LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha emesso, dandone lettura, la  seguente  ordinanza  nella  causa
civile di secondo grado iscritta al n. 1427/2011  r.g.  vertente  tra
Argano Renato, rappresentato e difeso dagli avv. Fabrizio Pietrosanti
e Armando Argano, elett.te dom.to in Roma, via di  Santa  Teresa  23,
appellante e Fondazione ENPAM, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi
Fioretti, elett.te dom.ta in Roma, via Arno 88, appellata. 
    Va premesso in fatto quanto segue. 
    Con sentenza del tribunale di Latina n. 1685/2010 era  dichiarato
cessato alla data del 31 ottobre 1998 il contratto di  locazione  tra
le parti relativo all'unita' immobiliare  in  Latina,  via  Eroi  del
Lavoro 11 ed il conduttore Renato Argano era condannato  al  rilascio
del predetto immobile in favore della Fondazione ENPAM. 
    Avverso la predetta sentenza proponeva appello Argano concludendo
per il rigetto, sotto diversi profili, della domanda  proposta  dalla
Fondazione ENPAM. 
    Si costituiva Fondazione  ENPAM  contestando  la  fondatezza  dei
suesposti motivi e concludendo per il rigetto dell'appello. 
    E' da osservare - come  gia'  rilevato  al  verbale  dell'odierna
udienza - che Argano  non  ha  provveduto  a  notificare  il  ricorso
introduttivo del presente gravame ed  il  decreto  di  fissazione  di
udienza entro il termine legale di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c.:
dopo aver ricevuto via fax, in data 4 aprile 2011, comunicazione  del
decreto  presidenziale,  ha,  infatti,  avviato  il  procedimento  di
notificazione solo in data 1º dicembre 2011. 
    In diritto e' da osservare che, con riguardo  specifico  all'art.
435, comma 2, Cass. Sez. un. 30 luglio 2008 n. 20604  ha  argomentato
che «Una volta .... scaduto il termine ordinatorio senza che  si  sia
avuta una proroga ..... si determinano, per il venir meno del  potere
di compiere l'atto, conseguenze analoghe a  quelle  ricollegabili  al
decorso  del  termine  perentorio».  Di  qui  se  ne  e'  tratta   la
conclusione, nella giurisprudenza di merito, che non solo in caso  di
omessa notificazione,  verificata  all'udienza  di  discussione,  del
ricorso introduttivo e del relativo decreto presidenziale ma anche in
caso di notificazione tardiva, oltre il  previsto  termine  di  dieci
giorni,  l'appello  sarebbe  da   dichiararsi   improcedibile.   Tale
conclusione e' stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale,
per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., ma la questione e'  stata
dichiarata manifestamente infondata (ordinanza n. 60/2010) sulla base
della considerazione che nella fattispecie esaminata  da  Cass.  sez.
un. n. 20604/08 l'improcedibilita' era stata affermata «non gia'  per
la  sola  violazione   dell'art.   435,   secondo   comma,   ma   per
l'inosservanza  dell'art.  435,  terzo  comma,  per  non  essere  mai
intervenuta la  notifica  ivi  prevista»,  sicche'  il  principio  di
diritto non poteva essere esteso ai casi in cui la notificazione  era
stata effettuata, pur in violazione del termine di dieci  giorni,  ma
nel rispetto del c.d. termine a  comparire  di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 435 c.p.c. 
    La Corte di  cassazione  e',  quindi,  orientata  nel  senso  che
l'improcedibilita' dell'appello consegua solo alla radicale omissione
della notificazione degli atti  introduttivi,  trovando  la  sanzione
giustificazione nel principio costituzionale della ragionevole durata
del processo, che sarebbe violato da una eventuale fissazione di  una
ulteriore udienza per consentire l'instaurazione del contraddittorio,
mentre nel caso di notificazione eseguita tardivamente, in  relazione
al solo termine di dieci giorni di cui  all'art.  435,  comma  2,  la
violazione resti sanata dal rispetto del termine c.d. a comparire  di
cui all'art. 435, comma 3, non subendo il processo alcun allungamento
dei tempi (in tal senso Cass. 15 ottobre  2010  n.  21358;  Cass.  30
dicembre 2010 n. 26489; Cass. 12 aprile 2011 n. 8411; Cass. 22 aprile
2011 n. 9292; Cass. 13 luglio 2011 n. 15419; Cass. 14 luglio 2011  n.
