomia  regionale   in   una
accezione puramente formale. 
    Il commento generalizzato (29) fu che  «a  questo  punto,  sembra
veramente  difficile  negare  che  -  passo  dopo  passo  -  i  conti
"obbligatori"  delle  Regioni  presso  la  tesoreria  statale   siano
divenuti (se non  lo  sono  stati  fin  dall'origine)  quell'"anomalo
strumento di controllo  sulla  gestione  finanziaria  regionale"  nel
quale secondo la  Corte  e'  "essenziale"  che  essi  invece  non  si
trasformino» (sent. n. 94 del 1981). 
    E'fin ovvio che, tale risultato  e',  a  fortiori,  inaccettabile
oggi. 
3. - Violazione degli artt 3 e 97 Cost.,  nonche'  del  principio  di
ragionevolezza. 
    Considerato ut supra come il testo e contesto del  sistema  unico
di tesoreria siano indubbiamente, radicalmente diversi oggi  rispetto
a tre decenni fa e rammentati i profili di  incompatibilita'  con  la
Costituzione  che  gia'  affliggevano  la  medesima  disciplina,   e'
opportuno ora denunciare le specifiche doglianze  delle  disposizioni
impugnate rispetto al testo  costituzionale  novellato  nel  2001  in
senso (sedicentemente) federalistico. 
    Macroscopica e' quella che ha  come  parametro  il  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Infatti, delle due l'una. 
    O le disposizioni normative impugnate perseguono  l'obiettivo  di
attribuire allo Stato liquidita' di cui disporre: ma, in questo modo,
e'  evidente  che  esse   lederebbero   patentemente   le   autonomie
territoriali costituzionalmente sancite e tutelate, privandole  delle
risorse loro proprie. 
    O  la  disciplina  gravata,  dovendosi  escludere  che  le  somme
riversate nelle casse centrali possano, per cio' solo, entrare  nella
libera disponibilita' dello Stato, e' priva di  senso,  assolutamente
irragionevole e contraddittoria. E cio' dicasi,  in  particolare:  a)
rispetto al  preteso  scopo  di  tutelare  l'unita'  economica  della
Repubblica nella particolare situazione di crisi del debito  sovrano,
anche perche' si tratta (come si e' detto e si dira') di una  novella
che, lungi dal consentire profitti, genera sprechi  (ad  esempio  con
riguardo  alla  minore  redditivita'  sulle  somme  riversate),   non
preventivamente quantificabili ma certamente significativi; b)  anche
laddove si riconoscesse  la  finalita'  di  rendere  piu'  chiaro  il
sistema di contabilita'  locale,  dal  momento  che  l'intervento  si
limita  all'accentramento  delle  tesorerie,  mentre  altri  (e  piu'
adeguati) avrebbero potuto e dovuto essere gli interventi del Governo
per ottenere un risultato in questo senso (ad esempio perseguendo  in
concreto l'obiettivo di rendere  uniformi  e  trasparenti  i  bilanci
degli enti territoriali, previsto all'art. 2, comma 2, lett. h) della
legge n. 42/2009); c)  rispetto  alla  posizione  degli  istituti  di
credito, che, da un lato, sono richiesti di finanziare le imprese, e,
dall'altro, sono privati della liquidita' necessaria. 
    Le disposizioni normative impugnate, inoltre, sono  assolutamente
irragionevoli nella parte in cui non prevedono una seria e completa -
seppur essenziale - disciplina di transizione  e  di  attuazione  dei
precetti in esse contenuti. Non si  puo',  infatti,  pensare  che  ad
attuare l'imposto ritorno  al  sistema  unico  di  tesoreria  possano
soccorrere i decreti adottati a cavallo degli anni Ottanta, in quanto
gia' in allora criticati per la loro  dubbia  compatibilita'  con  il
testo costituzionale e certamente contrari al sistema delle autonomie
costituzionalmente previsto dopo il 2001. Per non parlare, poi, della
loro inutilizzabilita' pratica in concreto, dal momento che procedure
e strutture del passato non  sono  oggi  facilmente  e,  soprattutto,
immediatamente replicabili. 
    L'irragionevolezza della disciplina sotto questo profilo e' tanto
piu' evidente laddove,  proprio  a  cagione  della  sua  lacunosita',
finisce indebitamente con il consentire a soggetti assolutamente  non
legittimati allo scopo, quale l'associazione  di  categoria  ABI,  di
intervenire  in  supplenza,  dettando  previsioni  che  -  come  gia'
rilevato - non solo non sono contenute  nel  decreto-legge,  ma  anzi
sono  ad   esso   contrarie   e/o   ne   aggravano   l'illegittimita'
costituzionale. 
    Gli effetti di una disciplina siffatta sono e saranno  quelli  di
ritardare, se non anche limitare, l'accesso di Regioni ed enti locali
alle proprie risorse. La Corte, tuttavia, ha gia' in passato chiarito
che  «per  non  intralciare   il   ritmo   delle   spese   regionali,
compromettendo   l'indispensabile   velocita'   di    erogazione    e
costringendo le Regioni a far ricorso  -  in  via  alternativa  -  ad
indebitamenti sia  pure  di  breve  periodo,  occorre  pero'  che  la
reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso
le aziende di credito sia resa possibile  continuamente  e  nei  modi
piu' solleciti, affinche' si possa far fronte ai pagamenti imprevisti
senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilita' in
questione» (Corte cost., sent. n. 244 del 1985). 
    Per non dire della possibilita' che si  generino  veri  e  propri
vuoti di cassa, quando Codesta  Corte  ha  da  sempre  tenuto  «ferma
l'esigenza (...) che i rapporti  tra  le  tesorerie  regionali  e  le
sezioni di tesoreria provinciale dello Stato siano regolati  in  modo
tale da escludere il pericolo  di  improvvisi  vuoti  di  cassa,  che
pregiudicherebbero   il   buon   andamento   dell'amministrazione   e
paradossalmente frusterebbero gli intenti cui mira la legge  n.  720,
imponendo alle Regioni di  ricorrere  ad  onerose  anticipazioni  per
fronteggiare le spese indilazionabili» (Corte cost., sent. n. 243 del
