IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa iscritta al n. R.G. 121 dell'anno 2010 vertente tra Roveda Stefano e Lomazzi Anna Paola Daniela, entrambi elettivamente domiciliati in Milano piazza Cinque Giornate n. 10 presso lo studio dell'avv. Alessandro Pividori che li rappresenta e difende come da procura in calce all'atto di ricorso ex art. 696-bis c.p.c., ricorrenti e Immobiliare Vittoria s.r.l., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Busto Arsizio via Libia n. 2 presso lo studio dell'avv. Pier Antonio Introini che la rappresenta e difende come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, resistente. Nonche' Della Valle e Lavelli s.n.c. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Busto Arsizio via F.lli d'Italia 3 presso lo studio degli avv.ti Ezio e Mario Crespi che la rappresentano e difendono come da procura a margine della comparsa di risposta, resistente. Nonche' P.M. Serramenti s.a.s. di Pesenti Patrizio & C., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Busto Arsizio via Cellini n. 22 presso lo studio dell'avv. G. Albe', rappresentata e difesa dagli avv.ti Devis Stefano Cucchi e Francesco Sansegolo del Foro di Bergamo come da procura a margine della comparsa di risposta, terza chiamata; Nonche' Marelli Flavio, elettivamente domiciliato in Gallarate largo Camussi n. 3 presso lo studio dell'avv. Marco Bianchi che lo rappresenta e difende come da procura a margine della comparsa di risposta, terzo chiamato; Nonche' Innecco Biagio, elettivamente domiciliato in Busto Arsizio viale Castelfidardo n. 9 presso lo studio dell'avv. Diego Cornacchia che lo rappresenta e difende come da procura a margine della comparsa di risposta, terzo chiamato; Fatto Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. proposto a seguito di procedimento ex art. 696-bis c.p.c. Roveda Stefano e Lomazzi Anna Paola - premesso di avere acquistato con atto di compravendita del 23.10.2002 da Immobiliare Vittoria s.r.l. la piena proprieta' di un'unita' immobiliare sita in Cairate alla via Dante n. 53 per il corrispettivo di € 299.545,00 - adivano il Tribunale di Busto Arsizio chiedendo la condanna in solido del venditore Immobiliare Vittoria s.r.l. e dell'Impresa Della Valle & Lavelli & C. s.n.c. (che «risulta... abbia preso parte all'attivita' edificatoria»), ex art. 1669 c.c., al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei «vizi da violazione dei requisiti acustici passivi previsti dalla vigente normativa acustica» (in particolare, per il mancato rispetto del d.P.C.m. 5 dicembre 1997) per complessivi €_98.200,00 pari al minor valore dell'immobile cosi' come accertato dal C.T.U. nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c., oltre interessi legali e spese del procedimento di consulenza tecnica preventiva. Si costituiva in giudizio Immobiliare Vittoria s.r.l. eccependo l'intervenuta decadenza degli attori dalla garanzia per vizi ex art. 1669 c.c. nonche' l'intervenuta prescrizione per le domande «riferite ad asseriti vizi diversi da quelli del mancato rispetto dei limiti inerenti l'isolamento di facciata della camera da letto e del soggiorno» e la mancanza di delega al difensore in relazione alla richiesta risarcitoria attinente detti vizi. L'Immobiliare Vittoria chiedeva, comunque, il rigetto della domanda e l'autorizzazione a chiamare in causa il progettista e direttore lavori geom. Marelli Giuseppe nonche' la P.M. Serramenti s.a.s. di Pesenti Patrizio & C. al fine di essere dai predetti «manlevata» da quanto «essa sia tenuta a riconoscere agli attori con vincolo solidale o, in via gradata, in proporzione dell'accertata responsabilita' di ciascuna parte». Si costituiva altresi' in giudizio l'Impresa Della Valle e Lavelli s.n.c. in liquidazione, contestando l'applicabilita' dell'art. 1669 c.c. alla fattispecie denunciata e chiedendo comunque il rigetto della domanda e l'autorizzazione alla chiamata in causa di P.M. Serramenti s.a.s. «per essere dalla stessa garantita e manlevata in caso di accoglimento anche parziale della domanda attorea». La P.M. Serramenti s.a.s. di Pesenti Patrizio & C., chiamata in causa da Immobiliare Vittoria s.r.l. e dall'Impresa Della Valle e Lavelli s.n.c. in liquidazione, si costituiva in giudizio eccependo la carenza di legittimazione attiva in capo a Della Valle e Lavelli s.n.c. in liquidazione, in difetto di qualsiasi rapporto contrattuale con quest'ultima. Nel merito, chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti poiche' infondate. Si costituiva altresi' in giudizio il geom. Marelli Flavio, chiamato in causa da Immobiliare Vittoria s.r.l., assumendo di avere assunto unicamente l'incarico di progettista dell'immobile e responsabile per la sua conformita' architettonica e chiedendo a sua volta di poter chiamare in causa il geom. Inneco Biagio in quanto effettivo D.L. e responsabile delle opere strutturali. Con comparsa ritualmente depositata si costituiva in giudizio il terzo chiamato