IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 

 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  1474  del  2011,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto  da:  Rina  S.p.a.,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti
Giuseppe M. Giacomini, Roberto Damonte e Maria  Alessandra  Sandulli,
con domicilio eletto presso lo  studio  dell'ultima  in  Roma,  corso
Vittorio Emanuele II, 349; 
    Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Consiglio di Stato,
Consiglio superiore dei lavori pubblici, Autorita' per  la  vigilanza
sui contratti pubblici di lavori,  servizi  e  forniture,  Conferenza
unificata di cui all'art.  8  d.lgs.  n.  281/1997,  Ministero  delle
infrastrutture e dei trasporti, Ministero per le  politiche  europee,
Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del  mare,
Ministero per i beni culturali ed ambientali, Ministero dell'economia
e delle finanze, Ministero dello sviluppo economico, Ministero  degli
affari esteri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale  dello
Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Per l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica  5
ottobre 2010, n. 207, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 288 del  10
dicembre 2010 - Suppl. ord. n. 270 - in vigore  dal  9  giugno  2011,
avente ad oggetto Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163,  recante  «Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» nella parte in cui: 
        all'art. 66  (Partecipazioni  azionarie)  ha  incluso  tra  i
soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo,  direttamente
o indirettamente, una partecipazione al capitale di  una  SOA,  anche
quelli «di cui all'articolo 3, comma 1, lettere ...  ff)»  ossia  gli
«organismi di certificazione: gli organismi di  diritto  privato  che
rilasciano i certificati del sistema di qualita' conformi alle  norme
europee serie UNI EN ISO 9000»; 
        in  via  subordinata,  all'art.   357,   comma   21,   (Norme
transitorie) prevede che «In relazione all'articolo 66, comma  1,  le
SOA, entro centottanta giorni dall'entrata  in  vigore  del  presente
regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di
partecipazione per i soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera
ff), dandone comunicazione all'Autorita'»; 
        nonche' nella parte in cui all'art. 64 (Requisiti generali  e
di indipendenza delle SOA) prescrive (comma 1) che  «la  sede  legale
deve essere nel territorio della Repubblica»  e  (comma  3)  che  «Lo
statuto  deve  prevedere  come  oggetto  esclusivo   lo   svolgimento
dell'attivita' di attestazione secondo le norme del presente titolo e
di effettuazione dei connessi controlli  tecnici  sull'organizzazione
aziendale e sulla produzione delle imprese  di  costruzione,  nonche'
sulla loro capacita' operativa ed economico-finanziaria»; 
        nonche'  nella  parte  in  cui  all'art.  66  (Partecipazioni
azionarie) ha incluso tra i soggetti che  non  possono  possedere,  a
qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente,  una  partecipazione
al capitale di una SOA, genericamente i soggetti indicati all'art. 34
del codice (vale a dire i «soggetti a cui possono essere  affidati  i
contratti pubblici»), senza alcuna distinzione tra  coloro  ai  quali
possono essere affidati contratti pubblici  di  lavori  e  coloro  ai
quali, invece, possono essere affidati contratti pubblici di  servizi
o forniture; 
        nonche' per l'annullamento di ogni atto, anche istruttorio  o
consultivo, preordinato o presupposto, conseguente o connesso; 
        e per l'accertamento  e  la  condanna  delle  amministrazioni
intimate all'integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla
ricorrente; 
        nonche'    per    l'annullamento     della     determinazione
dell'Autorita' per la Vigilanza sui  contratti  pubblici  di  lavori,
Servizi e forniture 15 marzo 2011, n. 1  (pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 77 del 4 aprile 2011, Suppl. ord. n. 91), nella parte in
cui indica tra i casi di «divieto di possedere, a  qualsiasi  titolo,
direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale sociale
di  una  SOA»,  in  modo  indistinto,  tutti  i  «soggetti   indicati
all'articolo 34 del Codice», nonche' annovera tra i comportamenti che
determinano     l'immediata     applicazione     della      decadenza
dell'autorizzazione ad esercitare l'attivita' di  attestazione  anche
il venir meno della condizione consistente nel rispetto del  suddetto
divieto di possedere una partecipazione al capitale  sociale  di  una
SOA da parte degli «operatori economici cui possono  essere  affidati
appalti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture»; 
        di ogni atto, anche istruttorio e/o  consultivo,  preordinato
e/o presupposto, conseguente  e/o  connesso  e  in  particolare,  per
quanto  possa  occorrere,  del  parere  dell'Adunanza  Generale   del
Consiglio di Stato, Gab. n. 2/2011, 24 febbraio  2011,  n.  852/2011,
avente ad oggetto «quesito in ordine al potere dell'autorita' per  la
vigilanza sui contratti di lavoro,  servizi  e  forniture  di  negare
l'autorizzazione alla partecipazione azionaria  della  SOA  ai  sensi
dell'articolo 6,  comma  6,  del  d.P.R.  5  ottobre,  207»,  recante
considerazioni di carattere interpretativo circa la portata dell'art.
66 del d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati. 
    Viste le memorie difensive. 
    Visti tutti gli atti della causa. 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale
dello Stato. 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  26  ottobre  2011  il
dott. Roberto Caponigro  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale. 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 
    1. La Rina S.p.a., facente  parte  del  gruppo  RINA,  espone  di
essere un ente originariamente  accreditato  alla  certificazione  di
qualita' UNI CEI EN 45000, il quale, in data  1°  dicembre  2009,  ha
posto in essere un'operazione di  riassetto  societario  per  effetto
della quale ha mutato il proprio ruolo  da  societa'  operativa,  tra
l'altro, nel settore della certificazione, in capogruppo con funzioni
direttive  e  di  holding  di  un  gruppo  con  attivita'  ampiamente
diversificate per tipologia  e  collocazione  geografica,  escludendo
esplicitamente  dal  proprio  oggetto   sociale   le   attivita'   di
certificazione di sistema. 
    Soggiunge che SOA Rina - partecipata al 99% dalla ricorrente Rina
S.p.a. ed  all'1%  da  Rina  Services  S.p.a.,  soggetto  attualmente
accreditato  alla  certificazione  di  qualita'  -  e'  una  societa'
organismo di attestazione, con sede in Genova,  avente  come  oggetto
esclusivo  lo  svolgimento  dell'attivita'  di  attestazione   e   di
effettuazione dei controlli tecnici sull'organizzazione  aziendale  e
sulla produzione delle imprese di  costruzione,  nonche'  sulla  loro
capacita'  operativa  ed   economico-finanziaria,   ai   fini   della
qualificazione ex art. 8, legge n. 109/1994 (ora art. 40,  d.lgs.  n.
163/2006). 
    L'art. 66 del d.P.R n. 207/2010,  regolamento  di  esecuzione  ed
attuazione  del  d.lgs.  n.  163/2006,  ha  esteso  il   divieto   di
partecipazione al capitale di una  SOA  anche  ai  «soggetti  di  cui
all'articolo 3, comma 1, lettere b) e ff) ...», ossia agli  organismi
di certificazione. 