1985). 
    E'   evidente,   poi,   che   le   sopra   citate    lacunosita',
irragionevolezza  e  inadeguatezza  agli   scopi   dichiarati   della
disciplina impugnata sono destinate fatalmente a tradursi in ritardi,
disfunzioni, disagi nella concreta disponibilita'  delle  risorse  e,
dunque, nell'erogazione dei servizi, in aperta violazione del  canone
di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    Infine, si  deve  rilevare  l'irragionevolezza  della  disciplina
impugnata nella parte in cui prevede che la sospensione del regime di
tesoreria di cui al decreto legislativo n. 279/1997 si applichi  fino
al 31 dicembre 2014. Si produce, cosi', il risultato  paradossale  di
generare una disciplina altalenante, costituita, per un verso,  dalla
reviviscenza   provvisoria   di   un    corpo    normativo    datato,
incostituzionale,  privo  degli  strumenti  di  attuazione,  e,   per
l'altro, dal congelamento di  un  sistema  di  tesoreria  conforme  a
Costituzione, rispettoso delle autonomie e rodato da tempo. 
4. - Violazione dell'art. 41 Cost. 
    La Regione Veneto censura, inoltre, le disposizioni normative  di
cui all'art. 35, comma 8, 9 e 10, del  decreto-legge  n.  1/2012  per
violazione  dell'art.  41  Cost.,  secondo  il  quale   «l'iniziativa
economica privata e' libera». 
    Come gia' anticipato, mentre in origine il sistema  di  tesoreria
unica era  assicurato  dalla  Banca  d'Italia  (legge  n.  720/1984),
successivamente (in forza del  decreto-legislativo  n.  279/1997)  si
consenti' a Regioni ed enti locali (oltre ad altri enti enumerati) di
detenere le proprie risorse presso  tesorieri  scelti  con  gara,  in
omaggio, tra l'altro,  al  principio  di  tutela  della  concorrenza.
Principio che, dunque, pure, deve considerarsi leso dalla  previsione
di nuovo accentramento della tesoreria presso l'unica Banca d'Italia. 
    La Regione, quindi, come pure  gli  enti  locali  di  cui  si  fa
tramite, ha in essere un contratto di tesoreria con  un  istituto  di
credito, attivato previa  indizione  di  una  procedura  ad  evidenza
pubblica, secondo regole comunitarie,  le  cui  clausole  sono  state
pattiziamente convenute sulla base di scelte  rimesse  alla  autonoma
determinazione delle parti ed eseguite, fino ad oggi, in omaggio alla
regola elementare di civilta' per cui pacta sunt servanda. 
    Il legislatore del decreto impugnato si  e'  inserito  in  questo
rapporto contrattuale  di  diritto  privato,  in  modo  improvvido  e
autoritativo,  in  assenza  di  presupposti   facoltizzanti.   Manca,
infatti, la ragione  di  «utilita'  sociale»  o  -  per  meglio  dire
utilizzando le parole di Codesta Corte (v. Corte cost., sent.  n.  31
del 2011) - «economico-sociale», che, ai sensi dell'art. 41, comma 2,
Cost. puo' autorizzare un  intervento  legislativo  limitativo  della
liberta' contrattuale. Per  le  argomentazioni  gia'  articolate,  in
effetti, tale presupposto legittimante non puo'  essere  riconosciuto
nell'esigenza - illegittima e per  molti  versi  irragionevole  -  di
drenare risorse dalle autonomie territoriali e dalle banche verso  lo
Stato. 
    L'incostituzionalita' e' - se possibile - ancora piu' evidente  e
grave per la Regione ricorrente ove si consideri  che  la  disciplina
impugnata ha l'effetto ultimo di decretare  l'inesorabile  estinzione
del rapporto in essere con il tesoriere locale, posto che il relativo
contratto stabilisce nel 31 dicembre 2013 la  sua  naturale  scadenza
(vedi doc. 2). 
    Ne' si puo' trascurare, tanto meno, che il comma  9  pretende  di
incidere anche sugli «eventuali investimenti finanziari»  degli  enti
smobilizzandoli, prescindendo integralmente dalle scelte compiute  da
questi  ultimi  nell'esercizio  della  propria  liberta'   economica,
violata anche  nella  parte  in  cui,  privilegiando  arbitrariamente
determinate forme di investimento (id est quelle in titoli di  Stato)
rispetto  ad  altre,  pretermette  ogni  autonoma  determinazione   a
riguardo. 
    Senza dire, infine, che, nel quadro dell'attuale gravissima crisi
economica, la sottrazione di liquidita' dalle casse degli istituti di
credito  tesorieri  e'  di  ostacolo   all'esercizio   della   libera
iniziativa economica  delle  banche  e  alla  loro  forza  propulsiva
rispetto al sistema delle imprese. 
5. - Violazione dell'autonomia legislativa di cui all'art. 117 Cost. 
    La disciplina legislativa impugnata e' - per espressa  previsione
normativa - posta «ai fini della tutela dell'unita'  economica  della
Repubblica e del coordinamento della finanza  pubblica».  La  materia
cui afferisce, dunque, e'  proprio  quella  dell'«armonizzazione  dei
bilanci pubblici e (del) coordinamento della finanza pubblica  e  del
sistema tributario», di cui all'art. 117, comma 3, Cost. 
    Del resto la stessa dottrina formatasi sulla giurisprudenza della
Corte antecedente la riforma del 2001 gia' non metteva in dubbio  che
le previsioni di legge aventi ad  oggetto  il  sistema  di  tesoreria
dovessero ascriversi proprio al citato coordinamento (30) . 
    Come noto,  si  tratta  di  un  ambito  materiale  di  competenza
legislativa concorrente, in relazione al quale «spetta  alle  Regioni
la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione  dello  Stato»  (art.  117,
comma 3, Cost. e art. 2, comma 2, lett. n), della legge  n.  42/2009,
che  impone  il  «rispetto  della   ripartizione   delle   competenze
legislative fra Stato  e  Regioni  in  tema  di  coordinamento  della
finanza pubblica e del sistema tributario»). 
    Quando lo Stato si avvale della propria competenza legislativa  a
dettare  principi  fondamentali  di   coordinamento   della   finanza
