IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 637 del 2007, proposto da: Cappello Gabriella, rappresentata e difesa dagli avv. Guido Barbaro, Raffaela Pugliano, con domicilio eletto presso Attilio Bandiera Avv. in Reggio Calabria, via De Nava, 134; Contro Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15; Direzione Generale dei Magistrati, Direzione Provinciale del Tesoro di Reggio Calabria; Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15, per il riconoscimento del diritto della ricorrente alla restituzione dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3, comma 1, della l. n. 27 del 19.2.1981, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 325, della legge 30.12.2004, n. 311, relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all'art. 4 della 1. 1204/1971, oggi disciplinata dagli artt. 16 e 17 del d.lgs. 151/2001, indebitamente trattenuta dalla Direzione provinciale dei Servizi vari del Tesoro di Reggio Calabria e per la condanna delle Amministrazioni resistenti alla restituzione dell'indennita' non corrisposta alla ricorrente durante i periodi meglio indicati in atti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2011 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ricorre la dott.ssa Gabriella Cappello, magistrato in servizio presso il Tribunale di Reggio Calabria, con funzione di giudice, per ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla restituzione dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 comma 1 della l. n. 27 del 19/2/1981, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 325 della legge 311/2004, relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all'art. 4 della l. 1204/71, oggi disciplinata dagli artt. 16 e 17 del d.lgs. 151/2001, e conseguente condanna delle Amministrazioni resistenti alla restituzione dell'indennita' non corrisposta relativamente ai periodi meglio specificati in atti, oltre accessori come per legge (rivalutazione monetaria e degli interessi legali dal dovuto e fino al soddisfo). La ricorrente documenta che l'importo delle somme trattenute nei periodi di astensione obbligatoria dal servizio per maternita' (e segnatamente dal 24.11.2001 al 24.04.2002 e dal 5.07.2003 al 5.12.2003) per un importo pari ad 8.601,84 (comunicazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Direzione Territoriale di Reggio di Calabria del 2 settembre 2010 prot. n. 020003). Si sono costituite le Amministrazioni intimate che resistono al ricorso di cui chiedono il rigetto. Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2012 la causa e' stata trattenuta in decisione. La risoluzione della controversia dipende da una unica questione di diritto, costituita dalla natura retroattiva o non retroattiva della modifica che all'art. 3, primo comma, della l. 27/1981, ha apportato l'art. 1 comma 325 della l. 311/2004. Sul punto, il Tribunale ne aveva riconosciuto la retroattivita' con numerose sentenze (v. per tutte, 25 marzo 2010 n. 310), le cui argomentazioni, pero', non hanno trovato la condivisione del giudice di appello (Consiglio di Stato, sent. 16 settembre 2011, n. 5238), il quale non ha neppure ravvisato nelle norme in esame quegli specifici dubbi di compatibilita' costituzionale che, pure, la parte ricorrente aveva in quella sede prospettato. Piu' precisamente, il Consiglio di Stato, dopo aver richiamato le pronunzie della Corte Costituzionale che hanno rigettato le questioni di legittimita' costituzionale della norma in esame, ha concluso affermando che non vi sarebbero ragionevoli margini per una interpretazione che deponga per l'attribuzione dell'emolumento in relazione ai periodi antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 311/04. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, "la norma di cui all'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004 non e' suscettibile di avere efficacia retroattiva e la disposizione recata dall'art. 3 della legge n. 87 del 1981, con riguardo al periodo precedente l'entrata in vigore della novella in questione (1° gennaio 2005) non consente sotto alcun versante interpretativo la corresponsione dell'indennita' di cui si controverte." A fronte della richiesta di parte ricorrente di rimettere la questione alla Corte Costituzionale perche' si pronunci "sia in relazione ai lavori parlamentari della legge ti.311 /2004 dai quali emergerebbe il chiaro intento del legislatore di correggere la portata discriminatoria dell'originaria norma recata dall'art. 3 della legge n. 27181 sia con riferimento al profilo di disparita' di trattamento tra donne magistrato riguardo all'aspetto temporale del periodo di astensione obbligatoria (anteriore o successivo al 2005)" il Consiglio di Stato statuisce che "siffatta domanda va disattesa in quanto muove da una impostazione