LA CORTE D'APPELLO Riunita in camera di consiglio per deliberare nella causa civile promossa da Tosco Edil Costruzioni s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Marco Milani per delega in atti, con domicilio eletto in Firenze viale Lavagnini 45 presso lo studio del medesimo attore; Contro Comune di Monsummano Terme, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Arizzi per delega in atti, con domicilio eletto in Firenze Lungarno Vespucci 20 presso lo studio del medesimo, convenuto; Ha pronunciato la seguente ordinanza. Con atto di citazione ritualmente notificato, Tosco Edil Costruzioni s.r.l. ha convenuto il Comune di Monsummano Terme (Pistoia) davanti a questa Corte per opporsi alla troppo esigua indennita' di € 41.367,30 riconosciuta per l'espropriazione di un appezzamento di terreno edificabile sito nel territorio comunale destinato ad insediamenti produttivi (P.I.P.). Costituendosi in giudizio, il Comune convenuto ha contestato la fondatezza della domanda, per essere congruo l'indennizzo offerto, in primo luogo in considerazione del fatto che l'espropriato "ha presentato una dichiarazione ai fini ICI nel 1996 ... del valore di € 77.468,00 e dal 1996 al 2004 ha versato ICI sulla base di tale valore ... Solo in data 23 febbraio 2009 la Toscoedil ha inviato al Comune una dichiarazione ICI per l'anno 2004 e per l'anno 2005 indicando il valore del terreno espropriato in € 495.320,00 e provvedendo a pagare la differenza rispetto al valore precedentemente dichiarato mediante ravvedimento operoso con sanzioni calcolate al 30% ... il Comune ... ha informato la societa' attrice che tali dichiarazioni (delle quali e' evidente la strumentalita') sono assolutamente irrilevanti in quanto presentate fuori dai termini consentiti e quindi si sarebbe provveduto ad un rimborso". Nel corso dell'istruttoria e' stato nominato un consulente tecnico d'ufficio, che ha stimato in € 277.660,00 il valore di mercato del terreno ablato. Le difese dell'ente espropriante evocano una questione di diritto determinante ai fini della decisione, rispetto alla quale la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha recentemente ritenuto (ordinanza n. 8489 del 14/04/2011) non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale della normativa di riferimento, tanto da disporre la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per quanto di competenza. Nella motivazione dell'ordinanza di rimessione si osserva quanto segue: "ritiene il Collegio che la definizione della controversia in esame dipende dalla corretta interpretazione letterale e dalla individuazione dei limiti di estensione del contenuto precettivo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, nella parte in cui impone la riduzione della indennita' di espropriazione delle aree fabbricabili, in relazione all'obbligo di dichiarazione (iniziale) o denuncia (per le variazioni) ICI (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, vigente catione temporis). Il diritto (an) alla indennita' di esproprio e l'ammontare della stessa (quantum) dipendono, infatti, dalla legittimita' della citata disposizione. Questa ne condiziona la quantificazione al ribasso, fino alla totale vanificazione, nella ipotesi di dichiarazione di valori irrisori o nella ipotesi, equivalente, di omessa dichiarazione, che ricorre nella specie. Si tratta in entrambi casi di comportamenti (totalmente o parzialmente) omissivi, che il contribuente pone in essere nell'intento di evitare l'emersione (totale o parziale) dei propri doveri fiscali. Vanno quindi assoggettati alla medesima disciplina giuridica, in forza della quale il diritto alla indennita' di esproprio deve essere riconosciuto soltanto nei limiti del valore dichiarato. In caso di omessa dichiarazione, l'omissione (piu' grave) non puo' essere premiata con una interpretazione che elimini il limite. Omettendo la dichiarazione, il contribuente ha inteso non attribuire alcun valore fiscale alla sua proprieta' e, quindi, nello spirito di quanto dispone il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, non merita alcuna indennita'. Per eludere questa conclusione, che, come si dira', si pone in evidente rotta di collisione con l'art. 42 Cost., comma 3, la giurisprudenza costituzionale e di legittimita' hanno elaborato una soluzione, che pero' comporta i problemi evidenziati nella ordinanza in base alla quale la questione e' stata rimessa a queste SS.UU.. 1.1. I punti di criticita' dell'interpretazione accreditata da questa Corte ed il mutamento del quadro normativo e giurisprudenziale, verificatosi dopo la gia' ricordata pronuncia della Corte Costituzionale, n. 351/2000, impongono una rivisitazione ermeneutica ed una rilettura del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1. Il dato letterale, deve essere interpretato tenendo conto del nuovo contesto ordinamentale, della esigenza di certezza dei rapporti giuridici e di celerita' delle procedure di accertamento (a) quella intesa ad accertare il valore venale dell'area espropriata, per la determinazione della relativa indennita', e b) quella finalizzata alla quantificazione dell'ICI). E' evidente, infatti, che i tempi delle procedure vengono inevitabilmente dilatati se si avalla la tesi del reciproco condizionamento (sospensione della procedura di determinazione ed erogazione dell'indennita', in attesa della liquidazione definitiva e del pagamento dell'ICI, benche' nei limiti in cui il potere di accertamento sia ancora esercitabile). 