IL TRIBUNALE Nella causa civile promossa da: Sbragi Fioravante, Giavarini Fernanda e Verusio Francesca (avv.ti Enrico Montobbio ed Elisa Guidorzi) contro Condominio Villini di Pieve Ligure, via Coriolano Bozzo n. 25 (avv.ti Massimiliano Solinas). Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva assunta in data 26 ottobre 201l. Sbragi Fioravante, Giavarini Fernanda, comproprietari della palazzina da terra a tetto sita in Pieve Ligure, via XXV Aprile 195 e Verusio Francesca, proprietaria della palazzina da terra a tetto sita in via Caduti Pievesi 3, hanno depositato ricorso ex art. 702-bis c.p.c. in data 15 aprile 2011, allegando di essere titolari di servitu' di passo pedonale a favore dei fondi di loro proprieta' ed a carico di una porzione del parco condominiale annesso ai villini civici 1-25, aventi accesso dal cancello contrassegnato con il numero 25 di via Coriolano Bozzo. Deducono in particolare: che detta servitu', fondata sui titoli prodotti e finalizzata ad avere un comodo accesso alla scogliera, e' da sempre stata esercitata attraverso una scala a sbalzo accessibile direttamente da via Coriolano Bozzo ed un successivo breve percorso pedonale pianeggiante, fino ad una ulteriore scala un muratura con andamento a linea spezzata sovrapposta alla scogliera; che nei primi giorni del Novembre 2009 l'amministratore del condominio, su incarico del condominio stesso, aveva fatto demolire la scaletta a sbalzo, impedendo quindi del tutto l'esercizio della servitu' rispetto all'attrice Verusio, e rendendone piu' incomodo l'esercizio quanto agli altri due attori (costretti a percorrere un tragitto molto piu' lungo per ritrovarsi nel punto posto in corrispondenza alla fine della scala demolita). Tanto premesso chiedevano di accertare la sussistenza della servitu' a favore dei propri fondi ed a carico del parco condominiale annesso ai civici numeri 1-25, avente accesso da via Coriolano Bozzo 25, di dichiararsi illegittima la demolizione della scala e di condannare il condomino convenuto alta rimessione in pristino dei luoghi di causa. Si costituiva il condominio convenuto, eccependo l'estinzione per non uso ventennale della servitu' quanto all'attrice Verusio e rilevando di avere trasferito in altro luogo l'esercizio della servitu' quanto agli altri due comproprietari, con il consenso degli stessi. All'udienza ex art. 183 cpc il Giudice rilevava la mancata instaurazione del procedimento di mediazione. Parte attrice eccepiva quindi l'incostituzionalita' dell'art. 5 d.lgs 28/2010, anche alla luce dell'art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69 e degli artt. 4 e 5 DM 10.10.180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 111 Cost. per le seguenti ragioni, cosi' riassumibili (le parti corsive riportano letteralmente i rilievi esposti da parte attrice nella memoria depositata in data 26 settembre 2011). 1) L'applicazione del procedimento di mediazione obbligatoria ai procedimenti ex art. 702-bis, aventi finalita' deflattiva, allunga irragionevolmente i tempi processuali, con conseguente violazione dell'art. 111 Cost. 2) Gli artt. 2643, 2652, 2653 cod. civ elencano gli atti e le domande giudiziali che possono essere trascritti. «L'elenco e' tassativo e non prevede la trascrivibilita' ne' dell'istanza di mediazione ne' del verbale. Conseguentemente ove si verta in tema di diritti reali, l'istante non solo non puo' avvalersi dell'effetto c.d. prenotativo della trascrizione della domanda (con le immaginabili conseguenze in tema di tutela del diritto e di opponibilita' ai terzi) ma neppure puo' trascrivere direttamente il verbale in cui dovessero essere trasfusi gli intervenuti accordi» essendo necessario far autenticare la sottoscrizione da un pubblico ufficiale. Sarebbe quindi necessario introdurre il processo giudiziario ordinario trascrivendo la relativa domanda, «successivamente introdurre il giudizio di mediazione (che nella sostanza sarebbe poco piu' che una farsa) e all'esito (ovviamente negativo) dello stesso, riprendere il processo ordinario che a questo punto proseguirebbe nel consueto iter, concludendosi con provvedimento che potra' essere trascritto, giovandosi dell'effetto prenotativo discendente dalla precedente trascrizione della domanda». Il procedimento pertanto si porrebbe in contrasto sia con il principio del giusto processo tutelato dall'art. 111 della Costituzione sia con il diritto di tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 della costituzione, «atteso che invece di deflazionare il contenzioso lo porterebbe a gonfiarsi in maniera patologica». 