genetica del problema del tutto errata , quella di ritenere che la novella del 2004 vada ad incidere su un substrato normativo ingiustificatamente penalizzante, con lo scopo di rimuovere ab initio situazioni ostative alla piena applicazione di un principio per cosi' dire paritario" e chiarisce che "La scelta effettuata dal legislatore con la finanziaria per l'anno 2005 e' si' innovativa, nel senso che immette per la prima volta nell'ordinamento una norma attributiva del riconoscimento del diritto in questione, ma non va a porre rimedio ad alcunche', perche' non esistono a monte situazioni omologhe a fronte di un diversificato trattamento economico, come tali abbisognevoli di un intervento correttivo e/o eliminativo; parimenti, la norma non va a modificare disposizioni che, peraltro, sono state ritenute esenti da profili di incostituzionalita' e che quanto alla sua portata precettiva non puo' avere una efficacia retroattiva e neppure dare luogo a disparita' di trattamento". Cio' posto, il Collegio non puo' che disattendere le argomentazioni odierne della parte ricorrente, tese a reintrodurre ulteriori argomenti di valutazione della portata retroattiva della norma in esame, dal momento che, pur se condivisibili in questa sede, l'orientamento consolidato del giudice di appello ne decreterebbe la sicura riforma. Tuttavia, l'orientamento del giudice di appello non puo' essere condiviso quanto al giudizio implicito di manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale che era stata gia' proposta nel giudizio conclusosi con la sentenza prima richiamata, e che, nella odierna sede, non puo' che essere sollevata d'ufficio, essendo rilevante e non manifestamente infondato. A tale proposito, si osserva quanto segue. Sulla rilevanza della questione. Il Tribunale, prendendo atto dell'orientamento del proprio esclusivo giudice di appello, che assume come "diritto vivente", osserva che la questione di costituzionalita' di cui trattasi riveste necessariamente carattere di rilevanza al fine della decisione definitiva sulle domande introdotte con i gravami in esame. Come reiteratamente affermato dalla Corte Costituzionale, deve ritenersi rilevante e quindi ammissibile la questione di costituzionalita' di una norma di legge allorche' il giudice remittente, pur mostrando di non condividere l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul piano ermeneutico, bensi', assumendo proprio quella interpretazione come "diritto vivente", ne chiede una verifica sul piano della costituzionalita' (che pacificamente rientra nel sindacato della Corte: cfr. Sent. n. 188 del 23 maggio 1995, n. 58 del 24 febbraio 1995, n. 110 del 6 aprile 1995, n. 345 del 21 luglio 1995). La stessa Corte ha, del resto, significativamente precisato che la questione di legittimita' costituzionale e' validamente posta anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell'orientamento giurisprudenziale prevalente o dominante, ritiene di dovere applicare la disposizione contestata in un diverso od opposto significato normativo, sempreche' l'interpretazione offerta non risulti del tutto implausibile ovvero arbitraria (Corte Cost. sent. n. 58/1995, punto 2 della motivazione che richiama numerosi precedenti giurisprudenziali della medesima Corte; ord. TAR Sicilia, III, 35/1996). Pur avendo il Tribunale piu' volte espresso il proprio convincimento circa la natura retroattiva della disposizione in esame, il Collegio non puo' non muovere dalla constatazione del suesposto orientamento ermeneutico del giudice di appello che fa propria la diversa lettura della norma come non retroattiva, con le logiche ed inevitabili conclusioni affermative in ordine alla sussistenza del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza della questione) affinche' il giudice a quo possa sollevare questioni di costituzionalita'. La rilevanza della questione ai fini del decidere e' dunque di palese evidenza: la norma in esame va interpretata come non retroattiva alla luce del "diritto vivente" rappresentato dall'orientamento del giudice di appello, per la tassativita' e perentorieta' delle motivazioni cui la decisione richiamata e le altre consimili e' affidata. Dunque, rappresenta una regola introdotta nell'Ordinamento con effetto innovativo e, come tale, che dispone per l'avvenire. Ne dovrebbe conseguire il rigetto del gravame, se non fosse che il Collegio dubita della sua compatibilita' costituzionale per le ragioni che si esporranno immediatamente a seguire. Sulla non manifesta infondatezza. Il Collegio non ignora che la giurisprudenza della Corte Costituzionale e' ferma nel ritenere non illegittima costituzionalmente la previsione antevigente, secondo la quale l'astensione obbligatoria per maternita' sospende il trattamento economico relativo all'indennita' giudiziaria