IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva nella causa civile n. 991/011 r.g. promossa da Coniglione Giorgio e Pulvirenti Rosario difesi dall'avv.to Patane' Rosario del foro di Acireale (CT) contro Credito Siciliano S.p.a.,difesa dall'avv.to Giuseppe Testa e dell'avv.to Isabella Testa del foro di Acireale (CT), osserva quanto segue. Il sottoscritto, giudice istruttore della causa, in data 23 gennaio 2012 ha proposto al Presidente del Tribunale di Catania contemporaneamente dichiarazione di astensione obbligatoria ed istanza di astensione facoltativa per i seguenti motivi: «Astensione obbligatoria (art. 51, n. 3 cpc) - Il sottoscritto pochi giorni fa ha acquistato obbligazioni, per rilevante importo, emesse dal Credito Siciliano. In conseguenza il sottoscritto e' creditore del Credito Siciliano. Il che integra la fattispecie di astensione obbligatoria di cui all'art. 51 n. 3 cpc., che non consente alcuna discrezionalita' ne' al sottoscritto ne' al Capo dell'Ufficio. Siamo al di fuori dei rapporti di c. c., per i quali la S.V. ha rigettato analoga dichiarazione di astensione. Astensione facoltativa (art. 51 ultimo comma cpc) - I figli del sottoscritto sono soci azionisti del Credito Siciliano. E' di tutta evidenza, infatti, che i soci di una societa' hanno interessi che coincidono con quelli della societa': nel caso in esame interesse al recupero del credito di euro 99.624 (recupero che avvantaggia la societa' ed indirettamente anche i soci che ne sono membri). Ragion per cui il sottoscritto verrebbe a trattare una causa nella quale i propri figli sono interessati (anche se non come parti in causa) all'accoglimento della domanda proposta dal Credito Siciliano. Il che integra le «gravi ragioni di convenienza» di cui all'art. 51 ultimo comma cpc. Continuare a trattare la causa potrebbe dar adito alla ricusazione del sottoscritto. Il sottoscritto fa presente che in situazione analoga a quella di cui trattasi (figlio del giudice che era condomino di un condominio, parte in causa) la S.V. ha autorizzato il sottoscritto ad astenersi». Orbene, e' accaduto che il Presidente del Tribunale con provvedimento del 23 gennaio 2012 ha rigettato sia la dichiarazione di astensione obbligatoria che la istanza di astensione facoltativa con una motivazione, pero', riguardante esclusivamente la dichiarazione di astensione obbligatoria, escludendo dal novero dei rapporti di credito cui si fa cenno nell'art. 51 n. 3 cpc il «rapporto di credito» del giudice con la Banca in conseguenza dell'acquisto di Obbligazioni emesse dalla Banca, in quanto rientrante nel «normale rapporto cliente-istituto di credito»,e quindi facendo ricorso ad una valutazione discrezionale che l'art. 51 n. 3 cpc esclude esigendo solo il riscontro obiettivo della esistenza di un rapporto di credito (o di debito), senza alcuna valutazione al riguardo ne' da parte del giudice ne' da parte del Presidente del Tribunale. Il Presidente del Tribunale non si e' pronunziato, invece, sulla istanza di astensione facoltativa proposta dal sottoscritto ex art. 51 ultimo comma (figli soci azionisti del Credito Siciliano). La normativa. L'art. 51 del c.p.c. prevede due tipi di astensione, quella obbligatoria e quella facoltativa. Regolate in modo diverso. L'astensione obbligatoria. La norma prevede alcune fattispecie di facilissima individuazione, costituenti un "numerus clausus" dato che qualsiasi altra fattispecie si puo' fare rientrare nella astensione facoltativa (per "gravi ragioni di convenienza") prevista dall'art. 51 ultimo comma (costituente norma di chiusura del sistema dell'astensione). In caso di astensione obbligatoria il giudice deve fare una "dichiarazione di astensione" per la cui accettazione non e' prevista la autorizzazione da parte del Capo dell'Ufficio (l'istanza di astensione e la conseguente autorizzazione sono invece previste per l'astensione facoltativa, per la quale occorre fare delle valutazioni circa l'esistenza delle "ragioni di convenienza" e circa la "gravita'" delle stesse). La situazione dal sottoscritto segnalata, relativa ai contratti di investimento finanziario (acquisto di obbligazioni emesse dal Credito Siciliano) da cui si origina il rapporto di credito del sottoscritto nei confronti della Banca, rientra tra i casi di astensione obbligatoria. Per questi il c.p.c. (art. 51 e art. 78 att.) non prevede (ripetesi) alcuna autorizzazione da parte del Presidente del Tribunale, ma solo una presa d'atto con la conseguente designazione del nuovo giudice. Cio' stante la tassativita' (nonche' la semplicita') dei casi di astensione obbligatoria, previsti dalla legge, che, come non consentono interpretazioni estensive o analogiche, cosi' non consentono interpretazioni restrittive. Secondo la volonta' del legislatore, chiaramente espressa nella norma, basta che sussista tra il giudice e qualsiasi altro soggetto (banche comprese) un rapporto obbligatorio di qualsiasi tipo da cui