Ricorso della regione Veneto (c.f. 80007580279 e p.i. 02392630279), in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 22 febbraio 2012, n. 272, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi (c.f. BRTMRA48T28L483I) del Foro di Padova e Andrea Manzi (c.f. MNZNDR64T26I804V) del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12; Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 8, 9, 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita')», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012, S.O. n. 18, per violazione degli artt. 3, 5, 41, 42, 81, 97, 117, 118, 119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, comma 2, Cost., e del seguente parametro interposto: legge 5 maggio 2009, n. 42. F a t t o 1. - Introduzione. In data 24 gennaio 2012 e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 19, S.O. n. 18, il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, meglio conosciuto come «decreto Monti», relativo alle cosiddette «liberalizzazioni». Nell'ambito del citato provvedimento normativo, la Regione Veneto ha individuato alcune disposizioni (segnatamente i commi 8 e 9 e 10 dell'art. 35) lesive di proprie prerogative costituzionalmente sancite e tutelate nonche' numerosi altri profili di contrasto con il dettato costituzionale, che ridondano in altrettante lesioni dell'autonomia regionale e degli enti locali, Province e Comuni, dei cui interessi si fa in questa sede portatrice. Per questi motivi la ricorrente si rivolge a Codesta Ecc.ma Corte costituzionale affinche' intervenga ripristinando la piena conformita' a Costituzione. 2. - Il sistema attuale di contabilita' e tesoreria regionale. In via preliminare si osserva che la Regione Veneto, in virtu' della previsione di cui all'art. 52 della propria legge regionale n. 39 del 29 novembre 2001 (recante «Ordinamento del Bilancio e della Contabilita' della Regione»), ha in corso con l'istituto Unicredit Banca s.p.a. un contratto per l'affidamento del servizio di tesoreria, stipulato in Venezia il 17 dicembre 2008 (doc. 2), della durata di anni cinque, con decorrenza dal 1o gennaio 2009 e scadenza al 31 dicembre 2013, che viene svolto secondo le modalita' e i contenuti previsti dal Capitolato speciale d'oneri allegato allo stesso. In adempimento a questo contratto Unicredit Banca s.p.a. esegue tutt'ora, per conto della Regione Veneto, il «complesso di operazioni connesse alla gestione finanziaria dell'Amministrazione Regionale, tra l'altro alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, nonche' all'amministrazione e alla custodia dei titoli e valori ed, in generale, agli adempimenti previsti dalla Legge di contabilita' regionale n. 39 del 29 novembre 2001». Tale servizio costituisce una fonte di entrata per l'amministrazione regionale dato che alle operazioni esecutive degli obblighi contrattuali viene applicato a credito sui depositi (giacenze di cassa) «un tasso attivo a capitalizzazione trimestrale di interesse lordo pari a + 66 (sessantasei) punti base di spread sull'Euribor un mese (base 365) media mese precedente pro tempore» (cfr. art. 4 del contratto), verso un tasso passivo per le anticipazioni di tesoreria pari a «+ 41 (quarantuno) punti base sull'Euribor un mese (base 365) media mese precedente pro tempore». Il contratto non prevede altri oneri, ne' commissioni bancarie a carico di terzi, ne' addebiti per incassi o emissioni, RID MAV, commissioni pagamenti all'estero, spese postali, etc. ne' per ogni altra imposta o onere conseguente all'attivita' oggetto di appalto (cfr. art. 5 del contratto). Ne' prevede aggio o corrispettivo alcuno per il tesoriere (cfr. art. 11 del Capitolato d'oneri, allegato D al contratto). Conseguentemente ogni attivita' viene gestita dalla Unicredit Banca s.p.a. attraverso la propria filiale di Venezia, sita in San Marco - Mercerie dell'Orologio, 191, presso la quale e' aperto il conto corrente speciale n. 000100537110 sul quale, quotidianamente, corrisponde la Direzione Ragioneria della Regione, sia per l'esecuzione dei mandati emessi, sia per la registrazione delle reversali di incasso, che per ogni altra operazione inerente al rapporto. Come da estratto conto al 31 dicembre 2011 (doc. n. 3), a fine anno questo presentava un saldo di € 346.659,50 a fronte di una movimentazione nel mese di dicembre 2011 di € 1.469.623.076,07 in entrata e di € 1.481.967.129,32 in uscita, che corrispondono all'andamento medio mensile della finanza regionale, che opera per bilancio di cassa con circa 14 miliardi di euro all'anno. Quanto alle risorse amministrate queste provengono da piu' fonti: accanto alla entrate per trasferimenti dallo Stato, si registrano anche entrate proprie, distinguibili perche' derivanti sia dai tributi, sia da entrate patrimoniali conseguenti a rapporti, vuoi di diritto pubblico vuoi di diritto privato. Quanto alle entrate da tributi propri, queste derivano in buona parte da imposte quali: l'addizionale regionale IRPEF (per un gettito di circa due miliardi di euro) e l'IRAP, entrambe incassate a mezzo dell'Agenzia delle Entrate; tributi riscossi direttamente dalla Regione avvalendosi della tesoreria, quali, ad esempio, il «bollo auto» (per un gettito nel 2011 di 676,05 milioni di euro circa) e le varie tasse di concessione regionale, tasse universitarie e di abilitazione, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti, le accise per gasolio e benzina, l'addizionale regionale sul gas metano ed altre entrate proprie registrate al Titolo 1° fra i tributi propri (per un gettito di 284,5 milioni di euro circa). 3. - La novella governativa. 3.1. Come rammentato in premessa, di recente il Governo nazionale, con il qui gravato decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, all'art. 35, commi 8, 9 e 10, ha introdotto, a sedicenti fini di «tutela dell'unita' economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica», disposizioni a contenuto sostanzialmente ablativo delle risorse regionali. Cio' senza soprattutto distinguere - e qui la peculiare gravita' dell'iniziativa - fra risorse provenienti dallo Stato e risorse che sono il provento dell'attivita' propria dell'amministrazione regionale. Per opportuna ricognizione si riportano per intero, al fine di una loro piu' precisa contezza, i commi 8, 9 e 10 del menzionato art. 35: «8. Ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2014, il regime di tesoreria unica previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e' sospeso. Nello stesso periodo agli enti e organismi pubblici soggetti al regime di tesoreria unica ai sensi del citato articolo 7 si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 e le relative norme amministrative di attuazione. Restano escluse dall'applicazione della presente disposizione le disponibilita' dei predetti enti e organismi pubblici rivenienti da operazioni di mutuo, prestito e ogni altra forma di indebitamento non sorrette da alcun contributo in conto capitale o in conto interessi da parte dello Stato, delle regioni e delle altre pubbliche amministrazioni. 9. Entro il 29 febbraio 2012 i tesorieri o cassieri degli enti ed organismi pubblici di cui al comma 8 provvedono a versare il 50 per cento delle disponibilita' liquide esigibili depositate presso gli stessi alla data di entrata in vigore del presente decreto sulle rispettive contabilita' speciali, sottoconto fruttifero, aperte presso la tesoreria statale. Il versamento della quota rimanente deve essere effettuato entro il 16 aprile 2012. Gli eventuali investimenti finanziari individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze - Dipartimento del Tesoro da emanare entro il 30 aprile 2012, sono smobilizzati, ad eccezione di quelli in titoli di Stato italiani, entro il 30 giugno 2012 e le relative risorse versate sulle contabilita' speciali aperte presso la tesoreria statale. Gli enti provvedono al riversamento presso i tesorieri e cassieri delle somme depositate presso soggetti diversi dagli stessi tesorieri o cassieri entro il 15 marzo 2012. 10. Fino al completo riversamento delle risorse sulle contabilita' speciali di cui al comma 9, per far fronte ai pagamenti disposti dagli enti ed organismi pubblici di cui al comma 8, i tesorieri o cassieri degli stessi utilizzano prioritariamente le risorse esigibili depositate presso gli stessi trasferendo gli eventuali vincoli di destinazione sulle somme depositate presso la tesoreria statale». 3.2. Come appare dalla lettura dei tre commi sopra esposti, il linguaggio utilizzato non e' dei piu' chiari e lineari. Comunque sia, il significato concreto di tali disposizioni e' ricavabile dal contenuto degli artt. 7, 8 e 9 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 (recante «Nuove modalita' di attuazione del sistema di tesoreria unica»), il quale, derogando al regime di tesoreria unica di cui alla previgente legge 29 ottobre 1984, n. 720, aveva, in sintesi, previsto che le Regioni, attraverso un percorso istituzionale ben definito, potessero, in modo progressivo, dotarsi di una propria tesoreria, in corrispondenza al maggior livello di autonomia da queste conseguite: a) sia a coronamento degli ambiti di competenza nel frattempo trasferiti dallo Stato, anche in materia tributaria; b) sia in adeguamento al nuovo quadro istituzionale proveniente dai cd. «Decreti Bassanini» (in particolare legge n. 59/1997 e decreto legislativo n. 112/1998); c) sia in ragione della prevista modifica dell'assetto costituzionale delle autonomie locali poi trasfuso nella modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione. In breve, attraverso il meccanismo introdotto dal decreto legislativo n. 279/1997, dapprima in via sperimentale ai sensi dell'art. 9, quindi attraverso successivi provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri, intercorsi tra il 1999 e il 2001 (transitati attraverso le procedure di cui all'art. 8), tutte le entrate della Regione, comprese quelle proprie (ai sensi dell'art. 7 originariamente non destinate ad