e che, in proposito, ha affermato che "e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, l. 19 febbraio 1981 n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, l. 30 dicembre 2004 n. 311, censurato, in riferimento all'art. 3, comma 1, Cost., nella parte in cui, per il personale della magistratura, esclude la corresponsione dell'indennita' giudiziaria nel periodo di astensione obbligatoria per maternita'. Non e' infatti configurabile una irrazionale disparita' di trattamento tra i magistrati e il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, trattandosi di posizioni e funzioni diverse, ne' una irrazionale disparita' di trattamento per il solo fatto che da tale raffronto discende una quantificazione diversa delle rispettive prestazioni, non essendo neanche possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, l. n. 311 del 2004 a favore dei magistrati assenti per maternita', l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparita' di trattamento, in quanto la novella citata costituisce la manifestazione della discrezionalita' del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative (Corte Cost. Corte costituzionale, 14 maggio 2008 , n. 137). Tuttavia, ad avviso del Collegio, sussistono i presupposti per investire nuovamente la Corte Costituzionale dell'esame della questione, nell'auspicio di un ripensamento e della elaborazione di una soluzione piu' aderente alle specifiche esigenze di tutela dei valori costituzionali che si espongono a seguire. Nella fattispecie esaminata dalla Corte nel corso del giudizio conclusosi con la sentenza n. 137/2008 era stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della l. 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con l'art. 1, comma 325 della l. 311/2004, esclusivamente per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo specifico della disparita' di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie ed agli uffici giudiziari. Ad avviso del Collegio la fattispecie normativa e' sospetta di incostituzionalita' per molteplici profili ulteriori e diversi rispetto a quelli gia' a suo tempo denunciati e ritenuti manifestamente infondati dalla Corte. 1) Disparita' di trattamento ed ingiustizia manifesta. Violazione artt. 2 e 3 della Costituzione. 1.1) Ad essere sospetta di incostituzionalita' non e' solo la norma di cui all'art. 3, primo comma, della l. 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con l'art. 1, comma 325 della l. 311/2004, ma quest'ultima norma, nella parte in cui, secondo "diritto vivente", e' interpretata nel senso che non ha reso retroattivo il riconoscimento della spettanza dell'indennita' giudiziaria al personale in congedo per maternita' in periodi anteriori alla sua entrata in vigore. Cosi' facendo, e' stato violato il precetto di cui all'art. 3 della Costituzione, perche' e' stata introdotta una manifesta disparita' di trattamento all'interno del personale di magistratura, arbitrariamente suddiviso in ragione del periodo temporale della astensione per maternita', nonostante l'identita' di situazioni di tutela e l'identita' di funzioni giurisdizionali svolte. 1.2) La disparita' di trattamento operata dal combinato disposto dell'art. 3, primo comma, l. 27/1981 e dall'art. 1, comma 325, l. 311/2004, e' particolarmente grave ed inaccettabile laddove si consideri che l'indennita' giudiziaria nel periodo anteriore all'entrata in vigore del predetto art. 1, non e' riconosciuta al personale in astensione per maternita', ma, nel medesimo periodo di tempo, e' riconosciuta ai magistrati collocati fuori ruolo per incarichi extra-giudiziari (si rinvia, relativamente al periodo temporale di riferimento, alla circolare del C.S.M., n. 7365 del 27 aprile 1994, successivamente modificata, ed al quadro normativo ivi richiamato con particolare riferimento agli artt. 196 e 210 ord. giud. R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), i quali non prestano la propria attivita' nell'ambito di quelle specifiche funzioni giurisdizionali al sollievo delle quali l'indennita' e' istituita. Il collocamento in fuori ruolo per incarichi extra giudiziari o incarichi speciali, invero non e' espressamente elencato nell'art. 3, primo comma, l. 27/1981 tra le condizioni - tassativamente elencate e di stretta interpretazione avendo natura di eccezione rispetto alla regola generale - di aspettativa, astensione facoltativa, congedo o sospensione dal servizio, da escludersi ai fini del computo dell'indennita' (a mente della disposizione citata l'indennita' e' da "corrispondersi in ratei mensili con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa"). 