15590). 
    Questa  Corte  dubita  che  l'art.  435,  comma  2,  cosi'   come
interpretato dalla Corte suprema, sia in contrasto  con  l'art.  111,
comma 2, primo periodo, Cost. laddove e' affermato il  principio  che
il processo si svolge non solo «nel contraddittorio tra le parti»  ma
anche «in condizioni di parita'». 
    E' da osservare, innanzitutto,  che  nel  rito  di  cui  all'art.
447-bis c.p.c. la parte ricorrente instaura il giudizio in  forza  di
una  iniziativa  unilaterale  (il  deposito  del  ricorso)   cui   la
controparte   resta   completamente   estranea,    determinando    la
litispendenza e facendo maturare gli altri  effetti  processuali  del
gravame (si pensi, ad esempio, alla mancata formazione, in  tutto  od
in parte, del giudicato o  all'appellabilita'  in  via  incidentale);
solo alla parte ricorrente e', poi, comunicata la data di  fissazione
dell'udienza. 
    Appare, quindi, evidente l'iniziale squilibrio tra le  parti  che
contrassegna l'introduzione del giudizio: a tale deficit  informativo
e' destinato a porre rimedio l'onere della tempestiva  notificazione,
a carico della  parte  ricorrente,  non  appena  quest'ultima  riceva
notizia della fissazione dell'udienza. In tal senso  la  disposizione
di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c., nel disciplinare  la  modalita'
di instaurazione del contraddittorio, ritrova una ragione sua propria
che, invece, resta del tutto  negletta  qualora  si  ritenga  che  la
violazione del termine ivi espressamente previsto possa essere sanato
dal rispetto del termine ulteriore di cui al  comma  3  del  medesimo
art. 435 c.p.c. 
    Appare, invero, conforme alla  direttiva  interpretativa  secondo
cui ogni disposizione normativa debba avere una ragione sua propria e
non possa mai essere considerata tamquam non esset (arg. ex art. 1367
c.c.) ritenere che i termini di cui ai citati commi 2 e  3  dell'art.
435 non  siano  in  relazione  di  sussidiarieta'  -  nel  senso  che
l'osservanza dell'uno supplisca alla violazione dell'altro - ma siano
entrambi da rispettare ai fini del  compiuto  adempimento  dell'onere
dell'instaurazione del contraddittorio. 
    Mentre, infatti,  il  termine  c.d.  a  comparire,  decorrente  a
ritroso  dall'udienza  di  discussione,  corrisponde   allo   spatium
deliberandi minimo per l'esercizio del diritto di difesa, valevole in
assoluto  per  ogni  processo,  il  termine  per   la   notificazione
specificamente posto a carico del ricorrente dall'art. 435, comma  2,
e' destinato a  sanare  l'originario  squilibrio  tra  le  parti  che
contrassegna la fase introduttiva del giudizio, nella quale  solo  la
parte ricorrente e' a  conoscenza  dell'instaurazione  della  lite  e
della data dell'udienza. 
    L'esigenza del riequilibrio informativo e'  stata  avvertita  dal
legislatore nonostante, ai sensi del  medesimo  art.  435,  comma  1,
c.p.c, la fissazione  dell'udienza  sia  da  ricomprendere  nell'arco
temporale di  soli  giorni  sessanta;  appare,  quindi,  ancora  piu'
intensa  allorche',  come  di  prassi,  tale  limite  di  tempo   sia
apprezzabilmente superato, con conseguente possibile allungamento del
periodo in cui solo una parte e'  a  conoscenza  della  pendenza  del
gravarne e dell'udienza di discussione. 
    Non  ha  pregio,  poi,  il  rilievo  secondo  cui,  non   essendo
sanzionata la violazione dei termini di cui al comma 1 dell'art.  435
c.p.c.,  relativi  all'emissione   del   decreto   presidenziale   di
fissazione   dell'udienza,   non   potrebbe    configurarsi    alcuna
improcedibilita' per la violazione del termine di cui  al  successivo
comma  2:  e'  evidente,  infatti,  che  mentre  i  primi   attengono
all'adempimento di obblighi a carico dell'ufficio -  sanzionabili  in
linea  di  principio  al  livello  amministrativo,  disciplinare   ed
eventualmente penale - il termine imposto dal comma 2  dell'art.  435
c.p.c. attiene all'adempimento di  un  onere  -  l'instaurazione  del
contraddittorio a carico di parte ricorrente - sicche' e'  del  tutto
conseguente che  la  sanzione  sia  costituita  dalla  perdita  della
posizione  attiva  (diritto  alla  decisione   di   merito)   gravata
dall'onere. 
