Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato (giusta delibera del Consiglio dei Ministri del 13 aprile 2012); Contro la Regione Lombardia in persona del suo Presidente; Per la dichiarazione della illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 2 e 19; dell'art. 3, comma 4; dell'art. 14; dell'art. 18 della legge regionale 27 febbraio 2012, n. 3, recante: «Disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazioni della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell'azienda) e alla legge regionale 2 febbraio 2012, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere) (B.U.R. 29 febbraio 2012, n. 9 Supplemento), con riferimento all'art. 117, comma 1, comma 2, lettere a) b) e) o), comma 3 Cost. La legge regionale in esame, recante disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi sul mercato interno, nonche' modifiche alle leggi regionali 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell'azienda) e 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere) presenta i seguenti diversi aspetti di illegittimita' costituzionale. 1. - L'art. 2 comma 2 introduce, con l'art. 4-bis della l.r. n. 8/2009, una disciplina specifica per «cittadini di paesi non europei e dell'"Unione Europea", affermando che "nella comunicazione di avvio dell'attivita' deve essere altresi' attestato il possesso da parte del soggetto che esercita effettivamente l'attivita', a fronte di motivi imperativi di interesse generale, in particolare tutela dei consumatori e sanita' pubblica, di uno dei documenti di cui all'articolo 67, comma 2-bis, della l.r. n. 6/2010." Viene altresi' disposto che, "qualora il soggetto richiedente che esercita effettivamente l'attivita' non attesti il possesso di nessuno dei documenti di cui all'articolo 67, comma 2-bis, della l.r. n. 6/2010, e' tenuto a frequentare e superare positivamente un corso per valutare il grado di conoscenza di base della lingua italiana presso la Camera di Commercio territorialmente competente per il comune dove intende svolgere l'attivita' di somministrazione non assistita, o comunque un corso istituito o riconosciuto dalla Regione Lombardia, dalle altre regioni o dalle Province autonome di Trento e Bolzano. La Giunta regionale delibera i criteri, lo durata e la modalita' del corso". I documenti di cui all'art. 67, comma 2-bis della richiamata legge regionale n. 6/2010, norma introdotta dall'art. 19 della l.r. n. 3/2012, sono: «a) un certificato di conoscenza della lingua italiana, Certificazione Italiano Generale (CELI), a tal fine e' sufficiente un CELI di livello A2 Common European Framework: livello di contatto definibile in termini di competenza relativa a routine memorizzate; b) un attestato che dimostri di aver conseguito un titolo di studio presso una scuola italiana legalmente riconosciuta o in alternativa un attestato che dimostri di avere frequentato, con esito positivo, un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare o per la somministrazione di alimenti e bevande istituito o riconosciuto dalla Regione Lombardia, dalle altre regioni o dalle Province autonome di Trento e di Balzano». Gli artt. 2, comma 2 e 19 della l.r. n. 3 del 2012 si pongono in contrasto con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, in quanto disattendono i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, violando altresi' l'articolo 117, comma 2 sia alla lett. a) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza in materia di condizione giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea, e sia alla lett. e) della Costituzione, che riconosce allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza. Ed infatti, le disposizioni impugnate configurano una evidente diretta discriminazione nei confronti di soggetti stranieri, sia comunitari che extracomunitari, in ragione della loro cittadinanza. Nei confronti dei soggetti comunitari, infatti, la disciplina regionale rappresenta una violazione del Trattato UE, laddove stabilisce (art. 49, ex art. 43 del TCE) che «le restrizioni alla liberta' di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate... La liberta' di stabilimento importa l'accesso alle attivita' autonome e al loro esercizio, nonche' la costituzione e la gestione di imprese... alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali». Le previsioni regionali, inoltre, non sono conformi alla direttiva Servizi 2006/123/CE, la quale prevede, all'art.15, che anche qualora l'ordinamento giuridico dello Stato membro subordini «l'accesso a un'attivita' di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori» diversi da quelli «relativi alle questioni disciplinate dalla direttiva 2005/36/CE o da quelli previsti in altre norme comunitarie, che riservano l'accesso alle attivita' di servizi in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell'attivita'», deve essere comunque assicurata la conformita' dei requisiti stessi a condizioni di non discriminazione (i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza), necessita' (presenza di un motivo imperativo di interesse generale) e proporzionalita' (i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito, non devono andare al di la' di quanto e' necessario per raggiungere tale obiettivo, non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato). L'accesso alle attivita' economiche (sia pure quelle che prevedano il possesso di particolari requisiti professionali) non puo', quindi, prevedere condizioni diverse di accesso in base alla cittadinanza; il d.lgs. n. 206/2007, attuativo della menzionata direttiva 2005/36/CE non