geom. Inneco Biagio evidenziando che il Marelli non aveva svolto alcuna domanda nei suoi confronti e assumendo che il predetto era sfornito di legittimazione attiva nei suoi confronti. Disposto il mutamento del rito e depositate memorie ex art. 183 coma VI c.p.c. la causa veniva quindi trattenuta in decisione e quindi rimessa sul ruolo ex art. 101 comma secondo c.c. All'esito delle osservazioni svolte dalle parti sulla questione rilevata d'ufficio, la causa veniva nuovamente trattenuta in decisione e parte attrice sollevava, in via subordinata e nella ritenuta ipotesi d'inapplicabilita' del d.P.C.m. 5 dicembre 1997 stante le novita' legislative frattanto intervenute, eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 legge n. 88/2009 cosi' come modificato dall'art. 15 legge 96/2010 per violazione degli artt. 3, 101, 102 e 104 Cost. Diritto La fattispecie in esame ha ad oggetto la pretesa risarcitoria avanzata ex art. 1669 c.c. dall'acquirente di un immobile nei confronti del venditore/costruttore e dell'appaltatore per il mancato rispetto dei requisiti acustici passivi degli edifici fissati dal d.P.C.m. del 5 dicembre 2007. In particolare, dalla lettura delle conclusioni del ricorso ex art. 702 c.p.c. introduttivo del presente giudizio e della narrativa dell'atto si evince chiaramente che a fondamento della domanda i ricorrenti hanno inteso porre non gia', genericamente, la violazione delle regole dell'arte nella costruzione degli edifici da parte del venditore/costruttore e dell'appaltatore, bensi', piu' specificamente, la violazione dei requisiti acustici passivi previsti dalla vigente normativa acustica e, segnatamente, dal d.P.C.m. del 5 dicembre 2007. A tal fine parte ricorrente chiedeva peraltro la formale acquisizione del fascicolo del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. R.G. 2940/09 nell'ambito del quale era stata espletata una c.t.u. volta ad accertare «se siano stati rispettati i limiti imposti dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997, determinando altresi' in caso di violazione il minor valore dell'immobile rispetto al prezzo dell'acquisto ...». La fattispecie che questo Giudice si trova ad esaminare, dunque, verte specificamente sull'asserita violazione dei requisiti acustici passivi degli edifici fissati dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997. Orbene, il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 «Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici», che determina i requisiti acustici delle sorgenti sonore interne agli edifici ed i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti in opera, al fine di ridurre l'esposizione umana al rumore (art. 1), venne emanato in ottemperanza a quanto disposto dall'art. 3 comma 1 lettera e) della legge n. 447/1995 (legge quadro in materia d'inquinamento acustico). Con il d.P.C.m. in questione il legislatore ha prescritto dei limiti espressi in decibel che gli edifici, costruiti dopo la sua entrata in vigore, devono rispettare. E' evidente che quanto previsto dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997 e' espressione della potesta' normativa secondaria rispetto alla potesta' legislativa e disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico, con precetti che presentano, appunto, i caratteri della generalita' e dell'astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilita' nel tempo dell'applicazione delle norme e non determinabilita' dei soggetti cui si riferiscono. Il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 ha quindi carattere normativo prevedendo un precetto, con la funzione di disciplinare ed indirizzare l'attivita' dei costruttori edili e delle figure professionali che entrano in gioco (progettista, direttore dei lavori, tecnici acustici, ecc.) imponendo ai medesimi obblighi di comportamento ben individuati: ossia, il rispetto dei parametri in esso previsti. Con il crescere della sensibilita' e dell'attenzione a livello europeo all'inquinamento acustico in generale il legislatore comunitario ha promulgato la direttiva 2002/49/CE. Tale direttiva e' relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale e si pone come la prima direttiva quadro del settore con l'obiettivo di definire un comune approccio per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi del rumore ambientale. Il decreto legislativo n. 194 del 2005 ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2002/49/CE. L'art. 14 della legge comunitaria 2003 (legge n. 306 del 2003) aveva poi previsto l'emanazione di un decreto legislativo di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative in materia di tutela dall'inquinamento acustico, nel rispetto dei principi e delle disposizioni comunitarie gia' vigenti in materia. La delega recata da tale provvedimento non e' stata esercitata entro il termine previsto (30 giugno 2004) e successivamente, con l'entrata in vigore dell'articolo 11 della legge n. 88/2009 (cd. Legge Comunitaria 