IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  di  rimessione  degli  atti
alla Corte  costituzionale  nella  causa  iscritta  al  n.  R.G.  121
dell'anno 2010 vertente tra  Roveda  Stefano  e  Lomazzi  Anna  Paola
Daniela, entrambi elettivamente domiciliati in Milano  piazza  Cinque
Giornate n. 10 presso lo studio dell'avv. Alessandro Pividori che  li
rappresenta e difende come da procura in calce all'atto di ricorso ex
art. 696-bis c.p.c., ricorrenti e  Immobiliare  Vittoria  s.r.l.,  in
persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Busto
Arsizio via Libia n.  2  presso  lo  studio  dell'avv.  Pier  Antonio
Introini che la rappresenta e difende come da procura a margine della
comparsa di costituzione e risposta, resistente. 
    Nonche' Della Valle e Lavelli s.n.c. in liquidazione, in  persona
del liquidatore  pro  tempore,  elettivamente  domiciliata  in  Busto
Arsizio via F.lli d'Italia 3 presso lo studio  degli  avv.ti  Ezio  e
Mario Crespi che la rappresentano  e  difendono  come  da  procura  a
margine della comparsa di risposta, resistente. 
    Nonche' P.M. Serramenti s.a.s.  di  Pesenti  Patrizio  &  C.,  in
persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Busto
Arsizio via Cellini n.  22  presso  lo  studio  dell'avv.  G.  Albe',
rappresentata e difesa dagli avv.ti Devis Stefano Cucchi e  Francesco
Sansegolo del Foro  di  Bergamo  come  da  procura  a  margine  della
comparsa di risposta, terza chiamata; 
    Nonche' Marelli Flavio, elettivamente  domiciliato  in  Gallarate
largo Camussi n. 3 presso lo studio dell'avv. Marco  Bianchi  che  lo
rappresenta e difende come da procura a  margine  della  comparsa  di
risposta, terzo chiamato; 
    Nonche'  Innecco  Biagio,  elettivamente  domiciliato  in   Busto
Arsizio viale Castelfidardo n. 9 presso  lo  studio  dell'avv.  Diego
Cornacchia che lo rappresenta e difende come  da  procura  a  margine
della comparsa di risposta, terzo chiamato; 
 
                                Fatto 
 
    Con  ricorso  ex  art.  702-bis  c.p.c.  proposto  a  seguito  di
procedimento ex art. 696-bis c.p.c. Roveda  Stefano  e  Lomazzi  Anna
Paola - premesso di avere acquistato con atto  di  compravendita  del
23.10.2002 da Immobiliare Vittoria  s.r.l.  la  piena  proprieta'  di
un'unita' immobiliare sita in Cairate alla via Dante  n.  53  per  il
corrispettivo di € 299.545,00 - adivano il Tribunale di Busto Arsizio
chiedendo la condanna in solido del  venditore  Immobiliare  Vittoria
s.r.l. e  dell'Impresa  Della  Valle  &  Lavelli  &  C.  s.n.c.  (che
«risulta... abbia preso parte all'attivita' edificatoria»),  ex  art.
1669 c.c., al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei  «vizi
da violazione dei requisiti acustici passivi previsti  dalla  vigente
normativa acustica» (in particolare,  per  il  mancato  rispetto  del
d.P.C.m. 5 dicembre 1997) per complessivi €_98.200,00 pari  al  minor
valore dell'immobile cosi' come accertato dal C.T.U. nel procedimento
ex  art.  696-bis  c.p.c.,  oltre  interessi  legali  e   spese   del
procedimento di consulenza tecnica preventiva. 
    Si costituiva in giudizio Immobiliare Vittoria  s.r.l.  eccependo
l'intervenuta decadenza degli attori dalla garanzia per vizi ex  art.
1669 c.c. nonche' l'intervenuta prescrizione per le domande «riferite
ad asseriti vizi diversi da quelli del mancato  rispetto  dei  limiti
inerenti l'isolamento  di  facciata  della  camera  da  letto  e  del
soggiorno» e la mancanza di delega al  difensore  in  relazione  alla
richiesta risarcitoria attinente detti vizi.  L'Immobiliare  Vittoria
chiedeva, comunque, il rigetto della  domanda  e  l'autorizzazione  a
chiamare in causa il progettista e  direttore  lavori  geom.  Marelli
Giuseppe nonche' la P.M. Serramenti s.a.s. di Pesenti Patrizio  &  C.
al fine di essere dai predetti «manlevata» da quanto «essa sia tenuta
a riconoscere agli attori con vincolo solidale o, in via gradata,  in
proporzione dell'accertata responsabilita' di ciascuna parte». 
