IL TRIBUNALE Letti gli atti della causa iscritta al n. 5594/2011 R.G., sciolta la riserva formulata all'udienza del 21 giugno 2011; Osserva Con istanza depositata in data 16 giugno 2011 la societa' G.I.C.A. s.n. c. di Pasquale Moio & C. sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61, della legge n. 10/2011, di conversione di decreto-legge n. 225/2010. Tale norma cosi' dispone: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile s'interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». L'istante osservava quanto segue. A) La rilevanza della questione nel caso di specie. In primis, sotto il profilo della rilevanza della norma de qua, ai fini del thema decidendum, non vi e' dubbio che la natura assertivamente interpretativa della stessa ne imponga l'applicazione nel caso concreto. Pertanto, il Giudice, dovendosi pronunciare sull'eccezione di prescrizione, sollevata dalla convenuta Monte dei Paschi di Siena, non puo' prescindere dall'esame della norma stessa. B) Non manifesta infondatezza della questione. L'art. 2-quinquies, comma 9, della legge n. 10 del 2011 e' affetto da molteplici profili di incostituzionalita'. Invero, da un lato, difettano le condizioni necessarie per l'esercizio del potere di legislazione, con funzione interpretativa e, quindi, con efficacia ex tunc; dall'altro, la norma impugnata e' idonea a compromettere i principi cardine del nostro sistema di diritto. In particolar modo, risultano violati i principi di ragionevolezza, di effettivita' del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.); d'integrita' delle attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria (art. 102 Cost.) ed ancora il principio del giusto processo, cosi' come l'art. 117 Cost., in materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale con la sottoscrizione della CEDU. Cio' premesso, al vaglio della Corte Costituzionale vanno rimessi i seguenti motivi di incostituzionalita' della legge de qua. 1. Violazione dei limiti individuati dalla Corte costituzionale all'ammissibilita' di una legge d'interpretazione. Com'e' noto, il legislatore puo' adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). Orbene, tale condizione non appare rispettata nel caso di specie. 1.1. Inesistenza di una norma (specifica) da interpretare, quale condizione dell'esercizio del potere di legislazione a fini interpretativi (e conseguente irragionevolezza della norma de qua). L'art. 2935 c.c. prevede una regola di carattere generale, ovvero quella secondo cui il dies a quo, ai fini della prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare e' posto nelle condizioni di poterlo esercitare. Come noto, ai fini dell'applicazione della suddetta norma rileva la sola possibilita' giuridica di esercitare un diritto - secondo le regole previste, per le varie ipotesi tipiche, dall'ordinamento - e non anche una possibilita' di mero tatto. La previsione de qua, che e' inidonea a esaurire la disciplina dei singoli diritti soggettivi e della loro (eventuale) estinzione per prescrizione, necessita dell'etero-integrazione della disciplina speciale prevista per i singoli tipi contrattuali, cosi' come dei principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d'indebito. Nel caso di specie, le norme etero-integratrici devono essere individuate nella disciplina: a) delle operazioni bancarie. Tali devono considerarsi, in virtu' dell'univoco disposto dell'art. 1852 c.c., l'apertura di credito, il deposito bancario, definiti implicitamente come tali dall'art. 1852 c.c., cosi' come ogni altra relazione tra banca e cliente che sia ascrivibile agli schemi delineati dal Codice Civile o affermatisi in sede interpretativa; b) del conto corrente bancario. In primis, non vi e' dubbio che una legge d'interpretazione autentica avrebbe dovuto (e potuto) avere ad oggetto solo e soltanto una norma che disciplinasse di per se', in maniera specifica, la decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto di apertura di credito, regolato in conto corrente, selezionandone una delle possibili opzioni esegetiche. Per contro, tale norma non esisteva, provvedendo gli interpreti a colmare la lacuna, derivante dall'assenza di una norma speciale, con l'applicazione di una norma generale, dei principi desumibili dalla disciplina specifica delle singole fattispecie contrattuali qualificabili come «operazioni bancarie», cosi' come dei piu' generali principi in materia di estinzione del rapporto obbligatorio e di condictio indebiti. Dunque, il principio generale (desumibile dall'art. 2935 c.c.) veniva adattato allo schema e alla funzione del singolo contratto bancario (ed, in primis, dell'apertura di credito), avendo cura di preservare la coerenza sistematica della soluzione interpretativa prescelta. 