3) L'art. 60 legge 69 del 2009 disponeva di prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione fosse realizzata senza precludere l'accesso alla giustizia. L'art. 5 Dlgs 28/2010 rendendo in molti casi la mediazione una condizione di procedibilita' della domanda, «ha disciplinato il fenomeno oltre i limiti fissati dalla legge delega ed anzi piu' precisamente in contrasto con la stessa nella parte in cui non voleva che la mediazione precludesse l'accesso alla giustizia», con conseguente violazione dell'art. 77 Cost. 4) La mediazione di cui al D.lgs 28/2010 ha un costo e lo ha anche nell'ipotesi di mediazione obbligatoria come previsto dall'art. 16 quarto comma D.M. 180/2010 che prevede che detto costo «deve essere ridotto di un terzo nelle materie di cui all'art. 5, comma 1, del Dlgs». La previsione di un costo ulteriore, rispetto al pagamento del contributo unificato, viola l'art. 24 della Costituzione, atteso che «la mediazione puo' essere obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiche' se la mediazione, come nel nostro caso e' tanto obbligatoria quanto onerosa, allora e' incostituzionale, in particolare viola l'art. 24 della Costituzione. Sembra evidente infatti che il legislatore possa prevedere la mediazione come scelta libera e cosciente della parte in questi casi quindi anche prevedere che chi la scelga debba pagare il servizio; oppure il legislatore puo' subordinare l'esercizio della funzione giurisdizionale ad un previo adempimento, se questo e' razionale e funzionale a un miglioramento del servizio giustizia, ed in questo senso, come avvenuto con l'art. 410 c.p.c. puo' anche prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi. Se viceversa il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non e' meramente simbolico, come avviene con l'art. 16 DM 180/2010 allora nella sostanza il sistema subordina l'esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro», in violazione quindi dell'art. 24 della Costituzione. 5) L'art. 16 DM 180/2010, distingue le indennita' del procedimento di mediazione in «spese di avvio del procedimento» e «spese di mediazione». Le prime sono dovute da ciascuna parte ma sono versate dall'istante al momento del deposito della domanda. Le seconde sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento. «Dunque il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento. Cosicche' ai sensi dell'art. 3 della Costituzione: a) si ritiene che anche l'attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fini dell'art. 5 del Dlgs 28/2010 con contestuale dichiarazione di non volersi avvalere del servizio; b) oppure il sistema e' in violazione del principio di uguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe obtorto collo obbligato al procedimento di mediazione per poter far valere in giudizio un suo diritto.» 6) Violazione dell'art. 97 della Costituzione, con riferimento all'organizzazione interna degli organismi di conciliazione, come definiti anche dall'art. 4 DM 180/2010, attesa la mancata previsione di' condizioni minime di trasparenza, di eguaglianza e imparzialita' dei mediatori, ne' di criteri oggettivi circa l'assegnazione delle pratiche fra i vari mediatori dell'organismo e di reclutamento degli aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti pubblici, in considerazione della funzione pubblica del procedimento di mediazione. Le questioni prospettate sono rilevanti e non manifestamente infondate, per le ragioni e limitatamente ai profili che