pubblica, «l'apprezzamento della  legittimita'  costituzionale  della
disposizione impugnata comporta, per un verso, l'attribuzione ad essa
della preminente finalita' di contenimento razionale della  spesa  e,
per altro verso, la verifica che, nel perseguire siffatta  finalita',
il legislatore statale non abbia prodotto  norme  di  dettaglio»  (v.
Corte cost., sent. n. 40 del 2010). 
    Quanto al primo profilo, gia' si e' piu' volte  evidenziato  come
la ratio del provvedimento  impugnato  debba  con  ogni  probabilita'
ritrovarsi  nella  necessita'  -  non  esplicitata  e  tradita  dalle
conseguenze concrete dell'intervento - di  raccogliere  liquidita'  e
come la stessa non possa dirsi  conforme  a  Costituzione,  non  solo
perche'  lesiva  delle  prerogative  delle  autonomie  (come  si  sta
spiegando), ma anche in quanto non  legittimata  da  alcun  interesse
pubblico  superiore.  Quanto  all'idoneita'  della   misura   gravata
rispetto all'eventuale fine di ottenere risparmi di spesa, poi,  pure
si e' gia' argomentato: lungi dal rispondere agli obiettivi, essa  si
riverberera' in disfunzioni, sprechi e disagi, antitetici rispetto al
principio di buon andamento e di economicita'. 
    Con riferimento alla natura delle disposizioni impugnate, invece,
e' evidente che esse non si limitano a porre principi, ossia «criteri
ed obiettivi» che lascino alle  Regioni  un  sufficiente  «spazio  di
manovra» nella «individuazione degli strumenti concreti da utilizzare
per raggiungere detti obiettivi» (cosi' in Corte cost., sentt. n. 340
del 2009, n. 237 e n. 200 del 2009, n. 401 del 2007),  ma  interviene
con  previsioni  specifiche  e  sedicentemente  autoapplicative   che
incidono sull'autonomia e nei confronti delle quali l'unica  reazione
puo' essere il ricorso alla Corte. 
    E a destituire di fondamento l'assunto davvero non sembra potersi
invocare la «generosa» giurisprudenza di  Codesta  Ecc.ma  Corte  con
riferimento alla qualificazione in  termini  di  principio  di  norme
inequivocabilmente dettagliate (per tutte, sent.  n.  16  del  2010),
perche', nel caso di specie, certo non si puo' ignorare il fatto che,
uno actu, le disposizioni del  decreto-legge  de  quo  pretendono  di
sovrapporsi al  precedente  (necessario)  concorso  della  disciplina
nazionale  e  regionale  sul   sistema   delle   tesorerie   (decreto
legislativo n. 279/1997 e legge regionale Veneto n. 39/2001). 
    Assume valenza addirittura paradigmatica della presente doglianza
il  comma   9   del   citato   decreto,   laddove,   pretendendo   la
smobilizzazione degli «eventuali investimenti finanziari», demanda ad
un decreto ministeriale attuativo l'integrazione della disciplina ivi
posta,  cosi'  da  sottrarre  a  riguardo  ogni  margine  valutativo,
normativo alle Regioni. Un tanto,  ovviamente,  anche  in  violazione
dell'art. 117, comma 6, Cost. 
6. - Violazione dell'autonomia amministrativa  di  cui  all'art.  118
Cost. 
    L'art. 35, comma 8, 9 e 10, del  decreto-legge  n.  1/2012  viola
l'autonomia amministrativa regionale e degli enti locali dal  momento
che sottrae  loro  la  possibilita'  di  gestire  in  modo  libero  e
responsabile il proprio servizio di tesoreria. 
    La disciplina impugnata, inoltre, genera un vulnus  all'autonomia
amministrativa regionale e degli  enti  territoriali  minori  proprio
perche' - come gia' fatto rilevare  -  diminuisce  e  rende  -  nella
migliore delle ipotesi - piu' difficoltoso l'accesso  di  Regioni  ed
enti locali alle risorse proprie necessarie per svolgere le  funzioni
amministrative loro attribuite dalla Costituzione e li  costringe  ad
una  sicura  perdita  patrimoniale  (rispetto  agli  interessi  sulle
giacenze garantiti dai propri tesorieri). 
    Non puo' sottacersi, infine,  la  contrarieta'  della  disciplina
censurata rispetto ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza sanciti  all'art.  118  Cost.  Essi,  infatti,  non  solo
consentono ma impongono che alle autonomie piu' vicine  al  cittadino
sia lasciata la gestione delle risorse raccolte da o comunque per  la
collettivita'  locale  per  il  tramite  dei  servizi  di   tesoreria
decentrati  e  che  siano   valutati   in   concreto   i   rendimenti
istituzionali, che,  proprio  con  riferimento  alla  tesoreria,  per
altro, in non poche realta' (venete ma non solo) sono stati piu'  che
buoni. 
7. - Violazione dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost. 
    Grave -  se  possibile  piu'  di  ogni  altra  -  e'  la  lesione
dell'«autonomia finanziaria di entrata e di  spesa»  che  l'art.  119
Cost.   riconosce,   nell'ordine,   a   Comuni,   Province,    Citta'
metropolitane e Regioni. 
    Si  e'  gia'  ricordato  come  il  sistema  di  tesoreria  unica,
istituito  con  legge  n.  720/1984  (vigente  un   diverso   riparto
costituzionale di competenze sul territorio) e a cui oggi si vorrebbe
ritornare, si giustificasse solo - e non senza qualche perlessita'  -
in presenza di una finanza regionale  alimentata,  in  larghissima  e
prevalente misura, da trasferimenti statali. 
    Nel  frattempo,  pero',  e'  mutato,  radicalmente,   come   gia'
osservato, a tacer d'altro, il quadro costituzionale e  istituzionale
di riferimento. 
    Oggi, le regioni hanno (e si  reggono  su)  entrate  proprie  (da
intedersi, come noto, in un'accezione ampia, assimilabile a quella  a
suo tempo riconosciuta per la Provincia di Trento, cfr. Corte  cost.,
sent. n. 62 del 1987).  Una  parte  consistente  di  esse  deriva  da
tributi propri regionali, dovendosi qualificare per tali tutti quelli
previsti all'art. 7 della legge n. 42/2009 (che proprio all'art.  119