si basa, infatti, sulla cittadinanza del soggetto, ma sul fatto che il titolo professionale sia stato conseguito al di fuori dell'Italia, e prevede comunque procedure di mutuo riconoscimento; solo una volta intervenuto il riconoscimento, l'eventuale possesso di conoscenze linguistiche puo' rilevare (e non comunque sulla base della cittadinanza) richiedendosi, ove necessario, una prova specifica, la quale, tuttavia, deve risultare proporzionale al tipo di attivita' da svolgere (e non consistere nel possesso di un titolo professionale o di studio rilasciato in Italia). Le disposizioni regionali in parola, inoltre, introducendo l'obbligo, per i cittadini di paesi non europei o dell'Unione Europea, del possesso della documentazione sopra indicata, sono suscettibili di determinare distorsioni di natura concorrenziale in quanto introducono un ingiustificato ostacolo all'esercizio dell'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande e dell'attivita' di vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di produzione propria. Gli obblighi previsti dalla impugnata disposizione, infatti, non appaiono proporzionati ne' necessari a garantire il perseguimento degli interessi genericamente richiamati dal legislatore regionale, quali quello della tutela dei consumatori e della sanita' pubblica. E' dunque evidente come gli artt. 2, comma 2, e 19 della l.r. n. 3 del 2012 siano in contrasto sia con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, giacche' disattendono i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, che con quanto previsto al successivo comma 2 del medesimo art. 117 Cost. sia alla lett. a), che riserva allo Stato la competenza in materia di condizione giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea, sia alla lett. e), che riconosce allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza. 2. - L'art. 3 - riguardante la disciplina dell'attivita' di estetista - prevede, al comma 4 che «Ogni attivita' che comporti prestazioni, trattamenti e manipolazioni sulla superficie del corpo umano, ivi compresi i massaggi estetici e rilassanti, finalizzate al benessere fisico, al miglioramento estetico della persona o alla cura del corpo priva di effetti terapeutici, con esclusione delle attivita' esercitate dagli operatori iscritti al registro di cui all'articolo 2 della legge regionale 1° febbraio 2005, n. 2 (Norme in materia di discipline bio-naturali) e' da intendersi attivita' ai sensi della legge n. 1/1990 sia che si realizzi con tecniche manuali e corporee sia che si realizzi con l'utilizzo di specifici apparecchi». La norma in esame prevede, dunque, un trattamento differenziato qualora le medesime attivita' siano svolte da operatori iscritti al registro di cui alla l.r. n. 2/2005, ovvero da operatori non iscritti. Solo nel secondo caso, tali attivita' devono essere ricondotte nell'ambito della legge statale n. 1/1990 (Disciplina dell'attivita' di estetista) che prevede necessariamente il possesso della qualifica professionale di estetista. La disposizione impugnata travalica le competenze regionali, in quanto conferisce valore particolare, abilitativo all'esercizio di un'attivita' professionale, ad un registro introdotto da una legge regionale. Seppure l'art. 2 della citata l.r. n. 2/2005, che istituisce il registro regionale degli operatori di discipline bio-naturali, al comma 3 stabilisce che «l'iscrizione nel registro non costituisce comunque condizione necessaria per l'esercizio dell'attivita' sul territorio regionale da parte degli operatori», il richiamo operato dalla norma in esame conferisce invece all'iscrizione a tale registro una valenza sostanziale di titolo abilitante. In diverse occasioni codesta ecc.ma Corte, chiamata a scrutinare - con riferimento alla dedotta violazione del riparto di competenze in materia di professioni previsto dall'art. 117, terzo comma, Cost. - la legittimita' costituzionale di leggi regionali volte a disciplinare l'ordinamento di cosiddette «professioni emergenti» (L. 32/06 Piemonte, 6/2006 Liguria e 19/2006 Veneto, 18/2004 Liguria, 13/2004 Piemonte) ha dichiarato illegittime tali leggi in quanto miranti, di fatto, a individuare nuove figure professionali, definendone il relativo percorso formativo e istituendo un registro o elenco degli operatori abilitati. In particolare ha affermato codesta Corte che «la potesta' legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, e' riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realta' regionale. Tale principio, al di la' della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale. Da cio' deriva che non e' nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali ... l'istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l'iscrizione ad esso hanno, gia' di per se' una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale... anche prescindendo dal fatto che la iscrizione nel suddetto registro si ponga come condizione necessaria ai fini dell'esercizio della attivita' da esso contemplata». (sentenze 11 aprile 2008, n. 93; n. 300 e n. 57 del 2007, n. 424 e n. 153 del 2006). La norma all'esame determina, dunque, una disparita' tra operatori iscritti e non iscritti ad un registro regionale, violando i principi fondamentali in materia di professioni stabiliti dallo Stato con la menzionata legge statale n. 1/1990, in contrasto con l'art. 117 comma 3, della Costituzione. 