    L'art.  357,  comma  21,  del  predetto  decreto  ha  dettato  la
disciplina transitoria  prevedendo  un  termine  di  180  giorni  per
l'adeguamento della composizione azionaria. 
    L'art. 64, comma 1, dello stesso regolamento, inoltre, ha imposto
che gli organismi di  attestazione  debbano  obbligatoriamente  avere
sede  legale  nel  territorio  della  Repubblica,   circostanza   che
impedirebbe alla SOA di cui la ricorrente detiene una quota azionaria
di allocare la propria sede in altro Stato  dell'Unione  europea  per
potersi «aprire»  al  mercato  straniero  continuando,  peraltro,  ad
attestare anche le imprese italiane; l'art. 64,  comma  3,  ha  posto
altresi' il vincolo dell'oggetto esclusivo. 
    Il ricorso e' articolato nei seguenti motivi: 
        Quanto al divieto di partecipazione al capitale SOA; 
        Violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma 1,  1egge
n. 400/1988 e  successive  modifiche  ed  integrazioni  in  relazione
all'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 163/2006  e  successive  modifiche  ed
integrazioni ed all'art. 41 Cost.; 
    Difetto assoluto dei presupposti. 
    Lo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri  il
13  luglio  2007  non  prevedeva  alcun  divieto  di   partecipazione
azionaria al capitale di una SOA per gli organismi di certificazione. 
    Il  parere  espresso  dalla  Sezione  consultiva  per  gli   atti
normativi del Consiglio di Stato nell'adunanza del 17 settembre  2007
non  aveva  ritenuto  di  introdurre  alcun  divieto  per  gli   enti
certificatori di detenzione di quote sociali di SOA. 
    Nel  regolamento  successivamente  approvato  dal  Consiglio  dei
ministri, in data 21 dicembre 2007, il divieto di  partecipazione  al
capitale  di  una  SOA  e'  stato  esteso  anche  agli  organismi  di
certificazione, sicche' la rilevanza  giuridica  ed  economica  della
modificazione apportata rispetto allo schema vagliato  dal  Consiglio
di Stato ne rivelerebbe la sua illegittimita' che  si  riverbererebbe
sul testo del regolamento approvato con d.P.R.  n.  207/2010,  atteso
che il parere  reso  sul  nuovo  schema  di  regolamento  rinvierebbe
ampiamente al precedente parere  di  cui  costituirebbe  il  naturale
completamento. 
    La circostanza che  il  nuovo  parere  non  si  sia  direttamente
espresso  sul  divieto  contestato  con  il  ricorso,  implicitamente
rinviando al parere precedente, comporterebbe  che  il  Consiglio  di
Stato non ha mai verificato la legittimita' di tale disposizione. 
    Violazione e falsa applicazione dell'art. 40, comma 3 e 4, d.lgs.
n. 163/2006 e successive modifiche ed  integrazioni  per  eccesso  di
delega. Violazione dell'art. 41 Cost. e del pertinente  principio  di
riserva  di  legge  e  di  libera  iniziativa  economica.  Violazione
dell'art. 76 Cost. e  del  principio  dell'esercizio  della  funzione
legislativa. 
    Sull'inesistenza della  presupposta  necessaria  fonte  di  rango
legislativo. 
    La disposizione regolamentare si porrebbe in contrasto con l'art.
41 Cost. secondo cui la liberta'  di  iniziativa  economica  potrebbe
accettare limiti solo se espressi da una fonte di  rango  legislativo
e, in ogni caso, se proporzionati. 
    Il codice dei contratti non avrebbe previsto ne'  in  termini  di
principio generale ne' sottoforma di disposizione ad hoc  un  divieto
precostituito  per  gli  organismi  di  certificazione  di  possedere
partecipazioni al capitale sociale delle SOA. 
    Sul  divieto  di  interpretazione  estensiva  e/o  analogica  del
principio di cui all'art. 41 Cost. 
    Ogni norma che limiti la liberta' di iniziativa economica privata
deve essere interpretata restrittivamente. 
    Sulla violazione dell'art. 76 Cost.  relativamente  al  principio
dell'esercizio della funzione legislativa. 
    L'art. 66, comma 1, d.P.R.  n.  207/2010  avrebbe  introdotto  un
divieto  assolutamente  nuovo   rispetto   al   sistema   legislativo
previgente ed in contrasto con i principi e con l'impianto in materia
di SOA delineato dal codice degli appalti, per cui esorbiterebbe  dai
criteri direttivi imposti dal codice  al  fine  di  circoscrivere  la
discrezionalita' attribuita al Governo dal legislatore. 
    Eccesso di potere per manifesta illogicita',  irragionevolezza  e
contraddittorieta'. 
    L'introduzione del divieto per gli organismi di certificazione di
detenere quote sociali di SOA non soltanto non  sarebbe  previsto  da
alcuna fonte normativa sovraordinata di rango  primario,  ma  sarebbe
altresi' manifestamente illogica e contraddittoria in  ragione  della
ontologica  diversita'  ed  autonomia  esistente  tra  attivita'   di
attestazione  e  di  certificazione,  le  quali   avrebbero   effetti
eterogenei. 
    Le verifiche effettuate dalla SOA, infatti, verterebbero su fatti
o  elementi  aziendali   concreti   (le   condanne   di   un   legale
rappresentante,  l'avere  eseguito  un  determinato  lavoro,  l'avere
maturato  una  cifra  d'affari  in  lavori),  mentre   le   verifiche
effettuate dall'ente di certificazione  avrebbero  natura  formale  e
funzionale (il rispetto delle norme relative  al  sistema  qualita');
l'organismo di certificazione non verificherebbe cosa e' stato  fatto
dall'impresa, ma come. 
    In definitiva, SOA ed ente di  certificazione  effettuerebbero  i
propri controlli su elementi distinti ed in modo totalmente diverso e
la verifica effettuata dalla SOA  sulla  certificazione  del  sistema
qualita' sarebbe totalmente vincolata; la SOA, infatti,  non  avrebbe
altro compito che quello di acquisire  il  certificato  di  qualita',
inteso  come  documento  cartaceo,  e  verificarne  i  requisiti   di
validita' formale, senza entrare nel merito del documento. 
    Referente diretto dell'ente di certificazione non sarebbe solo la
SOA, ma prima ancora la stessa Autorita'  di  vigilanza,  cosi'  come
referente della SOA non sarebbe tanto l'ente di certificazione quanto
l'organismo di accreditamento. 
    Violazione  e  falsa  applicazione  della  direttiva  2004/18/CE.
Incompatibilita' con il diritto dell'Unione europea (in  particolare,
principio di proporzionalita' e dell'effetto utile). 
    La giurisprudenza comunitaria, in via generale, avrebbe affermato
il principio secondo cui le  situazioni  di  controllo  tra  societa'
diverse  andrebbero   verificate   in   concreto,   con   conseguente
illegittimita' di tutte quelle forme precostituite di  divieto  poste
esclusivamente in ragione di un qualche  reciproco  collegamento  tra
soggetti distinti. 