Cost. da' attuazione). E cio' senza considerare che, gia' prima della
riforma costituzionale del 2001, la  Corte  aveva  riconosciuto  «pur
sempre  di  pertinenza  regionale»  anche  le  risorse  semplicemente
trasferite alle Regioni dallo Stato (v. Corte cost., sent. n. 132 del
1993). 
    E' evidente, dunque, che le risorse interessate dalle  previsioni
del  «decreto  Monti»  impugnate   provengono   dalle   collettivita'
regionali, corrispondono cioe' alla «capacita'  fiscale»  (art.  119,
comma 3, Cost.) di chi abita e lavora nel Veneto,  e  sono  destinate
alla responsabilita' gestoria degli enti territoriali che  di  questa
comunita' sono esponenziali. 
    Tanto premesso, e' evidente che, nel 2012, la scelta di distrarre
risorse finanziarie dalle  tesorerie  decentrate  per  riversarle  in
quella  statale  si  pone  in   netto   contrasto   con   l'autonomia
costituzionalmente garantita agli enti che se ne vedono spogliati. 
    Lesa e', anzitutto,  sotto  molteplici  profili,  l'autonomia  di
entrata. 
    In primo luogo perche' il provvedimento governativo  pretende  di
sottrarre al sistema di tesoreria delle Regioni  le  entrate  proprie
delle Regioni, secondo l'accezione di cui sopra, mentre, ad  esempio,
gia' la giurisprudenza risalente formatasi in  materia  di  tesoreria
unica escludeva  dai  riversarnenti  presso  la  stessa  le  «entrate
acquisite direttamente dalle Regioni» (cfr. Corte cost., sent. n.  94
del 1981). 
    In secondo luogo perche' incide sull'autonomia stessa  di  creare
entrate. Si allude, in particolare, al  fatto  che  dall'applicazione
delle disposizioni impugnate deriva la perdita, per Regioni  ed  enti
locali,   dei   significativi   risparmi    e    vantaggi    generati
dall'esecuzione dei contratti negoziati  con  i  propri  tesorieri  e
delle relative maggiori entrate (per esempio sotto forma di  maggiori
interessi). Ne' si dica che la perdita di redditivita' conseguente al
riversamento in tesoreria unica sia un «effetto privo di implicazioni
costituzionali» (per tutte Corte cost., sent. n. 162  del  1982),  in
quanto tale assunto, gia' a suo tempo  criticabile  e  criticato,  e'
oggi privo di ogni pertinenza e attualita'.  L'autonomia  finanziaria
riconosciuta e sancita  dalla  novellata  Costituzione  e'  anzitutto
un'autonomia sul reperimento di risorse  e  tali  sono  anche  quelle
derivanti da interessi maturati sulla disponibilita' del denaro. 
    Violata e' pure l'autonomia finanziaria di spesa. 
    A causa delle disposizioni impugnate, infatti, il controllo sulla
gestione finanziaria regionale viene di fatto «manovrato in  modo  da
precludere od ostacolare la  disponibilita'  delle  somme  occorrenti
alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali,
nelle forme, nelle misure  e  nei  tempi  variamente  indicati  dalla
legislazione  statale»,  non  diversamente  da  quanto  accadeva  nel
passato, quando inesorabilmente l'accentramento  del  deposito  delle
somme si traduceva in indebite forme ingerenza nell'an, nel quando  e
nel quomodo della concreta  disponibilita'  delle  somme  depositate.
Effetto quest'ultimo gia' stigmatizzato dalla Corte  fin  dagli  anni
Settanta e non piu' tollerabile oggi (si rinvia a Corte cost.,  sent.
n. 155 del 1977, ma anche alla sent. n. 162 del 1982). 
    Parimenti lesiva dell'autonomia finanziaria e' la previsione,  di
cui al  comma  9,  che  stabilisce  che  gli  eventuali  investimenti
finanziari individuati con decreto ministeriale (da emanare entro  il
30 aprile), ad eccezione  di  quelli  in  titoli  di  Stato,  saranno
smobilizzati. Un tanto per l'elementare ragione che essa incide sulla
pianificazione  finanziaria  degli   enti,   alterando   in   maniera
definitiva le scelte di spesa  da  questi  compiute  (per  altro  con
ricadute  gravissime  sull'economia  reale  e  l'affidabilita'  della
pubblica amministrazione) e creando un'indebita poziorita' tra  forme
di investimento, privilegiando quello in titoli di Stato. 
    Censurabile, inoltre, e' la disposizione di cui al comma  10  che
obbliga  tesorieri  e  cassieri  ad  utilizzare  prioritariamente  le
risorse esigibili depositate presso gli  stessi  per  far  fronte  ai
pagamenti disposti dagli enti e organismi pubblici proprietari  delle
stesse, trasferendo gli eventuali vincoli di destinazione sulle somme
depositate presso la tesoreria statale. Anche qui, infatti, lo Stato,
stabilendo una priorita' di utilizzo della liquidita', si  arroga  il
potere di gestire risorse che - lo si ricorda per l'ennesima volta  -
per buona parte sono proprie della Regione e, per la restante  parte,
anche se  derivate  da  trasferimento,  gia'  per  la  giurisprudenza
costituzionale precedente alla riforma del 2001, devono  considerarsi
«pur sempre di pertinenza regionale» (v. Corte cost.,  sent.  n.  132
del 1993). 
    Alla luce, infine, dell'art. 2, comma 2, della legge  n.  42  del
2009, le  disposizioni  contraddicono  palesemente,  i  principi  di:
«trasparenza  del  prelievo»;  «efficienza  nell'amministrazione  dei
tributi» (lett. c); «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale  e
beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da
favorire  la  corrispondenza  tra   responsabilita'   finanziaria   e
amministrativa» (lett. p): «trasparenza ed efficacia delle  decisioni
di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei
principi di efficacia, efficienza ed economicita'  ...»  (lett.  dd);
«tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e  autonomia  di
gestione delle proprie risorse umane e  strumentali...»  (lett.  ii);
«certezza delle  risorse  e  stabilita'  tendenziale  del  quadro  di
finanziamento, in misura  corrispondente  alle  funzioni  attribuite»