3. - L'art. 14 definisce i criteri per il rilascio e il rinnovo di concessioni dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, prevedendo la possibilita' di individuarli anche in deroga a quanto disposto con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che costituisce attuazione della «direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno». In particolare, l'art. 16 del citato decreto delegato n. 59/2010, riproducendo l'art. 12 della direttiva europea stabilisce che: «1. Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attivita' di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsita' delle risorse naturali o delle capacita' tecniche disponibili, le autorita' competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalita' atti ad assicurarne l'imparzialita', cui le stesse devono attenersi. 2. Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorita' competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario. 3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalita' di cui al comma I deve risultare dai singoli provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo e rilasciato per una durata limitata e non puo' essere rinnovato automaticamente, ne' possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorche' giustificati da particolari legami con il primo». La norma recepisce il principio contenuto al punto 62 del Considerando premesso alla direttiva 2006/123/CE , ove si afferma appunto che «nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attivita' sia limitato per via della scarsita' delle risorse naturali o delle capacita' tecniche, e' opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualita' e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialita' e l'autorizzazione cosi' rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente. In particolare, la durata dell'autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di la' di quanto e' necessario per garantire l'ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti. La presente disposizione non dovrebbe ostare a che gli Stati membri limitino il numero di autorizzazioni per ragioni diverse dalla scarsita' delle risorse naturali o delle capacita' tecniche. Le autorizzazioni in questione dovrebbero comunque ottemperare alle altre disposizioni della direttiva relative ai regimi di autorizzazione». Deve inoltre considerarsi che il commercio ambulante puo' svolgersi solo su suolo pubblico disponibile a tal fine e, visto il carattere circoscritto di tale risorsa, le norme comunitarie e nazionali impongono, al fine di consentire un accesso al mercato su base paritaria, che le autorizzazioni alla vendita nei mercati ambulanti abbiano durata limitata. Il periodo per il quale vengono concesse le autorizzazioni deve essere tale da consentire al prestatore di recuperare il costo degli investimenti e ottenerne un giusto rendimento, ma e' comunque necessario attuare una procedura di selezione specifica per il rilascio di dette autorizzazioni, allo scopo di garantire imparzialita' e trasparenza, nonche' condizioni di concorrenza aperta. E' innegabile come la norma regionale, con l'espresso suo richiamo al potere di deroga ai principi comunitari, sia idonea a consentire l'introduzione di criteri potenzialmente restrittivi e contrari alle previsioni poste a tutela della concorrenza contenute al citato art. 16 del d.lgs. n. 59/2010, con particolare riferimento a quelle che stabiliscono che l'attribuzione di autorizzazioni debba avvenire solo per una durata limitata, senza rinnovo automatico ne' individuazione di vantaggi in favore del prestatore uscente. Sotto tale profilo, e' ravvisabile il contrasto della norma regionale con i principi comunitari contenuti nelle menzionate norme della direttiva 2006/123/CE, nonche' del d.lgs. n. 59/2010, in violazione quindi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, per mancato rispetto dei vincoli comunitari, nonche' della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione. 4. - L'art. 18, rubricato «Disposizione in materia di attestazione degli adempimenti contributivi ai fini del riconoscimento del requisito professionale», prevede che il possesso del requisito professionale individuato dalla legge statale (art. 71 comma 6 d.lgs. n. 54/2010, lett. b), ripreso dagli artt. 20, comma 6, lett. b) e 66, comma 6, lett. b) della l.r. n. 6/2010, sia «comprovato, oltre che dalla iscrizione all'Istituto Nazionale Previdenza Sociale, dall'attestazione degli adempimenti contributivi minimi previsti da parte della previdenza sociale nazionale». La disposizione viene ricondotta ai motivi imperativi di interesse generale di cui all'art. 8, lettera h) del d.lgs. n. 59/2010, tra i quali viene citata la «tutela dei lavoratori e la protezione sociale dei lavoratori». La norma, richiedendo il raggiungimento degli «adempimenti contributivi minimi previsti dalla previdenza sociale nazionale» ai fini del riconoscimento del requisito professionale, introduce un elemento restrittivo ulteriore, che oltre a porsi in contrasto con l'art. 117, terzo comma della Costituzione, giacche' introduce un ulteriore requisito non previsto dalla norma statale di principio in materia di professioni, viola la competenza statale in materia di tutela della concorrenza, di cui all'art. 117 comma 2 lett. e) della Costituzione . E' appena il caso di rilevare come la disposizione viola l'art. 117 comma 2, lett. o) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «previdenza sociale», nonche' le lettere a) e b) dello stesso comma 2 dell'art. 117, nella misura in cui incide sulla condizione giuridica del cittadino non italiano, al quale si richiede un quid pluris rispetto a quanto e' chiesto al cittadino italiano per l'attivita' di lavoro da svolgere in Italia.