si originano o possono originarsi indifferentemente crediti o debiti di qualsiasi entita', per far scattare per il giudice l'obbligo dell'astensione e conseguentemente l'obbligo per il capo dell'ufficio giudiziario di designare altro giudice per la trattazione della causa. La legge nei casi di astensione obbligatoria non prevede l'autorizzazione all'astensione da parte del capo dell'ufficio giudiziario proprio per evitare ogni discrezionalita' da parte del capo ufficio, che sarebbe fonte di disparita' di decisioni sia tra uffici diversi sia nell'ambito dello stesso ufficio tra capi ufficio diversi (ognuno si sentirebbe autorizzalo a pensarla a modo proprio), con conseguente incertezza anche per il giudice che ha l'obbligo di astenersi. Se si dovesse ammettere che i rapporti di obbligazione tra giudice e banca debbano essere esclusi dall'obbligo di astensione, perche' si tratta di servigi normalmente resi a una "indeterminata clientela" (come motivato nel provvedimento di rigetto), a tale conclusione dovrebbe poi giungersi anche per la miriade di rapporti obbligatori che il giudice intrattiene con esercizi commerciali, enti, uffici, professioni, arti e mestieri che offrono i propri normali servizi ad un pubblico di utenti e di consumatori; con la conseguenza che la previsione di astensione di cui all'art. 51 n. 3 (rapporti obbligatori da cui nasce credito o debito) diventerebbe per i giudici del tutto marginale ed eccezionale. Il contrario di cio' che il legislatore ha voluto con una espressione appositamente generica ed onnicomprensiva ("rapporti di credito o di debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori".) Al riguardo giova precisare che la congiunzione "o" e' adoperata dal legislatore con valore di alternanza equivalente, di equipollenza (e non di contrapposizione, di incompatibilita', di alternativa escludente). Dico questo, perche' in altra causa la prima sezione civile del Tribunale di Catania (quella presieduta dal Presidente del Tribunale, che pero' nel caso specifico non presiedeva) decidendo sulla istanza di ricusazione proposta da una delle parti nei confronti del sottoscritto, ha rigettato l'istanza motivando (singolare motivazione!) che i rapporti di c.c. e di investimenti del giudice con una banca originavano rapporti di credito e di debito (e non rapporti di credito o di debito, come previsto nell'art. 51 n. 3 cpc). L'astensione facoltativa nel caso in cui in cui familiari del giudice siano soci della banca parte in causa. Alle dichiarazioni di astensione obbligatoria (per rapporto di credito con il Credito Siciliano) il sottoscritto ha (doverosamente) aggiunto istanza di astensione facoltativa ex art. 51 ultimo comma cpc, facendo presente che i propri figli sono azionisti e del Credito Siciliano. La detta istanza e' state rigettata senza motivazione. Forse per la difficolta' di motivare il rigetto dell'istanza. Eppure non si puo' non essere d'accordo sul fatto che sarebbe gravemente sconveniente che un giudice trattasse cause in cui sono parte i figli. Ma lo stesso deve-ritenersi quando i figli sono, cointeressati nella causa,come nel caso in esame - in cui sono soci della banca parte in causa. Cio' che conta al fine dell'astensione (per gravi ragioni di convenienza) non e' la forma (cioe' che i figli non sono formalmente parti in causa), ma la sostanza, cioe' che i figli sono legati ad una parte da una comunanza di interessi, per cui, quando il giudice giudica sugli interessi della parte, giudica anche sugli interessi dei propri figli, coincidenti cogli interessi della parte. Inutilmente il sottoscritto ha fatto presente che nel caso analogo in cui un figlio era condomino di condominio parte in causa, lo stesso Presidente del Tribunale aveva prima rigettato e poi (melius re perpensa) accolto la istanza di astensione del sottoscritto, designando altro giudice di questa Sezione per la trattazione della causa. La mancata tutela dell'interesse del magistrato, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal capo dell'ufficio giudiziario. La violazione degli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione. La materia della astensione del giudice e' particolarmente delicata e merita l'attenzione della Corte costituzionale non solo nel campo penale (ove piu' volte e' intervenuta) ma anche nel campo civile, in quanto: - comporta il coinvolgimento della immagine sia del Giudice che dell'Amministrazione; - comporta possibili conseguenze sul piano disciplinare per i Giudici che non si astengano; - comporta per i giudici, che si astengano ma la cui dichiarazione o istanza non venga accolta, di restare esposti alla eventuale ricusazione e, anche in caso di mancata ricusazione o rigetto della ricusazione, al sospetto di mancanza di imparzialita'. Il che vulnera la fiducia che parti e cittadini tutti debbono poter nutrire nella imparzialita' dei giudici. L'istituto dell'astensione non mira (secondo unanime