2008), e' stata prevista una ulteriore delega al Governo in materia di inquinamento acustico, ai fini dell'integrazione nell'ordinamento della direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, e per assicurare l'omogeneita' delle normative di settore, mediante l'emanazione di uno o piu' decreti legislativi. Oggetto della delega e' il riordino e la riforma della normativa in materia di tutela dell'ambiente esterno e di quello abitativo dall'inquinamento acustico, in materia di requisiti acustici degli edifici e di determinazione del rumore ambientale. Con riguardo al caso di specie, ossia ai requisiti acustici passivi degli edifici previsti dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997, l'articolo 11, comma 5°, della legge n. 88/2009 rubricato «Delega al Governo per il riordino e la disciplina in materia di inquinamento acustico» cosi' prevedeva: «In attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge». A distanza di un anno, pero', l'articolo 15 della legge n. 96/2010 (cd. Legge comunitaria 2009) rubricato «Modifiche all'articolo 11 della legge 7 luglio 2009, n. 88, in materia di inquinamento acustico» alla lettera c) ha previsto che «All'articolo 11 della legge 7 luglio 2009, n. 88 sono apportate le seguenti modificazioni: ... c) Il comma 5 e' sostituito dal seguente: «In attesa dell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1 l'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d'arte asseverata da un tecnico abilitato». Orbene, e' del tutto evidente la rilevanza dell'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata da parte ricorrente con riferimento alla norma anzidetta, posto che il presente giudizio verte sulla responsabilita' ex art. 1169 c.c. del venditore/costruttore e dell'appaltatore per violazione del d.P.C.m. 5 dicembre 1997 che la norma tacciata d'incostituzionalita' ed entrata in vigore in pendenza di giudizio ha reso inapplicabile alla fattispecie in esame. Invero, l'applicazione della norma de qua (falsamente interpretativa, come di seguito verra' illustrato) comporta che il mancato rispetto dei valori di isolamento acustico di cui al d.P.C.m. del 1997 non puo' costituire fonte di responsabilita' per il venditore/costruttore nei confronti dell'acquirente, andando pertanto a incidere su tutte le situazioni pregresse confluite nei contratti di vendita degli immobili (come, appunto, quella in esame), tranne i casi in cui sia gia' intervenuta una sentenza definitiva che riconosca detta responsabilita' e fatta salva comunque l'esecuzione a regola d'arte dei lavori. In definitiva l'art. 15 lett. c legge 96/2010 ha inteso far retroagire la non applicabilita' ab initio dei requisiti acustici passivi degli edifici fissati dal d.P.C.m. del 5 dicembre 1997 nei rapporti tra privati, facendo si' che in tutti i giudizi in corso (ivi compreso il presente) venisse meno il parametro di valutazione che era stato assunto da coloro che, durante la sua vigenza, avevano avviato azioni giudiziali assumendo la violazione, appunto, del d.P.C.m. 5 dicembre 1997. Peraltro, poiche' nel caso in esame si verte in materia di diritti c.d. etero determinati, sarebbe comunque inibito al Giudice di riqualificare la domanda ponendo alla base della richiesta risarcitoria avanzata dai ricorrenti una causa petendi diversa da quella dai medesimi prospettata (es. il mancato rispetto delle c.d. regole dell'arte). La questione di legittimita' costituzionale prospettata dai ricorrenti appare altresi' non manifestamente infondata per le ragioni di seguito illustrate. Dalla lettura del testo della norma summenzionata, si evince che: a) l'articolo 15 della legge 96/2010 lettera c), si pone come norma di interpretazione autentica di altra precedente norma; b) la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati; c) la non applicazione della predetta disciplina e' temporanea sino alla emanazione dei decreti legislativi che il Governo su delega del Parlamento dovra' emanare «[...] per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, di requisiti acustici degli edifici e di determinazione e gestione del rumore ambientale [...]» cosi' come previsto dal combinato disposto del 1° comma dell'articolo 15 legge 96/2010 e del 1° comma dell'articolo 11 legge 88/2009; d) vengono, tuttavia fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato e la corretta esecuzione a regola d'arte asseverata da un tecnico abilitato. Orbene, ad avviso del giudicante la c.d. «norma interpretata» e' chiara, non necessita di interpretazione e non ha dato adito a contrasti giurisprudenziali sul suo contenuto. Ne consegue che la «norma interpretante» e' una norma innovativa, quindi falsamente interpretativa. Invero, non e' sufficiente che una norma si auto qualifichi come interpretativa e quindi retroattiva per escluderne la portata innovativa, occorrendo a questo fine un indefettibile presupposto, ovvero che sussista incertezza oggettiva sull'ambito d'applicazione