1.2. Il Collegio ritiene che non sia condivisibile la tesi interpretativa secondo la quale il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, condizionerebbe il pagamento dell'indennita' di esproprio alla regolarizzazione della posizione fiscale dell'espropriato, in tutti i casi di violazione degli obblighi di dichiarazione relativa all'In Tale tesi e' stata avallata dalla Corte Costituzionale nell'intento di superare l'evidente disparita' di trattamento tra contribuente evasore totale (che omette di presentare la dichiarazione), apparentemente ignorato dalla norma, e contribuente infedele (che presenta una dichiarazione non veritiera), in danno del quale e' espressamente prevista la riduzione dell'indennita' di esproprio (che non puo' mai superare il valore dichiarato ai fini ICI). Il giudice delle leggi, con sentenza interpretativa di rigetto (351/200), ha escluso che la apparente incompletezza della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, (circoscritta alla sola ipotesi della dichiarazione infedele) sia in contrasto con l'art. 3 Cost., ipotizzando che anche il contribuente evasore totale (al pari del contribuente infedele) debba regolarizzare la propria posizione fiscale, prima di ottenere il pagamento della indennita' di esproprio. La tesi interpretativa della Consulta e' stata seguita anche da questa Corte. Si tratta, pero', di una tesi che non trova conforto nel tenore letterale della norma (per quanto lo si voglia ampliare con argomenti anche di carattere sistematico), specialmente dopo la costituzionalizzazione del principio del giusto processo e della sua ragionevole durata. Lo sforzo ermeneutico della Corte Costituzionale, e di questo giudice di legittimita', ha avuto, pero', il merito di evidenziare che la disciplina del comportamento fiscale dell'espropriato non puo' essere monca: l'art. 16 citato, che letteralmente riguarda soltanto il contribuente infedele, regge alle verifica di legittimita', rispetto al parametro di cui all'art. 3 Cost., soltanto se proietta i suoi effetti anche sull'evasore totale (simul stabunt aut simul cadent). L'interpretazione corrente, che ha equiparato l'evasore totale all'evasore parziale, nel comune dovere di regolarizzare la loro posizione fiscale, come condizione per ottenere il pagamento dell'indennita' di esproprio, e' frutto di una interpretazione additiva che appare difficilmente condivisibile: essa elimina di fatto la riduzione della indennita' parametrata alla dichiarazione ICI (che e' il risultato voluto dal legislatore) e introduce una inedita procedura di necessitata conciliazione fiscale, che assurge a condizione di pagamento dell'indennita' di esproprio. 2. (Esegesi ed evoluzione del contenuto precettivo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16) - Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, (abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, T. U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita', a decorrere dal 30 giugno 2003, e sostituito dall'art. 37, comma 7, dello stesso D.P.R.), titolato indennita' di espropriazione, nell'ambito delle disposizioni istitutive dell'imposta comunale sugli immobili, dopo le norme di disciplina dell'imposta, e di seguito alle disposizioni relative alle sanzioni (art. 14) e al contenzioso (art. 15), ha inserito una disposizione del seguente tenore: "1. In caso di espropriazione di area fabbricabile l'indennita' e' ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'applicazione dell'imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennita' di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti" (comma 1). 2.1. La collocazione sistematica (a ridosso degli artt. 14 e 15 che disciplinano le sanzioni ed il contenzioso ICI) ed il tenore letterale della norma in esame ne evidenziano la chiara connotazione sanzionatoria, collegata al comportamento tenuto dal soggetto espropriato nel momento in cui, dovendo fare fronte ai propri obblighi fiscali, ha dichiarato (o non dichiarato) il valore della sua proprieta'. Si tratta di una sanzione atipica, accessoria, a carattere extratributario, che riguarda soltanto i proprietari di aree edificabili assoggettate ad esproprio, intesa ad incentivare l'obbligo della dichiarazione imposto dal medesimo D.P.R. n. 504 del 1992, art. 10, (abrogato a decorrere dal 2007, in forza del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, conv. con modificaz. dalla L. n. 248 del 2006, a seguito del collegamento telematico dei comuni con il catasto). L'effetto ,sanzionatorio atipico ed indiretto, costituito dalla misura extratributaria della riduzione dell'indennita' di esproprio, si aggiunge alle sanzioni tributarie dirette previste dal precedente art. 14, nel caso in cui l'area edificabile venga interessata da una procedura di esproprio (sanzione eventuale). All'apparato sanzionatolo tipico del sistema tributario si aggiunge la sanzione accessoria, atipica, della "confisca" parziale o totale della indennita' o del suolo (che viene acquisito alla destinazione pubblica senza alcun pagamento). La procedura espropriativa funziona, rispetto all'illecito gia' consumato (omessa o infedele dichiarazione) come una condizione obiettiva di punibilita' accessoria, che trova applicazione in aggiunta alle sanzioni tipiche tributarie (che sono previste sia per la omessa dichiarazione che per la dichiarazione infedele). Pertanto, non ha pregio l'eccezione che tende ad escludere dal campo di applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, l'ipotesi della omessa dichiarazione, sul rilievo che il sistema sanzionatorio tributario gia' provvede a reprimere entrambe le fattispecie. Infatti, a seguire la tesi del trattamento differenziato, la fattispecie piu' grave, dell'evasione totale, sarebbe gravata da un minor carico sanzionatorio (in quanto non sconterebbe la riduzione dell'indennita'). 