    Si costituiva  altresi'  in  giudizio  l'Impresa  Della  Valle  e
Lavelli  s.n.c.   in   liquidazione,   contestando   l'applicabilita'
dell'art. 1669 c.c. alla fattispecie denunciata e chiedendo  comunque
il rigetto della domanda e l'autorizzazione alla chiamata in causa di
P.M. Serramenti s.a.s. «per essere dalla stessa garantita e manlevata
in caso di accoglimento anche parziale della domanda attorea». 
    La P.M. Serramenti s.a.s. di Pesenti Patrizio & C.,  chiamata  in
causa da Immobiliare Vittoria s.r.l. e  dall'Impresa  Della  Valle  e
Lavelli s.n.c. in liquidazione, si costituiva in  giudizio  eccependo
la carenza di legittimazione attiva in capo a Della Valle  e  Lavelli
s.n.c. in liquidazione, in difetto di qualsiasi rapporto contrattuale
con quest'ultima. Nel  merito,  chiedeva  il  rigetto  delle  domande
svolte nei suoi confronti poiche' infondate. 
    Si costituiva altresi'  in  giudizio  il  geom.  Marelli  Flavio,
chiamato in causa da Immobiliare Vittoria s.r.l., assumendo di  avere
assunto  unicamente  l'incarico  di   progettista   dell'immobile   e
responsabile per la sua conformita' architettonica e chiedendo a  sua
volta di poter chiamare in causa il geom.  Inneco  Biagio  in  quanto
effettivo D.L. e responsabile delle opere strutturali. 
    Con comparsa ritualmente depositata si costituiva in giudizio  il
terzo chiamato geom. Inneco Biagio evidenziando che  il  Marelli  non
aveva svolto alcuna domanda nei suoi confronti  e  assumendo  che  il
predetto era sfornito di legittimazione attiva nei suoi confronti. 
    Disposto il mutamento del rito e depositate memorie ex  art.  183
coma VI c.p.c. la causa  veniva  quindi  trattenuta  in  decisione  e
quindi rimessa sul ruolo ex art. 101 comma secondo c.c. 
    All'esito delle osservazioni svolte dalle parti  sulla  questione
rilevata  d'ufficio,  la  causa  veniva  nuovamente   trattenuta   in
decisione e parte attrice  sollevava,  in  via  subordinata  e  nella
ritenuta ipotesi d'inapplicabilita'  del  d.P.C.m.  5  dicembre  1997
stante le novita' legislative  frattanto  intervenute,  eccezione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11 legge n. 88/2009 cosi'  come
modificato dall'art. 15 legge 96/2010 per violazione degli  artt.  3,
101, 102 e 104 Cost. 
 
                               Diritto 
 
    La fattispecie in esame ha ad  oggetto  la  pretesa  risarcitoria
avanzata ex  art.  1669  c.c.  dall'acquirente  di  un  immobile  nei
confronti del venditore/costruttore e dell'appaltatore per il mancato
rispetto dei requisiti acustici passivi  degli  edifici  fissati  dal
d.P.C.m. del 5 dicembre 2007. 
    In particolare, dalla lettura delle conclusioni  del  ricorso  ex
art. 702 c.p.c. introduttivo del presente giudizio e della  narrativa
dell'atto si evince chiaramente che  a  fondamento  della  domanda  i
ricorrenti hanno inteso porre non gia', genericamente, la  violazione
delle regole dell'arte nella costruzione degli edifici da  parte  del
venditore/costruttore    e     dell'appaltatore,     bensi',     piu'
specificamente, la violazione dei requisiti acustici passivi previsti
dalla vigente normativa acustica e, segnatamente, dal d.P.C.m. del  5
dicembre 2007. A tal  fine  parte  ricorrente  chiedeva  peraltro  la
formale acquisizione del fascicolo del procedimento ex  art.  696-bis
c.p.c. R.G. 2940/09 nell'ambito del quale  era  stata  espletata  una
c.t.u. volta ad accertare «se siano stati rispettati i limiti imposti
dal d.P.C.m. 5  dicembre  1997,  determinando  altresi'  in  caso  di
violazione  il  minor  valore  dell'immobile   rispetto   al   prezzo
dell'acquisto ...». 