(lett. ll). 
8. - Violazione del principio di leale collaborazione. 
    Una delle violazioni piu' gravi compiute dal legislatore  statale
e', poi, quella perpetrata  nei  confronti  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Sembra incredibile che  un  intervento  normativo  della  portata
descritta sopra, anche e soprattutto per le  autonomie  territoriali,
sia stato adottato e sia entrato in vigore senza che alcuna forma  di
dialogo o raccordo sia stata cercata e posta in  essere  quanto  meno
con le Regioni. 
    La verita' di quanto appena denunciato e' confermata  dal  tenore
della   premessa   del   decreto-legge   e   della   sua    relazione
accompagnatoria, che ignorano completamente il problema. 
    E non sembra si tratti di una svista, in quanto  la  presenza  di
una volonta' consapevole e determinata ad evitare qualunque forma  di
rapporto e collaborazione con le Regioni emerge proprio  da  come  la
norma  e'  congegnata.  Il  riferimento  e',  nello  specifico,  alle
previsioni di cui ai commi 9 e 10, i quali disciplinano - in modo del
tutto unilaterale e lacunoso - il materiale riversamento delle  somme
affidate ai tesorieri e cassieri degli enti  nella  tesoreria  unica.
Esse non rivolgono il loro dictat alle Regioni,  come  sarebbe  stato
piu' ragionevole e opportuno aspettarsi, ma ordinano  a  tesorieri  e
cassieri  di  trasferire  le  risorse  (comma  9)  e  di   utilizzare
prioritariamente quelle esigibili depositate presso di loro  fino  al
completo riversamento dei denari nella tesoreria centrale (comma 10). 
    Infine, la lesione del principio di leale  collaborazione  tra  i
diversi livelli di governo responsabili nella (e per  la)  Repubblica
e' aggravata anche dalla stessa scelta di porre una disciplina di tal
fatta  con  decretazione  d'urgenza,  dal  momento   che   la   fonte
individuata, per sua natura, «cala dall'alto», con l'artifizio  della
straordinaria necessita'  ed  urgenza,  una  disciplina  irrispettosa
delle autonomie sottraendola al dibattito parlamentare e a  qualsiasi
forma di dialogo preventivo con  i  destinatari.  Inoltre,  la  serie
serrata di adempimenti che vanno a costituire il materiale ritorno al
sistema di tesoreria unica esclude anche forme di raccordo  effettivo
ex post. 
    Davvero e' mancata quella «lealta' istituzionale»  di  cui  parla
l'art. 2,  comma  2,  lett.  b),  della  legge  n.  42/2009,  che  ha
l'ambizione di dare attuazione all'art. 119 della Costituzione. 
9. - Violazione dell'art. 120 Cost. 
    Le disposizioni normative impugnate non possono  passare  indenni
il vaglio di legittimita' costituzionale richiesto  a  Codesta  Corte
neppure in forza del dettato dell'art. 120 Cost., che - come  noto  -
disciplina i casi e i modi in cui il Governo  puo'  sostituirsi  alle
Regioni, alle Citta' metropolitane, alle Province e ai Comuni. 
    Di  legittimo  intervento  sostitutivo  non  puo'  parlarsi,  con
riferimento alla fattispecie concreta in  esame,  in  quanto:  a)  ne
mancano i presupposti; b) e' violato il principio di  sussidiarieta';
c) completamente negletto e' il principio di leale collaborazione; d)
e' assente il carattere di proporzionalita' dell'intervento  rispetto
alle finalita' perseguite,  che,  oltre  ad  essere  richiesto  dalla
giurisprudenza costituzionale, e' sancito all'art. 8 della  legge  n.
131/2003. 
    Quanto al punto sub a), non puo' certo ritenersi  sufficiente  ad
integrare il presupposto tassativamente richiesto dalla  Costituzione
della  tutela  dell'«unita'  economica»  della  Repubblica   l'averne
evocato l'espressione nell'incipit della disciplina  impugnata  (art.
35, comma 8). Le considerazioni gia'  svolte,  infatti,  hanno  -  si
crede -  abbondantemente  chiarito  che  la  disciplina  oggetto  del
sindacato di Codesta Corte non ha e non puo' raggiungere questo  fine
anche  perche'  assolutamente  inidonea   allo   scopo   e,   dunque,
sproporzionata (assente e', quindi, anche il requisito  di  cui  alla
lett. d). 
    Infatti, delle due l'una: i) o  essa  e'  finalizzata  a  drenare
liquidita' nelle casse dello Stato e allora e'  incostituzionale  per
lesione  delle  autonomie  o,  comunque,  irragionevole  perche'  per
soddisfare esigenze di quest'ultimo piega enti territoriali (che,  al
pari con questo, compongono la Repubblica da preservare),  banche  ed
imprese (che finanziano e rappresentano l'economia reale,  l'ossigeno
di cui il sistema ha bisogno) e infine il sistema - Paese globalmente
inteso; ii) o e' totalmente priva di senso perche' assegna allo Stato
risorse inutilizzabili  spezzando  il  nesso  di  corrispondenza  tra
autonomia di prelievo e autonomia di gestione. 
    Quanto al mancato rispetto del principio  di  sussidiarieta'  (v.
lett. b), pure si e' scritto. E', infatti,  incomprensibile  come  un
intervento che accentra il sistema di tesoreria presso lo Stato possa
dirsi conforme al disegno costituzionale sul punto,  che  chiaramente
non si limita a promuovere (art. 5) e garantire (artt. 117, 118 e 119
Cost., in specie) le autonomie e la differenziazione, ma  assegna  al
livello di governo piu' vicino al cittadino la responsabilita'  della
gestione delle risorse. 
    Infine,  incredibili  dictu,  la  necessita'  di  rispettare   il
principio di leale cooperazione istituzionale (v.  lett.  c)  non  e'
stata minimamente avvertita dal Governo. 
10. - Violazione dell'art. 42 Cost. 
    Si e' gia' spiegato quali effetti materiali  si  ricolleghino  al
ritorno al sistema della tesoreria unica per la Regione (e  gli  enti
locali) imposto dal  decreto-legge  n.  1/2012.  Il  riferimento,  in
particolare,  a  tacer  d'altro,  e'  alla  circostanza  che:  i)  il