2.2. La norma in esame appare caratterizzata da una doppia valenza: produce i suoi effetti sul piano della (n)determinazione (o della vanificazione) dell'indennita' di espropriazione e sul piano degli incentivi al rispetto degli obblighi fiscali (formali e sostanziali). I destinatari della norma sono coloro che rivestono la doppia qualifica: a) di soggetti passivi di imposta (IC1) tenuti a dichiarare gli immobili posseduti nello Stato (nella specie, i suoli edificabili) e a denunciare le modificazioni eventualmente intervenute; b) di proprietario di aree fabbricabili espropriate, per le quali sussista l'obbligo della dichiarazione o della denuncia. La valenza bifronte della norma, pero', si ferma qui, in quanto incrocia i diritti sostanziali dell'espropriato con i suoi doveri/oneri di contribuente e non coinvolge in alcun modo le procedure di accertamento e riscossione correlate. L'effetto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, opera come sanzione che non incide sui criteri primari di determinazione dell'indennita' di esproprio, ma interviene soltanto dopo che il valore dell'area espropriata sia stato determinato (la norma parla di riduzione dell'indennita'), proprio come accade, in genere, per l'applicazione delle norme a carattere sanzionatorio. Parimenti, il contenzioso tributario che si sviluppa a seguito della rettifica, da parte dell'ufficio, della dichiarazione o della denuncia presentata dal contribuente, o dell'accertamento in caso di omessa dichiarazione o denuncia, non rileva ai fini dell'ammontare della eventuale riduzione da praticare sulla indennita'. Questa deve essere praticata esclusivamente sulla base di quanto dichiarato o non dichiarato dal contribuente. E' pacifico che la ratio della norma in esame e' quella di disincentivare le violazioni relative alla dichiarazione ICI. Il "fatto illecito" sanzionato dalla norma in esame e' costituito dalla presentazione della dichiarazione infedele o dalla omessa presentazione della stessa. Tutto quanto segue e' un post factum irrilevante, che non puo' vanificare o sanare l'illecito gia' consumato e perfezionato, pena il totale svuotamento della forza cogente della norma. Nemmeno rilevano, come si dira', eventuali comportamenti di apparente ravvedimento, posti in essere dopo l'avvio della procedura di esproprio, che, nella specie, opera invece come condizione obiettiva di punibilita'. Il tenore letterale della norma, pur investendo il suo destinatario nella doppia qualifica di contribuente e di espropriato, non coinvolge in alcun modo le due procedure correlate, di accertamento del tributo e di determinazione dell'indennita' di esproprio, ne' i reciproci rapporti. Se si sposta il baricentro dell'art. 16 dal momento formale dell'assolvimento degli obblighi fiscali (dichiarazione denuncia) a quello delle procedure di verifica dell'ammontare della obbligazione tributaria e del relativo assolvimento, la norma viene ad essere svuotata di contenuto. Si vanifica la funzione, evidenziata dalla Corte Costituzionale, che e' quella di "incentivare fedeli autodichiarazioni di valore delle aree fabbricabili ai fini ICI" (sent. n. 351/2000). Se si ha la consapevolezza di poter eludere la sanzione aggiuntiva con un tardivo pagamento, tanto vale non dichiarare (e non pagare) nulla, tanto poi si potra' sempre rimediare con un pagamento tardivo (beneficiando della "franchigia" per i periodi di imposta non piu' controllabili, per la intervenuta decadenza). Il legislatore ha indicato come parametro massimo dell'indennita' di esproprio il valore espresso nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata. Dal testo della legge si evince che: a) tutto quanto accade dopo la presentazione dell'ultima dichiarazione o denuncia non ha alcun rilievo; b) la riduzione deve essere operata sulla indennita' di esproprio, determinata in base alla procedura prevista a tal fine. L'eventuale procedura di accertamento fiscale, che scaturisca dalla rettifica della dichiarazione o dalla constatata omissione, non puo' assumere alcun rilievo. Quello che interessa, ai fini dell'applicazione della norma in esame, e' soltanto il valore dichiarato dal contribuente o la circostanza della omessa dichiarazione. Stando alla lettera della legge, giova ribadirlo, non puo' ipotizzarsi alcuna interferenza tra le due procedure. Seppure le procedure di controllo ed accertamento fiscale (con l'eventuale appendice contenziosa) portassero all'accertamento di un valore fiscale pari a quello determinato ai fini della indennita' di esproprio, ma superiore a quello dichiarato ai fini ICI, non si puo' ipotizzare che la riduzione sulla indennita' di esproprio (in base alla dichiarazione infedele o omessa) non debba piu' essere praticata, a causa del comportamento virtuoso dell'ufficio fiscale che ha scoperto la violazione del contribuente. Di tale comportamento virtuoso il contribuente non ha alcun merito (potrebbe anche aver contrastato la pretesa erariale in sede contenziosa). La norma conserva la sua carica dissuasiva soltanto se alla dichiarazione infedele o omessa segue l'applicazione della sanzione minacciata, costituita dal corrispondente taglio della indennita' e non da una tardiva e non prevista procedura di regolarizzazione ,fiscale. 