essere versate nella tesoreria unica nazionale), sono state gestite in sede locale attraverso propri servizi di tesoreria. Viceversa, dal novello impianto normativo dell'art. 35 del decreto-legge n. 1/2012 si ricava, in tutta evidenza, come l'effetto proprio dei commi 8, 9 e 10 sia oggi essenzialmente quello di concentrare presso la tesoreria unica dello Stato (sulle «contabilita' speciali (...) aperte presso la tesoreria statale») tutto il patrimonio in numerarlo della Regione: a) quello formato da trasferimenti dello Stato; b) il portato delle entrate tributarie proprie; e c) il risultato della propria attivita' afferente ai rapporti esclusivi, di diritto pubblico o di diritto privato. Il comma 9 dell'art. 35 rivolge all'attuale tesoriere l'ordine di consegnare l'ammontare della cassa che deteneva presso il conto corrente intestato alla Regione il 24 gennaio 2012, con due versamenti da effettuarsi, il primo al 29 febbraio 2012, il secondo entro il 16 aprile successivo; senza dire della smobilizzazione degli investimenti finanziari da individuarsi con futuro decreto ministeriale. Il tutto in spregio alla circostanza che detto ordine interviene su un rapporto soggettivo di diritto privato che lega tra loro due portatori di diritti soggettivi ed autonomi. Il comma 10 impone, infine, alla banca tesoriere di agire su somme che non sono oggetto di trasferimento immediato, in patente violazione dell'autonomia contrattuale delle parti e della circostanza che lo Stato, per volere della Costituzione, non ha potere sulle modalita' organizzative e contabili con cui la Regione gestisce il proprio patrimonio, a partire dall'indicazione dei tempi e delle modalita' con cui dare luogo ai pagamenti. A cio' si accompagna la circostanza che, ad oggi, non sono stati affatto comunicati, per converso, all'amministrazione regionale i tempi e i modi per poter continuare a svolgere le proprie funzioni di entrata e di spesa attraverso la tesoreria unica dello Stato. 3.3. Va osservato, infatti, a riguardo, che alla Regione, al fine di dare esecuzione al decreto-legge, non e' ancora pervenuta una formale comunicazione da parte dello Stato circa le modalita' con cui sara' attivato e gestito il servizio di tesoreria unica sostitutivo di quella propria. Questa, infatti, attivata a seguito di una procedura ad evidenza pubblica e poi disciplinata in via contrattuale, non viene contestualmente soppressa e viene piuttosto lasciata in sospensione in una sorta di «limbo giuridico». Che manchi del tutto una qualsiasi forma di raccordo tra Ministero dell'economia e destinatari degli effetti della norma e' altresi' testimoniato da un «Messaggio urgente da inviare alle direzioni e agli uffici organizzazione e tesoreria enti soggetti utenti del SITRAD» (doc. n. 4), privo di data e di firma, con il quale l'ABI (l'associazione delle banche italiane) ha informato Unicredit Banca s.p.a. circa i «Criteri di versamento presso le contabilita' speciali degli enti» in «attuazione» dell'art. 35, commi 8 - 13, del decreto-legge n. 1/2012. Espone, infatti, il citato messaggio quanto l'ABI avrebbe «appreso per le vie brevi dai competenti uffici ministeriali»: segno tangibile di una assoluta mancanza di indicazioni attuative provenienti da parte di chi avrebbe dovuto esercitare la dovuta attivita' di informazione circa l'esecuzione del provvedimento legislativo. A questo riguardo spiace poi dover notare che le informazioni per «le vie brevi» fornite dai «competenti uffici ministeriali» (quali?) sarebbero peraltro state date dopo essere state «condivise con i rappresentanti (...) della Conferenza delle Regioni» (quando?). Malgrado queste fantasiose affermazioni, nulla di cio' e' affatto avvenuto. Qualora fosse stato espresso un consenso in sede istituzionale dalle Regioni, questo si sarebbe dovuto quantomeno tradurre in un verbale di incontro, in una nota scritta o in una qualsiasi altra forma di documento, dei quali non vi e' traccia alcuna. Tant'e' che solo da queste non meglio identificate «vie brevi» l'amministrazione regionale veneta e' venuta a conoscenza che i tesorieri dovranno, «indipendentemente da autorizzazione degli enti», far pervenire entro il 29 febbraio alla tesoreria dello Stato il 50% delle somme esistenti presso la banca che svolge le funzioni di tesoreria, come ricavate dalla «situazione di chiusura del giorno 24 gennaio (TI)» ed aventi «ad oggetto le somme esistenti alla chiusura del giorno di versamento (T2)». Il messaggio dell'ABI, poi, oltre a non dare - come rilevato - le essenziali disposizioni attuatine, si prodiga, invece, a fornire istruzioni gravemente lesive degli obblighi negoziali previsti nel contratto di prestazione del servizio di tesoreria, laddove queste impongono alle banche associate e, nel caso di specie ad Unicredit banca s.p.a., adempimenti ultronei rispetto al decreto-legge, senza averne - all'evidenza - la necessaria forza e legittimazione. Inter alia, secondo l'ABI, (ma non ai sensi del decreto-legge), che nuovamente riferisce le indicazioni di non meglio definiti «competenti uffici ministeriali», il trasferimento de quo riguarda anche le somme pignorate presso il tesoriere, malgrado il vincolo giudiziario di indisponibilita' gravante sulle stesse, a meno di non presupporre (ma nuovamente il decreto-legge in questo senso non dice nulla) il trasferimento ex re alla tesoreria unica anche degli obblighi del terzo pignorato. Tutto cio' in spregio a precisi valori costituzionali, nei termini di cui alle censure di seguito esposte, tali da pregiudicare l'ordine delle competenze, formali e sostanziali, della Regione Veneto e degli enti locali, nonche' l'autonomia contrattuale di soggetti pubblici e privati. D i r i t t o 1. - Una indispensabile premessa. Sostiene Silvio Trentin che non e' diritto, ma una pura e semplice manifestazione di forza materiale, cio' che non corrisponde a un agire razionale, che e' tale quando si dimostra coerente con le regole del gioco (1) . Ed aggiungeva, parlando dello Stato: «E' per questo motivo che quest'ultimo, pena il rendersi completamente estraneo alla Societa', quindi il cessare di essere Stato, deve sempre piu' organizzarsi come un ordine delle autonomie» (2) . Non puo' sorprendere, dunque, questa ulteriore annotazione, che da' conto di cio' che nella storia d'Italia e' sempre accaduto, vale a dire che appaiono e sono istituzioni gracili lo Stato-apparato e lo Stato-ordinamento (3) : «Il problema eterno dello Stato e' proprio quello di insediare lo Stato nella Societa', e' quello di impedire che l'ordine di integrazione implichi la sparizione, l'annientamento degli ordini integrati» (4) . Tra tante condizioni, ve n'e' una esemplare, che va rispettata: e' la clausola delle clausole, quella su cui si fonda il patto costituzionale - il foedus -, che si riassume nel noto brocardo pacta sunt servanda. Se ragioni contingenti oppure sistemiche suggeriscono o addirittura impongono un mutamento di aspetti essenziali delle regole del gioco lo si fara' dialogando, nel rispetto - come la Corte costituzionale ha da tempo immemorabile affermato - del principio di leale collaborazione. Non certo operando alla luce di un altrettanto noto adagio: l'Etat c'est moi, oltretutto svilito da un testo primitivo, quale e' l'art. 35, co. 8, 9 e 10 in particolare, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, dedicato a un vecchio arnese: la tesoreria unica. Nell'esaminare il dettato normativa, il meno che possa accadere e' che si riprendano massime tralatizie, ignorando quel che le ha rese tali, secondo uno schema mentale che fa della fissita' il criterio ordinatore degli eventi: secondo, appunto, una prospettiva collaudata, che vede la dottrina «sempre tarda a teorizzare la realta'» (5) . Infatti, quest'ultima rappresenta il contenitore, all'interno del quale e' stato calato dal Governo, tra l'altro, il disposto secondo cui «fino al 31 dicembre 2014, il regime di tesoreria unica previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 297 e' sospeso», mentre «si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 e le relative norme amministrative di attuazione» (art. 35, comma 8, decreto-legge n. 1/2012). Dunque, un testo normativo fu in vigore dal 1984, uno ulteriore rinnovato dal 1997, quello impugnato dinanzi a Codesta Corte e' operante dall'entrata in vigore dell'atto governativo avente forza di legge: dall'anno 2012. Successione di atti normativi, modificazione di regime giuridici, ritorno all'antico, giustificato piu' o meno cosi': lo Stato ha bisogno di cassa. Di liquidita'. Come un tempo e con le ragioni di allora? (6) . Il Giudice delle leggi, nel definire nei suoi caratteri essenziali il regime di tesoreria unica di cui alla legge n. 720/1984, con la sent. n. 132/1993 ha precisato che «la ratio del complesso di norme ora ricordato e' quella di consentire allo Stato, in riferimento a un interesse dell'intera comunita' nazionale, il controllo della liquidita' e la disciplina dei relativi flussi monetari e, in particolare, di evitare che somme reperite dallo Stato attraverso il ricorso al mercato finanziario e comportanti, pertanto, il pagamento di onerosi interessi da parte dello Stato stesso, finiscano per giacere presso i tesorieri regionali, dando cosi' vita a una produzione di interessi a favore delle Regioni scaturente, in definitiva, da erogazioni di somme prese a prestito dallo Stato». Ed ha aggiunto: «Questo circolo vizioso delle finanze pubbliche e' impedito dal "sistema della tesoreria unica", il quale, per riprendere valutazioni gia' espresse da questa Corte ..., e' ispirato alla "esigenza fondamentale per lo Stato (di) limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacita' di spesa degli enti (regionali)". Tale esigenza e le norme di legge che ad essa si ispirano sono, dunque, espressione del potere di coordinamento della finanza regionale con quella nazionale e degli enti locali, che l'art. 119 della Costituzione attribuisce allo