1.2. Non includibilita' della soluzione interpretativa prospettata tra quelle legittimamente traibili dalla disciplina complessiva dell'istituto (e conseguente irragionevolezza della norma de qua). Per quanto il contratto di apertura di credito, cosi' come il contratto di deposito, ecc., siano connotati dall'esecuzione ripetuta di piu' prestazioni, conservano il loro carattere unitario, rappresentando la serie di versamenti, prelievi ed accreditamenti mere variazioni quantitative dell'unico originario rapporto. Invero, l'unitarieta' del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente bancario - come, condivisibilmente, evidenziato dalle Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 - non e' circostanza di per se' sufficiente, al fine d'individuare, nella chiusura del conto, il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione del diritto alla ripetizione d'indebito che spetti, eventualmente, al correntista nei confronti della banca. Esistono, infatti, ipotesi tipiche nelle quali, pur in presenza di un rapporto di durata connotato da prestazioni in denaro ripetute e scaglionate nel tempo (es. corresponsione dei canoni di locazione o d'affitto, oppure del prezzo nella somministrazione periodica di cose), il singolo pagamento puo' qualificarsi come indebito sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo; con conseguente immediato sorgere del diritto del solvens alla ripetizione. Nondimeno, esistono ragioni, non solo sistematiche ma desumibili dall'intima struttura e funzione dei contratti bancari, che depongono per la decorrenza del dies a quo dalla chiusura del contratto di conto corrente. Innanzitutto, - come sottolineato dalla Suprema Corte nella pronuncia richiamata - l'insorgere dell'azione di ripetizione d'indebito presuppone logicamente, quale suo indefettibile presupposto, che sia stato effettuato un pagamento d'indebito. E, solo da tale momento temporale, essa e' soggetta a prescrizione, non potendosi prescrivere cio' che ancora non sia sorto. Da cio', la necessita' di individuare, alla stregua dei principi generali, nonche' della disciplina di settore, quando il versamento del correntista costituisca un pagamento. Per quanto riguarda, in special modo, l'apertura di credito (quale tipologia contrattuale di peculiare diffusione), essa, come si evince dal combinato disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro. Il cliente, per l'intera durata del rapporto, puo' utilizzare tale somma anche in piu' riprese, ripristinandone in tutto o in parte, la disponibilita', eseguendo versamenti e conseguenti ulteriori prelevamenti, entro il limite complessivo del credito accordatogli. E' ovvio che, se, in pendenza dell'apertura di credito, il correntista non abbia operato alcun versamento, non e' configurabile alcun pagamento da parte sua, se non quando, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto quanto giuridicamente dovuto a causa dell'addebito di somme non dovute (come interessi anatocistici o superiori al tasso legale), l'eventuale azione di ripetizione d'indebito non potra' che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto. Pertanto, solo da quel momento potra' decorrere il relativo termine di prescrizione. Qualora, invece, nel corso dello svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi potranno essere considerati come pagamenti, idonei a fondare il diritto alla ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Cio' accadra' solo quando si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo, cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure siano stati superati i limiti dell'accreditamento. Per contro, quando il passivo non abbia superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, i versamenti da questi posti in essere fungeranno unicamente da atti ripristinatori della provvista di cui il correntista puo' ancora continuare a godere (cfr. in primis Cass. Sez. Unite del 2 dicembre 2010, Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413; Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; Cass. 23 novembre 2005, n. 24588). In tale ipotesi, il versamento non ha funzione solutoria del mutuo, bensi' di mera riespansione della misura dell'affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non e', dunque, un pagamento, perche' non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facolta' d'indebitamento del correntista. In tal caso la fattispecie dell'adempimento, sub specie di pagamento, sara' configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino comprese somme e competenze non dovute. Pertanto, la decorrenza della prescrizione dev'essere individuata: a) nel versamento (nell'ipotesi di conto in passivo senza affidamento, cosi' come di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti in pendenza di rapporto, o quando il versamento, effettuato in pendenza di rapporto, abbia funzione meramente ripristinatoria dell'affidamento). D'altronde, l'esclusione dell'interpretazione censurata dal novero di quelle ammissibili deriva anche dalle seguenti considerazioni. Il legislatore ha deciso di far decorrere il dies a quo da una circostanza di fatto (l'annotazione in conto) che esula dalla sfera conoscitiva del cliente, il quale e' reso edotto delle movimentazioni del proprio conto, solo con la ricezione dell'estratto conto (primo atto con cui si attua il valore della conoscibilita' delle competenze annotate in proprio favore dalla Banca). Pertanto, chi non ha avuto conoscenza (ne' avrebbe potuto conoscere) dell'esistenza di addebiti in proprio sfavore, perche' semplicemente annotati in conto e non anche comunicati, non e' nelle condizioni giuridiche di esercitare qualunque pretesa restitutoria o di altra natura. 