    La ratio della disciplina comunitaria in materia di attivita'  di
certificazione sarebbe rappresentata dalla  necessita'  di  garantire
l'indipendenza e l'imparzialita'  delle  SOA  e  degli  organismi  di
certificazione,  ma  la  facolta'  conferita  agli  Stati  membri  di
attribuire a determinati soggetti l'attivita' di  certificazione  non
potrebbe tuttavia risolversi  in  una  violazione  del  principio  di
proporzionalita'. 
    Il divieto per un ente di certificazione di  detenere  una  quota
minoritaria del capitale sociale di una SOA costituirebbe un  divieto
eccessivamente rigoroso ed ingiustificato rispetto all'obiettivo  che
il legislatore intenderebbe conseguire, vale  a  dire  l'autonomia  e
l'indipendenza di giudizio. 
    La verifica dell'imparzialita' andrebbe effettuata principalmente
con riferimento all'impresa da certificare/attestare. 
    Ove dovesse ritenersi  che  la  normativa  legislativa  nazionale
fornisca  il  presupposto  del   divieto   introdotto   dalla   norma
regolamentare, sarebbe necessario un rinvio pregiudiziale alla  Corte
di Giustizia onde verificare se con essa possa essere compatibile una
disposizione di legge recante il divieto generalizzato per i soggetti
certificatori  di  detenere   quote   azionarie   di   organismi   di
attestazione. 
    Violazione e falsa applicazione della  normativa  comunitaria  in
materia di liberta' di  stabilimento  e  di  libera  prestazione  dei
servizi (artt. 43 e 49 del Trattato, oggi artt. 49 e 56 TFUE, nonche'
della direttiva servizi 2006/123/CE)  con  specifico  riferimento  ai
canoni di necessita' e proporzionalita'. 
    La disposizione  impugnata  sarebbe  contrastante  con  ulteriori
principi di matrice comunitaria in tema di liberta' di stabilimento e
di libera prestazione dei servizi e,  comunque,  con  i  principi  di
necessita' e proporzionalita'. 
    Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 117, comma 1,
Cost. Violazione dei principi di uguaglianza, parita' di trattamento,
ragionevolezza, proporzionalita',  affidamento  e  libera  iniziativa
economica.  Violazione   dell'art.   76   Cost.   e   del   principio
dell'esercizio della funzione legislativa. 
    La  disposizione  regolamentare   comporterebbe   disparita'   di
trattamento   attesa   l'impossibilita'   per   un    organismo    di
certificazione, che offre le piu' ampie garanzie di imparzialita'  ed
indipendenza di giudizio, di partecipare al capitale sociale  di  una
SOA, laddove altri soggetti potrebbero liberamente possedere societa'
di attestazione, soggette al solo vincolo dell'indipendenza  ex  art.
65, comma 4. 
    La  fonte  regolamentare,  in  assenza  di  una  chiara  volonta'
legislativa in tal senso, avrebbe limitato la liberta' di  iniziativa
economica degli organismi di certificazione. 
    L'art. 40, comma 3, del codice degli appalti, inteso nel senso di
prevedere   un   precostituito   divieto   per   gli   organismi   di
certificazione di possedere partecipazioni al capitale sociale  delle
SOA risulterebbe incostituzionale per violazione degli artt. 41, 3  e
76 Cost. 
    In subordine: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed
illogicita'.  Violazione  del  principio  di  imparzialita'  e   buon
andamento dell'azione amministrativa. 
    La disciplina  transitoria  prevista  dall'art.  357,  comma  21,
d.P.R. n. 207/2010 per  l'adeguamento  della  composizione  azionaria
delle SOA sarebbe comunque illegittima per l'incongruita' del termine
semestrale in relazione  alle  specifiche  attivita'  necessarie  per
permettere  ai  soggetti  certificatori  che   detengono   quote   di
proprieta' SOA di cederle. 
    Violazione e falsa applicazione dell'art. 40, comma 3 e 4, d.lgs.
n. 163/2006 e successive modifiche ed  integrazioni  per  eccesso  di
delega. Violazione dell'art. 41 Cost. e del pertinente  principio  di
riserva di legge, di libera  iniziativa  economica,  di  liberta'  di
stabilimento e di  liberta'  di  prestazione  di  servizi.  Manifesta
illogicita' ed irragionevolezza. 
    Il codice dei  contratti  non  prevederebbe  ne'  in  termini  di
principio  generale  ne'  sottoforma  di  disposizione  ad   hoc   un
precostituito obbligo per gli organismi di certificazione di avere la
sede legale necessariamente sul territorio della Repubblica. 
    L'obbligo   della   «sede   italiana»,   inoltre,   sarebbe   una
prescrizione del tutto ingiustificata, gravosa ed in contrasto con  i
preminenti interessi della tutela  della  concorrenza,  protetta  sia
dalla disciplina comunitaria che  da  quella  interna  per  mezzo  di
previsioni  che  favoriscono  la  libera   iniziativa   economica   e
l'ingresso nel mercato di quanti piu' operatori economici possibile. 
    Violazione  e  falsa  applicazione  della  direttiva  2006/123/CE
(ovvero,  del  d.lgs.  n.  59/2010)  con  specifico  riferimento   al
principio di non discriminazione. 
    L'obbligo della sede  legale  sul  territorio  della  Repubblica,
inoltre, integrerebbe un'ipotesi di requisito discriminatorio ai fini
dell'applicazione dei principi di diritto di  stabilimento  e  libera
prestazione dei servizi. 
    Violazione e falsa applicazione dell'art. 41 quanto al divieto di
svolgere attivita' di attestazione per gli enti di certificazione. 
    I limiti alla liberta' di iniziativa economica dovrebbero  essere
previsti  da  una  fonte  di  rango  legislativo  e,  in  ogni  caso,
dovrebbero essere proporzionali. 
    Violazione e falsa applicazione della  direttiva  2004/18/CE  (in
particolare art. 52) e della direttiva  2006/123/CE  (in  particolare
art. 25). Incompatibilita' con i principi dell'Unione europea (canone
della necessita' e della proporzionalita'). 
    Il legislatore nazionale avrebbe vietato al soggetto  individuato
al  livello  UE  la  possibilita'  di  accertare  la  sussistenza  di
determinati requisiti in capo alle imprese che intendono  partecipare
ad un procedura di aggiudicazione di appalti pubblici. 
    Quanto al generico divieto di partecipazione al capitale  SOA  da
parte dei soggetti di cui all'art. 34 d.lgs. n. 163/2006 e successive
modifiche ed integrazioni. 
    L'art. 66 d.P.R. n. 207/2010 avrebbe imposto un generico  divieto
alla partecipazione al capitale della SOA in capo a tutti i  soggetti
indicati all'art. 34 d.lgs. n.  163/2006  (recante  «soggetti  a  cui
possono  essere  affidati   i   contratti   pubblici»),   sicche'   -
diversamente rispetto all'impianto normativo  di  cui  al  d.P.R.  n.