3. (Postfactum irrilevante. Il ravvedimento operoso) Dalle considerazioni gia' svolte, risulta evidente che non puo' assumere alcun rilievo l'eventuale tardiva presentazione della dichiarazione/denuncia o la sua autoreti fata, quando tale comportamento sia ispirato al solo fine di eludere la riduzione dell'indennita'. L'eventuale autorettifica (una sorta di ravvedimento operoso) della dichiarazione/denuncia ICI che intervenga dopo la determinazione dell'indennita', se non e' giustificata dalla constatazione di un errore o dalla necessita' di denunciare tempestivamente una variazione, non puo' essere assunta come termine di riferimento per l'applicazione del D.Lgs. n. 04 del 1994, art. 16, comma 1. Nel caso in cui si consentisse all'espropriato di rettificare la dichiarazione o la denuncia ICI, o di presentarle dopo che la procedura di esproprio sia gia' stata avviata, senza subire le conseguenze dell'originario comportamento ,fiscale scorretto, si priverebbe di tutta la sua forza dissuasiva la norma in esame. Ne' si puo' osservare che, comunque, la violazione .fiscale e' gia' sanzionata direttamente all'interno del sistema tributario. Come gia' e' stato osservato, la decurtazione dell'indennita' ha natura di sanzione aggiuntiva, extratributaria ed eventuale, che non interferisce' con il sistema delle sanzioni tributarie. Questa caratteristica, pero', non autorizza l'interprete ad adottare una interpretazione abrogativa della norma, ritenendo, in contrasto con la voluntas legis, che il sistema sanzionatorio principale sia gia' sufficiente a dissuadere i contribuenti. Quindi, come si dira' meglio in seguito, va riconsiderato l'argomento utilizzato da questa Corte (sent. cass. nn. 434/2002, 9808/2003 ex plurimis) secondo il quale non vi sarebbe disparita' di trattamento tra l'evasore totale e il contribuente infedele, sul rilievo che comunque entrambi sono destinatari di sanzioni fiscali all'interno del sistema tributario: comunque l'evasore totale si sottrarrebbe alla sanzione aggiuntiva della "confisca" totale o parziale della indennita' di espropriazione, in caso di espropriazione. Peraltro, anche sul versante esclusivamente tributario, il ravvedimento esclude l'applicazione della sanzione o ne determina la riduzione, soltanto se si tratti di ravvedimento spontaneo, che avvenga entro un termine certo. Infatti il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, recante le Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, intitolato Ravvedimento, prevede una sostanziosa riduzione delle sanzioni (e non la totale eliminazione), pari ad un quinto del minimo, se il contribuente provvede alla regolarizzazione degli errori e delle omissioni "entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale e' stata commessa la violazione ovvero, quando non e' prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore", ovvero addirittura pari ad un ottavo del minimo della sanzione prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, "se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni". In entrambi i casi, pero', occorre che "la violazione non sia stata gia' constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivita' amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza". L'istituto del ravvedimento non sembra applicabile nella specie, quando il "pentimento" avvenga a distanza di anni e comunque dopo che sia stata avviata la procedura di esproprio. Infatti, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7, TU in materia di espropriazione per p.u., che ha sostituito il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, ha previsto espressamente che la dichiarazione ICI alla quale occorre fare riferimento ai fini della riduzione dell'indennita' di esproprio deve essere stata presentata "prima della determinazione formale dell'indennita'". Il pentimento premiale e' tale soltanto se disinteressato. 3.1. (Emendabilita' della dichiarazione/denuncia) - La norma in esame assume come limite della indennita' erogabile all'espropriato il valore indicato nella dichiarazione originaria, sulla base della quale poi il contribuente effettua annualmente il versamento dell'ICI dovuta, ovvero il valore indicato nella denuncia presentata in caso di "modificazione dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell'imposta dovuta" (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10). Con specifico riferimento alla dichiarazione ICI, questa Corte ha chiarito che la dichiarazione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, al pari delle altre dichiarazioni fiscali, "avendo natura di mera esternazione di scienza e di giudizio, puo' essere emendata (o ritrattata) dal contribuente, se frutto di errore" (Cass. n. 2926/2010), ma tale principio non puo' valere quando l'emenda (o la presentazione tardiva della dichiarazione o della denuncia) non sia giustificata da un errore originario o da una modificazione intervenuta dopo la denuncia, ma soltanto dalla convenienza a dichiarare il maggior valore del suolo edificabile, al solo ,fine di eludere la riduzione dell'indennita'. Quindi, tornando alla nostra .fattispecie, una dichiarazione tardiva, che non sia giustificata da un errore originario o da una successiva modificazione, ma che sia dettata soltanto dalla esigenza di evitare le conseguenze di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, non