IL COMMISSARIATO PER IL RIORDINO DEGLI USI CIVICI NELLA REGIONE ABRUZZO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 3 del registro generale contenzioso civile dell'anno 1991 vertente, tra il Comune di Pescocostanzo in persona del Sindaco in carica, non comparso, Speciale rappresentanza degli utenti di uso civico del Comune di Pescocostanzo, non comparsa, e Regione Abruzzo in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale rappresentato e difeso dagli Avvocati Sandro Pasquali e Carlo Massacesi dell'Ufficio Legale della Regione Abruzzo con sede in Via Aldo Moro, L'Aquila, giusta procura generale conferita con deliberazione della Giunta, regionale d'Abruzzo n. 5930 in data 17 novembre 1994, e Di Pasquale Mario residente in Pescocostanzo, non comparso e Sette Lino residente in Pescocostanzo alla via Marella n. 13, non comparso e Sciullo Amedeo residente in Pescocostanzo, non comparso e Colabrese Cesidio residente in Pescocostanzo, non comparso e Colabrese Maria Pia residente in Pescocostanzo, non comparso e Del Cimmuto Arnaldo nato a Pescocostanzo il 3 dicembre 1915, non comparso e Colangelo Carmelo residente in Pescocostanzo, non comparso, avente ad oggetto: accertamento qualitas soli. Fatto 1. - Il Commissario iniziava - d' ufficio - una serie di processi volti ad accertare la natura di alcuni fondi censiti nel Catasto terreni del Comune di Pescocostanzo al foglio 21, particella n. 63 ed al foglio 28, particelle nn. 14, 51, 177, 178, 179, 180 e 181. La Regione Abruzzo si costituiva in giudizio dando atto della pendenza di procedure amministrative di sclassificazione. Nessuna delle parti si costituiva in giudizio. Veniva nominato un Consulente ed, all'udienza del 7 novembre 2011, la causa veniva trattenuta in decisione. Diritto 1. - Nelle more del giudizio i terreni oggetto di causa sono stati sclassificati, ai sensi dell'articolo 10 della legge della Regione Abruzzo n. 25/1988, con delibera del Consiglio Regionale n. 104/19 del 12 luglio 1994. 2. - Esaminati gli atti del procedimento, ritiene il giudicante di dover sollevare d'ufficio - questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 9, 117, 118 e 42 della Costituzione dell' articolo 10 della legge della Regione Abruzzo n. 25/1988. Non ignora il remittente che la questione e' stata gia' portata all' attenzione della Corte costituzionale che la respingeva con la sentenza n. 511 del 1991. Nondimeno si vogliono evidenziare ulteriori profili di incostituzionalita' della norma ed aspetti non valorizzati nella precedente ordinanza di remissione. 3. - La questione e' rilevante nel presente giudizio in quanto il giudicante dovrebbe prendere atto della avvenuta sclassificazione e dichiarare l'estinzione dei diritti di uso civico gravanti sui terreni oggetto di causa. 4. - La questione poi non e' manifestamente infondata. 5. - Invero la Regione Abruzzo emanava, in data 3 marzo 1988, la legge n. 25 contenente «Norme in materia di usi civici e gestione delle terre civiche». In questa sede viene censurato l'ultimo comma dell'articolo 10 della sopra indicata legge il quale prevede che: «Nei casi in cui, per effetto delle utilizzazioni proprie ormai consolidate, porzioni di terre civiche abbiano da tempo irreversibilmente perduto la conformazione fisica e la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi e pascolivi, il Consiglio Regionale, su richiesta motivata del Comune territoriale interessato, ovvero dell' Amministrazione separata frazionale, sentito il Comune, se trattasi di beni di pertinenza frazionale, puo' disporre la classificazione di dette terre dal regime demaniale civico». Deve osservarsi che la materia degli usi civici e' disciplinata in modo tendenzialmente esaustivo da norme statali: Legge 16 giugno 1927 n. 1766 e Regolamento approvato con R.D. n. 322 del 1928. Tali norme prevedono speciali procedure di liquidazione degli usi civici. Alle Regioni sono state trasferite dai Decreti Presidenziali n. 11 del 15 gennaio 1972 e 616 del 24 luglio 1977 le sole funzioni amministrative relative alla liquidazione degli usi civici e quindi la Regione Abruzzo non avrebbe potuto emanare derogatorie di quelle statali introducendo nuove ipotesi di liquidazione degli usi civici. Infatti la sottrazione dei terreni gravati da usi civici alla loro destinazione si attua attraverso una procedura (c.d. sclassificazione) diversa da quelle previste dal legislatore statale onde garantire l'interesse della collettivita' alla conservazione degli usi civici e alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. Giova osservare che gli usi civici sono imprescrittibili, in usucapibili ed indisponibili. Inoltre, mentre per i beni demaniali civici e' prevista, seppure in casi eccezionali, la sclassificazione tacita del suolo, per i beni civici tale sclassificazione e' esclusa, anzi vietata, come ha deciso la Corte Suprema con la sentenza 12 dicembre 1953, n. 3690. Dunque la legge impugnata si pone in irrimediabile contrasto con la legislazione nazionale, perche' le norme statali contenute nella legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici nel Regno, e nell'art. 41, r.d. 26 febbraio 1928 n. 332, regolamento di esecuzione l. n. 1766 del 1927, le quali richiedono che le limitazioni o la liquidazione dei diritti di uso civico siano precedute dall'assegnazione dei suoli alla categoria sub lett. a) dell'art. 11 l. n. 1766 del 1927 e, qualora inclusi in questa, alienati o mutati nella destinazione previa l'autorizzazione ministeriale - art. 12 - ora regionale - art. 66 d.P.R. n. 616 del 1977. 