    La fattispecie che questo Giudice si trova ad esaminare,  dunque,
verte specificamente sull'asserita violazione dei requisiti  acustici
passivi degli edifici fissati dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997. 
    Orbene, il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 «Determinazione dei requisiti
acustici passivi degli edifici», che determina i  requisiti  acustici
delle sorgenti sonore interne agli edifici ed  i  requisiti  acustici
passivi degli edifici e dei loro componenti  in  opera,  al  fine  di
ridurre l'esposizione umana al rumore  (art.  1),  venne  emanato  in
ottemperanza a quanto disposto dall'art. 3 comma 1 lettera  e)  della
legge n. 447/1995 (legge quadro in materia d'inquinamento  acustico).
Con il d.P.C.m. in questione il legislatore ha prescritto dei  limiti
espressi in decibel che gli edifici, costruiti dopo la sua entrata in
vigore, devono rispettare. 
    E' evidente che quanto previsto dal d.P.C.m. 5 dicembre  1997  e'
espressione  della  potesta'  normativa  secondaria   rispetto   alla
potesta' legislativa  e  disciplina  in  astratto  tipi  di  rapporti
giuridici mediante una  regolazione  attuativa  o  integrativa  della
legge, ma ugualmente innovativa rispetto  all'ordinamento  giuridico,
con precetti che presentano, appunto, i caratteri della generalita' e
dell'astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilita' nel  tempo
dell'applicazione delle norme e non determinabilita' dei soggetti cui
si riferiscono. Il d.P.C.m.  5  dicembre  1997  ha  quindi  carattere
normativo prevedendo un precetto, con la funzione di disciplinare  ed
indirizzare  l'attivita'  dei  costruttori  edili  e   delle   figure
professionali  che  entrano  in  gioco  (progettista,  direttore  dei
lavori, tecnici acustici, ecc.) imponendo  ai  medesimi  obblighi  di
comportamento ben individuati: ossia, il rispetto  dei  parametri  in
esso previsti. 
    Con il crescere della sensibilita' e  dell'attenzione  a  livello
europeo  all'inquinamento  acustico  in   generale   il   legislatore
comunitario ha promulgato la direttiva 2002/49/CE. Tale direttiva  e'
relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale  e
si pone come la prima direttiva quadro del settore con l'obiettivo di
definire un comune approccio per evitare,  prevenire  o  ridurre  gli
effetti nocivi del rumore ambientale. 
    Il decreto legislativo n. 194 del 2005  ha  recepito  nel  nostro
ordinamento la direttiva 2002/49/CE. 
    L'art. 14 della legge comunitaria 2003 (legge n.  306  del  2003)
aveva  poi  previsto  l'emanazione  di  un  decreto  legislativo   di
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative
in materia di tutela dall'inquinamento  acustico,  nel  rispetto  dei
principi e delle disposizioni comunitarie gia' vigenti in materia. La
delega recata da tale provvedimento non e' stata esercitata entro  il
termine previsto (30 giugno 2004) e successivamente, con l'entrata in
vigore dell'articolo 11 della legge n. 88/2009 (cd. Legge Comunitaria
2008), e' stata prevista una ulteriore delega al Governo  in  materia
di inquinamento acustico, ai fini dell'integrazione  nell'ordinamento
della direttiva  2002/49/CE,  relativa  alla  determinazione  e  alla
gestione del rumore ambientale, e per assicurare l'omogeneita'  delle
normative di settore, mediante l'emanazione di  uno  o  piu'  decreti
legislativi. Oggetto della delega e' il riordino e la  riforma  della
normativa in materia di tutela  dell'ambiente  esterno  e  di  quello
abitativo  dall'inquinamento  acustico,  in  materia   di   requisiti
acustici degli edifici e di determinazione del rumore ambientale. 