potrebbe salvare l'espropriato dalla riduzione o dalla vanificazione dell'indennita' di esproprio, connessa alla infedelta' o alla omissione della dichiarazione ICI. In conclusione, la tesi interpretativa che condiziona la liquidazione dell'indennita' di esproprio alla regolarizzazione del rapporto tributario, nel caso di dichiarazione/denuncia infedele o nel caso di omessa dichiarazione/denuncia, appare in contrasto: a) con la lettera del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, che non prevede tale regolarizzazione, nemmeno per implicito; b) con il sistema premiale connesso alla disciplina del ravvedimento, che deve intervenire entro tempi predeterminati e ravvicinati, oltre che sulla base di un effettivo ravvedimento e non per eludere gli effetti gia' certi di una dichiarazione/denuncia omessa o infedele; c) con le regole che disciplinano l'emendabilita' delle dichiarazioni, ammessa soltanto in caso di errore pregresso. 3.2. (Sopravvenuto accertamento che la dichiarazione ICI infedele o omessa sia frutto di errore incolpevole) L'impostazione del problema interpretativo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, in termini di illecito consumato, cui deve seguire comunque la sanzione della riduzione dell'indennita', pone il seguente problema: quid iuris se dopo la liquidazione dell'indennita' di esproprio, ridotta in applicazione dell'art. 16, si accerta che il fatto illecito manca dell'elemento soggettivo e/o sia frutto di un errore incolpevole? Se la riduzione dell'indennita', a causa dell'infedelta' del comportamento del contribuente, e' una sanzione accessoria, la esclusione dell'illecito comporta la inapplicabilita' della sanzione. Sul piano pratico nulla impedisce che il contribuente espropriato possa chiedere ex post una integrazione dell'indennita' di esproprio, elidendo cosi' gli effetti pregiudizievoli della indebita applicazione dell'art. 16. In punto di diritto, comunque, a parte la considerazione che l'ipotesi dell'errore scusabile costituisce l'eccezione e non la regola, resta il fatto che la norma cosi' come e' stata formulata espone il contribuente infedele espropriato (che abbia consapevolmente omesso la dichiarazione o abbia presentato una dichiarazione infedele) al rischio di non ottenere alcuna indennita' di esproprio o di ottenere una indennita' che non costituisca un serio ristoro. Quindi, se in particolari ipotesi la norma non debba essere applicata, non significa che la norma, in generale, non produca i suoi effetti. Nella specie, poi, trattasi di una ipotesi di omessa dichiarazione ICI, in relazione alla quale non risulta che il contribuente espropriato abbia eccepito l'errore scusabile o abbia addotto altre circostanze esimenti o cause di non punibilita'. 4. (I precedenti di questa Corte) - Sulla base delle considerazioni svolte, le SS.UU. ritengono che vada rivista la precedente giurisprudenza di questo giudice di legittimita', sostanzialmente allineata sulla interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza interpretativa di rigetto, n. 351/2000. Con specifico riferimento alla ipotesi di omessa dichiarazione, prima ancora dell'intervento della sentenza n. 351/2000, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale la disposizione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 che risponde al fine di introdurre un elemento dissuasivo dell'elusione fiscale, non e' applicabile (neppure in via interpretativa) all'ipotesi di omessa presentazione della denuncia o della dichiarazione ai fini dell'I.C.I." (Cass. n. 5283/2000). La tesi secondo la quale l'art. 16 non si applicherebbe in caso di omessa dichiarazione/denuncia ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di questa Corte, che pero', di fatto, ha totalmente vanificato la funzione di dissuasione della norma. Secondo questa giurisprudenza "il diritto all'indennita' di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I.. Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l'evasore totale non perde il suo diritto all'indennizzo espropriativo, ma e' unicamente destinato a subire le sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I. che aveva tentato di evadere, potendo l'erogazione dell'indennita' di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per I.C.I. stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni. Analogamente l'evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il comune puo' procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributar per poi commisurare, in via definitiva, l'indennita' espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele" (Cass. n. 19/2008; conf ex multis cass. n. 14459/2008). Va pero' ribadito che se si collega la riduzione dell'indennita' non piu' al comportamento del contribuente/espropriato, ma all'esito delle procedure di controllo fiscale (di accertamento, in caso di omessa dichiarazione, e di rettifica, in caso di dichiarazione infedele), il comportamento del contribuente, che il legislatore ha inteso orientare, diviene del tutto irrilevante. In altre parole, il comportamento antidoveroso del contribuente, al quale e' collegata la sanzione dell'art. 16 in esame, secondo questa giurisprudenza, non avrebbe piu' alcun rilievo. Si tratta dunque di una interpretazione che non puo' essere condivisa perche' svuota di contenuto la norma e non e' legittimata da alcun elemento letterale o sistematico, come gia' e' stato evidenziato. Con la considerazione aggiuntiva che si pone in termini conflittuali con il principio della ragionevole durata del processo. 