34/2000, nell'ambito del quale (all'art. 8) il divieto  in  questione
riguardava soltanto i soggetti «ammessi a partecipare alle  procedure
di affidamento dei lavori pubblici» di  cui  all'art.  10,  comma  1,
legge n.  109/1994  -  l'attuale  norma  avrebbe  indiscriminatamente
esteso il divieto di partecipazione al capitale delle  SOA  anche  ai
soggetti a cui possono essere affidati contratti pubblici di  servizi
e forniture. 
    Tale estensione sarebbe illogica, atteso che  questi  ultimi  non
sarebbero ne' titolari di attestazione SOA ne' individuabili  in  via
preventiva ed astratta da parte  dell'ordinamento  italiano,  con  la
conseguenza che  l'elencazione  di  cui  all'art.  34  finirebbe  per
ricomprendere sostanzialmente tutti  i  soggetti  giuridici  previsti
dall'ordinamento italiano. 
    In definitiva, il divieto di  partecipazione  al  capitale  delle
SOA, dapprima previsto per i  soli  partecipanti  alle  procedure  di
affidamento dei  lavori  pubblici,  sarebbe  stato  irragionevolmente
esteso anche ai soggetti a  cui  possono  essere  affidati  contratti
pubblici di servizi e forniture. 
    La ricorrente ha altresi' formulato domanda di  risarcimento  dei
danni. Con motivi aggiunti, la Rina S.p.a.  ha  esteso  l'impugnativa
alla determinazione dell'Autorita' per  la  vigilanza  sui  contratti
pubblici di lavori, Servizi e forniture, nella parte  in  cui  indica
tra i casi di «divieto di possedere, a qualsiasi titolo, direttamente
o indirettamente, una partecipazione al capitale sociale di una SOA»,
in modo indistinto, tutti i «soggetti indicati  all'articolo  34  del
Codice»,  nonche'  annovera  tra  i  comportamenti  che   determinano
l'immediata  applicazione  della  decadenza  dell'autorizzazione   ad
esercitare l'attivita' di attestazione  anche  il  venir  meno  della
condizione consistente nel rispetto del suddetto divieto di possedere
una partecipazione al capitale sociale di  una  SOA  da  parte  degli
«operatori economici cui possono essere affidati appalti di contratti
pubblici  di  lavori,  servizi  e  forniture»  e,  per  quanto  possa
occorrere, al parere dell'Adunanza Generale del Consiglio  di  Stato,
Gab. n. 2/2011, 24 febbraio 2011,  n.  852/2011,  avente  ad  oggetto
«quesito in ordine al potere  dell'autorita'  per  la  vigilanza  sui
contratti di lavoro, servizi e forniture di  negare  l'autorizzazione
alla partecipazione azionaria della SOA  ai  sensi  dell'articolo  6,
comma 6, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207»,  recante  considerazioni
di carattere interpretativo circa la portata dell'art. 66 del  d.P.R.
5 ottobre 2010, n. 207. 
    A tal fine, ha reiterato le censure gia' dedotte con  il  ricorso
introduttivo del giudizio, sostenendo l'illegittimita'  dell'art.  66
d.P.R. n. 207/2010, nella parte in cui  impone  un  generico  divieto
alla partecipazione al capitale delle SOA in capo a tutti i  soggetti
indicati all'art. 34 d.lgs.  n.  163/2006,  estendendo  in  tal  modo
indiscriminatamente il divieto di partecipazione  anche  ai  soggetti
cui  possono  essere  affidati  contratti  pubblici  di   servizi   e
forniture. 
    L'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  con  ampia  ed   analitica
memoria, in rito, ha  eccepito  l'inammissibilita'  del  ricorso  per
carenza di interesse e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle
censure dedotte concludendo per il rigetto del gravarne. 
    Le parti hanno depositato  ulteriori  memorie  a  sostegno  delle
rispettive ragioni. 
    All'udienza pubblica del 26  ottobre  2011,  la  causa  e'  stata
trattenuta per la decisione. 
    2. L'Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito  la  carenza  di
interesse al ricorso in quanto non sarebbe ravvisabile  un  interesse
attuale  e  concreto  della  ricorrente  in  relazione   alle   norme
regolamentari impugnate. 
    L'eccezione e' da disattendere. 
    Le  norme  regolamentari,  secondo   un   consolidato   indirizzo
giurisprudenziale, devono distinguersi  in  volizioni  «preliminari»,
contenenti  previsioni  normative  astratte   e   programmatiche,   e
volizioni  «azioni»,  contenenti   previsioni   concrete,   destinate
all'immediata applicazione (ex multis: Cons.  St.,  IV,  14  febbraio
2005, n. 450). 
    Queste  ultime  sono  immediatamente  applicabili  in  quanto  si
rivolgono  direttamente   ai   soggetti   destinatari,   costituendo,
modificando o estinguendo un rapporto giuridico tra di loro o tra  di
loro   e   la   pubblica   amministrazione,   mentre   le   volizioni
«preliminari», contengono previsioni astratte, che non  si  traducono
in una immediata incisione della sfera giuridica degli  amministrati,
ma  disciplinano  l'azione  che  l'amministrazione  dovra'  avere  in
futuro,  la  quale  si  esplichera'  in  atti  applicativi  idonei  a
costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico con o tra i
destinatari. 
    Ne consegue che le volizioni «azioni»,  essendo  suscettibili  di
produrre, in via  diretta  ed  immediata,  una  lesione  concreta  ed
attuale della sfera giuridica di un  determinato  soggetto,  possono,
anzi devono, essere oggetto di immediata  ed  autonoma  impugnazione,
mentre, nel caso di  volizioni  «preliminari»,  la  concreta  lesione
deriva  dall'adozione  dell'atto  applicativo,  per  cui   la   norma
regolamentare non deve essere oggetto di  autonoma  impugnazione,  ma
deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di  cui
costituisce l'atto presupposto. 
    Nel caso di specie, le norme regolamentari impugnate  dalla  Rina
S.p.a. - contenute negli artt. 66 e 64 del d.P.R. n. 207/2010 nonche'
la norma transitoria di cui all'art.  357,  comma  21,  dello  stesso
regolamento  -  costituiscono  evidentemente  volizioni  «azioni»  in
quanto  sono  immediatamente  e  direttamente  lesive   della   sfera
giuridica  della  ricorrente,  sicche'  possono   senz'altro   essere
autonomamente impugnate. 
    Infatti, la dismissione delle partecipazioni azionarie  da  parte
dei soggetti di cui all'art. 66, comma 1, nel capitale di una SOA nel
termine di centottanta giorni di cui all'art. 357,  comma  21,  cosi'
come l'obbligo per le SOA di avere  la  sede  legale  nel  territorio
della  Repubblica  sono  precetti  cogenti,  che  si   applicano   ai
destinatari a prescindere da qualunque  provvedimento  applicativo  e
costituiscono,  pertanto,  un  esempio  paradigmatico  delle   cc.dd.
volizioni «azioni». 