    Non ha pregio, parimenti, il confronto con la  sanatoria  ammessa
per violazione del termine di cui al comma 3 dell'art. 435 c.p.c. (in
tal senso Cass. 14 gennaio 2010 n. 488)  in  quanto  tale  violazione
puo' avvenire  per  ragioni  non  imputabili  alla  parte  ricorrente
(fissazione di udienza troppo ravvicinata, durata del procedimento di
notificazione fino al perfezionamento per il destinatario) mentre  e'
onere della stessa parte ricorrente almeno iniziare  il  procedimento
di notificazione osservando il termine  espressamente  assegnato  dal
codice di procedura civile al comma 2. E' anzi  da  ritenere  che  la
possibilita' di sanare la violazione del termine cd.  a  comparire  -
con  il  connesso  prolungamento  dei  tempi  del  processo  -  trovi
razionale  giustificazione  proprio  in  relazione   all'assolvimento
dell'onere del contraddittorio  per  le  modalita'  rientranti  nella
disponibilita' del ricorrente. 
    La gravita' della sanzione costituita  dalla  improcedibilita'  -
salva la disciplina generale sulla c.d. rimessione in termini  -  e',
poi, giustificata proprio dal rilievo costituzionale del  valore  (la
condizione di parita' tra le parti) che la  tempestiva  notificazione
e' destinata a garantire nella  cornice  del  c.d.  giusto  processo,
interferente anche sui  requisiti  di  ammissibilita'  dell'eventuale
ricorso per cassazione (art. 360-bis n.2 c.p.c.). 
    Appare, altresi', del tutto congrua sul piano sistematico, tenuto
conto che nel rito ordinario l'art. 348,  comma  1,  c.p.c.  sanziona
analogamente l'appellante che non si sia costituito in  giudizio  nel
termine di legge (parimenti di giorni dieci ex art. 347 c.p.c.). 
    Anche, quindi, nel rito ordinario un appello, pur  tempestivo  in
quanto  notificato  entro  il  termine  perentorio  previsto  per  il
gravame, diviene,  tuttavia,  improcedibile  se  non  e'  assolta  la
modalita' temporale di un  onere  processuale  successivo,  attinente
alla corretta instaurazione del contraddittorio. 
    Nel rito di cui all'art. 447-bis c.p.c. e' del tutto naturale che
l'improcedibilita' non possa che  riguardare  la  mancata  tempestiva
notificazione,  poiche'  i  due  oneri   processuali   attinenti   al
contraddittorio - notificazione e costituzione  in  giudizio  -  sono
invertiti, dovendo prima il ricorrente costituirsi e, poi,  procedere
alla notificazione. 
    E', quindi,  l'improcedibilita'  sanzione  affatto  simmetrica  a
quella espressamente prevista nel rito ordinario, in quanto parimenti
destinata  ad  assicurare  il   tempestivo   adempimento   dell'onere
accessorio all'editto actionis (la costituzione in giudizio nel  rito
ordinario, la notificazione nel rito locatizio). 
    Coerente con tale ricostruzione  e',  poi,  la  rilevabilita'  di
ufficio della tardiva notificazione, tenuto conto che e' in questione
un onere processuale destinato a  soddisfare  un  esigenza  di  rango
costituzionale attinente al giusto processo ex art. 111 Cost. 
    In conclusione la questione relativa  alla  compatibilita'  della
disposizione di  cui  all'art.  435,  comma  2,  c.p.c.,  cosi'  come
ridimensionata dal diritto vivente, con l'art. 111,  comma  2,  primo
periodo, Cost, laddove e' imposta la condizione  di  parita'  tra  le
parti nello  svolgimento  del  contraddittorio,  deve  ritenersi  non
manifestamente infondata. 
    La rilevanza  della  questione  e',  poi,  desumibile  da  quanto
premesso in fatto, in quanto l'appellante non ha osservato il termine
di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c.