seguono. Va premesso in primo luogo che il dlgs 28/2010 sulla c.d. «mediazione obbligatoria» e' stato pubblicato nella G.U. il 5 marzo 2010, con conseguente applicabilita' ai procedimenti instaurati a partire dal 21 marzo 2011. Il procedimento di mediazione e' oggi obbligatorio per una serie di controversie nelle materie specificamente elencate dall'art. 5 c. 1 dlgs cit, tra le quali quelle concernenti i diritti reali. Nel caso di specie la presente controversia, nella quale e' stato chiesto l'accertamento di una servitu' a favore del fondo di parte attrice ed a carico di un fondo del Condominio convenuto, rientra nell'ambito dei diritti reali e non delle cause condominiali (circoscritte a quelle relative agli artt. 1117 e ss c.c.). Tale interpretazione, in luogo di quella «soggettiva» (ovvero che qualifica come condominiali tutte le cause ove una delle parti sia un condominio) appare maggiormente conforme alla distinzione operata dal legislatore, che ha distinto le materie richiamando la distinzione codicistica, fondata sul dato oggettivo della materia trattata e non sulla qualita' delle parti. Sono relative al condominio negli edifici i soli artt. dal 1117 al 1139 cc e pertanto solo alle controversie relative va riservata la qualifica di cause condominiali. Nel caso di specie invece, pur essendo parte del giudizio un condominio, la causa rientra pienamente tra quelle concernenti i diritti reali, per le quali e' quindi gia' in vigore la c.d. mediazione obbligatoria. La causa e' stata instaurata con il deposito di ricorso ex art. 702 bis c.p.c.; detto procedimento non rientra tra quelli per i quali e' esclusa la c.d mediazione obbligatoria (arg. a contrariis dal combinato disposto degli artt. 5 c. 1 e 4 Dlgs 28/2010). Il c. 4 esclude esplicitamente alcuni procedimenti, senza infatti menzionare il rito sommario ex art. 702-bis. Nel caso di specie il ricorso e' stato depositato dopo l'entrata in vigore della legge citata, senza il previo esperimento del procedimento di mediazione. Il mancato esperimento del procedimento di mediazione e' stato sollevato d'ufficio alla prima udienza. La questione di legittimita' costituzionale prospettata da parte attrice e' quindi certamente rilevante (in punto rilevanza con riferimento all'impossibilita' di trascrizione, v. infra sub 2). Va quindi esaminato se la stessa sia non manifestamente infondata. Riprendendo, per comodita' espositiva, la numerazione sopra riportata, va rilevato quanto segue. 1) Il procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis, a differenza di quanto evidenziato da parte attrice, non ha finalita' deflattive ma acceleratorie. Non ha cioe' quale scopo quello di evitare il ricorso alla giustizia, creando meccanismi alternativi alla giurisdizione volti a dirimere le controversie (finalita' deflattiva), ma e' finalizzata ad utilizzare un procedimento giurisdizionale piu' rapido e snello rispetto al procedimento ordinario, modulato sulla falsariga dei procedimenti cautelari. Il procedimento sommario si pone quindi come strumento parallelo ed alternativo rispetto al procedimento ordinario, e sicuramente piu' veloce rispetto a questo (come dimostra la riduzione dei termini a comparire, la mancata previsione di termini per memorie ex art. 183 c. VI c.p.c., la conclusione con ordinanza, non preceduta da comparse conclusionali e memorie di repliche). La funzione acceleratoria non risulta compromessa dalla previsione, anche per questo tipo di procedimenti, della c.d. mediazione obbligatoria. Questa infatti, avente invece finalita' deflattiva, puo' importare -se precedentemente instaurata- la superfluita' di ricorrente alla giustizia (salvo, quanto si dira' sub 2) e, comunque, attesa la brevita' del termine entro la quale deve essere iniziata e conclusa non inficia comunque la finalita' acceleratoria del procedimento ex art. 702-bis c.p.c. (garantita, come detto, dalle diversita' sopra accennate rispetto al procedimento ordinario). Non si ravvisa pertanto, limitatamente a questo profilo, la violazione