Stato». Dunque, la finalita' era quella di evitare un «circolo vizioso delle finanze pubbliche» - un cortocircuito - in caso di «provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacita' di spesa» delle Regioni, in un contesto di finanza territoriale caratterizzato non dall'autonomia del prelievo tributario, ma - pure la Corte lo ha ripetutamente riconosciuto, oltretutto dopo l'entrata in vivore della legge costituzionale n. 3/2001 - da una larva prevalenza dei trasferimenti erariali. Del resto, e' scritto a chiare lettere nei lavori preparatori e nel testo della legge di delega n. 42/2009, avente ad oggetto l'attuazione dell'art. 119 Cost. (7) . L'interesse tutelato era quello generale, che trovava la sua piu' limpida giustificazione nella necessita' di non dissipare risorse pubbliche pagando - a chiunque, fossero pure soggetti pubblici - interessi, da finanziare, comunque, attraverso la fiscalita'. Perche', c'e' sempre qualcuno che paga (8) . Si era in presenza di interessi non frazionabili. Condivisibili o meno che fossero quegli assunti (9) (si dira' oltre in che termini comunque criticabili), e' fuori discussione che non possono essere - il discorso si fa rigoroso, perche' impiega le categorie del ragionamento scientifico - trasferiti omisso medio nel 2012. Tra il 1984 e il 2012 non solo sono passati poco meno di una trentina d'anni; non solo si sono verificati i mutamenti istituzionali, economici e sociali ordinari; non solo e' intervenuta nel 2001 una riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione; si sono prodotti anche eventi che hanno interferito sulle relazioni tra Stati e, all'interno degli Stati, tra i livelli di governo ed i cittadini, soprattutto quando costoro sono contribuenti: come tali, destinati a sobbarcarsi, nonostante le tante partite del dare e dell'avere che spesso si traducono in partite di giro, il grave fardello del debito pubblico, ora comunemente denominato debito sovrano (10) . E' con il debito sovrano che ha a che fare la tesoreria unica dell'anno di grazia 2012. Si tratta di un rilievo - decisivo, a parere della difesa della Regione Veneto - che si puo' spiegare con solare limpidezza. Da un lato, riprendendo una millimetrica annotazione (11) , si deve essere ben consapevoli che «i motivi per cui Mario Draghi, presidente della Bce, ha aperto il rubinetto della liquidita' sono molti. Innanzi tutto bisognava salvare molte banche che stavano morendo per asfissia finanziaria: nessuno prestava piu' loro i soldi necessari per vivere. Tanti analisti sono convinti che senza il suo intervento di emergenza, il 2012 avrebbe registrato piu' di un fallimento bancario in Europa. Inoltre bisognava creare liquidita' per favorire l'acquisto di titoli di Stato: rendimenti al 7% e oltre erano insostenibili per Paesi come l'Italia o la Spagna. Dato che la Bce piu' di tanto non poteva comprare BTp, ha dovuto finanziarie le banche perche' lo facessero al posto suo. Questi due obiettivi sono gia' stati raggiunti: lo dimostra l'euforia che c'e' sul mercato dei titoli di Stato e sulle banche. E' pero' il terzo obiettivo, quello piu' strutturale, che ancora manca all'appello: la politica della Bce raggiungera' veramente l'obiettivo solo quando fara' ripartire il circuito del credito. Insomma: quando i soldi arriveranno all'economia reale. La logica della Bce e' questa: le imprese in Europa ottengono 1'87% dei finanziamenti in banca (contro il 24% negli Stati Uniti), per cui se gli istituti sono impossibilitati ad erogare credito, le imprese muoiono. Salvando le banche, con maxi-prestiti agevolati, la Bce spera dunque di far ripartire il motore della crescita. Che questo accada, pero', non e' affatto scontato» (12) . D'altro lato, non si deve dimenticare (13) che: «Dal 2007 al 2011 i contribuenti europei hanno speso duemila miliardi di euro per salvare le banche, l'equivalente del nostro debito pubblico. In Italia non e' stato speso un euro, grazie al nostro prudente modello di banca commerciale e all'attenta azione di vigilanza svolta dalla Banca d'Italia. Se altrove gli Stati hanno salvato le banche, in Italia le banche hanno evitato il collasso del debito pubblico. Di cio' l'Italia deve essere orgogliosa» (14) . Ergo: in estrema sintesi e con molte approssimazioni, anche in Italia, dopo il 2008 il debito pubblico si e' impennato a tal punto da essere comunemente definito sovrano, perche' dello Stato; in Italia, una quota-parte significativa e' nelle mani del sistema bancario; i principali istituti di credito e il sistema creditizio nel suo insieme sono gravati, in termini di affidabilita', dal rischio-Paese, che ha determinato declassamenti in sede di attribuzione del rating, che hanno accresciuto il gia' enorme debito. Tutto questo ed altro ancora, unitamente alla crisi economica in atto, ha posto all'ordine del giorno i temi della liquidita' e del rischio, che hanno inciso pesantemente sul rapporto banche-imprese, cui non e' estraneo il settore pubblico, che acquisisce presso terzi beni, prestazioni e servizi, e non paga. O paga con tempi biblici. Buon senso vorrebbe che le varie esigenze in campo fossero tra loro coordinate e che non si impartissero ordini contraddittori. Ad esempio, alle banche, di acquistare titoli del debito pubblico e di fare credito, ad un tempo, ed anche di finanziare le imprese, ben sapendo che cio' e' possibile se c'e' liquidita'. Ma le banche usufruiscono di una liquidita' relativa, oltretutto perche' e' erosa da enormi sofferenze dei crediti e dal costo via via crescente della raccolta. Lapalissiano concludere che di tutto hanno bisogno le parti che hanno stipulato il contratto di tesoreria, la Regione Veneto e il tesoriere, meno che di vedersi sottratte le risorse finanziarie depositate, che consentono a ciascuna di esse di operare impiegando le stesse a beneficio dell'economia reale. La Regione paga i fornitori il tesoriere accorda finanziamenti. Da questo punto di vista, la centralizzazione del comando e la disponibilita' della cassa da parte dello Stato, se fa bene a quest'ultimo, fa male alla Regione e all'economia della collettivita' di cui e' ente esponenziale. Tanto basta a rendere evidente quel che si e' premesso: vale a dire che il quadro di riferimento cui la Corte deve ricollegarsi e' caratterizzato da peculiarita' tali da renderlo incomparabile con esperienze del passato. In ogni caso, vale la pena di ricordare, a mo' di rassegna, quel che si e' detto e scritto a caldo, a proposito del contenuto dell'art. 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge n. 1/2012: ad esempio, che, «come non si possono introdurre imposte che colpiscano in modo incoerente i contribuenti solo perche' serve il gettito, cosi' non si possono punire solo gli enti locali "colpevoli" di avere liquidita' e di gestirla con contratti locali vantaggiosi» (15) ; che si e' prodotto un «danno morale e costituzionale», dal momento che e' lesa l'autonomia finanziaria di enti garantiti dalla legge fondamentale (16) ; che, oltretutto, simili misure, in una scala di efficacia che va da alto-medio-basso, hanno un grado «basso» (17) ; che la marcia verso il federalismo - cosiddetto, ad essere sinceri - e' «interrotta (forse per sempre)» (18) . L'Ecc.ma Corte consideri, infine, questo dato. Si e' osservato - in tempi lontani, con grande lucidita' - che, «proprio nei momenti di grave crisi fiscale dello Stato, si registra la tendenza ad aumentare l'entita' dei tributi propri degli enti minori», e cio' «non sempre in termini di autonomia tributaria», ove «ad una riduzione o, comunque, ad un non aumento di trasferimenti dallo stato faccia riscontro una fonte alternativa di risorse su cui l'ente locale possa contare per finanziare le maggiori spese "obbligatorie"» (19) . E' cio' che si e' avverato, a causa della terribile crisi in atto. La singolarita' sta nel fatto che le risorse cosi' acquisite pure dalle Regioni - e dalla Regione Veneto, in particolare - vengono assorbite dallo Stato per essere dallo stesso impiegate: pronta cassa. In modo conforme a Costituzione? Pare proprio di no, per le specifiche ragioni che saranno a breve indicate. 2. - Ancora e piu' specificamente sull'anacronismo dei precedenti giurisprudenziali. L'incostituzionalita' del sistema di tesoreria unica di cui alla legge n. 720/1984 rispetto, in generale, all'assetto delle competenze (sul piano legislativo, amministrativo, fiscale) Stato-Regioni, voluto dalla novella costituzionale del 2001, diviene ancor piu' evidente se solo, nella prospettiva diacronica del diritto, si considerano, sia pure brevemente, le tappe che segnarono la sua introduzione e i rilievi critici con cui fu stigmatizzata. Con riguardo alle Regioni, infatti, la tesoreria unica non fu imposta uno actu ed ex abrupto, bensi' in via progressiva, quale sorta di nodo scorsoio al collo dell'autonomia regionale costituzionalmente (sulla carta) garantita. Dapprima fu la legge n. 629/1966 (recante Norme circa la tenuta dei conti correnti con il Tesoro): introduceva l'obbligo per «le amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo e le gestioni speciali dello Stato, di tenere le disponibilita' liquide in conti correnti con il Tesoro» (art. 1) e «per gli enti che sotto qualsiasi forma beneficiano di contributi (...) a carico del bilancio dello Stato» di tenere le disponibilita' liquide in conti correnti con il Tesoro, «limitatamente all'ammontare dei contributi medesimi» (art. 2). Di essa, concordemente, dottrina e giurisprudenza esclusero l'obbligatoria applicabilita' alle Regioni (20) , perche' «una simile interpretazione (che avrebbe condotto a ritenere precluso alle Regioni di disporre di una propria tesoreria in cui fare affluire le somme liquide di propria pertinenza) confliggeva palesemente non solo col comportamento di fatto tenuto dalle Regioni, che con proprie leggi avevano disciplinato il servizio di tesoreria e avevano stipulato apposite convenzioni con istituti bancari, ma altresi' con l'art. 33 