provvedimento sottrae alle Regioni la libera gestione (non solo delle
risorse derivanti dai trasferimenti statali, ma anche) delle  risorse
proprie; ii) diminuisce il rendimento di queste ultime in termini  di
interessi;  iii)   si   insinua   unilateralmente   e   con   effetti
sostanzialmente caducatori su un rapporto contrattuale legittimamente
in corso tra le parti in esecuzione di  norme  imperative  rispettose
della potesta' legislativa concorrente tra Stato e Regioni; iv) esige
la «smobilizzaazione» degli «eventuali investimenti finanziari»  (tra
l'altro da individuarsi con futuro decreto ministeriale). 
    E' evidente che quella predisposta dal legislatore statale e' una
macroscopica e maldestra forma di «espropriazione»  della  proprieta'
in capo alle Regioni e  agli  enti  locali  (per  non  parlare  degli
istituti di credito), aggravata dall'assenza, nel caso di specie,  di
una effettiva ragione di interesse  generale  che  possa  legittimare
l'intervento de quo. 
11. - Violazione dell'art. 81 Cost. 
    Come si e' visto, quindi, le  disposizioni  censurate  comportano
una diminuzione delle entrate previste e inserite in bilancio  (certa
almeno con riferimento a quelle provenienti dalla differenza con  gli
interessi sulle somme depositate garantiti dai tesorieri decentrati).
Esse agiscono, pero', anche sul versante della spesa dal momento  che
il materiale e completo ritorno al sistema  di  tesoreria  unica  non
potra'  avvenire  senza  costi,  in  termini  di  risorse   umane   e
finanziarie. 
    Gia'  nel  1984,  infatti,  la  dottrina  aveva  evidenziato  che
l'innovazione della tesoreria unica comportava maggiori costi, «forse
comprimibili ma non certo eliminabili»,  collegati:  al  venire  meno
della  «gratuita'  delle  prestazioni»  fornite  dagli  istituti   di
credito; alla minore correntezza nella provvista dei fondi  da  parte
degli enti, con  una  probabile  accentuazione  della  necessita'  di
ricorrere ad anticipazioni di cassa; a  appesantimenti  di  carattere
contabile   e   macchinosita'   procedurali;   alle   operazioni   di
ristrutturazione degli uffici di tesoreria dello  Stato  al  fine  di
renderli idonei alle nuove, antiche funzioni (31) . 
    La legge, dunque, importa nuove e maggiori spese, contestualmente
decurtando le entrate e, quel che qui conta, senza indicare  i  mezzi
per farvi fronte, con cio' ponendosi in patente violazione  dell'art.
81 Cost. 
12. - Qualche ulteriore considerazione conclusiva e la violazione dei
principi fondamentali di cui all'art. 5 Cost. 
    E' evidente che, ancora una volta, «alle  origini  della  vicenda
medesima sta il modo scomposto e disordinato con il quale lo Stato si
muove nei rapporti con le Regioni anche in un settore molto  delicato
quale quello del coordinamento finanziario»  (32)  .  La  pretesa  e'
quella  di  imporre  unilateralmente,  con  discipline  a   carattere
derogatorio  e  suppostamente  straordinario,  il  sacrificio   delle
autonomie per far fronte alle  esigenze  di  cassa  (divenute  invece
ordinarie),  senza  aver  messo  mai  davvero  mano  alle  cause  dei
problemi. 
    «Non v'ha  dubbio  che  il  susseguirsi,  di  anno  in  anno,  di
provvedimenti a carattere  contingente,  in  deroga  alla  disciplina
ordinaria,  renda  quantomai  disorganico  e  provvisorio  il  quadro
attuale della finanza regionale» (v. Corte cost., sent.  n.  307  del
1983). E quando cio' che era e doveva essere provvisorio si ripropone
con  pervicace  frequenza,  la  provvisorieta'  diventa  tendenza   e
l'effetto e' quello di alterare in via permamente l'equilibrio  delle
autonomie, disegnato e tutelato, anzitutto, dall'art. 5 Cost., non  a
caso  inserito  tra  i  Principi  fondamentali,  e  dalle   succitate
disposizioni del Titolo V. 
    Il monito, in definitiva, e' quello che Calamandrei fece  proprio
durante il suo discorso all'Assemblea costituente  pronunciato  il  4
marzo 1947: «Noi dobbiamo volere  che  questa  Costituzione  sia  una
Costituzione seria, e  che  sia  presa  sul  serio  dagli  italiani»:
«bisogna evitare che  nel  leggere  questa  nostra  Costituzione  gli
italiani dicano anch'essi: "Non e' vero nulla"»! 
    Sulla legittimazione della Regione a  far  valere  lesioni  delle
attribuzioni costituzionali degli enti locali. 
    Come si e' detto, la Regione si rivolge a  Codesta  Ecc.ma  Corte
per  denunciare   l'illegittimita'   delle   disposizioni   normative
impugnate  non  solo   per   violazione   della   propria   autonomia
costituzionalmente garantita, bensi'  anche  denunciando  la  lesione
delle attribuzioni degli enti locali, pure gravementi danneggiati dal
recente intervento del legislatore statale. 
    La legittimazione della Regione a un tal  tipo  di  denuncia  non
puo' essere revocata in dubbio: come  chiarito  dalla  stessa  Corte,
essa   sussiste    in    capo    all'ente    regionale    addirittura
indipendentemente  dalla  prospettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale, in quanto «la stretta  connessione,
in particolare (...) in tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  consente  di
ritenere che la lesione delle competenze  locali  sia  potenzialmente
idonea a determinare una  vulnerazione  delle  competenze  regionali»
(cosi' Corte cost., sent. n. 298 del  2009,  richiamando  i  seguenti
precedenti: sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del  2005  e  n.
196 del 2004). 
    E cio' senza considerare  un  dato  normativo  essenziale,  ossia
quello di cui all'art. 9 della legge  La  Loggia  (n.  131/2003),  il
quale da' modo agli enti stessi di chiedere alla Regione di attivarsi
a loro difesa. 
 