dell'art. l l l Cost. 2) Le domande giudiziali inerenti i diritti reali devono (rectius possono) essere trascritte. L'art. 2653 c. 1 n. 1 prevede infatti che «devono parimenti essere trascritte le domande dirette a rivendicare la proprieta' o altri diritti reali di godimento su beni immobili e le domande dirette all'accertamento dei diritti stessi». La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base ad un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda. Nel caso di specie i ricorrenti hanno formulato una domanda diretta all'accertamento dell'esistenza, in favore del loro fondo ed a carico di quello dei convenuti, di una servitu' di passaggio per titoli, della violazione del diritto a loro spettante in base ad essa ed all'eliminazione degli effetti del denunciato abuso. L'azione, rientrando nell'ambito dell'art. 1079 cc, e' certamente tra quelle in relazione alle quali, ai sensi dell'art. 2653 n. 1 e' richiesta la trascrizione. Tale trascrizione ha finalita' ed effetti diversi rispetto alla trascrizione del titolo costitutivo della servitu', atteso che la prima spiega effetti di carattere meramente processuale, consentendo cioe' che la sentenza definitiva che concludera' il processo abbia effetto, ex art. 111 cpc, anche rispetto ai terzi che, nel corso del giudizio si rendessero acquirenti del bene su cui si incentra la controversia. Viceversa, ed a prescindere dalla trascrizione del titolo costitutivo della servitu', la mancata trascrizione della domanda giudiziale importa l'inopponibilita' della sentenza a chi acquisti il fondo servente nel corso del processo e che abbia trascritto il suo titolo «senza che possa rilevare che a suo tempo sia stato regolarmente trascritto l'atto costitutivo della servitu', con la conseguenza che il terzo acquirente e' legittimato a proporre contro la detta sentenza pronunciata in giudizio, a cui e' rimasto estraneo, l'opposizione di terzo ordinaria prevista dall'art. 404 cpc» (sic. Cass. 5852 del 23 maggio 1991). Cio' precisato, anche al fine della rilevanza della questione nel presente giudizio, si osserva, in punto non manifesta infondatezza, quanto segue. Non e' possibile trascrivere ne' la domanda di mediazione, atteso che l'art. 2653 c.c. con elencazione tassativa, ha riguardo unicamente alle domande giudiziali, come chiaramente desumibile dall'art. 2653 c. 1 che disciplina l'effetto della trascrizione in relazione alla sentenza (ovvero ad un provvedimento di natura giurisdizionale), ne' direttamente il verbale di mediazione (essendo prevista unicamente la possibilita' di trascrivere l'accordo conclusivo di mediazione previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a cio' autorizzato). Ne consegue quindi che, per i diritti reali, la mediazione dovra' sempre essere «doppiata» dal giudizio ordinario (nella forma tradizionale o come art. 702-bis cpc) atteso che, in caso contrario, l'attore vittorioso non potrebbe comunque trascrivere direttamente ne' il verbale di avvenuta positiva mediazione (se non previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a cio' abilitato), ne' soprattutto giovarsi dell'effetto prenotativo della domanda di mediazione (non trascrivibile). Ne consegue che, nel caso di specie, l'attore dovrebbe presentare istanza di mediazione, a pena di improcedibilita' della domanda, quindi iniziare comunque un giudizio trascrivendo la domanda (o comunque svolgere la mediazione nell'ambito del giudizio nel termine fissato dal giudice) e, a prescindere dall'esito della mediazione, chiedere comunque una pronuncia giurisdizionale di merito, atteso che viceversa non potrebbe comunque ne' trascrivere direttamente il verbale di mediazione ne' soprattutto giovarsi dell'effetto prenotativo della domanda (l'effetto prenotativo e' infatti limitato ai casi in cui la trascrizione della domanda si seguita dalla pronuncia di una sentenza o di un provvedimento giurisdizionale analogo alla stessa, come appunto l'ordinanza ex art. 702-ter cpc). La conseguenza di tale previsione e' quindi che nel