della c.d. norma interpretata. Sul punto, va in primo luogo evidenziato che l'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale prevede che «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo» e che, ai sensi del successivo articolo 12, «nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore. Se una controversia non puo' essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato». Tuttavia, allorquando una disposizione normativa ha significato equivoco, determinando per tale ragione un'incertezza oggettiva sul suo ambito di applicazione e quindi la nascita, di un contrasto giurisprudenziale sulla sua interpretazione, il legislatore con una c.d. norma d'interpretazione autentica, non innovativa, puo' scegliere quale delle varie interpretazioni sia da considerare espressione della voluntas legislatoris. Proprio perche' sceglie fra interpretazioni possibili quella «autentica», tale legge e' retroattiva, dispiega i suoi effetti ex tunc, dal momento in cui la legge oggetto di interpretazione e' entrata in vigore, e non solamente ex nunc; con l'unico limite di far salvi gli effetti di eventuali sentenze passate in giudicato. Tuttavia, come chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza 4.04.1990 n. 155) «non ha carattere di interpretazione autentica una norma che, anziche' chiarire il significato di una disciplina precedente ovvero privilegiarne una fra le piu' possibili interpretazioni, venga ad innovarne il contenuto. Nella misura in cui si ponga come interpretativa, e dotata conseguentemente di efficacia retroattiva, tale norma risulta percio' incostituzionale (sulla base di detti principi e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 3 comma 3 della legge 25 febbraio 1987 n. 67)». Piu' in generale, del resto, le norme interpretative debbono in ogni caso sottostare ai principi costituzionali come ricordati da altra pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 22.11.2000 n. 525), la quale ha statuito che «l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica e' soggetta, tra gli altri, al limite del rispetto del principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, principio che trova applicazione anche in materia processuale e che nel caso di specie deve ritenersi violato in conseguenza della non prevedibilita' della soluzione interpretativa adottata dal legislatore, rispetto a quelle affermatesi nella prassi». Anche recentemente la Corte costituzionale con sentenza n. 234/2007 ha enunciato il principio per cui «nel rispetto del limite segnato dall'art. 25 cost., il legislatore puo' emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano - chiarendola - la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente gia' espresso della stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti». Anche il Consiglio di Stato con la sentenza n. 8759 del 28.12.2009 ha statuito che una norma interpretativa ad efficacia retroattiva puo' considerarsi costituzionalmente legittima (soltanto) a condizione che la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dalla ordinaria esegesi della stessa (in tal senso ex plurimis Consiglio di Stato, V, 2.07.02 n. 3612); l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica e' soggetta al limite del principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, con la conseguenza dell'illegittimita' costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (Corte cost. 525/2000, Corte cost. 234/2007). Inoltre, fondamentale nel nostro ordinamento giuridico e' il principio della ragionevolezza della leggi quale corollario del principio di uguaglianza, elaborato dalla Corte costituzionale. Il principio di ragionevolezza esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore. Si ha dunque violazione del principio di ragionevolezza, quando si riscontri una contraddizione all'interno di una disposizione legislativa, oppure tra essa ed il pubblico interesse perseguito. Il principio in esame costituisce dunque un limite al potere discrezionale del legislatore, che ne impedisce un esercizio arbitrario. La verifica della ragionevolezza di una legge comporta l'indagine sui suoi presupposti di fatto, la valutazione della congruenza tra mezzi e fini, l'accertamento degli stessi fini. Nel caso si accerti l'irragionevolezza della legge, essa sara' affetta dal vizio dell'eccesso di potere legislativo e, in quanto tale, potra' essere ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale. La Corte costituzionale con le sentenze n. 7 del 1973 e n. 7 del 1975 che nell'esercizio di discrezionalita' del legislatore deve essere rinvenibile una ragionevolezza di fondo. Il legislatore puo' parificare e diversificare, ma nei limiti della ragionevolezza e degli altri principi costituzionali. Una scelta del legislatore deve essere valutata rispetto a due requisiti di validita': nella legge deve essere individuabile una finalita' e questa deve essere una finalita' apprezzabile costituzionalmente. Orbene, la