pensiero) soltanto ad assicurare la effettiva imparzialita' del giudice, cioe' che il giudice sia imparziale, ma anche a garantire che il giudice appaia imparziale, ossia che non possa esserci in nessuna delle parti ed in genere nei cittadini neppure il dubbio sull'imparzialita' del giudice. Sono coinvolti, come detto, l'interesse dell'Amministrazione Giudiziaria e l'interesse delle parti, ma anche l'interesse del giudice (alla propria immagine di imparzialita' e al proprio onore). I giudici hanno normalmente doti morali tali da indurli a comportarsi in modo imparziale anche nel caso di non accoglimento della dichiarazione o istanza di astensione o di rigetto della istanza di ricusazione. Ma non e' questo il punto: il punto e' che e' in gioco l'immagine dell'imparzialita' del giudice, che potrebbe essere compromessa ugualmente nel caso di non accoglimento della dichiarazione o istanza di astensione: infatti, chi potra' togliere dalla mente di una delle parti o dei cittadini, che i legami di interessi con la banca sia del magistrato che dei suoi figli possano avere influito sulla decisione? Il Capo dell'Ufficio giudiziario e' preposto alla tutela dell'interesse dell'Amministrazione, che rappresenta, ma dovrebbe (ad avviso del sottoscritto) ad un tempo tutelare l'interesse del giudice all'immagine di imparzialita', costituente una delle componenti dell'onore e della dignita' professionale del magistrato. Il legislatore del 1940 ha presunto che il Capo ufficio fosse in grado di tutelare anche l'interesse del giudice e per tale ragione non ha previsto per il giudice alcun rimedio giuridico contro la possibilita' che i suoi interessi morali non fossero tutelati dal Capo ufficio,non potendosi immaginare che un Capo ufficio potesse non accogliere una legittima dichiarazione di astensione obbligatori nel caso di esistenza di rapporti obbligatori (di credito e/o di debito con una parte in causa) ovvero una istanza di astensione facoltativa di gravita' eccezionale (come nel caso che i figli del giudice siano soci azionisti della banca parte in causa). Quando si verifica il caso limite in esame, in cui il Capo dell'Ufficio: a) si e' attribuita la facolta' discrezionale (che l'art. 51 n. 3 cpc non prevede) di escludere dal novero dei rapporti di credito, comportanti l'astensione obbligatoria, le obbligazioni emesse dalla banca parte in causa ed acquistate dal giudice; b) ed addirittura si e' permesso di non motivare sulla istanza facoltativa di astensione (per essere i figli del giudice azionisti della banca parte in causa), esponendo in tal modo il giudice all'onta della ricusazione di una o entrambe le parti, si realizza una situazione di messa in pericolo dell'onore e della dignita' professionale, del giudice. E' in tal caso che si avverte la necessita' di uno strumento giuridico che offrisse al giudice la possibilita' di tutelare il detto suo interesse,in fase prodromica. Ma tale possibilita' non e' prevista dalla normativa vigente, che tutela solo le parti in causa, con l'istituto della ricusazione (art. 53 cpc). Come se il giudice fosse semplice «oggetto» delle altrui decisioni e non un «soggetto» portatore di interessi legittimi meritevoli di autonoma tutela,al pari di quelli delle parti in causa(tutelati con l'istituto della ricusazione). Cio' contrasta con le seguenti norme della Costituzione: - L'art. 3, il quale stabilisce che «tutti i cittadini .... sono eguali davanti alla legge». - L'art. 24, il quale stabilisce che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». - L'art. 111, il quale stabilisce che «ogni processo si svolge .... davanti ad un giudice terzo ed imparziale». - L'art. 113, il quale stabilisce che la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione «non puo' essere esclusa o limitata .... per determinate categorie di atti». Tra questi puo' rientrare (estensivamente o analogicamente) anche il provvedimento del Presidente del Tribunale (che e' oggettivamente amministrativo) col quale sia stata rigettata la dichiarazione o l'istanza di astensione presentata dal giudice. L'organo che potrebbe adire il giudice, la cui dichiarazione o istanza e' stata rigettata, dovrebbe essere un Organo della stessa Amministrazione Giudiziaria, sovraordinato (come il Presidente della C.A. rispetto al Presidente del Tribunale; e la Corte di cassazione rispetto al Presidente della C.A). Avverso il provvedimento definitivo sarebbe ammesso, secondo la legge vigente, il ricorso al TAR. Conclusioni Poiche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 51 e segg. c.p.c. Poiche', inoltre, la detta questione di legittimita' nel caso in esame non e' manifestamente infondata; Apparendo, al contrario, evidente che la normativa vigente in tema di astensione violi gli artt. 3 e 24 e 111 e 113 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad Organo dell'Amministrazione giudiziaria, sovraordinato, avverso il provvedimento del Capo dell'Ufficio.