caso di specie il soggetto procedente si trovera' comunque costretto da un lato a sopportare sia i costi della mediazione sia il pagamento del contributo unificato per l'instaurazione del giudizio, senza in ogni caso potersi giovare dell'effetto deflattivo della prima. Tale situazione, naturale conseguenza dell'impossibilita' di trascrivere sia la domanda di mediazione che direttamente il relativo verbale, contrasta quindi con sia con l'art. 24 della Costituzione sia con l'art. 3 della Costituzione ed in particolare con il principio di ragionevolezza dallo stesso evincibile. Con riferimento alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, va rilevato che i vizi sindacabili dalla Corte costituzionale, possono consistere tanto in una violazione diretta di una norma della Costituzione, quanto nella violazione di una norma implicita, dedotta da un combinato disposto, o dello spirito complessivo della Carta costituzionale. La violazione da ultimo citata viene indicata nella stessa giurisprudenza Costituzionale con il termine di irragionevolezza (in tale senso v. Corte cost. 169/2008). Infatti, e' ben vero che in base all'art. 28 della legge n. 87 del 1953 il controllo di legittimita' della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento; tuttavia, il principio di eguaglianza, contenuto nell'art. 3 della Costituzione, rappresenta il limite ultimo della discrezionalita' del legislatore e, contemporaneamente, il metro minimo di riesame delle sue scelte, imponendo al legislatore stesso un duplice onere: di coerenza (a livello di testo o di settore legislativo: sindacato intrinseco) e di ragionevolezza (a livello di ordinamento costituzionale complessivo e di bilanciamento tra fini e valori costituzionali: sindacato estrinseco). Sotto questo profilo pertanto l'art. 5 del D.lgs risulta quindi contrastare con l'art. 3 e con il principio di ragionevolezza ad esso immanente e l'art. 2653 c. 1 risulta altresi' in contrasto con anche l'art. 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede la trascrivibilita' della domanda di mediazione e, in ogni caso, l'effetto prenotativo della stessa rispetto alla sentenza, nell'ipotesi di conclusione negativa del procedimento di mediazione. 3) L'art. 60 legge 69/09 (legge delega) al terzo comma lett. a) prescrive che nell'esercizio della delega il Governo si attenga al seguente principio a) «prevedere che la mediazione finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia». Secondo la prospettiva attrice la previsione dell'art. 5 D.lgs 28/2010 che ha reso, nelle materie espressamente contemplate, che la mediazione sia condizione di procedibilita' della domanda, si porrebbe in contrasto con la legge delega nella parte in cui non voleva che la mediazione precludesse l'accesso alla giustizia e quindi, sarebbe incostituzionale perche' contrastante con l'art. 77 Cost. In proposito va premesso che la stessa normativa comunitaria, (espressamente richiamata dal legislatore delegante- art. 60 c. 3 lett. c legge 69/2009 che prevedeva di «disciplinare la mediazione nel rispetto della normativa comunitaria») aveva previsto come possibile l'obbligatorieta' della mediazione. L'art. 5 comma 2 della direttiva 21 maggio 2008 n. 2008/52/CE prevede infatti che «La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche' tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario» e nel contempo, definisce la mediazione come procedimento avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro (art. 3). La previsione della mediazione come obbligatoria e come condizione di procedibilita' e' conforme a detta direttiva ed altresi' alla previsione della legge delega che ha posto, quale unico limite, la circostanza che la mediazione non precluda l'accesso alla giustizia. Nel caso di specie la mediazione obbligatoria non preclude l'accesso alla giustizia, e non si pone in tale senso in contrasto con l'art. 24 Cost, atteso che consente di adire il giudice (o di proseguire il giudizio) una volta che sia stato esperito inutilmente il