7. - Sul punto deve ulteriormente osservarsi che, l'articolo 1, lettera h), della legge 8 agosto 1985 n. 431, ha sottoposto a vincolo paesaggistico, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 «le aree assegnate alle Universita' agrarie e le zone gravate da usi civici». La funzione di tutela dell'ambiente svolta dagli usi civici e' stata valorizzata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (ordinanza 316 del 1998 e sentenze nn. 46/95 e 133/93) nonche' dalla dottrina piu' attenta. L'articolo 117 della Costituzione, alla lettera s), riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». La Regione Abruzzo invece con la norma impugnata ha profondamente inciso su tale materia consentendo che aree del suo territorio potessero essere sottratte alla normativa statale in materia di tutela ambientale e disciplinate in modo autonomo. Invero la legge impugnata consente, attraverso la procedura della sclassificazione, di sottrarre delle aree ai vincoli ambientali e paesaggistici in violazione della convenzione europea sul paesaggio sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000 contribuendo cosi', ad avviso del remittente, alla tragedia dei beni collettivi. 8. - La norma impugnata si pone altresi' in contrasto con la legge statale n. 47/1985 che consente la sanatoria delle opere abusive sorte su aree vincolate solo attraverso determinate procedure. Tale possibilita' non e' piu' concessa dalla normativa sopravvenuta (D.P.R. n. 380/2001). La sclassificazione e' concessa invece per irreversibili trasformazioni del suolo dovute, nella maggioranza dei casi, ad interventi urbanistici non autorizzati che risultano cosi' sanabili sotto un duplice profilo: venir meno del vincolo ambientale e la disponibilita' del suolo. 9. - Infine la norma si pone in contrasto con l' articolo 42 della Costituzione in quanto consente l'espropriazione di terreni senza alcun ristoro. Invero, sebbene sia discussa la natura degli usi civici, e' indubbio che essi vadano annoverati nell'ambito dei diritti reali e siano configurati dalla dottrina o come diritti reali d'uso, ovvero servitu' prediali, o diritti reali atipici ovvero forme di comunione. La titolarita' di tali beni spetta ai naturali mentre la sola gestione e' riservata al Comune. Ne deriva che qualora i naturali vengano privati dei diritti esercitati su tali beni essi debbono essere ristorati con un equo indennizzo la cui previsione difetta totalmente nella norma in questione. Anche in questo caso emerge il contrasto tra la normativa regionale che non prevede alcun indennizzo e la normativa statale (a. 24 della legge 1766 del 1927) la quale stabilisce che i capitali derivanti dalle varie forme di liquidazione degli usi civici siano investiti «in titoli del debito pubblico intestati al Comune, alla frazione od alla associazione, con vincolo a favore del Ministero per l'economia nazionale, per essere destinato, in caso di bisogno, ad opere permanenti di interesse generale della popolazione...». Nessuna forma di indennizzo, neppure indiretto, e' invece prevista dal citato articolo 10. I beni gia' gravati da uso civico potranno pertanto essere alienati dalle pubbliche amministrazioni senza alcun vincolo di reimpiego delle somme riscosse. Ne esso puo' consistere nella realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico da cui i singoli utenti dei diritti di uso civico potrebbero non trarre alcun vantaggio. La norma impugnata consente quindi che i fruitori di usi civici sui beni «sclassificati» siano privati dei loro diritti senza alcun corrispettivo. La necessita' di un indennizzo e' stata riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che nella sentenza n. 156 dell'8 maggio 1995 che pur consentendo, seppure a determinate condizioni, l'espropriazione dei terreni gravati da usi civici, ha stabilito che: «i compensi previsti dall'art. 12, terzo comma, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, in favore dei cessati diritti di uso civico, corrispondono al compenso in natura (c.d. scorporo) previsto dagli artt. 5 e 6 della legge n. 1766 del 1927, il quale, dovendo essere fatto valere sull'indennita' di espropriazione, deve essere tradotto nel controvalore in denaro e proporzionato all'entita' dell'indennizzo». La giurisprudenza comunitaria esclude che vi possano essere espropriazioni senza adeguato ristoro. 10. - La norma impugnata si pone inoltre in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto fissa una discrezionalita' amplissima in capo alle autorita' amministrative nella valutazione della perdita della «conformazione fisica» e della «destinazione funzionale» dovuta, si badi bene, non ad eventi naturali bensi' all'abusivo esercizio di atti di possesso da parte dei privati. Quindi e' sufficiente un'illecita attivita' di manomissione di beni di rilevante interesse ambientale e paesaggistico per determinare l'estinzione dei diritti di uso civico e, conseguentemente, di ogni vincolo ambientale e paesaggistico sugli stessi.