    3.  Per  quanto  attiene  al  divieto  per   gli   organismi   di
certificazione (soggetti di cui all'art. 3, comma 1,  lett.  ff),  di
partecipare al capitale di una SOA, contenuto nell'art. 66, comma  1,
d.P.R.  n.  207/2010,  occorre  in  primo  luogo   evidenziare   che,
diversamente da  quanto  prospettato  dalla  ricorrente,  tale  norma
regolamentare e' applicabile anche a Rina S.p.a., sebbene  la  stessa
abbia eliminato dal proprio oggetto  sociale  le  attivita'  relative
alla certificazione di sistemi di gestione e qualita'  aziendale,  in
quanto capogruppo di un gruppo comprendente societa', come SOA  Rina,
che svolge attivita' di  attestazione,  e  come  Rina  Services,  che
svolge attivita' di certificazione. 
    In particolare, la ricorrente partecipa al 100%  al  capitale  di
Rina Services S.p.a. ed al 99% al capitale sociale di SOA Rina S.p.a.
(l'altro  1%  e'  detenuto  da  Rina  Services),  per  cui  non  puo'
sussistere  dubbio   che,   sia   pure   attraverso   una   modalita'
organizzativa  che  contempla  una   pluralita'   di   societa',   le
controllate confluiscano in un medesimo  centro  decisionale  facente
capo alla holding. 
    D'altra parte, la  norma  in  contestazione  stabilisce  che  gli
organismi  di  certificazione  non  possono  possedere  «a  qualsiasi
titolo,  direttamente  o  indirettamente»,  una   partecipazione   al
capitale sociale di una SOA. 
    La  giurisprudenza,  in  argomento,  ha  fatto  presente  che  il
principio di esclusivita'  dell'oggetto  sociale  della  SOA  con  il
corollario del divieto di contemporaneo svolgimento di  attivita'  di
certificazione e di attestazione, e' un principio materiale  che,  in
funzione antielusiva, vieta qualsivoglia negozio o meccanismo con cui
si raggiunga l'obiettivo,  vietato  dalla  legge,  del  contemporaneo
svolgimento di attestazione e certificazione da  parte  del  medesimo
soggetto. 
    Pertanto, il divieto non si applica solo  nel  caso  di  medesimo
soggetto  giuridico  che  svolga  contemporaneamente   attivita'   di
attestazione  e  certificazione,  e  nel   caso   di   organismo   di
certificazione che abbia una partecipazione nella SOA, ma si  applica
anche nel caso in cui vi siano formalmente due societa' distinte, una
di attestazione e una di certificazione,  che  non  hanno  reciproche
partecipazione  societarie,  ma  che  hanno  la  medesima   compagine
societaria, essendo partecipate e controllate dai  medesimi  soggetti
(Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987). 
    3.1 La ricorrente ha in primo luogo sostenuto che il Consiglio di
Stato  non  si  sarebbe  mai  espresso   sulla   legittimita'   della
disposizione. 
    La doglianza non puo' essere condivisa. 
    In proposito, e' sufficiente rilevare che la  Sezione  consultiva
per gli atti normativi del Consiglio di Stato, con il parere n.  313,
reso in data 24  febbraio  2010,  si  e'  espressa  sullo  schema  di
regolamento contemplante la norma impugnata  ed  al  punto  25  dello
stesso  ha  fatto  presente  che  «in   relazione   al   divieto   di
partecipazione al capitale di una SOA recato dall'articolo 66 per gli
organismi di certificazione,  l'articolo  357  prevede  ora,  in  via
transitoria,  un  termine  di  180  giorni  per  l'adeguamento  della
composizione azionaria, termine che puo' ritenersi congruo». 
    Ne consegue che il Consiglio di Stato,  in  sede  consultiva,  ha
esaminato  anche  l'art.  66,  comma  1,  nella  nuova  formulazione,
concludendo, sia pure implicitamente, per  la  sua  legittimita'  non
avendo formulato specifiche osservazioni. 
    Infatti, avendo valutato congruo  il  termine  per  l'adeguamento
della  compagine  societaria,  ha  evidentemente  ritenuto   di   non
formulare rilievi sul presupposto di tale adempimento,  vale  a  dire
sul divieto per gli  organismi  di  certificazione  di  possedere,  a
qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente,  una  partecipazione
al capitale di una SOA. 
    3.2 Rina S.p.a. ha prospettato  che  la  norma  regolamentare  si
porrebbe in contrasto con l'art. 41 Cost., secondo cui la liberta' di
iniziativa economica potrebbe accettare limiti solo  se  espressi  da
una fonte di rango legislativo e, in  ogni  caso,  se  proporzionati,
laddove il codice dei contratti non avrebbe previsto ne'  in  termini
di principio generale  ne'  sottoforma  di  disposizione  ad  hoc  un
divieto  precostituito  per  gli  organismi  di   certificazione   di
possedere partecipazioni al capitale sociale delle SOA; in ogni caso,
ogni norma che limiti la liberta'  di  iniziativa  economica  privata
dovrebbe essere interpretata restrittivamente. 
    La doglianza, sotto tale profilo,  non  puo'  essere  accolta  in
quanto non e' possibile ritenere che il divieto in discorso non trovi
copertura in una norma di legge sovraordinata. 
    L'art. 4, comma 2, lett. b), legge n. 109/1994,  come  sostituito
dall'art. 2, legge n. 415/1998 ed in vigore fino al  2002,  prevedeva
che il regolamento con cui e' istituito il sistema di  qualificazione
unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di  lavori  pubblici
dovesse definire le modalita' e i  criteri  di  autorizzazione  e  di
eventuale revoca  nei  confronti  degli  organismi  di  attestazione,
nonche' i loro  requisiti  soggettivi,  organizzativi,  finanziari  e
tecnici, fermo restando che essi  avrebbero  dovuto  agire  in  piena
indipendenza  rispetto  ai  soggetti  esecutori  di  lavori  pubblici
destinatari del sistema di qualificazione  ed  essere  soggetti  alla
sorveglianza dell'Autorita'; i soggetti accreditati nel settore delle
costruzioni, ai sensi delle norme europee  della  serie  UNI  CEI  EN
45000  e  delle  norme  nazionali  in  materia,  al  rilascio   della
certificazione dei sistemi di qualita', su loro  richiesta  sarebbero
stati  autorizzati  dall'Autorita',  ove  in  possesso  dei  predetti
requisiti, anche allo svolgimento dei compiti di attestazione,  fermo
restando il divieto per lo stesso soggetto di svolgere sia i  compiti
della certificazione che quelli dell'attestazione relativamente  alla
medesima impresa. 
    Di talche', l'art. 13 d.P.R. n. 34/2000 (poi  abrogato  dall'art.
358, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 207/2010 a decorrere  dall'8  giugno
2011) aveva previsto che gli organismi gia' accreditati  al  rilascio
di certificazione  dei  sistemi  di  qualita',  che  avessero  inteso
svolgere anche attivita' di attestazione,  sarebbero  stati  soggetti
alla autorizzazione da parte dell'autorita'. 
    In tale sistema normativo, quindi, l'organismo di  certificazione
avrebbe potuto essere  autorizzato  a  svolgere  anche  attivita'  di
attestazione con il  limite  del  divieto  di  svolgere  entrambe  le
funzioni, di certificazione della qualita'  e  di  attestazione,  nei
confronti della stessa impresa. 
    Tale limitazione nasce evidentemente dalla esigenza di  garantire
la rigida separazione tra chi certifica  la  qualita'  (organismo  di
certificazione) e chi attesta  l'esistenza  della  certificazione  di
qualita' (organismo di attestazione) in capo ad un unico soggetto  da
qualificare  e  cio'  al  fine  di  garantire  l'imparzialita'  della
certificazione di qualita' e della relativa attestazione. 
    L'art. 8, legge n. 109/1994, come modificato dall'art.  7,  legge
n. 166/2002, invece, non ha contemplato piu' la possibilita'  che  il
soggetto  accreditato  alla  certificazione  possa   svolgere   anche
attivita' di qualificazione. 
    Per effetto della modifica, infatti, l'art. 8, comma 4, lett. b),
legge n.  109/1994  ha  previsto  che  il  regolamento  definisce  in
particolare le modalita' e i criteri di autorizzazione e di eventuale
revoca nei confronti  degli  organismi  di  attestazione,  nonche'  i
requisiti soggettivi,  organizzativi,  finanziari  e  tecnici  che  i
predetti organismi devono possedere. 
    La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire  che,  a  seguito  di
tale modifica, non puo' ritenersi che sia venuto meno il  divieto  di
svolgere attivita' di certificazione e di attestazione nei  confronti
della medesima impresa, mentre,  come  anche  correttamente  rilevato
dall'Autorita' di vigilanza sui contratti pubblici, l'effetto di tale
modifica e'  il  venir  meno  della  possibilita'  di  autorizzare  i
soggetti operanti nella certificazione di qualita' a  svolgere  anche
l'attivita' di attestazione (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011, n. 987;
Cons. St., VI, 31 gennaio 2011, n. 696; Cons.  St.,  VI,  25  gennaio
2011, n. 510). 
    Pertanto, l'art.  8,  comma  4,  lett.  b),  legge  n.  109/1994,
antecedentemente alle modifiche del 2002, aveva un duplice  contenuto
precettivo: da un  lato,  in  deroga  alla  regola  dell'esclusivita'
dell'oggetto sociale degli organismi di attestazione, consentiva  che
l'attivita' di  attestazione  fosse  svolta,  previa  autorizzazione,
anche  da   soggetti   certificatori;   dall'altro,   limitava   tale
possibilita', impedendo che  uno  stesso  soggetto  potesse  svolgere
attivita' di certificazione e di  attestazione  nei  confronti  della
stessa impresa. 
    La disposizione,  in  sostanza,  conteneva  due  norme  tra  loro
strettamente collegate, vale  a  dire  la  norma  di  autorizzazione,
derogatoria  rispetto  al  principio  dell'esclusivita'  dell'oggetto
sociale di cui all'art. 7, comma 3, d.P.R. n. 34/2000, e la norma  di
divieto, avente  la  finalita'  di  limitare  l'ampiezza,  altrimenti
eccessiva, di quell'autorizzazione. 
    Di  talche',  la  parziale  abrogazione  della  disposizione   ha
determinato  la  caducazione  di  entrambi  i  contenuti  precettivi,
facendo  venir  meno  non  solo  il  divieto,  ma  prima  ancora,   e
soprattutto,  la  norma  autorizzante,  in   assenza   della   quale,
ovviamente, nessun limite puo' essere previsto. 
    La circostanza che la legge non preveda piu' il  divieto  per  le
societa' di certificazione della qualita' di svolgere anche attivita'
di qualificazione con riferimento alla stessa impresa,  insomma,  non
significa affatto che le societa' di certificazione possano  svolgere
incondizionatamente attivita' di attestazione, ma ha  determinato  un
irrigidimento del sistema, posto  che  le  stesse  non  possono  piu'
essere  autorizzate  a  qualificare  soggetti  esecutori  di   lavori
pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente. 
    Ne', in  senso  contrario,  sarebbe  potuta  essere  invocata  la
mancata formale abrogazione, se non a seguito del d.P.R. n. 207/2010,
dell'art. 13, d.P.R. n. 34/2000 che, al primo  comma,  prevede:  «gli
organismi gia' accreditati al rilascio di certificazione dei  sistemi
di qualita', che intendono svolgere anche attivita' di  attestazione,
sono soggetti alla autorizzazione da parte dell'autorita'». 
    Tale  disposizione  regolamentare,  infatti,  per  effetto  delle
modifiche legislative intervenute nel 2002, aveva visto  svuotato  il
suo contenuto normativo, perche' fa riferimento ad  un'autorizzazione
che ormai l'ordinamento non permette piu' di rilasciare. 
    La previsione regolamentare, a seguito della modifica della norma
di rango primario, era diventata inapplicabile ed in tal senso si  e'
espresso il Consiglio di  Stato  in  sede  consultiva  (Sezione  atti
normativi, 17 settembre 2007, n. 3262/2007) in occasione  del  parere
sul primo schema di  regolamento  di  attuazione  ed  esecuzione  del
codice dei contratti pubblici, ove e' stato rilevato che  l'art.  13,
d.P.R.  n.  34/2000  trovava  il   suo   fondamento   nell'originaria
formulazione dell'art. 8, comma 4, lett. b), legge n.  109/1994,  nel
testo anteriore  alla  legge  n.  166/2002.  In  sostanza,  la  norma
primaria consentiva una  deroga  al  principio  secondo  cui  le  SOA
possono  fare  solo  le  SOA  (esclusivita'  dell'oggetto   sociale),
consentendo agli organismi di certificazione di qualita' di  svolgere
entrambe le attivita', ma, trattandosi di un regime  derogatorio,  lo
stesso deve avere base in una norma primaria che non esiste piu'  sin
dalla legge n. 166/2002 (il parere e' richiamato, tra l'altro,  nella
sentenza della Sesta sezione del Consiglio di Stato 16 febbraio 2011,
n. 987). 
    Il citato parere, quindi, aveva  espresso  l'avviso  che,  avendo
l'art. 13, d.P.R. n. 34 del 2000 perso la  sua  base  normativa,  non
potesse essere riprodotto nel nuovo schema di regolamento. 
    Il principio di esclusivita' dell'oggetto sociale della SOA, come
evidenziato nella citata sentenza della Sesta sezione  del  Consiglio
di Stato n. 987/2011, ha il duplice corollario che: 
    a) un medesimo  soggetto  non  puo'  contemporaneamente  svolgere
attivita' di organismo di certificazione e di SOA; 
    b) un organismo di certificazione non puo'  avere  partecipazioni
azionarie in una SOA. 