1.3) La disparita' di trattamento e l'ingiustizia manifesta della diversa condizione dei medesimi magistrati si apprezzano maggiormente se si considera che, nella prassi concreta degli uffici giudiziari, il periodo in astensione non diminuisce la quantita' di lavoro che il magistrato interessato e' chiamato ad assicurare: in assenza nell'ordinamento giudiziario ordinario di un sistema di commisurazione oggettiva individuale della quantita' di affari che possono essere trattati da ciascun magistrato e sussistendo l'automatica iscrizione a ruolo di tutte le cause radicatesi nel periodo di astensione per maternita', l'assenza del magistrato dall'ufficio giudiziario - nella nota situazione di carenza di organico in cui versano numerosi uffici giudiziari, tra i quali quello di appartenenza della ricorrente - si traduce solitamente in un mero differimento delle cause a ruolo, che dovranno comunque essere trattate al rientro dall'aspettativa. Di conseguenza, viene concretamente a mancare la corrispondenza tra l'indennita' giudiziaria e gli oneri connessi all'attivita' giudiziaria, perche' a parita' di affari trattati, i magistrati in aspettativa percepiscono una indennita' minore di quelli non in aspettativa e dovranno anche, al loro rientro in servizio, "scontare" la maggiore difficolta' di recuperare l'arretrato nel frattempo accumulatosi. 1.4) Ulteriore profilo di manifesta disparita' di trattamento "interna" alla norma e' ravvisabile nell'elencazione delle ipotesi di esclusione: esse sono tutte accumunate da una circostanza di riferibilita' della condizione di temporaneo mancato esercizio delle funzioni giudiziarie a scelta del magistrato (congedo straordinario o aspettativa). Anche l'astensione facoltativa ex artt. 32 e 47, commi 1 e 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e' frutto di un libero apprezzamento del genitore, finalizzato alla cura della prole; la sospensione per qualsiasi causa e', infine, ipotesi residuale che raccoglie le circostanze relative, ad esempio, a misure disciplinari il cui mancato computo ai fini dell'indennita' giudiziaria e' comunque sorretto da un criterio oggettivo. Nella pur doverosa considerazione dei margini di discrezionalita' politica del legislatore, e' dunque certamente irrazionale l'inclusione dell'aspettativa obbligatoria per maternita' tra i periodi di esclusione del servizio dal computo della indennita' giudiziaria, perche' non sussiste una possibilita' di scelta per il genitore magistrato tra l'astenersi o meno dal lavoro, ne' puo' ravvisarsi in essa alcuna ipotesi anche latamente sanzionatoria o disciplinare. 2) Violazione dell'art. 2, 3, 30, 31 e 37 della Cost. In un contesto etico e sociale caratterizzato da una forte tendenza alla dissociazione tra dimensione personale-affettiva ed ambiente produttivo (gia' di per se' contrastante con il modello sociale che l'art. 2 della Costituzione presuppone, essendo quest'ultimo volto alla tutela della persona umana nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', quindi in una accezione di unitarieta' individuale della persona umana), il disconoscimento dell'indennita' giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria per maternita' assume una forte e chiara connotazione simbolica, che e' lesiva dei diritti della persona e dell'individuo e di quella specifica tutela che va riservata alla donna lavoratrice. Al di la' dell'entita' economica del diritto che si vuole fare valere, cio' che preme al Collegio di sottolineare e' che, nel quadro normativo appena descritto, tale negazione ha valore di principio ed equivale ad affermare una completa separazione tra la dimensione umana piu' intima e personale del magistrato-genitore e l'adempimento dei suoi doveri istituzionali, ai fini dei quali la prima e' prospettata - ex lege - come irrilevante. Si tratta, in sostanza, di un contesto normativo che si fa vettore (significativo per la sua rilevanza) di un vero e proprio disvalore, e cioe' dell'irrilevanza della dimensione personale affettiva (che si esprime al massimo grado nella generazione della prole) nel contesto dello "status" di magistrato, al quale l'indennita' e' collegata e del quale, in tale veste, essa assurge a simbolo dell'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del magistrato-genitore. Cio' contrasta con la tutela della dignita' dell'individuo, sia di per se' che nelle due formazioni sociali in cui si realizza, ovvero la famiglia ed il contesto lavorativo, che e' invece obbligo della Repubblica ex art. 2 della Costituzione assicurare. Altrettanto lesa e' la dimensione valoriale della famiglia e della genitorialita', rilevante ex art. 29 e 30 della Costituzione, nonche' lo sforzo delle Istituzioni della Repubblica di assicurare quella sostanziale tutela dei minori cui l'art. 31 della Costituzione le impegna. 