della legge statale n. 335 del 1976 sulla contabilita' delle Regioni, secondo il quale "la legge regionale disciplina il servizio di tesoreria delle Regioni"» (21) . Di fatto, tuttavia, la situazione era di segno diametralmente opposto a causa degli inviti «ripetuti e pressanti» del Governo alle Regioni «affinche' esse - anziche' chiedere il versamento di tutte le entrate loro spettanti presso le tesorerie regionali - aprissero dei conti correnti (fruttiferi) con il tesoro nei quali tenere depositate le somme assegnate dallo Stato» (22) . Ne' manco' chi, tempestivamente, rilevasse come tali richieste governative tenessero «celate le intenzioni - noi rivelatesi nei fatti - di generalizzare indiscriminatamente i depositi a tutte le risorse derivanti dal bilancio dello Stato» (23) . Altri si dolevano del fatto che era stata compiuta «in realta' una ricostruzione dell'attuale situazione nel settore in termini cosi' lontani dalla realta' effettiva che il rischio e' che gli organi governativi possano trovarvi una insperata legittimazione proprio dalla permanenza dell'attuale stato di fatto» col rischio «di perpetuare ancora una ambigua situazione di fatto anticostituzionale» (24) . Fu la legge di riforma del bilancio dello Stato (n. 468 del 1978) a introdurre, con l'art. 31, l'imposizione dell'obbligo alle Regioni di tenere le somme trasferite dallo Stato, in conti correnti non vincolati con il Tesoro; la legge finanziaria per il 1981 (n. 119/1981), con l'art. 40, a disporre l'imposizione di un limite quantitativo alle disponibilita' che le Regioni potevano mantenere presso i propri tesorieri; la disciplina successiva ad estendere a tutto il settore pubblico allargato il sistema della tesoreria unica (legge n. 720/1984, con gli interventi di modifica e integrazione che ne seguirono). A cio' si aggiunsero ulteriori restrizioni all'autonomia finanziaria regionale. Fra esse, segnatamente, vanno rammentate le seguenti: a) il carattere infruttifero dei conti aperti con il Tesoro (a partire dal d.m. del Tesoro 11 aprile 1981 in Gazzetta Ufficiale 4 maggio 1981, n. 120); b) i vincoli relativi alle modalita' e ai tempi di prelevamento e all'entita' delle somme prelevabili dalle Regioni dai conti correnti (a partire dall'art. 26 decreto-legge n. 786/1982, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51); c) i margini di discrezionalita' del Ministero del Tesoro nell'erogazione delle somme richieste (v. il d.m. e il decreto-legge supra citati); d) le progressive contrazioni del quantitativo massimo imposto all'entita' delle disponibilita' liquide, fino ad arrivare al 3% dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza (la legge n. 730/1983 ridusse il limite dal 12% al 6%; la legge n. 720/1984 dal 6% al 4%). Gia' in allora gli argomenti usati da Codesta Corte per «salvare» dall'illegittimita' costituzionale la disciplina del servizio unico di tesoreria furono di stampo contingente e scarsamente propensi a valorizzare i profili di autonomia riconosciuti dalla Carta alle Regioni e agli enti locali. In tempi non sospetti, si ritenne di concludere che si poteva «anche non mettere in discussione la soluzione legislativa e l'avallo di legittimita' della Corte a patto che si dicesse "con franchezza" che se la legge di contabilita' generale si deve intendere conforme a Costituzione, allora significa, che il sistema finanziario in atto, cosi' come si pretende delineato dal costituente, e' quello proprio di un ordinamento unitario e non autonomistico"» (25) . A maggior ragione oggi, le massime giurisprudenziali elaborate in subiecta materia e tralatiziamente ripetute negli anni Ottanta/Novanta, perdono in toto di pertinenza, depotenziate come sono, oltre che dai limiti intrinseci che nel prosieguo si evidenzieranno, dall'anacronismo da cui sono affette, a meno di non voler assegnare loro un'efficacia dogmatica che non hanno. In particolare, le istanze governative di aprire un apposito conto corrente presso la tesoreria centrale vennero considerate legittime «per il prevalente motivo che il tenore degli atti impugnati [due telegrammi ministeriali contenenti gli inviti dei quali si e' detto] e' tale da esprimere un invito, piuttosto che un'imposizione», trattandosi di «direttive non vincolanti» non finalizzate a «disporre in via diretta ed imperativa l'istituzione di un conto corrente per ciascuna Regione» (cfr. sent. n. 155 del 1977). Sennonche', cosi' facendo, si celava, dietro a qualificazioni puramente formali, la realta' fattuale del blocco delle erogazioni da parte dello Stato alle Regioni fino al momento della sollecitata apertura del conto corrente presso la tesoreria centrale e, quindi, la reale vincolativita' dei cosiddetti inviti. Ancora. Si fece salvo l'art. 31 della legge n. 468/1978, nonostante realizzasse «per via di imposizione autoritaria quel risultato che precedentemente il Tesoro aveva perseguito mediante inviti alle Regioni» (26) , perche' «l'obbligo di tenere le disponibilita' liquide in conti correnti non vincolati con il tesoro e' limitato ad assegnazioni, contributi e quant'altro provenienti dal bilancio dello Stato, e non tocca in alcun modo fondi di altra provenienza» (sent. n. 162 del 1982), sebbene tutti sapessero che la finanza regionale era quasi esclusivamente finanza derivata, cioe' finanza di trasferimento dal bilancio dello Stato, con l'effetto conseguente che il limite imposto riguardava, in realta', la quasi totalita' delle risorse regionali. Si giustifico' l'art. 31 della legge n. 468/1978 in forza del potere statale di «coordinare la finanza regionale con quella statale» (art. 119 Cost.) in funzione di indispensabili economie di spesa (sent. n. 162 del 1982, confermata dalle sentenze successive). Un tanto, tuttavia, senza nel contempo dichiarare la criticita' implicita nella premessa dell'argomento usato, vale a dire che, cosi' inteso, il potere di coordinamento della finanza pubblica veniva (e viene) concepito «come funzione organizzativa a se', riservata allo Stato, esercitabile unilateralmente e suscettibile di sovrapporsi all'organizzazione e al funzionamento dei poteri locali delineati nella Costituzione», finendo, quindi, col costituire «in ogni caso una ragione di potenziale e permanente compressione dell'autonomia finanziaria locale, il cui contenuto non potrebbe essere valutato alla stregua di parametri costituzionali sostanziali predeterminati, bensi' definito lungo la linea variabile delle scelte discrezionali operate di volta in volta dal legislatore» con l'avallo del Giudice delle leggi (27) . Si dichiaro' la legittimita' anche dell'art. 40 della legge n. 119/1981 in quanto espressione del potere riservato allo Stato di «disciplina del credito, strettamente (connesso) alla stabilita' della moneta e, quindi, ad un interesse che travalica l'ambito regionale coinvolgendo la comunita' nazionale» (sent. n. 162 del 1982). Ma, al contrario, «che la disciplina in questione riguardi l'attivita' creditizia, e non piuttosto la contabilita' regionale e la gestione della cassa regionale, non sembra facilmente sostenibile»; senza dire che «il limite ai prelievi, non correlato all'effettivo fabbisogno di cassa, conduce non tanto a regolare i flussi monetari dallo Stato alle Regioni, quanto a interrompere in modo anomalo il nesso necessario fra attribuzione, da parte dello Stato, di determinate risorse alle Regioni, ed effettiva possibilita' per quest'ultime di spendere tali risorse secondo i fini e nei tempi autonomamente prescelti, e nell'osservanza dei propri bilanci e delle procedure contabili stabilite dalle leggi (28) . Non si ritenne incostituzionale neppure la previsione che voleva infruttiferi i conti presso il tesoriere centrale perche' «anche se ne deriva una minore redditivita' delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito», e' questa «una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni» (sent. n. 243 del 1985; nello stesso senso v. anche le sentenze n. 162 del 1982 e n. 307 del 1983), assumendo, evidentemente, l'autonomia regionale in una accezione puramente formale. Il commento generalizzato (29) fu che «a questo punto, sembra veramente difficile negare che - passo dopo passo - i conti "obbligatori" delle Regioni presso la tesoreria statale siano divenuti (se non lo sono stati fin dall'origine) quell'"anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale" nel quale secondo la Corte e' "essenziale" che essi invece non si trasformino» (sent. n. 94 del 1981). E'fin ovvio che, tale risultato e', a fortiori, inaccettabile oggi. 3. - Violazione degli artt 3 e 97 Cost., nonche' del principio di ragionevolezza. Considerato ut supra come il testo e contesto del sistema unico di tesoreria siano indubbiamente, radicalmente diversi oggi rispetto a tre decenni fa e rammentati i profili di incompatibilita' con la Costituzione che gia' affliggevano la medesima disciplina, e' opportuno ora denunciare le specifiche doglianze delle disposizioni impugnate rispetto al testo costituzionale novellato nel 2001 in senso (sedicentemente) federalistico. Macroscopica e' quella che ha come parametro il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Infatti, delle due l'una. O le disposizioni normative impugnate perseguono l'obiettivo di attribuire allo Stato liquidita' di cui disporre: ma, in questo modo, e' evidente che esse lederebbero patentemente le autonomie territoriali costituzionalmente sancite e tutelate, privandole delle risorse loro proprie. O la disciplina gravata, dovendosi escludere che le somme riversate nelle casse centrali possano, per cio' solo, entrare nella libera disponibilita' dello Stato, e' priva di senso, assolutamente irragionevole e contraddittoria. E cio' dicasi, in particolare: a) rispetto al preteso scopo di tutelare l'unita' economica della Repubblica nella particolare situazione di crisi del debito sovrano, anche perche' si tratta (come si e' detto e si dira') di una novella che, lungi dal consentire