5. (L'art. 16 riguarda anche l'evasore totale) - L'art. 16, la cui ratio e' quella di rafforzare l'obbligo di dichiarare fedelmente il valore delle aree fabbricabili, contiene un precetto di secondo grado, nel senso che l'obbligo di presentare una autodichiarazione fedele presuppone l'obbligo della presentazione dell'autodichiarazione. Quindi lo sanzione tende a rafforzare entrambi gli obblighi. Se non esistesse l'obbligo della autodichiarazione, non avrebbe senso sanzionare l'autodichiarazione infedele. In assenza dell'obbligo primario di presentare la dichiarazione ICI, nessun contribuente presenterebbe mai una dichiarazione con il rischio di essere poi incolpato di eventuali infedelta' anche involontarie. Dunque il contenuto precettivo della norma in esame si estende necessariamente all'obbligo presupposto, anche perche' se cosi' non fosse sarebbe difficile eludere l'eccezione di irrazionale disparita' di trattamento tra evasore parziale ed evasore totale (a tutto vantaggio di quest'ultimo), che la Corte Costituzionale ha superato proprio assimilando le due ipotesi (di omissione ed infedelta') sulla base di una operazione di ricostruzione sistematica che va salvata nella premessa (il disposto legislativo tende a disincentivare l'evasione, totale o parziale, dolosa o colposa) ma che non puo' essere condivisa nelle conclusioni. Il pagamento tardivo delle imposte non puo' dare adito alla eliminazione della sanzione aggiuntiva. Comunque, una volta che sia stato accertato dall'ente espropriante il maggior valore (rispetto al dichiarato) dell'area espropriata, le procedure di accertamento e riscossione devono essere comunque attivate, senza che questo implichi la rinuncia alla applicazione della sanzione aggiuntiva. E' onere dei Comuni utilizzare gli esiti delle procedure di determinazione delle indennita' di esproprio ai fini del controllo delle dichiarazione ICI. Il sistema sul quale e' incentrato il meccanismo sanzionatorio dell'art. 16, comma 1, e' basato sul rapporto sinallagmatico tra valore dichiarato ai fini dell'ICI ed indennita' di esproprio erogabile al contribuente espropriato. Meno dichiara il contribuente, minore e' la somma che puo' vantare come espropriato. I due valori, quello dichiarato e quello stimato, non possono non coincidere. Il contribuente, quindi, non puo' pretendere una indennita' di esproprio che sia superiore al valore dichiarato ai fini dell'ICI Colui che si nasconde al fisco (omettendo la dichiarazione) per sottrarsi ai doveri di contribuente, non puo' poi palesarsi per vantare diritti connessi ai doveri elusi. La dichiarazione omessa equivale (almeno) alla dichiarazione a valore irrisorio e le conseguenze non possono essere dissimili, il disvalore dei due comportamenti e' analogo e quindi, non si vede perche' non debbano essere uguali anche le conseguenze extrafiscali. Tanto piu' che il comportamento dell'evasore parziale e' certamente meno grave, perche' almeno si espone al controllo della dichiarazione, a differenza dell'evasore totale che, nella logica del sistema vigente ratione temporis, prima dell'informatizzazione dell'intero sistema catastale, aveva elevate possibilita' di sottrarsi al controllo. Inoltre, l'evasore totale non paga nulla fino a quando non viene scoperto e, se poi paghera', paghera' soltanto nei limiti degli ultimi cinque anni, mentre l'evasore parziale comunque paga una imposta, seppure ridotta rispetto a quella dovuta, senza possibilita' di evaderla per decadenza. Conseguentemente, si deve concludere che il vincolo di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, opera anche in caso di omessa dichiarazione, nel senso che se l'indennita' deve essere "ridotta al valore indicato nell'ultima dichiarazione", ICI, la mancata presentazione di tale dichiarazione merita un trattamento almeno simile a quello riservato al contribuente che dichiari un valore assolutamente irrisorio o pari allo zero. E' questo il punto di partenza dal quale deve prendere le mosse l'esame della compatibilita' del ripetuto art. 16 con altri parametri costituzionali. 6. Nuovi problemi di legittimita' costituzionale) - Il problema che si pone in relazione alla ipotesi di omessa dichiarazione o di quella equivalente di dichiarazione di valore irrisorio e': se la totale vanificazione della dell'indennita' sia incompatibile con altri parametri costituzionali. Non v'e' dubbio che l'art. 16 in esame (al pari del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7, T.U. in materia di esproprio) e' una norma di tipo sanzionatorio che reca la previsione di una sanzione atipica. Il nostro sistema costituzionale, in linea di principio, non esclude la legittimita' di sanzioni di tipo economico, che possono sacrificare anche in maniera totale la proprieta' di beni, anche quando non siano di diretta provenienza illecita (come il sequestro e la confisca per equivalente). Nella specie, pero'. si pone un problema di proporzionalita' della sanzione (equiparabile alla confisca), rispetto ad un illecito che, per quanto grave (dichiarazione omessa o con indicazione di un valore irrisorio), non giustifica una sanzione tanto radicale. In definitiva ritiene il Collegio: a) che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 15, oggi art. 37 (TU in materia di espropriazione) per P.U., debba essere interpretato nel senso che la "sanzione" della riduzione dell'indennita' di