3) Violazione dell'art. 2 e 3 della Costituzione sotto altro profilo - Conflitto con la "mens legis" come risultante dai lavori parlamentari di preparazione della legge n. 311/2004. Le norme in esame regolano degli effetti di un fatto generatore (status di magistrato), senza incidere su di esso, bensi' sulle conseguenze che ne derivano (indennita' giudiziaria). 3.1) Come piu' volte evidenziato in altre pronuncie, dai lavori parlamentari della legge n. 311/2004 emerge il chiaro intento del legislatore di correggere la portata discriminatoria dell'originaria norma recata dall'art. 3 della legge n. 27/1981 (cfr. TAR Reggio Calabria, 24 marzo 2010, n. 302 ed altre). Cio' non consente di aderire alla soluzione ermeneutica dell'irretroattivita' della norma ed il Collegio auspica che la Corte rimediti criticamente quanto ritenuto nell'ordinanza n. 137/2008, sopra richiamata, ove si nega l'esistenza di quella disparita' di trattamento che invece, come emerge dai lavori preparatori, e' stata espressamente contemplata dal legislatore, allorche' ha posto in essere la l. n. 311/2004, con intento correttivo di una distorsione all'epoca in atto, esplicitamente riconosciuta. In tal senso, i proponenti hanno espressamente avuto di mira lo scopo di colmare le disparita' di trattamento non solo tra magistrati e personale di cancelleria, ma anche all'interno della stessa categoria dei magistrati, laddove si verificano situazioni, inaccettabili, per cui un magistrato in servizio che si trova in astensione obbligatoria perde l'indennita' e lo stesso magistrato, se lascia il servizio in quanto distaccato a funzioni amministrative, la mantiene. Invero, cio' che appare maggiormente criticabile, e' la affermazione secondo la quale la novella legislativa rappresenterebbe solo la "la manifestazione della discrezionalita' del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative". Infatti, poiche' viene modificata una norma esistente, solamente quanto agli effetti di una situazione giuridica che resta immutata nel proprio fatto costitutivo (l'essere magistrato) e nello status di cui viene diversamente regolata una specifica modalita' di tutela (la cui fonte generatrice resta, immutata, la previsione di cui alla legge 27/1981), quest'ultimo novum normativo non puo' che essere riferito agli effetti di quello status, con conseguente obbligatoria applicazione della norma a tutte le situazioni giuridiche non compiutamente definitesi sotto l'imperio della precedente normativa. In altri termini, non potrebbe non essere riconosciuta natura di "jus superveniens" alle norme che disciplinano fattispecie i cui effetti non sono esauriti alla data di entrata in vigore, purche' non sia modificato il relativo fatto o presupposto generatore del diritto. Peraltro, come anticipato sopra, appare fondamentale ai fini della ricostruzione dell'istituto la "mens legis" che e' illuminata dai lavori parlamentari, nei quali si legge chiaramente l'intento dei proponenti di eliminare una irrazionale disparita' di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie degli uffici giudiziari, al quale l'indennita' e' stata estesa proprio per "assimilazione" funzionale: nei lavori parlamentari si evidenzia come l'attribuzione della indennita' e' stata "scollegata" dall'ambito del rischio professionale e le e' stata riconosciuta natura retributiva (e si richiama la decisione del Consiglio di Stato di cui alla sent. n. 27/1983), per poi essere riconosciuta normativamente ai magistrati ordinari distaccati per funzioni amministrative (cosi' come ai magistrati del Consiglio di Stato, dei TTAARR, Corte dei Conti, Tribunali militari, ex lege 425/1984), oltre che delle cancellerie e segreterie giudiziarie e delle magistrature speciali (legge 221/1988). Nei limiti in cui e' interpretabile come non retroattiva, la norma diviene causa di una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ad altre ipotesi normative di struttura analoga, nelle quali si e' riconosciuto l'applicabilita' della nuova disposizione a fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, applicandola ai giudizi in corso: si pensi alla disciplina delle mansioni superiori di cui all'art. 56, comma 6, del d.lgs. 29/93, come "innovata" dall'art. 15 del d.lgs. 387/1998 (Cass. civ. sez. lav. 8 gennaio 2004, n. 91), o alla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (1. 898/1970, Cass. 5 maggio 1999, n. 4462). Per le suesposte considerazioni, a norma dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, l. 27/1981 e dall'art. 1, comma 325, l. 311/2004, in combinato disposto tra loro, rispetto agli artt. 2, 3, 30, 31 e 37 della Costituzione, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione della questione incidentale di costituzionalita' di cui trattasi, disponendosi conseguentemente le sospensione del giudizio e riservando al definitivo ogni altra statuizione, nel merito e sulle spese.