    La  giurisprudenza  del   Consiglio   di   Stato,   inoltre,   ha
ripetutamente   evidenziato   che   neppure   sussistono   dubbi   di
compatibilita' comunitaria della  normativa  nazionale,  interpretata
nel senso appena descritto. 
    Il divieto in questione, infatti, nella misura  in  cui  mira  ad
affermare la neutralita' e l'imparzialita' dei  soggetti  chiamati  a
verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare  di
appalto, risulta certamente in linea con i  principi  comunitari  che
tutelano la concorrenza. 
    Anzi, proprio lo scopo di consentire che alle gare  d'appalto  in
materia  di  lavori  pubblici  partecipino  soltanto  quei   soggetti
effettivamente in possesso dei requisiti prescritti giustifica, anche
sotto il profilo della  proporzionalita',  il  divieto  di  esercizio
congiunto di attivita' di attestazione e di certificazione. 
    Il  delineato  corpus  normativo,  risultante   dalle   modifiche
apportate alla legge n. 109/1994 dalla  legge  n.  166/2002,  risulta
sostanzialmente riproposto nel codice dei contratti pubblici  di  cui
al d.lgs. n. 163/2006, che, all'art. 40, comma 3, stabilisce  che  il
sistema di qualificazione e' attuato da organismi di diritto  privato
di   attestazione,    appositamente    autorizzati    dall'Autorita',
specificando  che  l'attivita'  di  attestazione  e'  esercitata  nel
rispetto  del  principio  di  indipendenza  di  giudizio,  garantendo
l'assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che  possa
determinare comportamenti non imparziali o discriminatori; di contro,
la norma non prevede alcuna possibilita' per il soggetto  accreditato
alla certificazione di svolgere attivita' di qualificazione. 
    In conclusione, nell'attuale assetto normativo, quale  risultante
dal d.lgs. n. 163/2006 e dal relativo regolamento  di  attuazione  di
cui  al  d.P.R.  n.  207/2010,  la  regola   che   la   funzione   di
qualificazione sia attuata solo e soltanto dalle  SOA,  nel  rispetto
del principio di indipendenza di giudizio, e non possa essere  svolta
anche dagli organismi  di  certificazione  deve  ritenersi  stabilita
dall'art. 40, comma  3,  d.lgs.  n.  163/2006  che,  di  conseguenza,
costituisce la base normativa sia dell'art. 66, comma  1,  d.P.R.  n.
207/2010, laddove prevede che gli  organismi  di  certificazione  non
possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente,
una partecipazione al capitale di una SOA, sia dell'art. 64, comma 3,
d.P.R. n.  207/2010,  secondo  cui  lo  statuto  degli  organismi  di
attestazione deve prevedere come  oggetto  esclusivo  lo  svolgimento
dell'attivita'  di  attestazione  e  di  effettuazione  dei  connessi
controlli tecnici sull'organizzazione aziendale  e  sulla  produzione
delle imprese di costruzione, nonche' sulle loro capacita'  operativa
ed economico finanziaria. 
    Ne' puo' ritenersi che  la  «copertura»  legislativa  venga  meno
perche' il divieto di partecipazione azionaria  dettato  dalla  norma
regolamentare  e'  sancito  qualunque   sia   la   dimensione   della
partecipazione, e cioe',  anche  se  la  stessa  sia  sostanzialmente
irrilevante, potendo invece essere  eventualmente  previsto  solo  in
presenza di un nesso societario tra le due imprese, di certificazione
e di attestazione, in grado di garantire un'influenza dominante della
prima sulla seconda. 
    Detta circostanza non rileva nel caso di specie dove,  come  gia'
evidenziato, esiste un collegamento societario  intragruppo  tale  da
determinare una unitarieta' del centro decisionale. 
    Infatti, SOA Rina e' partecipata al 99% da Rina S.p.a. ed  all'1%
da  Rina  Services  S.p.a.,  soggetto  attualmente  accreditato  alla
certificazione di qualita', la quale e' a sua  volta  partecipata  al
100% da Rina S.p.a., sicche' non puo' sussistere alcun dubbio che,  a
prescindere dalla partecipazione dell'1% della societa' organismo  di
certificazione  (Rina   Services)   nella   societa'   organismo   di
attestazione (SOA Rina), le stesse confluiscano in  un  unico  centro
decisionale facente capo alla holding Rina S.p.a. 
    Pertanto, le censure specificamente dedotte dalla  ricorrente,  e
volte a prospettare l'immediata e  diretta  illegittimita'  dell'art.
66,  comma  1,  nella  parte  in  cui   vieta   agli   organismi   di
certificazione di possedere partecipazioni nel capitale delle  SOA  e
dell'art. 64, comma 3, d.P.R. n. 207/2010, nella parte in cui prevede
l'esclusivita' dell'oggetto sociale degli organismi di  attestazione,
devono essere disattese. 
    3.3 Il Collegio, tuttavia, ritiene che debba  essere  prospettata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  40,  comma  3,
d.lgs. n. 166/2006, che, come detto, costituisce la base normativa di
riferimento delle indicate norme regolamentari, per violazione  degli
artt. 3 e 41 Cost. 
    L'art.  40,  comma  3,  infatti,  prevede  come  il  sistema   di
qualificazione  sia  attuato  da  organismi  di  diritto  privato  di
attestazione, appositamente autorizzati dall'Autorita',  specificando
che l'attivita'  di  attestazione  e'  esercitata  nel  rispetto  del
principio  di  indipendenza  di  giudizio,  garantendo  l'assenza  di
qualunque interesse commerciale o finanziario che  possa  determinare
comportamenti non imparziali o discriminatori,  sicche',  ponendo  il
principio di esclusivita'  dell'oggetto  delle  SOA,  ha  il  duplice
corollario  di  vietare  ad  un   medesimo   soggetto   di   svolgere
contemporaneamente attivita' di organismo di certificazione e di  SOA
e  di  vietare  ad  un   organismo   di   certificazione   di   avere
partecipazioni azionarie in una SOA. 
    Ne consegue che il giudizio  di  legittimita'  costituzionale  di
tale norma di legge e' rilevante ai fini del  giudizio  in  corso  in
quanto l'interesse sostanziale dedotto in giudizio dalla Rina  S.p.a.
e' quello di potere svolgere entrambe le attivita', di certificazione
e di attestazione, attraverso le controllate Rina Services S.p.a., di
cui la ricorrente capogruppo detiene il 100% del capitale  azionario,
e Rina Soa S.p.a., di cui la ricorrente capogruppo detiene il 99% del
capitale azionario, mentre, per effetto  della  richiamata  norma  di
legge, di cui le norme regolamentari costituiscono  applicazione,  lo
svolgimento contestuale di entrambe le attivita' da parte del  gruppo
RINA non e' possibile, cosi' come non e' possibile la  partecipazione
azionaria di Rina Services S.p.a.  e  di  Rina  S.p.a.  nel  capitale
azionario di Rina SOA. 