procedimento di mediazione. La previsione peraltro di un termine breve (quattro mesi) entro il quale detto procedimento deve essere assolto, garantisce comunque che non vi sia un aggiramento di detta preclusione (che si avrebbe nel caso fosse stato previsto un termine irragionevolmente lungo). La legge delega si limita a dire che la mediazione non deve precludere l'accesso alla giustizia, senza nulla dire in ordine alla configurazione della stessa come condizione di procedibilita'. Tale natura, attribuitale dalla legge delegata, non si pone pero' in contrasto con la legge delega, che comunque richiamava espressamente la normativa comunitaria (che, come visto, riconosceva la possibilita' di una mediazione obbligatoria). D'altra parte la stessa Corte costituzionale (sentenza 276/2000) ha precisato che «secondo i criteri fissati da questa corte (sentenza 15 del 1999 e anche sentenze 126 e 163 del 2000) l'esame della legge di delega - al fine di valutare la conformita' ad essa della normativa delegata - deve essere condotto procedendo innanzitutto all'interpretazione delle norme della legge di delegazione che determinano i principi e criteri direttivi, da ricostruire tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalita' che ispirano la delega. Successivamente si procede all'interpretazione delle disposizioni emanate in attuazione della delega, tenendo presente che i principi stabiliti dal legislatore delegante, costituiscono non solo il fondamento ed il limite delle norme delegate, ma anche un criterio per la loro interpretazione, in quanto esse vanno lette, finche' possibile, nel significato compatibile con la legge di delega». La previsione dell'obbligatorieta' della mediazione e' compatibile con la previsione dell'art. 60 che ha posto quale unico limite quello di non precludere l'accesso alla giustizia. Ne' sul punto vale obiettare che una previsione siffatta sarebbe stata superflua in quanto ovvia. La stessa disposizione dell'art. 60 prevede infatti una cosa altrettanto ovvia, ovvero che la mediazione debba vertere su diritti disponibili (cosa altrettanto evidente, tenuto presente che la mediazione opera su un piano negoziale e puo' quindi vertere unicamente su diritti disponibili). 4) La previsione della mediazione come condizione di procedibilita' non e' quindi incostituzionale ne' per contrasto con la legge delega ne' di per se' (e in effetti la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimita' costituzionale del tentativo di conciliazione obbligatorio nell'ambito delle controversie di lavoro- Corte cost. 276/2000). L'incostituzionalita', sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sta invece nell'aver previsto una mediazione obbligatoria di tipo oneroso. Il carattere oneroso della mediazione, quale risultante dal combinato disposto degli artt. 16 c.2 e dell'art. 16 c. 4 lettera d) D.M. 18 ottobre 2010 n. 180 (nella versione novellata dal DM 145 del 6 luglio 2011), contrasta infatti con l'art. 24 della Costituzione, atteso che condiziona inevitabilmente l'accesso al giudice al pagamento di una ulteriore somma di denaro. Come correttamente rilevato in dottrina «la mediazione puo' essere obbligatoria oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiche' se la mediazione, come nel nostro caso, e' tanto obbligatoria quanto onerosa, allora e' incostituzionale». Tale conclusione e' peraltro conforme al risalente principio espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza 67/1960 (che aveva dichiarato incostituzionale l'art. 98 cpc sulla cautio pro expensis), secondo la quale lo Stato non puo' pretendere somme di denaro per adempiere al fondamentale dovere di rendere giustizia, salvo che i relativi esborsi non siano riconducibili a tributi giudiziari o servano a garantire l'obbligazione dedotta in giudizio. La previsione di una mediazione obbligatoria a pagamento pertanto si pone in insanabile contrasto con l'art. 24 della Costituzione. 