2. Violazione del principio di azione ex art. 24 Cost. E' evidente il contrasto con il principio di azione ex art. 24 Cost. nella parte in cui si dispone che: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa». Il legislatore fa decorrere (peraltro, con efficacia retroattiva) il dies a quo della prescrizione da una circostanza di fatto, l'annotazione, che esula dalla sfera conoscitiva (e di conoscibilita') del cliente. Questi, infatti, e' reso edotto delle movimentazioni del proprio conto, solo con la ricezione dell'estratto conto, quale primo atto con cui si attua il valore della conoscibilita' delle competenze annotate in proprio favore dalla Banca. Allo stesso modo censurabile e' anche la parte in cui si afferma che «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge». Tale previsione e' stata letta, nell'immediatezza dell'approvazione della norma, come una clausola di salvaguardia della posizione giuridica dei clienti che abbiano gia' ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non potrebbe piu' essere eccepita. La norma de qua, nella sua genericita' e approssimazione, si presta, pero', anche ad un'ulteriore lettura, resa possibile dalla formulazione testuale della stessa. Parrebbe potersi desumere che, se il cliente ha gia' effettuato i versamenti indebiti, pretesi dalla banca, non ne possa richiedere la restituzione. Orbene, tale opzione interpretativa (probabilmente, escludibile sulla base di un'esegesi costituzionalmente orientata della norma) contrasta col principio di giustiziabilita' delle posizioni giuridiche soggettive. 3. Violazione del principio di uguaglianza ragionevolezza ex art. 3 Cost. 3.1. Introduzione di un'inammissibile disparita' di trattamento tra banche e utenti del sistema bancario. La norma viola anche il principio di ragionevolezza e uguaglianza (art. 3 Cost) perche', con una previsione ad hoc, introduce una disciplina che, menomando i poteri di reazione processuale dei clienti del sistema bancario, assicura un ingiustificato privilegio per le banche, introducendo un'inammissibile disparita' di trattamento tra due categorie di soggetti. Cio', senza che tale diversificazione dei poteri sostanziali e processuali trovi giustificazione, neppure, nell'esigenza di colmare un eventuale e preesistente divario tra le parti, che veda le banche in una posizione di minorata difesa, riallineando le loro posizioni. D'altronde, a voler individuare un contraente debole nella relazione creditizia, questo non potrebbe essere individuato se non nell'utente del sistema bancario. Cio' in considerazione dell'abituale soggezione del destinatario del credito nei confronti dell'ente erogante, dal quale dipende, spesso, la sopravvivenza economica, personale o della propria famiglia. 3.2. Introduzione di un'inammissibile disparita di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale. La norma censurata viola il principio di uguaglianza anche sotto un diverso aspetto, introducendo un dies di decorrenza della prescrizione diverso non solo dall'unico coerente con la causa e la funzione sociale dei contratti bancari regolati in conto corrente (ed, in particolare, del contratto di apertura di credito), ma anche dallo statuto normativo dei singoli tipi contrattuali, che recano profili di affinita' con il rapporto de quo. In materia prevale l'opinione secondo cui, accanto alle operazioni bancarie in conto corrente, di volta in volta poste in essere tra banca e cliente, sarebbe configurabile un vero e proprio contratto di conto corrente bancario. L'espressione codicistica «conto corrente» indicherebbe, cioe', non solo una peculiare forma di contabilizzazione dei rapporti derivanti da un'operazione bancaria (deposito o conto corrente), ma anche una figura negoziale ad hoc ovvero il c.d. conto corrente di corrispondenza. Controversa e' la causa del negozio, per quanto prevalga l'opinione per cui verrebbe in rilievo un negozio complesso atipico, avente essenzialmente funzione di mandato, il cui oggetto sarebbe l'espletamento, da parte della banca, di operazioni di pagamento e di riscossione o, piu', in generale di un servizio di cassa. Anche chi riconduce la fattispecie de qua alla diversa categoria del collegamento negoziale, risultante dalla combinazione di diversi e autonomi negozi, individua uno di questi proprio nel mandato (l'altro sarebbe, a secondo delle diverse tesi ricostruttive, il deposito o un negozio atipico volto alla costituzione della disponibilita' di fondi). Orbene, nell'ipotesi del mandato, al quale il contratto di apertura di credito e' abitualmente ricondotto, al fine di individuarne il profilo causale essenziale (anche se non esclusivo), la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto, e cio' anche per quanto concerne i singoli atti giuridici posti in essere in esecuzione del mandato. Le stesse considerazioni possono essere fatte con riguardo al contratto di deposito cui l'apertura di credito e' ricondotta da alcuni sostenitori della teoria del c.d. collegamento negoziale. E', infatti, pacifico che la prescrizione del diritto ad ottenere la restituzione della cosa depositata inizia a decorrere dalla. cessazione del contratto, ad esempio, per scadenza del termine previsto per la custodia, e non dalla data di deposito del bene. Dunque, si introduce un regime per le operazioni bancarie in conto corrente irragionevolmente differenziato rispetto a quello previsto per situazioni giuridicamente omogenee. 