                          Istanza cautelare 
 
    Con  l'odierno  ricorso,  rompendo   una   consuetudine,   questo
patrocinio  rivolge  a  Codesta  Ecc.ma  Corte  la  richiesta  di  un
intervento cautelare  che,  pendente  il  giudizio  di  legittimita',
sospenda l'esecuzione delle disposizioni normative impugnate. 
    Con  riferimento   al   fumus   boni   juris,   presupposto   che
evidentemente deve sostenere un tal genere di domanda, si confida  di
aver gia' sufficientemente argomentato nella parte in diritto. 
    Quel che e' necessario, ora, e' che si evidenzi  la  presenza  di
quel «rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o
all'ordinamento giuridico della Repubblica»  e  del  «rischio  di  un
pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini»,  che,
ai sensi dell'art. 35 della legge  costituzionale  n.  87  del  1953,
legittimano l'assunzione di provvedimenti cautelari e l'anticipazione
dell'esame e della discussione  in  contraddittorio  della  questione
sottoposta al sindacato di legittimita'. 
    Come  gia'  rilevato,  la  disciplina  della  cui  conformita'  a
Costituzione  e'  ben  lecito   dubitare   e'   stata   assunta   con
decreto-legge, immediatamente efficace,  e  senza  che  sulla  misura
adottata si fosse mai instaurato un minimo dibattito  parlamentare  o
con  gli  enti  destinatari.  Essa,  poi,  prevede   una   serie   di
adempimenti, finalizzati a ritornare al sistema di tesoreria unica, a
scadenze  serrate  e  ravvicinatissime:  la  prima,  quella  per   il
trasferimento dai tesorieri alla tesoreria del  50  per  cento  delle
risorse  degli  enti  si  e'  gia'  consumata;  la  seconda,  di  cui
all'ultimo periodo del comma 9, spirera'  il  prossimo  15  marzo  e,
infine, la terza, relativa al secondo e definitivo  versamento  della
quota rimanente delle disponibilita' depositate presso  i  tesorieri,
e' prevista per il 16 aprile 2012. 
    E' evidente, dunque, che se si attenderanno  gli  ordinari  tempi
del giudizio di legittimita' costituzionale, la pronuncia interverra'
quando il ritorno al sistema di  tesoreria  vigente  prima  del  1997
sara' ormai gia' compiuto e l'illegittimita' che ad esso  si  associa
avra' gia'  prodotto  danni  difficili  da  calcolare  a  priori,  ma
certamente gravissimi e irreparabili. 
    Tali danni avranno - o, per meglio  dire,  dopo  il  29  febbraio
scorso, hanno - a riguardo: a)  le  autonomie,  locali  e  regionali,
gravemente lese sotto i diversi profili gia' denunciati; b) i diritti
dei cittadini, nella duplice veste di  contribuenti  (per  lo  spreco
delle gia' scarse risorse finanziarie che si associa alla  previsione
impugnata)  e  di  utenti-fruitori  delle  forniture  e  dei  servizi
pubblici (la cui continuita' e' seriamente messa  a  repentaglio  dal
passaggio, mal governato, delle ricchezze da un sistema consolidato e
che aveva dato buona prova  di  se'  ad  uno  oramai  superato  sotto
molteplici profili e della cui adeguatezza e' dato  dubitare;  c)  le
imprese, che gia' soffrono degli incredibili  ritardi  nei  pagamenti
della pubblica amministrazione e che vedranno diminuire ulteriormente
le proprie possibilita' di accesso al credito  delle  banche  per  le
ragioni gia' spiegate; d) last but not least, le banche stesse o, per
meglio dire, il sistema bancario. 
    E non deve credersi che  l'interesse  ad  ottenere  tal  tipo  di
tutela  venga  meno  per  il  solo  fatto  che,  al   momento   della
proposizione  del  ricorso,  gia'  il  50  per  cento  delle  risorse
depositate presso i tesorieri e' stato trasferito, perche'  ben  piu'
significativo ed impattante sara' proprio il successivo trasferimento
(quello del 16 aprile). Non solo perche' esso  sara'  definitivo,  ma
anche e soprattutto perche' convogliera' cifre ingentissime, di  gran
lunga superiori a quelle gia' riversate, in quanto nei prossimi mesi,
a differenza che a gennaio (quando la chiusura dell'anno  aveva  gia'
drenato le risorse), le casse si riempiranno di introiti (per la gran
parte   derivanti   da   entrate   proprie)   che   dovranno   essere
immediatamente redistribuiti nei rivoli della  spesa  corrente  e  in
conto capitale. 

(1) S. Trentin, La crisi del Diritto e dello  Stato,  prima  edizione
    italiana, a cura di G.  Gangemi,  Gangemi  Editore,  Roma,  2006.
    Questa affermazione rappresenta  il  filo  conduttore  della  sua
    straordinaria opera, definita da F. Geny «esempio di indipendenza
    di pensiero, d'energia morale indomabile, di alta virtu' critica,
    di fedelta', senza compromessi, ne' riserve, al puro  ideale  del
    Diritto» (ivi, 52). 

(2) S. Trentin, La crisi, cit., 198. 

(3)  S. Cassese, Lo  Stato  introvabile.  Modernita'  e  arretratezza
    delle istituzioni italiane, Donzelli, Roma, 1998; ID.,  L'Italia:
    una societa' senza  Stato?,  il  Mulino,  Bologna,  2011.  Se  ne
    dovrebbe trarre una  qualche  conclusione,  anche  alla  luce  di
    quanto hanno scritto, da ultimi, G. De Rita - A. Galdo, L'eclissi
    della borghesia, Laterza, Bari, 2011, spec. 28. 

(4) S. Trentin, La crisi, cit., 199. 

(5) E' l'assunto  -  un  chiodo  fisso  -  di  chi  aveva  una  certa
    dimestichezza con le istituzioni. Il rilievo sta in  L.  Einaudi,
    Il buongoverno, Laterza, Bari, 2004, 85, il quale  aveva  notato,
    poco prima, che «"la dottrina" e' stata  fabbricata  dai  cultori
    del  diritto  pubblico,  i  quali  argomentano  dal  testo  delle
    costituzioni scritte  e  si  accorgono  delle  consuetudini  solo
    quando esse sono codificate in trattati venerandi per l'autorita'
    degli scrittori»: ivi, 80.  Emblematico  quel  che  riferisce,  a
    proposito di Antonio De Viti  De  Marco.  S.  Cassese,  Lo  Stato
    introvabile, cit., 55-56. Tutto cio', per  sottolineare  come  la
    questione di legittimita' costituzionale qui prospettata  non  si
    presti ad essere risolta a colpi di combinati disposti o di  mere
    riprese di una giurisprudenza che appartiene alla storia: antica. 

(6) A  questo  interrogativo  va  data  una  risposta  di   carattere
    preliminare, onde evitare  l'esito,  perverso  e  fuorviante,  di
    pretendere che l'odierno giudizio di legittimita'  costituzionale
    sia risolto alla luce di una giurisprudenza formatasi  si  su  un
    medesimo testo  normativa,  ma  in  altro,  differente  contesto.
    Dunque, come si chiarira' nel  prosieguo,  quella  giurisprudenza
    non e' riferibile al caso di specie, di cui qui si discute. 