profitti, genera sprechi (ad esempio con riguardo alla minore redditivita' sulle somme riversate), non preventivamente quantificabili ma certamente significativi; b) anche laddove si riconoscesse la finalita' di rendere piu' chiaro il sistema di contabilita' locale, dal momento che l'intervento si limita all'accentramento delle tesorerie, mentre altri (e piu' adeguati) avrebbero potuto e dovuto essere gli interventi del Governo per ottenere un risultato in questo senso (ad esempio perseguendo in concreto l'obiettivo di rendere uniformi e trasparenti i bilanci degli enti territoriali, previsto all'art. 2, comma 2, lett. h) della legge n. 42/2009); c) rispetto alla posizione degli istituti di credito, che, da un lato, sono richiesti di finanziare le imprese, e, dall'altro, sono privati della liquidita' necessaria. Le disposizioni normative impugnate, inoltre, sono assolutamente irragionevoli nella parte in cui non prevedono una seria e completa - seppur essenziale - disciplina di transizione e di attuazione dei precetti in esse contenuti. Non si puo', infatti, pensare che ad attuare l'imposto ritorno al sistema unico di tesoreria possano soccorrere i decreti adottati a cavallo degli anni Ottanta, in quanto gia' in allora criticati per la loro dubbia compatibilita' con il testo costituzionale e certamente contrari al sistema delle autonomie costituzionalmente previsto dopo il 2001. Per non parlare, poi, della loro inutilizzabilita' pratica in concreto, dal momento che procedure e strutture del passato non sono oggi facilmente e, soprattutto, immediatamente replicabili. L'irragionevolezza della disciplina sotto questo profilo e' tanto piu' evidente laddove, proprio a cagione della sua lacunosita', finisce indebitamente con il consentire a soggetti assolutamente non legittimati allo scopo, quale l'associazione di categoria ABI, di intervenire in supplenza, dettando previsioni che - come gia' rilevato - non solo non sono contenute nel decreto-legge, ma anzi sono ad esso contrarie e/o ne aggravano l'illegittimita' costituzionale. Gli effetti di una disciplina siffatta sono e saranno quelli di ritardare, se non anche limitare, l'accesso di Regioni ed enti locali alle proprie risorse. La Corte, tuttavia, ha gia' in passato chiarito che «per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo l'indispensabile velocita' di erogazione e costringendo le Regioni a far ricorso - in via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve periodo, occorre pero' che la reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso le aziende di credito sia resa possibile continuamente e nei modi piu' solleciti, affinche' si possa far fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilita' in questione» (Corte cost., sent. n. 244 del 1985). Per non dire della possibilita' che si generino veri e propri vuoti di cassa, quando Codesta Corte ha da sempre tenuto «ferma l'esigenza (...) che i rapporti tra le tesorerie regionali e le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato siano regolati in modo tale da escludere il pericolo di improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione e paradossalmente frusterebbero gli intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle Regioni di ricorrere ad onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili» (Corte cost., sent. n. 243 del 1985). E' evidente, poi, che le sopra citate lacunosita', irragionevolezza e inadeguatezza agli scopi dichiarati della disciplina impugnata sono destinate fatalmente a tradursi in ritardi, disfunzioni, disagi nella concreta disponibilita' delle risorse e, dunque, nell'erogazione dei servizi, in aperta violazione del canone di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. Infine, si deve rilevare l'irragionevolezza della disciplina impugnata nella parte in cui prevede che la sospensione del regime di tesoreria di cui al decreto legislativo n. 279/1997 si applichi fino al 31 dicembre 2014. Si produce, cosi', il risultato paradossale di generare una disciplina altalenante, costituita, per un verso, dalla reviviscenza provvisoria di un corpo normativo datato, incostituzionale, privo degli strumenti di attuazione, e, per l'altro, dal congelamento di un sistema di tesoreria conforme a Costituzione, rispettoso delle autonomie e rodato da tempo. 4. - Violazione dell'art. 41 Cost. La Regione Veneto censura, inoltre, le disposizioni normative di cui all'art. 35, comma 8, 9 e 10, del decreto-legge n. 1/2012 per violazione dell'art. 41 Cost., secondo il quale «l'iniziativa economica privata e' libera». Come gia' anticipato, mentre in origine il sistema di tesoreria unica era assicurato dalla Banca d'Italia (legge n. 720/1984), successivamente (in forza del decreto-legislativo n. 279/1997) si consenti' a Regioni ed enti locali (oltre ad altri enti enumerati) di detenere le proprie risorse presso tesorieri scelti con gara, in omaggio, tra l'altro, al principio di tutela della concorrenza. Principio che, dunque, pure, deve considerarsi leso dalla previsione di nuovo accentramento della tesoreria presso l'unica Banca d'Italia. La Regione, quindi, come pure gli enti locali di cui si fa tramite, ha in essere un contratto di tesoreria con un istituto di credito, attivato previa indizione di una procedura ad evidenza pubblica, secondo regole comunitarie, le cui clausole sono state pattiziamente convenute sulla base di scelte rimesse alla autonoma determinazione delle parti ed eseguite, fino ad oggi, in omaggio alla regola elementare di civilta' per cui pacta sunt servanda. Il legislatore del decreto impugnato si e' inserito in questo rapporto contrattuale di diritto privato, in modo improvvido e autoritativo, in assenza di presupposti facoltizzanti. Manca, infatti, la ragione di «utilita' sociale» o - per meglio dire utilizzando le parole di Codesta Corte (v. Corte cost., sent. n. 31 del 2011) - «economico-sociale», che, ai sensi dell'art. 41, comma 2, Cost. puo' autorizzare un intervento legislativo limitativo della liberta' contrattuale. Per le argomentazioni gia' articolate, in effetti, tale presupposto legittimante non puo' essere riconosciuto nell'esigenza - illegittima e per molti versi irragionevole - di drenare risorse dalle autonomie territoriali e dalle banche verso lo Stato. L'incostituzionalita' e' - se possibile - ancora piu' evidente e grave per la Regione ricorrente ove si consideri che la disciplina impugnata ha l'effetto ultimo di decretare l'inesorabile estinzione del rapporto in essere con il tesoriere locale, posto che il relativo contratto stabilisce nel 31 dicembre 2013 la sua naturale scadenza (vedi doc. 2). Ne' si puo' trascurare, tanto meno, che il comma 9 pretende di incidere anche sugli «eventuali investimenti finanziari» degli enti smobilizzandoli, prescindendo integralmente dalle scelte compiute da questi ultimi nell'esercizio della propria liberta' economica, violata anche nella parte in cui, privilegiando arbitrariamente determinate forme di investimento (id est quelle in titoli di Stato) rispetto ad altre, pretermette ogni autonoma determinazione a riguardo. Senza dire, infine, che, nel quadro dell'attuale gravissima crisi economica, la sottrazione di liquidita' dalle casse degli istituti di credito tesorieri e' di ostacolo all'esercizio della libera iniziativa economica delle banche e alla loro forza propulsiva rispetto al sistema delle imprese. 5. - Violazione dell'autonomia legislativa di cui all'art. 117 Cost. La disciplina legislativa impugnata e' - per espressa previsione normativa - posta «ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica». La materia cui afferisce, dunque, e' proprio quella dell'«armonizzazione dei bilanci pubblici e (del) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», di cui all'art. 117, comma 3, Cost. Del resto la stessa dottrina formatasi sulla giurisprudenza della Corte antecedente la riforma del 2001 gia' non metteva in dubbio che le previsioni di legge aventi ad oggetto il sistema di tesoreria dovessero ascriversi proprio al citato coordinamento (30) . Come noto, si tratta di un ambito materiale di competenza legislativa concorrente, in relazione al quale «spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, comma 3, Cost. e art. 2, comma 2, lett. n), della legge n. 42/2009, che impone il «rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»). Quando lo Stato si avvale della propria competenza legislativa a dettare principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, «l'apprezzamento della legittimita' costituzionale della disposizione impugnata comporta, per un verso, l'attribuzione ad essa della preminente finalita' di contenimento razionale della spesa e, per altro verso, la verifica che, nel perseguire siffatta finalita', il legislatore statale non abbia prodotto norme di dettaglio» (v. Corte cost., sent. n. 40 del 2010). Quanto al primo profilo, gia' si e' piu' volte evidenziato come la ratio del provvedimento impugnato debba con ogni probabilita' ritrovarsi nella necessita' - non esplicitata e tradita dalle conseguenze concrete dell'intervento - di raccogliere liquidita' e come la stessa non possa dirsi conforme a Costituzione, non solo perche' lesiva delle prerogative delle autonomie (come si sta spiegando), ma anche in quanto non legittimata da alcun interesse pubblico superiore. Quanto all'idoneita' della misura gravata rispetto all'eventuale fine di ottenere risparmi di spesa, poi, pure si e' gia' argomentato: lungi dal rispondere agli obiettivi, essa si riverberera' in disfunzioni, sprechi e disagi, antitetici rispetto al principio di buon andamento e di economicita'. Con riferimento alla natura delle disposizioni impugnate, invece, e' evidente che esse non si limitano a porre principi, ossia «criteri ed obiettivi» che lascino alle Regioni un sufficiente «spazio di manovra» nella «individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi» (cosi' in Corte cost., sentt. n. 340 del 2009, n. 237 e n. 200 