3.3. Introduzione di un'inammissibile disparita' di trattamento tra somme versate indebitamente, rispettivamente, prima e dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. La norma censurata prevede che «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge». Si e' detto della possibile lettura alternativa della norma, peraltro, coerente con la sua portata retroattiva, ovvero precludere al cliente l'azione di ripetizione («non si fa luogo alla restituzione») delle somme gia' indebitamente corrisposte alla banca. Orbene, la censurata paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela degli utenti del sistema bancario e' destinata a operare per le sole somme gia' versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con conseguente introduzione di una ingiustificata compressione del diritto di ripetere l'indebito per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale, e non anche per chi non versi ancora nella predetta situazione giuridica. Anche in tale caso, si differenzia il regime riservato alla medesima situazione giuridica (ovvero il pagamento di somme non dovute) sulla base di un mero dato temporale, senza che tale scelta trovi fondamento in un equilibrato contemperamento dei valori costituzionali in gioco. 4. Violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. La norma viola anche l'art. 111 Cost., che costituzionalizza il principio del giusto processo, sub specie della parita' delle «armi». Infatti, limitatamente ai processi gia' pendenti, la norma de qua, supportata da un'espressa previsione di retroattivita', viene a sancire - se non altro nelle ipotesi in cui, dalle indebite annotazioni della banca, sia gia' decorso un decennio - la paralisi processuale di chi abbia agito in giudizio, esperendo un'azione di ripetizione d'indebito, realizzando cosi' un vulnus ben piu' pregnante di un mero sbilanciamento tra i diritti contrapposti delle parti. 5. Violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Tale norma internazionale, che sancisce il diritto ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale, impone al legislatore di uno Stato contraente, nell'interpretazione della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, di non interferire nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative d'interesse generale». Il legislatore nazionale ha emanato una norma interpretativa, in presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole alle banche, cosi' violando il principio di «parita' delle armi», non essendo prefigurabili "ragioni imperative d'interesse generale"» che permettano di escludere la violazione del divieto d'ingerenza. 5. Violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario ex artt. 101, 102, 104 Cost. La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato il principio secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice (cfr. Corte Cost. n. 397/1994). Si tratta, allora, di stabilire se la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri di generalita' ed astrattezza, ovvero sia diretta ad incidere su concrete fattispecie «sub iudice». Per i motivi sovraesposti la societa' G.I.C.A. snc di Pasquale Moio & C. ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale del menzionato art. 2, comma 61, della legge n. 10/2011 nell'ambito del procedimento iscritto al n. 5594/2011 R.G. Osserva il Tribunale che il giudizio suindicato non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della citata norma. La questione si appalesa, pertanto, rilevante ai fini della decisione della presente causa. Ed invero, con l'atto introduttivo del procedimento iscritto al n. 5594/2011 la G.I.C.A. s.n. c., premettendo di avere intrattenuto diversi rapporti bancari con la societa' Monte Paschi di Siena S.p.A., ha evocato in giudizio quest'ultima, chiedendo accertarsi e dichiararsi la nullita' e/o inefficacia e/o annullabilita' delle clausole di conto corrente e di conto anticipi, relative ai contratti conclusi con la banca, per violazione della normativa in materia di anatocismo, commissioni di massimo scoperto e usura, nonche' accertarsi e dichiararsi la sussistenza del diritto di parte attrice alla ripetizione delle somme ingiustificatamente corrisposte ex art. 2033 cc in relazione a tutti i rapporti bancari specificamente indicati nell'atto di citazione. La banca Monte dei Paschi di Siena SpA, costituendosi in giudizio, ha eccepito tempestivamente l'intervenuta prescrizione decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito oggettivo per tutte le annotazioni anteriori al 2 marzo 2001, essendo stata la citazione notificata in data 2 marzo 2011. La convenuta ha sollevato l'eccezione proprio richiamandosi al decreto n. 225/2010 e alla norma rispetto alla quale e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale. E' di tutta evidenza, quindi, la rilevanza della questione in esame ai fini della definizione del presente giudizio, dipendendo dalla stessa ogni valutazione in merito all'intervenuta prescrizione o meno delle annotazioni antecedenti al decennio anteriore alla notifica dell'atto di citazione. La questione di legittimita' costituzionale non appare, inoltre, manifestamente infondata, e cio' soprattutto sotto il profilo della violazione del principio di cui all'art. 24 Cost., ove s'interpreti la seconda parte della norma in commento («In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto») nel senso che se il cliente ha gia' effettuato i versamenti indebiti, pretesi dalla banca, non ne possa piu' richiedere la restituzione. Una siffatta interpretazione della norma, che andrebbe esclusa sulla base di un'esegesi costituzionalmente orientata, contrasta con il principio di giustiziabilita' delle posizioni giuridiche soggettive e, quindi, con il principio di cui all'art. 24 Cost. Letto l'art. 23 legge n. 87/1953;