(7) Di questa legge e dei relativi decreti delegati si sono  dette  e
    scritte un'infinita' di  cose.  Se  ne  e'  sempre  trattato  con
    realismo e - si crede - senso di equilibrio, avendo in mente  ben
    radicata una  teoria  dello  Stato,  negli  scritti  comparsi  su
    Federalismo fiscale, anno 2007 e seguenti. 

(8) E' risaputo, in teoria; non lo e', in  pratica.  V.,  quindi,  S.
    Holmes - C.R. Sunstein, Il costo dei diritti. Perche' la liberta'
    dipende dalle tasse, il Mulino, Bologna, 2000, e, di recente,  G.
    Bergonzini, I limiti costituzionali quantitativi dell'imposizione
    fiscale, vol. 1, Jovene, Napoli, 2011, 53 ss., nonche' F.  Gallo,
    Le ragioni del fisco. Etica  e  giustizia  nella  tassazione,  il
    Mulino, Bologna, 2007. 

(9) E' appena il caso di osservare  che  l'istituto  della  tesoreria
    unica fu necessariamente  ricondotto  all'accentramento.  D'altra
    parte, l'attributo  "unica"  e'  compatibile  con  il  "plurale"?
    Talvolta, anche l'osservazione banale e' rivelatrice,  magari  di
    cio' che il ragionamento alla don  Ferrante  nasconde.  O  prova,
    senza successo, a nascondere. 

(10) M. Bertolissi, Contribuenti e parassiti in una societa'  civile,
     Jovene, Napoli, 2012. 

(11) Ineccepibile per chi conosce la crisi del 2008: la sua genesi  e
     i relativi sviluppi. V., ad es., A.R. Sorkin, Too Big  To  Fail,
     trad.  it.,  Istituto  geografico  De  Agostini,  Novara,  2010,
     nonche'  A.  Roncaglia,  Economisti  che  sbagliano.  Le  radici
     culturali della  crisi,  Laterza,  Bari,  2010;  J.E.  Stiglitz,
     Bancarotta.  L'economia  globale  in  caduta  libera,   Einaudi,
     Torino, 2010; G. Rossi, Capitalismo opaco, Laterza, Bari, 2005. 

(12) M.  Longo,  Europa  e  Stati  Uniti,  la  grande   sfida   della
     super-liquidita', in Il Sole 24 Ore, 4 marzo 2012. Si tratta  di
     considerazioni discusse quotidianamente: v.,  sempre  nei  tempi
     piu' recenti, ad es., D. Masciandaro, Gli errori  inglesi  e  la
     via italiana, ivi, 28 febbraio 2012; A. Orioli, Primo passo  per
     crescere. Ora tocca ai debiti  dello  Stato,  ivi,  29  febbraio
     2012; B. Quintieri, Dalle banche piu'  risorse  a  chi  esporta,
     ivi, 4 marzo 2012. 

(13) V., ad es., D. Di Vico, «Le  banche  non  lavorano  gratis»,  in
     Corriere della Sera, 4 marzo 2012, e M. Mucchetti,  La  Bce,  le
     banche e la nuova demagogia, ivi. 

(14) Ecco perche' oggi firmiamo  l'avviso  comune  (di  A.  Azzi,  G.
     Mussari, C. Fratta Pasini, A. Patuelli e C. Venesio), in Il Sole
     24 Ore, 28 febbraio 2012. V., inoltre, G. Gentili, Senza credito
     non c'e' ripresa, in Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2012. 

(15) G. Muraro, Tesoriere. La protesta e' fondata, in il  mattino  di
     Padova, 2 marzo 2012. 

(16) G. Trovati, Tesoreria unica, versamenti bloccati, in Il Sole  24
     Ore, 29 febbraio 2012. 

(17) In Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2012, 15. 

(18) S. Romano, C'era una volta il  federalismo,  in  Corriere  della
     Sera, 29 febbraio 2012. D'altra parte, v. L. Salvia, Una «cassa»
     centrale per controlli piu' facili, ivi, 28 febbraio 2012. 

(19) F. Gallo, L'autonomia tributaria degli enti locali,  il  Mulino,
     Bologna, 1979, 21, nota 16. In  modo  conforme,  M.  Bertolissi,
     Lineamenti costituzionali del «federalismo fiscale». Prospettive
     comparate, Cedam, Padova, 1982. 

(20) Cfr., rispettivamente,  G.  Spezzaferri,  La  prassi  dei  conti
     correnti presso la Tesoreria centrale in rapporto  all'autonomia
     finanziaria delle Regioni, in Nuova Rass., 1976, p. 38  e  Corte
     cost., sent. n. 155 del 1977. 

(21) Cosi'. V. Onida, Autonomia finanziaria e controllo sulla «cassa»
     delle Regioni, in Le Regioni, 1983, p. 194. 

(22) Cosi' ONIDA, op. ult. cit., p. 192. 

(23) Cosi' G. Spezzaferri, op ult. cit., p. 40, nota 7. 

(24) Cfr.  U.  De  Siervo,  La  Corte  si  impegna  per   l'autonomia
     finanziaria regionale, ma  il  Tesoro  continua  ad  erogare  il
     mensile alle Regioni, in Giur. cost., 1977, p. 1567. 

(25) M. Bertolissi, Le «disponibilita'» finanziarie delle  Regioni...
     non sono disponibili, in Le Regioni, 1981, p. 1087. 

(26) V. Onida, op. cit., p. 198. 

(27) M.  Bertolissi,  Riflessioni   sulla   finanza   delle   Regioni
     ordinarie, in Dir. Reg.,1983, p. 899. 

(28) Cosi' V. Onida, op. cit., pp. 215 e 221. 

(29) Sintetizzato nelle parole di V. Onida, op. it., pp. 220-221. 

(30) Per tutti, V. Onida, Autonomia  finanziaria  e  controllo  sulla
     «cassa» delle Regioni,  in  Le  Regioni,  1983,  192  ss.  e  S.
     Bartole, La Corte (si) difende (dal)la tesoreria  unica  facendo
     appello a precedenti e tests di giudizio, in Le  Regioni,  1986,
     461 ss. 

(31) V.M. Bertolissi, Tesoreria unica  e  finanza  derivata:  appunti
     sulla legge n. 710/1484, in Il dir. della Regione, 1984, 467 ss. 

(32) La citazione e' di S. Bartole, La  Corte  (si)  difende  (dal)la
     tesoreria  unica  facendo  appello  a  precedenti  e  tests   di
     giudizio, in Le Regioni, 1986, 513.