esproprio, in caso di dichiarazione infedele debba trovare applicazione, con riferimento all'ultima dichiarazione o denuncia presentata, prima della determinazione formale dell'indennita', restando irrilevanti eventuali successivi atti di ravvedimento (non spontaneo) o di autorettifiche (che non siano frutto di un originario involontario errore); b) la disciplina dell'art. 16 riguarda anche le ipotesi di omessa dichiarazione/denuncia ICI, pena la irrazionalita' del sistema, posto che non v'e' alcuna differenza tra dichiarazione che espone un valore assolutamente irrisorio e omessa dichiarazione (l'unica differenza e' che, prima della informatizzazione del sistema catastale, il contribuente che ometteva di presentare la dichiarazione aveva maggiori probabilita' di non essere scoperto e di non pagare alcunche'); c) sulla base di tali premesse si deve concludere che in caso di omessa dichiarazione ICI, al contribuente fiscalmente inadempiente, espropriato, non spetti alcuna indennita'. Questa conclusione, pero' - esclusa la possibilita' di equiparare la misura in esame ad una confisca in senso tecnico, e superata l'eccezione di irrazionalita' del sistema, ex art. 3 Cost. - appare in contrasto con altri parametri costituzionali, a seguito del mutato quadro normativo (con riferimento all'art. 117 Cast., comma 1, come sostituito dalla L. Cost. n. 3 del 2001, art. 3, in relazione all'art. 42 Cost., comma 3) e dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo la quale le norme che non prevedono un "serio ristoro" del danno subito per effetto della occupazione o dell'esproprio di aree edificabili, sono in contrasto con l'art. 42 Cost., comma 3, e con gli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu, che il legislatore deve rispettare in forza del "nuovo" art. 117 Cost., comma 1 (sent. C. Cost. nn. 348 e 349/2007). La norma in esame, che condiziona al ribasso la determinazione del valore dell'area espropriata, fino alla sua possibile totale vanificazione, sulla base di elementi e circostanze che nulla hanno a che vedere con il danno conseguente all'esproprio e con i criteri che attengono alla congruita' della indennita' dovuta all'espropriato, appare dunque in contrasto con i parametri costituzionali indicati. La lettera della legge, che stabilisce una relazione diretta tra la riduzione dell'indennita' e l'entita' dell'evasione (maggiore e' l'evasione, maggiore deve essere la riduzione), non lascia margini per interpretazioni costituzionalmente orientate. Qualsiasi tentativo di interpretare la norma in maniera che sia comunque garantito un serio ristoro all'espropriato (una sorta di "valore minimo garantito'), anche in caso di omessa dichiarazione o di dichiarazione di valore irrisorio, altera il rapporto diretto tra l'entita' della sanzione e la gravita' della violazione (principio di graduazione della sanzione) e, quindi, viola il principio di uguaglianza di trattamento per situazioni uguali. 7. (I precedenti della Corte Costituzionale) - Non ignora il Collegio che la Corte costituzionale, dopo la pronuncia n. 351/2000, e' stata ancora investita della questione di legittimita' costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16. A parte l'ordinanza n. c.cost. n. 539/2000, che si e' limitata a dichiarare la manifesta infondatezza della questione, sul rilievo che il giudice rimettente non ha prospettato alcun nuovo elemento rispetto alla analoga questione gia' dichiarata infondata con la citata sentenza 351/2000, con la ordinanza n. 401/2002, il giudice delle leggi ha confermato la non irrazionalita' del meccanismo di riduzione della indennita' di esproprio sul rilievo, evidenziato gia' nella sentenza 351/2000, che il disposto legislativo tende principalmente a recuperare l'evasione e a disincentivarla. La Corte, pero', e' stata sempre investita della questione nell'ambito di giudizi che non presentavano la peculiarita' della totale omissione della dichiarazione ICI, per cui, dopo avere escluso la irrazionalita' della norma, anche attraverso l'interpretazione adeguatrice gia' ricordata, non e' mai pervenuta ad un esame di legittimita' del meccanismo riduttivo allorquando, come nella specie, l'applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, porti alla totale vanificazione dell'indennita' di esproprio. Successivamente, pero', la Corte costituzionale ha escluso la legittimita' del D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis, conv. con modif. dalla L. n. 359 del 1992, sul rilievo che tale disposizione, prevedendo una oscillazione eccessiva della indennita' di esproprio rispetto al valore di mercato, risultava priva di un "ragionevole legame" con il valore venale del bene (che lo Stato e' obbligato a far rispettare in forza dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della CEDU), ed inidonea ad assicurare anche quel "serio ristoro" richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, in mancanza del quale risulta praticamente vanificato l'oggetto del diritto di proprieta' (sent. C. Cost. 348/2007). Alla luce di questa giurisprudenza, appare evidente la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma in esame, in forza della quale nel caso di omessa dichiarazione ICI, l'espropriato e' esposto alla totale vanificazione dell'indennita' (...) In altri termini, il contenuto precettivo dell'art. 16 cit., in base al quale l'indennita' di esproprio puo' oscillare fino alla sua totale vanificazione, pone un problema di legittimita' costituzionale, non