del 2009, n. 401 del 2007), ma interviene con previsioni specifiche e sedicentemente autoapplicative che incidono sull'autonomia e nei confronti delle quali l'unica reazione puo' essere il ricorso alla Corte. E a destituire di fondamento l'assunto davvero non sembra potersi invocare la «generosa» giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte con riferimento alla qualificazione in termini di principio di norme inequivocabilmente dettagliate (per tutte, sent. n. 16 del 2010), perche', nel caso di specie, certo non si puo' ignorare il fatto che, uno actu, le disposizioni del decreto-legge de quo pretendono di sovrapporsi al precedente (necessario) concorso della disciplina nazionale e regionale sul sistema delle tesorerie (decreto legislativo n. 279/1997 e legge regionale Veneto n. 39/2001). Assume valenza addirittura paradigmatica della presente doglianza il comma 9 del citato decreto, laddove, pretendendo la smobilizzazione degli «eventuali investimenti finanziari», demanda ad un decreto ministeriale attuativo l'integrazione della disciplina ivi posta, cosi' da sottrarre a riguardo ogni margine valutativo, normativo alle Regioni. Un tanto, ovviamente, anche in violazione dell'art. 117, comma 6, Cost. 6. - Violazione dell'autonomia amministrativa di cui all'art. 118 Cost. L'art. 35, comma 8, 9 e 10, del decreto-legge n. 1/2012 viola l'autonomia amministrativa regionale e degli enti locali dal momento che sottrae loro la possibilita' di gestire in modo libero e responsabile il proprio servizio di tesoreria. La disciplina impugnata, inoltre, genera un vulnus all'autonomia amministrativa regionale e degli enti territoriali minori proprio perche' - come gia' fatto rilevare - diminuisce e rende - nella migliore delle ipotesi - piu' difficoltoso l'accesso di Regioni ed enti locali alle risorse proprie necessarie per svolgere le funzioni amministrative loro attribuite dalla Costituzione e li costringe ad una sicura perdita patrimoniale (rispetto agli interessi sulle giacenze garantiti dai propri tesorieri). Non puo' sottacersi, infine, la contrarieta' della disciplina censurata rispetto ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza sanciti all'art. 118 Cost. Essi, infatti, non solo consentono ma impongono che alle autonomie piu' vicine al cittadino sia lasciata la gestione delle risorse raccolte da o comunque per la collettivita' locale per il tramite dei servizi di tesoreria decentrati e che siano valutati in concreto i rendimenti istituzionali, che, proprio con riferimento alla tesoreria, per altro, in non poche realta' (venete ma non solo) sono stati piu' che buoni. 7. - Violazione dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost. Grave - se possibile piu' di ogni altra - e' la lesione dell'«autonomia finanziaria di entrata e di spesa» che l'art. 119 Cost. riconosce, nell'ordine, a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni. Si e' gia' ricordato come il sistema di tesoreria unica, istituito con legge n. 720/1984 (vigente un diverso riparto costituzionale di competenze sul territorio) e a cui oggi si vorrebbe ritornare, si giustificasse solo - e non senza qualche perlessita' - in presenza di una finanza regionale alimentata, in larghissima e prevalente misura, da trasferimenti statali. Nel frattempo, pero', e' mutato, radicalmente, come gia' osservato, a tacer d'altro, il quadro costituzionale e istituzionale di riferimento. Oggi, le regioni hanno (e si reggono su) entrate proprie (da intedersi, come noto, in un'accezione ampia, assimilabile a quella a suo tempo riconosciuta per la Provincia di Trento, cfr. Corte cost., sent. n. 62 del 1987). Una parte consistente di esse deriva da tributi propri regionali, dovendosi qualificare per tali tutti quelli previsti all'art. 7 della legge n. 42/2009 (che proprio all'art. 119 Cost. da' attuazione). E cio' senza considerare che, gia' prima della riforma costituzionale del 2001, la Corte aveva riconosciuto «pur sempre di pertinenza regionale» anche le risorse semplicemente trasferite alle Regioni dallo Stato (v. Corte cost., sent. n. 132 del 1993). E' evidente, dunque, che le risorse interessate dalle previsioni del «decreto Monti» impugnate provengono dalle collettivita' regionali, corrispondono cioe' alla «capacita' fiscale» (art. 119, comma 3, Cost.) di chi abita e lavora nel Veneto, e sono destinate alla responsabilita' gestoria degli enti territoriali che di questa comunita' sono esponenziali. Tanto premesso, e' evidente che, nel 2012, la scelta di distrarre risorse finanziarie dalle tesorerie decentrate per riversarle in quella statale si pone in netto contrasto con l'autonomia costituzionalmente garantita agli enti che se ne vedono spogliati. Lesa e', anzitutto, sotto molteplici profili, l'autonomia di entrata. In primo luogo perche' il provvedimento governativo pretende di sottrarre al sistema di tesoreria delle Regioni le entrate proprie delle Regioni, secondo l'accezione di cui sopra, mentre, ad esempio, gia' la giurisprudenza risalente formatasi in materia di tesoreria unica escludeva dai riversarnenti presso la stessa le «entrate acquisite direttamente dalle Regioni» (cfr. Corte cost., sent. n. 94 del 1981). In secondo luogo perche' incide sull'autonomia stessa di creare entrate. Si allude, in particolare, al fatto che dall'applicazione delle disposizioni impugnate deriva la perdita, per Regioni ed enti locali, dei significativi risparmi e vantaggi generati dall'esecuzione dei contratti negoziati con i propri tesorieri e delle relative maggiori entrate (per esempio sotto forma di maggiori interessi). Ne' si dica che la perdita di redditivita' conseguente al riversamento in tesoreria unica sia un «effetto privo di implicazioni costituzionali» (per tutte Corte cost., sent. n. 162 del 1982), in quanto tale assunto, gia' a suo tempo criticabile e criticato, e' oggi privo di ogni pertinenza e attualita'. L'autonomia finanziaria riconosciuta e sancita dalla novellata Costituzione e' anzitutto un'autonomia sul reperimento di risorse e tali sono anche quelle derivanti da interessi maturati sulla disponibilita' del denaro. Violata e' pure l'autonomia finanziaria di spesa. A causa delle disposizioni impugnate, infatti, il controllo sulla gestione finanziaria regionale viene di fatto «manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilita' delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale», non diversamente da quanto accadeva nel passato, quando inesorabilmente l'accentramento del deposito delle somme si traduceva in indebite forme ingerenza nell'an, nel quando e nel quomodo della concreta disponibilita' delle somme depositate. Effetto quest'ultimo gia' stigmatizzato dalla Corte fin dagli anni Settanta e non piu' tollerabile oggi (si rinvia a Corte cost., sent. n. 155 del 1977, ma anche alla sent. n. 162 del 1982). Parimenti lesiva dell'autonomia finanziaria e' la previsione, di cui al comma 9, che stabilisce che gli eventuali investimenti finanziari individuati con decreto ministeriale (da emanare entro il 30 aprile), ad eccezione di quelli in titoli di Stato, saranno smobilizzati. Un tanto per l'elementare ragione che essa incide sulla pianificazione finanziaria degli enti, alterando in maniera definitiva le scelte di spesa da questi compiute (per altro con ricadute gravissime sull'economia reale e l'affidabilita' della pubblica amministrazione) e creando un'indebita poziorita' tra forme di investimento, privilegiando quello in titoli di Stato. Censurabile, inoltre, e' la disposizione di cui al comma 10 che obbliga tesorieri e cassieri ad utilizzare prioritariamente le risorse esigibili depositate presso gli stessi per far fronte ai pagamenti disposti dagli enti e organismi pubblici proprietari delle stesse, trasferendo gli eventuali vincoli di destinazione sulle somme depositate presso la tesoreria statale. Anche qui, infatti, lo Stato, stabilendo una priorita' di utilizzo della liquidita', si arroga il potere di gestire risorse che - lo si ricorda per l'ennesima volta - per buona parte sono proprie della Regione e, per la restante parte, anche se derivate da trasferimento, gia' per la giurisprudenza costituzionale precedente alla riforma del 2001, devono considerarsi «pur sempre di pertinenza regionale» (v. Corte cost., sent. n. 132 del 1993). Alla luce, infine, dell'art. 2, comma 2, della legge n. 42 del 2009, le disposizioni contraddicono palesemente, i principi di: «trasparenza del prelievo»; «efficienza nell'amministrazione dei tributi» (lett. c); «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa» (lett. p): «trasparenza ed efficacia delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicita' ...» (lett. dd); «tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali...» (lett. ii); «certezza delle risorse e stabilita' tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite» (lett. ll). 