    L'art. 41 Cost. sancisce la  liberta'  dell'iniziativa  economica
privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non  puo'
svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare
danno alla sicurezza, alla liberta',  alla  dignita'  umana  (secondo
comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i  programmi  e  i
controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e  privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma). 
    L'iniziativa   economica   privata   e   l'intervento    pubblico
nell'economia come  delineato  nella  Costituzione,  quindi,  possono
coesistere, ma e' necessario che i due tipi di intervento siano  resi
complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini  sociali  e
di benessere collettivo. 
    Ne consegue che l'esercizio della liberta' economica privata puo'
essere limitato, ma solo per ragioni di utilita' sociale, sicche'  il
rispetto della norma  costituzionale  postula  che  l'imposizione  di
limiti   deve   rispondere   ai   criteri   di    ragionevolezza    e
proporzionalita'. 
    In particolare,  i  limiti  posti  alla  liberta'  di  iniziativa
economica privata, per essere  legittimi,  devono  essere  diretti  a
tutelare, con carattere  di  adeguatezza  e  proporzionalita',  altri
valori di rilevanza costituzionale. 
    Ora, se non c'e' dubbio che nella fattispecie in esame  i  limiti
discendenti dalla norma  di  legge,  essendo  volti  a  garantire  la
neutralita' e l'imparzialita' dei soggetti chiamati a  verificare  la
sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto,  sono
in  linea  di  massima  certamente  aderenti  a  valori  di   rilievo
costituzionale, come  la  concorrenza,  ed  ai  principi  comunitari,
occorre pero' rilevare che lo  stesso  risultato  di  indipendenza  e
neutralita' potrebbe essere messo a rischio non  gia'  dalla  teorica
possibilita' per uno stesso gruppo societario  di  attestare  sia  la
certificazione di qualita' che  i  requisiti  di  qualificazione,  ma
dalla concreta ipotesi che tale  duplice  attivita'  sia  svolta  nei
confronti della medesima impresa. 
    In altri termini, se e' vero che potrebbe  sussistere  un  vulnus
alla fondamentale esigenza della imparzialita' e  della  indipendenza
della SOA nell'accertamento  del  possesso  della  certificazione  di
qualita' in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia  stata
rilasciata da un soggetto che  partecipa  alla  SOA  stessa,  facendo
parte della relativa compagine societaria, e'  altrettanto  vero  che
tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attivita' siano svolte
nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare. 
    Pertanto, se e' certamente ragionevole e proporzionato che le due
attivita' in  discorso  non  possano  essere  svolte  da  uno  stesso
soggetto  nei  confronti  della  medesima  impresa,   appare   invece
sproporzionato rispetto alla finalita' perseguita dalla norma e,  per
tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una
societa',  o  un  gruppo  societario  con  un  medesimo   centro   di
imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attivita',  senza
prevedere invece tale possibilita'  con  il  limite  del  divieto  di
svolgimento nei confronti della stessa impresa. 
    D'altra parte, la soluzione in questa sede ipotizzata era  quella
gia' delineata dal legislatore della legge  quadro  del  1994,  prima
delle modifiche legislative intervenute con legge n. 166/2002,  e  la
stessa, ad avviso del Collegio, sembra piu' congrua  e  proporzionata
e, quindi, maggiormente idonea a garantire l'equilibrio tra  tutti  i
valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie. 
    La norma in discorso sembra parimenti contrastare  con  l'art.  3
Cost., che sancisce  il  principio  di  uguaglianza  tra  i  soggetti
dell'ordinamento,  in  quanto  si  traduce  in  una   disparita'   di
trattamento tra gli operatori economici  laddove  agli  organismi  di
certificazione   preclude   sic   et   simpliciter    la    possibile
partecipazione al capitale delle SOA anche nell'ipotesi in  cui,  ove
previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione  nei
confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus
ai principi di imparzialita' ed indipendenza e gli altri soggetti che
possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA. 
    In altri termini, la discrezionalita' legislativa trova sempre un
limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la
disparita' di trattamento tra i cittadini. 
    Nel caso di specie - atteso che il principio di  indipendenza  ed
imparzialita' sembra poter  essere  efficacemente  tutelato  con  una
previsione  normativa  volta  ad  escludere  lo   svolgimento   delle
attivita' di certificazione e di attestazione nei  confronti  di  una
medesima impresa, mentre, come detto, il  divieto  assoluto  per  gli
organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale  delle
SOA  appare  sproporzionato  e  debordante  rispetto  alla  finalita'
perseguita dalla norma - il  trattamento  differente  riservato  agli
organismi  di  certificazioni  appare   violativo   del   canone   di
ragionevolezza al quale  la  discrezionalita'  del  legislatore  deve
ontologicamente ispirarsi. 
    Di qui, la  non  manifesta  infondatezza  e  la  rilevanza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  40,  comma  3,
d.lgs. n. 166/2006, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost.,  laddove
la norma sostanzialmente prevede l'esclusivita' dell'oggetto  sociale
delle SOA con  il  duplice  corollario  di  vietare  ad  un  medesimo
soggetto di svolgere contemporaneamente  attivita'  di  organismo  di
certificazione  e  di  SOA  e  di  vietare   ad   un   organismo   di
certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA. 
    Pertanto,   occorre   sospendere   il   giudizio,   relativamente
all'impugnazione dell'art. 66, comma 1,  e  dell'art.  64,  comma  3,
d.P.R. n.  207/2010  nonche'  dell'art.  357,  comma  21,  d.P.R.  n.
207/2010, secondo cui, in relazione all'art. 66,  comma  1,  le  SOA,
entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso
regolamento, adeguano la propria composizione azionaria al divieto di
partecipazione per i soggetti di cui all'art. 3, comma 1, lett.  ff),
dandone comunicazione all'Autorita', e rimettere gli atti alla  Corte
costituzionale affinche' si pronunci sulla questione. 
    La  sospensione  del  giudizio  va  estesa   anche   alla   norma
transitoria in quanto  l'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 40, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 in parte qua
determinerebbe  la  cessata  materia   del   contendere   in   ordine
all'impugnazione dell'art. 357, comma 21, d.P.R., non rendendosi piu'
necessaria la dismissione azionaria. 
    Viceversa, tale norma transitoria non puo' ritenersi di  per  se'
illegittima per l'incongruita' del  termine  appositamente  previsto,
atteso che il regolamento e' stato pubblicato il 10 dicembre 2010  ed
e' entrato in vigore il 9 giugno 2011, per cui e' a tale ultima  data
che occorre fare riferimento per la decorrenza dell'ulteriore termine
di 180 giorni. 
    In definitiva, quindi,  il  margine  temporale  previsto  per  la
dismissione delle partecipazione azionarie nel capitale delle SOA  e'
di circa un  anno  a  far  tempo  dalla  data  di  pubblicazione  del
regolamento e tale termine non puo' ritenersi inadeguato.