manifestamente infondato, non tanto in relazione all'art. 3 Cost., (...) per contrasto con l'art. 42 Cost., comma 3. Infatti, e' pur vero che secondo la giurisprudenza del giudice delle leggi, l'art. 42 Cost., comma 3, non impone al legislatore il dovere di commisurare integralmente I 'indennita' di espropriazione al valore di mercato del bene ablato, attesa la "finzione sociale" della proprieta', nel quadro dei principi di solidarieta' economica e sociale tra cittadini, di cui all'art. 2 Cost. (sent. n. 348/2007, punto 5.7., secondo cpv, della motivazione in diritto). Tuttavia, una norma come il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, in grado, quindi, di comprimere i diritti dell'espropriato ben oltre i limiti fissati dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, commi 1 e 2, cono. con modific. dalla L. n. 359 del 1992, dichiarato incostituzionale (sent. n. 348/2007), a maggior ragione non puo' superare "il controllo di costituzionalita' in rapporto al "ragionevole legame" con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il "serio ristoro" richiesto dalla giurisprudenza consolidata" della Corte Costituzionale (sent. 348/2007, punto 5.7. della motivazione in diritto). Conseguentemente, - ritenuta la rilevanza nel giudizio in corso e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, oggi D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7, nella parte in cui, in caso di omessa dichiarazione/denuncia ICI o di dichiarazione/denuncia di valori assolutamente irrisori, non stabilisce un limite alla riduzione dell'indennita' di esproprio, idoneo ad impedire la totale elisione di qualsiasi ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l'ammontare della indennita', pregiudicando in tal modo anche il diritto ad un serio ristoro, spettante all'espropriato, con riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, anche in considerazione del disposto dell'art. 6 e dell'art. 1, del primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali". Tali riflessioni giuridiche non possono che essere interamente condivise ed appaiono rilevanti ai fini del decidere, in considerazione della notevolissima discrepanza emersa nel corso dell'istruttoria tra il valore dell'immobile dichiarato a fini ICI ed il valore stimato dal c.t.u.. Giova segnalare che un conflitto, per molti versi analogo, fra esigenze di tutela fiscale ed esigenze di tutela civilistica, tale da implicare la difficile individuazione di un punto di equilibrio tra valori ugualmente dotati di rilevanza costituzionale, ebbe a verificarsi rispetto all'art. 7 della legge n. 431/98 sulle locazioni, laddove era previsto che il locatore non potesse mettere in esecuzione il provvedimento di rilascio nei confronti del conduttore, se non dando dimostrazione di aver provveduto a tutti gli adempimenti fiscali relativi all'immobile (ivi compresa la denuncia ai fini ICI). Investito ad opera del Tribunale di Firenze della questione di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 24 cost., il giudice delle leggi, con sentenza n. 331/2001, dichiaro' la illegittimita' costituzionale della norma, osservando che la funzione di controllo fiscale indiretto da essa svolta era avulsa dalle esigenze di regolarita' del procedimento esecutivo di rilascio, sicche', in mancanza di ogni razionale collegamento logico tra l'uno e l'altro aspetto, la disposizione finiva per violare senza valida giustificazione l'art. 24 cost.. Nel caso in esame, il discorso presenta forti similitudini, in quanto, attraverso la sanzione rappresentata dall'abbattimento dell'indennita' di espropriazione, il legislatore tende ad esercitare un controllo fiscale ai fini ICI, senza che emerga una stringente relazione logica fra il comportamento fedele del contribuente al momento della dichiarazione e la corretta determinazione dell'indennita' di espropriazione secondo i parametri costituzionali e della CEDU. Il dubbio di legittimita' costituzionale della normativa citata va conseguentemente rimesso ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 alla Corte costituzionale, alla quale gli atti vanno immediatamente trasmessi previa sospensione del giudizio in corso, non essendo piu' consentito disporre discrezionalmente la sospensione in attesa dell'esito del giudizio di costituzionalita' gia' sollevato altrove sulla medesima questione. In rito, si ritiene infatti che "nel quadro della disciplina di cui all'art. 42 cod. proc. civ. - come novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 - non vi e' piu' spazio per una discrezionale e non sindacabile facolta' di sospensione del processo esercitata dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale; ne deriva l'impugnabilita', ai sensi del citato art. 42 cod. proc. civ., di ogni provvedimento di sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e la conseguente fondatezza del ricorso ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione espressamente prevista dalla legge o rientrante nell'ipotesi prevista dall'art. 34. Pertanto e' fondato il ricorso proposto avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia sospeso il giudizio in relazione alla pendenza di questione di costituzionalita' sollevata in altro processo, dovendo in tal caso il giudice, qualora ritenga rilevante la questione, investire a sua volta la Corte costituzionale e successivamente procedere alla sospensione del giudizio" (massima tratta ex multis da Cass. ord. 24 novembre 2006 n. 24946).