5) Risulta non manifestamente infondato anche il rilievo relativo alla disparita' di trattamento tra attore e convenuto di(art. 3 Cost.); quest'ultimo infatti puo' anche scegliere di non aderire al procedimento, andando quindi esente dal pagamento delle relative spese, mentre, attesa la formulazione letterale dell'art. 16 (che riferisce della possibilita' di adesione o meno alla sola parte "chiamata alla mediazione"), tale possibilita' sembra invece preclusa all'attore. Per quest'ultimo non e' prevista la possibilita' di rinunciare ad avvalersi del servizio, incorrendo quindi comunque nel pagamento sia delle spese di avvio che di mediazione. 6) Non e' condivisibile invece la censura relativa alla contrarieta' dell'art. 4 DM 180/2010 rispetto all'art. 97 della Costituzione, volta ad evidenziare la mancanza di condizioni minime di trasparenza, eguaglianza ed imparzialita' dovute nell'esercizio di una funzione pubblica, quale quella esercitata dai mediatori, attesa la formulazione ampia ed elastica dell'art. 4, che fisserebbe «blandi criteri di professionalita' dei mediatori» senza prevederne appunto i requisiti minimi di professionalita', trasparenza, eguaglianza. La censura, alla luce della formulazione attuale dell'art. 4 e 6, come modificati dall'art. 2-3 del DM 6/7/2011 n. 145, non e' fondata, atteso che e' stata garantita la previsione, demandata al regolamento di «criteri inderogabili per l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea posseduta», nonche' con la modifica apportata all'art. 4, co. 3, lett. b), del D.M. 180/2010, viene ora richiesta, oltre ad una specifica formazione ed aggiornamento almeno biennale del mediatore, anche la partecipazione del medesimo, in forma di' tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso gli Organismi iscritti al registro tenuto presso il Ministero di giustizia. Va infine rilevato d'ufficio un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. L'art. 5 c. 1 D.lgs 28/2010 contrasta nuovamente con l'art. 3 Cost, sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui prevede la mediazione obbligatoria solo per alcuni gruppi di materie e non per altre, sia pure parimenti caratterizzate dalla disponibilita' dei relativi diritti sottostanti. Si pensi al caso della mediazione immobiliare, sottratta alle materia per le quali e' prevista la mediazione obbligatoria o, con riferimento al caso di specie, alla domanda volta a dichiarare la nullita' o pronunciare l'annullamento di un contratto costitutivo di servitu'. Tale domanda, non rientrando in alcuno dei blocchi di materie di cui all'art. 5, potrebbe essere direttamente azionata in giudizio, attenendo ad un contratto per il quale non e' prevista la mediazione obbligatoria (questa infatti e' prevista solo per i contratti assicurativi, bancari e finanziari); al contrario la domanda di accertamento o declaratoria di servitu', involgendo direttamente diritti reali, rientrerebbe appieno nell'ambito delle materie soggette a mediazione obbligatoria. Tale differenziazione, non e' giustificata da alcuna ragionevole scelta di politica legislativa e si pone quindi nuovamente in contrasto con l'art. 3 Cost nell'accezione sopra indicata. In conclusione, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 Dlgs 28/2010 con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, per avere previsto come obbligatoria la mediazione solo per alcune materie e non altre; dell'art. 5 Dlgs 28/2010 e dell'art. 2653 c. 1 nella parte in cui non viene prevista la possibilita' di trascrivere la domanda di mediazione ma prevede unicamente la possibilita' di trascrivere la domanda giudiziale, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione; del combinato disposto degli artt. 5 Dlgs 28/2010 e l'art. 16 DM 10 ottobre 2010 n. 180 nella parte in cui prevedono la mediazione come obbligatoria e onerosa, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;, del combinato disposto degli artt. 5 Dlgs 28/2010 e 16 DM 2010, nella parte in cui prevedono che solo il convenuto possa non aderire al procedimento di mediazione, per violazione dell'art. 3 della Costituzione.