8. - Violazione del principio di leale collaborazione. Una delle violazioni piu' gravi compiute dal legislatore statale e', poi, quella perpetrata nei confronti del principio di leale collaborazione. Sembra incredibile che un intervento normativo della portata descritta sopra, anche e soprattutto per le autonomie territoriali, sia stato adottato e sia entrato in vigore senza che alcuna forma di dialogo o raccordo sia stata cercata e posta in essere quanto meno con le Regioni. La verita' di quanto appena denunciato e' confermata dal tenore della premessa del decreto-legge e della sua relazione accompagnatoria, che ignorano completamente il problema. E non sembra si tratti di una svista, in quanto la presenza di una volonta' consapevole e determinata ad evitare qualunque forma di rapporto e collaborazione con le Regioni emerge proprio da come la norma e' congegnata. Il riferimento e', nello specifico, alle previsioni di cui ai commi 9 e 10, i quali disciplinano - in modo del tutto unilaterale e lacunoso - il materiale riversamento delle somme affidate ai tesorieri e cassieri degli enti nella tesoreria unica. Esse non rivolgono il loro dictat alle Regioni, come sarebbe stato piu' ragionevole e opportuno aspettarsi, ma ordinano a tesorieri e cassieri di trasferire le risorse (comma 9) e di utilizzare prioritariamente quelle esigibili depositate presso di loro fino al completo riversamento dei denari nella tesoreria centrale (comma 10). Infine, la lesione del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo responsabili nella (e per la) Repubblica e' aggravata anche dalla stessa scelta di porre una disciplina di tal fatta con decretazione d'urgenza, dal momento che la fonte individuata, per sua natura, «cala dall'alto», con l'artifizio della straordinaria necessita' ed urgenza, una disciplina irrispettosa delle autonomie sottraendola al dibattito parlamentare e a qualsiasi forma di dialogo preventivo con i destinatari. Inoltre, la serie serrata di adempimenti che vanno a costituire il materiale ritorno al sistema di tesoreria unica esclude anche forme di raccordo effettivo ex post. Davvero e' mancata quella «lealta' istituzionale» di cui parla l'art. 2, comma 2, lett. b), della legge n. 42/2009, che ha l'ambizione di dare attuazione all'art. 119 della Costituzione. 9. - Violazione dell'art. 120 Cost. Le disposizioni normative impugnate non possono passare indenni il vaglio di legittimita' costituzionale richiesto a Codesta Corte neppure in forza del dettato dell'art. 120 Cost., che - come noto - disciplina i casi e i modi in cui il Governo puo' sostituirsi alle Regioni, alle Citta' metropolitane, alle Province e ai Comuni. Di legittimo intervento sostitutivo non puo' parlarsi, con riferimento alla fattispecie concreta in esame, in quanto: a) ne mancano i presupposti; b) e' violato il principio di sussidiarieta'; c) completamente negletto e' il principio di leale collaborazione; d) e' assente il carattere di proporzionalita' dell'intervento rispetto alle finalita' perseguite, che, oltre ad essere richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, e' sancito all'art. 8 della legge n. 131/2003. Quanto al punto sub a), non puo' certo ritenersi sufficiente ad integrare il presupposto tassativamente richiesto dalla Costituzione della tutela dell'«unita' economica» della Repubblica l'averne evocato l'espressione nell'incipit della disciplina impugnata (art. 35, comma 8). Le considerazioni gia' svolte, infatti, hanno - si crede - abbondantemente chiarito che la disciplina oggetto del sindacato di Codesta Corte non ha e non puo' raggiungere questo fine anche perche' assolutamente inidonea allo scopo e, dunque, sproporzionata (assente e', quindi, anche il requisito di cui alla lett. d). Infatti, delle due l'una: i) o essa e' finalizzata a drenare liquidita' nelle casse dello Stato e allora e' incostituzionale per lesione delle autonomie o, comunque, irragionevole perche' per soddisfare esigenze di quest'ultimo piega enti territoriali (che, al pari con questo, compongono la Repubblica da preservare), banche ed imprese (che finanziano e rappresentano l'economia reale, l'ossigeno di cui il sistema ha bisogno) e infine il sistema - Paese globalmente inteso; ii) o e' totalmente priva di senso perche' assegna allo Stato risorse inutilizzabili spezzando il nesso di corrispondenza tra autonomia di prelievo e autonomia di gestione. Quanto al mancato rispetto del principio di sussidiarieta' (v. lett. b), pure si e' scritto. E', infatti, incomprensibile come un intervento che accentra il sistema di tesoreria presso lo Stato possa dirsi conforme al disegno costituzionale sul punto, che chiaramente non si limita a promuovere (art. 5) e garantire (artt. 117, 118 e 119 Cost., in specie) le autonomie e la differenziazione, ma assegna al livello di governo piu' vicino al cittadino la responsabilita' della gestione delle risorse. Infine, incredibili dictu, la necessita' di rispettare il principio di leale cooperazione istituzionale (v. lett. c) non e' stata minimamente avvertita dal Governo. 10. - Violazione dell'art. 42 Cost. Si e' gia' spiegato quali effetti materiali si ricolleghino al ritorno al sistema della tesoreria unica per la Regione (e gli enti locali) imposto dal decreto-legge n. 1/2012. Il riferimento, in particolare, a tacer d'altro, e' alla circostanza che: i) il provvedimento sottrae alle Regioni la libera gestione (non solo delle risorse derivanti dai trasferimenti statali, ma anche) delle risorse proprie; ii) diminuisce il rendimento di queste ultime in termini di interessi; iii) si insinua unilateralmente e con effetti sostanzialmente caducatori su un rapporto contrattuale legittimamente in corso tra le parti in esecuzione di norme imperative rispettose della potesta' legislativa concorrente tra Stato e Regioni; iv) esige la «smobilizzaazione» degli «eventuali investimenti finanziari» (tra l'altro da individuarsi con futuro decreto ministeriale). E' evidente che quella predisposta dal legislatore statale e' una macroscopica e maldestra forma di «espropriazione» della proprieta' in capo alle Regioni e agli enti locali (per non parlare degli istituti di credito), aggravata dall'assenza, nel caso di specie, di una effettiva ragione di interesse generale che possa legittimare l'intervento de quo. 11. - Violazione dell'art. 81 Cost. Come si e' visto, quindi, le disposizioni censurate comportano una diminuzione delle entrate previste e inserite in bilancio (certa almeno con riferimento a quelle provenienti dalla differenza con gli interessi sulle somme depositate garantiti dai tesorieri decentrati). Esse agiscono, pero', anche sul versante della spesa dal momento che il materiale e completo ritorno al sistema di tesoreria unica non potra' avvenire senza costi, in termini di risorse umane e finanziarie. Gia' nel 1984, infatti, la dottrina aveva evidenziato che l'innovazione della tesoreria unica comportava maggiori costi, «forse comprimibili ma non certo eliminabili», collegati: al venire meno della «gratuita' delle prestazioni» fornite dagli istituti di credito; alla minore correntezza nella provvista dei fondi da parte degli enti, con una probabile accentuazione della necessita' di ricorrere ad anticipazioni di cassa; a appesantimenti di carattere contabile e macchinosita' procedurali; alle operazioni di ristrutturazione degli uffici di tesoreria dello Stato al fine di renderli idonei alle nuove, antiche funzioni (31) . La legge, dunque, importa nuove e maggiori spese, contestualmente decurtando le entrate e, quel che qui conta, senza indicare i mezzi per farvi fronte, con cio' ponendosi in patente violazione dell'art. 81 Cost. 12. - Qualche ulteriore considerazione conclusiva e la violazione dei principi fondamentali di cui all'art. 5 Cost. E' evidente che, ancora una volta, «alle origini della vicenda medesima sta il modo scomposto e disordinato con il quale lo Stato si muove nei rapporti con le Regioni anche in un settore molto delicato quale quello del coordinamento finanziario» (32) . La pretesa e' quella di imporre unilateralmente, con discipline a carattere derogatorio e suppostamente straordinario, il sacrificio delle autonomie per far fronte alle esigenze di cassa (divenute invece ordinarie), senza aver messo mai davvero mano alle cause dei problemi. «Non v'ha dubbio che il susseguirsi, di anno in anno, di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria, renda quantomai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale» (v. Corte cost., sent. n. 307 del 1983). E quando cio' che era e doveva essere provvisorio si ripropone con pervicace frequenza, la provvisorieta' diventa tendenza e l'effetto e' quello di alterare in via permamente l'equilibrio delle autonomie, disegnato e tutelato, anzitutto, dall'art. 5 Cost., non a caso inserito tra i Principi fondamentali, e dalle succitate disposizioni del Titolo V. Il monito, in definitiva, e' quello che Calamandrei fece proprio durante il suo discorso all'Assemblea costituente pronunciato il 4 marzo 1947: «Noi dobbiamo volere che questa Costituzione sia una Costituzione seria, e che sia presa sul serio dagli italiani»: «bisogna evitare che nel leggere questa nostra Costituzione gli italiani dicano anch'essi: "Non e' vero nulla"»! Sulla legittimazione della Regione a far valere lesioni delle attribuzioni costituzionali degli enti locali. Come si e' detto, la Regione si rivolge a Codesta Ecc.ma Corte per denunciare l'illegittimita' delle disposizioni normative impugnate non solo per violazione della propria autonomia costituzionalmente garantita, bensi' anche denunciando la lesione delle attribuzioni degli enti locali, pure gravementi danneggiati dal recente intervento del legislatore statale. La legittimazione della Regione a un tal tipo di denuncia non puo' essere revocata in dubbio: come chiarito dalla stessa Corte, essa sussiste in capo all'ente regionale addirittura indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale, in quanto «la stretta connessione, in particolare (...) in tema di finanza regionale e locale, tra attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (cosi' Corte cost., sent. n. 298 del 2009, richiamando i seguenti precedenti: sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). E cio' senza considerare un dato normativo essenziale, ossia quello di cui all'art. 9 della legge La Loggia (n. 131/2003), il quale da' modo agli enti stessi di chiedere alla Regione di attivarsi a loro difesa. Istanza cautelare Con l'odierno ricorso, rompendo una consuetudine, questo patrocinio rivolge a Codesta Ecc.ma Corte la richiesta di un intervento cautelare che, pendente il giudizio di legittimita', sospenda l'esecuzione delle disposizioni normative impugnate. Con riferimento al fumus boni juris, presupposto che evidentemente deve sostenere un tal genere di domanda, si confida di aver gia' sufficientemente argomentato nella parte in diritto. Quel che e' necessario, ora, e' che si evidenzi la presenza di quel «rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica» e del «rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini», che, ai sensi dell'art. 35 della legge costituzionale n. 87 del 1953, legittimano l'assunzione di provvedimenti cautelari e l'anticipazione dell'esame e della discussione in contraddittorio della questione sottoposta al sindacato di legittimita'. Come gia' rilevato, la disciplina della cui conformita' a Costituzione e' ben lecito dubitare e' stata assunta con decreto-legge, immediatamente efficace, e senza che sulla misura adottata si fosse mai instaurato un minimo dibattito parlamentare o con gli enti destinatari. Essa, poi, prevede una serie di adempimenti, finalizzati a ritornare al sistema di tesoreria unica, a scadenze serrate e ravvicinatissime: la prima, quella per il trasferimento dai tesorieri alla tesoreria del 50 per cento delle risorse degli enti si e' gia' consumata; la seconda, di cui all'ultimo periodo del comma 9, spirera' il prossimo 15 marzo e, infine, la terza, relativa al secondo e definitivo versamento della quota rimanente delle disponibilita' depositate presso i tesorieri, e' prevista per il 16 aprile 2012. E' evidente, dunque, che se si attenderanno gli ordinari tempi del giudizio di legittimita' costituzionale, la pronuncia interverra' quando il ritorno al sistema di tesoreria vigente prima del 1997 sara' ormai gia' compiuto e l'illegittimita' che ad esso si associa avra' gia' prodotto danni difficili da calcolare a priori, ma certamente gravissimi e irreparabili. Tali danni avranno - o, per meglio dire, dopo il 29 febbraio scorso, hanno - a riguardo: a) le autonomie, locali e regionali, gravemente lese sotto i diversi profili gia' denunciati; b) i diritti dei cittadini, nella duplice veste di contribuenti (per lo spreco delle gia' scarse risorse finanziarie che si associa alla previsione impugnata) e di utenti-fruitori delle forniture e dei servizi pubblici (la cui continuita' e' seriamente messa a repentaglio dal passaggio, mal governato, delle ricchezze da un sistema consolidato e che aveva dato buona prova di se' ad uno oramai superato sotto molteplici profili e della cui adeguatezza e' dato dubitare; c) le imprese, che gia' soffrono degli incredibili ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e che vedranno diminuire ulteriormente le proprie possibilita' di accesso al credito delle banche per le ragioni gia' spiegate; d) last but not least, le banche stesse o, per meglio dire, il sistema bancario. E non deve credersi che l'interesse ad ottenere tal tipo di tutela venga meno per il solo fatto che, al momento della proposizione del ricorso, gia' il 50 per cento delle risorse depositate presso i tesorieri e' stato trasferito, perche' ben piu' significativo ed impattante sara' proprio il successivo trasferimento (quello del 16 aprile). Non solo perche' esso sara' definitivo, ma anche e soprattutto perche' convogliera' cifre ingentissime, di gran lunga superiori a quelle gia' riversate, in quanto nei prossimi mesi, a differenza che a gennaio (quando la chiusura dell'anno aveva gia' drenato le risorse), le casse si riempiranno di introiti (per la gran parte derivanti da entrate proprie) che dovranno essere immediatamente redistribuiti nei rivoli della spesa corrente e in conto capitale. (1) S. Trentin, La crisi del Diritto e dello Stato, prima edizione italiana, a cura di G. Gangemi, Gangemi Editore, Roma, 2006. Questa affermazione rappresenta il filo conduttore della sua straordinaria opera, definita da F. Geny «esempio di indipendenza di pensiero, d'energia morale indomabile, di alta virtu' critica, di fedelta', senza compromessi, ne' riserve, al puro ideale del Diritto» (ivi, 52). (2) S. Trentin, La crisi, cit., 198. (3) S. Cassese, Lo Stato introvabile. Modernita' e arretratezza delle istituzioni italiane, Donzelli, Roma, 1998; ID., L'Italia: una societa' senza Stato?, il Mulino, Bologna, 2011. Se ne dovrebbe trarre una qualche conclusione, anche alla luce di quanto hanno scritto, da ultimi, G. De Rita - A. Galdo, L'eclissi della borghesia, Laterza, Bari, 2011, spec. 28. (4) S. Trentin, La crisi, cit., 199. (5) E' l'assunto - un chiodo fisso - di chi aveva una certa dimestichezza con le istituzioni. Il rilievo sta in L. Einaudi, Il buongoverno, Laterza, Bari, 2004, 85, il quale aveva notato, poco prima, che «"la dottrina" e' stata fabbricata dai cultori del diritto pubblico, i quali argomentano dal testo delle costituzioni scritte e si accorgono delle consuetudini solo quando esse sono codificate in trattati venerandi per l'autorita' degli scrittori»: ivi, 80. Emblematico quel che riferisce, a proposito di Antonio De Viti De Marco. S. Cassese, Lo Stato introvabile, cit., 55-56. Tutto cio', per sottolineare come la questione di legittimita' costituzionale qui prospettata non si presti ad essere risolta a colpi di combinati disposti o di mere riprese di una giurisprudenza che appartiene alla storia: antica. (6) A questo interrogativo va data una risposta di carattere preliminare, onde evitare l'esito, perverso e fuorviante, di pretendere che l'odierno giudizio di legittimita' costituzionale sia risolto alla luce di una giurisprudenza formatasi si su un medesimo testo normativa, ma in altro, differente contesto. Dunque, come si chiarira' nel prosieguo, quella giurisprudenza non e' riferibile al caso di specie, di cui qui si discute. (7) Di questa legge e dei relativi decreti delegati si sono dette e scritte un'infinita' di cose. Se ne e' sempre trattato con realismo e - si crede - senso di equilibrio, avendo in mente ben radicata una teoria dello Stato, negli scritti comparsi su Federalismo fiscale, anno 2007 e seguenti. (8) E' risaputo, in teoria; non lo e', in pratica. V., quindi, S. Holmes - C.R. Sunstein, Il costo dei diritti. Perche' la liberta' dipende dalle tasse, il Mulino, Bologna, 2000, e, di recente, G. Bergonzini, I limiti costituzionali quantitativi dell'imposizione fiscale, vol. 1, Jovene, Napoli, 2011, 53 ss., nonche' F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, il Mulino, Bologna, 2007. (9) E' appena il caso di osservare che l'istituto della tesoreria unica fu necessariamente ricondotto all'accentramento. D'altra parte, l'attributo "unica" e' compatibile con il "plurale"? Talvolta, anche l'osservazione banale e' rivelatrice, magari di cio' che il ragionamento alla don Ferrante nasconde. O prova, senza successo, a nascondere. (10) M. Bertolissi, Contribuenti e parassiti in una societa' civile, Jovene, Napoli, 2012. (11) Ineccepibile per chi conosce la crisi del 2008: la sua genesi e i relativi sviluppi. V., ad es., A.R. Sorkin, Too Big To Fail, trad. it., Istituto geografico De Agostini, Novara, 2010, nonche' A. Roncaglia, Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi, Laterza, Bari, 2010; J.E. Stiglitz, Bancarotta. L'economia globale in caduta libera, Einaudi, Torino, 2010; G. Rossi, Capitalismo opaco, Laterza, Bari, 2005. (12) M. Longo, Europa e Stati Uniti, la grande sfida della super-liquidita', in Il Sole 24 Ore, 4 marzo 2012. Si tratta di considerazioni discusse quotidianamente: v., sempre nei tempi piu' recenti, ad es., D. Masciandaro, Gli errori inglesi e la via italiana, ivi, 28 febbraio 2012; A. Orioli, Primo passo per crescere. Ora tocca ai debiti dello Stato, ivi, 29 febbraio 2012; B. Quintieri, Dalle banche piu' risorse a chi esporta, ivi, 4 marzo 2012. (13) V., ad es., D. Di Vico, «Le banche non lavorano gratis», in Corriere della Sera, 4 marzo 2012, e M. Mucchetti, La Bce, le banche e la nuova demagogia, ivi. (14) Ecco perche' oggi firmiamo l'avviso comune (di A. Azzi, G. Mussari, C. Fratta Pasini, A. Patuelli e C. Venesio), in Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 2012. V., inoltre, G. Gentili, Senza credito non c'e' ripresa, in Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2012. (15) G. Muraro, Tesoriere. La protesta e' fondata, in il mattino di Padova, 2 marzo 2012. (16) G. Trovati, Tesoreria unica, versamenti bloccati, in Il Sole 24 Ore, 29 febbraio 2012. (17) In Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2012, 15. (18) S. Romano, C'era una volta il federalismo, in Corriere della Sera, 29 febbraio 2012. D'altra parte, v. L. Salvia, Una «cassa» centrale per controlli piu' facili, ivi, 28 febbraio 2012. (19) F. Gallo, L'autonomia tributaria degli enti locali, il Mulino, Bologna, 1979, 21, nota 16. In modo conforme, M. Bertolissi, Lineamenti costituzionali del «federalismo fiscale». Prospettive comparate, Cedam, Padova, 1982. (20) Cfr., rispettivamente, G. Spezzaferri, La prassi dei conti correnti presso la Tesoreria centrale in rapporto all'autonomia finanziaria delle Regioni, in Nuova Rass., 1976, p. 38 e Corte cost., sent. n. 155 del 1977. (21) Cosi'. V. Onida, Autonomia finanziaria e controllo sulla «cassa» delle Regioni, in Le Regioni, 1983, p. 194. (22) Cosi' ONIDA, op. ult. cit., p. 192. (23) Cosi' G. Spezzaferri, op ult. cit., p. 40, nota 7. (24) Cfr. U. De Siervo, La Corte si impegna per l'autonomia finanziaria regionale, ma il Tesoro continua ad erogare il mensile alle Regioni, in Giur. cost., 1977, p. 1567. (25) M. Bertolissi, Le «disponibilita'» finanziarie delle Regioni... non sono disponibili, in Le Regioni, 1981, p. 1087. (26) V. Onida, op. cit., p. 198. (27) M. Bertolissi, Riflessioni sulla finanza delle Regioni ordinarie, in Dir. Reg.,1983, p. 899. (28) Cosi' V. Onida, op. cit., pp. 215 e 221. (29) Sintetizzato nelle parole di V. Onida, op. it., pp. 220-221. (30) Per tutti, V. Onida, Autonomia finanziaria e controllo sulla «cassa» delle Regioni, in Le Regioni, 1983, 192 ss. e S. Bartole, La Corte (si) difende (dal)la tesoreria unica facendo appello a precedenti e tests di giudizio, in Le Regioni, 1986, 461 ss. (31) V.M. Bertolissi, Tesoreria unica e finanza derivata: appunti sulla legge n. 710/1484, in Il dir. della Regione, 1984, 467 ss. (32) La citazione e' di S. Bartole, La Corte (si) difende (dal)la tesoreria unica facendo appello a precedenti e tests di giudizio, in Le Regioni, 1986, 513.