lettera c) dell'articolo 15 della legge n. 96/2010 e' esplicitamente qualificata come disposizione modificativa/interpretativa dell'articolo 11 comma 5 legge 88/09. Essa, lo si ripete, recita: Art. 15. (Modifiche all'articolo 11 della legge 7 luglio 2009, n. 88, in materia di inquinamento acustico) 1. All'articolo 11 della legge 7 luglio 2009, n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni: ... c) il comma 5 e' sostituito dal seguente: «5. In attesa dell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d'arte asseverata da un tecnico abilitato». Il senso della norma interpretata, pero', e' chiaro, ovvero nessun dubbio e' mai stato sollevato in giurisprudenza circa l'applicabilita' del d.P.C.m. 5 dicembre 1997 nei rapporti tra privati e costruttori di alloggi, tanto e' vero che la stessa legge n. 88/09 - nella versione antecedente alla modifica apportata dalla legge 96/2010 - dichiarava pacificamente applicabile il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 nei rapporti tra privati sorti antecedentemente alla sua entrata in vigore. Al contrario, l'aberrante e distorta disposizione normativa di cui alla lettera c) dell'articolo 15 della legge n. 96/2010 (mascherata formalmente come norma di interpretazione autentica), a differenza di quanto previsto dal precedente comma 5 dell'articolo 11 della legge n. 88/2009 ha un effetto innovativo con efficacia retroattiva alla data dell'entrata in vigore della norma interpretata. La disposizione contenuta nella lettera c) dell'articolo 15 della legge n. 96/2010, sostanzialmente, pur utilizzando il modulo formale lessicale proprio della norma interpretativa ha dunque introdotto una disciplina del tutto nuova, dotata di forza retroattiva. Pertanto, non configura una norma di interpretazione autentica, bensi' una norma del tutto nuova destinata a svolgere i propri effetti ex tunc. Peraltro, l'articolo 15 lettera c) della legge n. 96/2010, anche per il suo contenuto retroattivo (e falsamente interpretativo) - oltre a incorrere in un eccesso di potere conseguente all'uso deviato dello strumento dell'interpretazione autentica - ha operato una lesione di alcuni valori costituzionali contemplati dagli articoli 3 e 24 della Costituzione oltre che del principio generale della irretroattivita' delle leggi contemplato nell'articolo 11 delle disposizioni generali delle leggi che seppur non elevato, fuori dalla materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva una effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini. In conclusione, la norma prevista dall'articolo 15 lettera c) della legge n. 96/2010 e' da ritenersi incostituzionale per le seguenti ragioni: a) viola l'art. 3 della Costituzione, in quanto e' suscettibile di produrre una ingiustificata disparita' di trattamento tra coloro che hanno gia' conseguito, in via pattizia o giudiziaria, un risarcimento a fronte dell'acquisto di un immobile acusticamente viziato e coloro che, pur trovandosi nella stessa situazione, non possono, invece, piu' conseguirlo; b) risulta affetta da eccesso di potere legislativo, non essendo fondata su di una adeguata causa giustificativa, risultando comunque priva di natura interpretativa e, pur non abrogando il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 nei rapporti pubblicistici (che tradotto significa che il Comune nel concedere il permesso di costruire e nel rilasciare il certificato di agibilita' deve pretendere il rispetto dei requisiti acustici passivi in vigore) nello stesso tempo lo disapplica ai rapporti tra privati, con la conseguenza di non salvaguardare i diritti del cittadino che acquista l'unita' abitativa e che e' il vero destinatario degli effetti (ossia tutela dal rumore) che il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 persegue; c) si presenta lesiva di vari principi di rilievo costituzionale quali la tutela dell'affidamento legittimante sorto nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto e la tutela della certezza dei rapporti giuridici, della coerenza dell'ordinamento giuridico; d) viola l'art. 24 della Costituzione in quanto irragionevolmente limita il diritto di difesa non permettendo la relativa azione dei proprietari degli immobili compravenduti nei confronti dei soggetti responsabili della non corretta esecuzione delle opere; d) viola le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario dagli artt. 101, 102, 104 cost. Invero, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato il principio secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie «sub judice» (cfr. Corte Cost. nn. 397/94, 6/94, 429/93, 424/93, 283/93, 39/93, 440/92, 429/91 ed altre). Si tratta, allora, di stabilire se la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri della generalita' ed astrattezza, ovvero sia diretto ad incidere su concrete fattispecie «sub judice» a vantaggio di una delle due parti del giudizio (nel caso di specie il costruttore a svantaggio dell'acquirente).