    Con riguardo al caso  di  specie,  ossia  ai  requisiti  acustici
passivi  degli  edifici  previsti  dal  d.P.C.m.  5  dicembre   1997,
l'articolo 11, comma 5°, della legge n. 88/2009 rubricato «Delega  al
Governo per il riordino e la disciplina in  materia  di  inquinamento
acustico» cosi' prevedeva: «In attesa del riordino della materia,  la
disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei
loro componenti di cui all'articolo 3, comma  1,  lettera  e),  della
legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova  applicazione  nei  rapporti
tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori
e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in
vigore della presente legge». 
    A distanza di un  anno,  pero',  l'articolo  15  della  legge  n.
96/2010   (cd.   Legge   comunitaria   2009)   rubricato   «Modifiche
all'articolo 11 della legge 7 luglio  2009,  n.  88,  in  materia  di
inquinamento acustico» alla lettera c) ha previsto che  «All'articolo
11 della legge 7 luglio  2009,  n.  88  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: ... c) Il comma 5  e'  sostituito  dal  seguente:  «In
attesa dell'emanazione dei decreti legislativi  di  cui  al  comma  1
l'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26  ottobre  1995,  n.
447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai  requisiti
acustici passivi degli  edifici  e  dei  loro  componenti  non  trova
applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti
tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli
effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in  giudicato  e  la
corretta esecuzione dei lavori  a  regola  d'arte  asseverata  da  un
tecnico abilitato». 
    Orbene, e' del tutto  evidente  la  rilevanza  dell'eccezione  di
legittimita'  costituzionale  sollevata  da  parte   ricorrente   con
riferimento alla norma anzidetta,  posto  che  il  presente  giudizio
verte   sulla    responsabilita'    ex    art.    1169    c.c.    del
venditore/costruttore e dell'appaltatore per violazione del  d.P.C.m.
5 dicembre  1997  che  la  norma  tacciata  d'incostituzionalita'  ed
entrata in vigore in pendenza di giudizio ha reso inapplicabile  alla
fattispecie in esame. 
    Invero,   l'applicazione   della   norma   de   qua   (falsamente
interpretativa, come di seguito verra' illustrato)  comporta  che  il
mancato rispetto dei valori di isolamento acustico di cui al d.P.C.m.
del  1997  non  puo'  costituire  fonte  di  responsabilita'  per  il
venditore/costruttore nei confronti dell'acquirente, andando pertanto
a incidere su tutte le situazioni pregresse confluite  nei  contratti
di vendita degli immobili (come, appunto, quella in esame), tranne  i
casi  in  cui  sia  gia'  intervenuta  una  sentenza  definitiva  che
riconosca detta responsabilita' e fatta salva comunque l'esecuzione a
regola d'arte dei lavori. 
    In definitiva l'art. 15 lett.  c  legge  96/2010  ha  inteso  far
retroagire la non applicabilita' ab  initio  dei  requisiti  acustici
passivi degli edifici fissati dal d.P.C.m. del 5  dicembre  1997  nei
rapporti tra privati, facendo si' che in tutti  i  giudizi  in  corso
(ivi compreso il presente) venisse meno il parametro  di  valutazione
che era stato assunto da coloro che, durante la sua vigenza,  avevano
avviato azioni  giudiziali  assumendo  la  violazione,  appunto,  del
d.P.C.m. 5 dicembre 1997. 
    Peraltro, poiche' nel caso  in  esame  si  verte  in  materia  di
diritti c.d. etero determinati, sarebbe comunque inibito  al  Giudice
di  riqualificare  la  domanda  ponendo  alla  base  della  richiesta
risarcitoria avanzata dai ricorrenti una  causa  petendi  diversa  da
quella dai medesimi prospettata (es. il mancato rispetto  delle  c.d.
regole dell'arte). 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata  dai
ricorrenti  appare  altresi'  non  manifestamente  infondata  per  le
ragioni di seguito illustrate. 
    Dalla lettura del testo della norma summenzionata, si evince che: 
        a) l'articolo 15 della legge 96/2010 lettera c), si pone come
norma di interpretazione autentica di altra precedente norma; 
        b) la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli
edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra
privati; 
        c)  la  non  applicazione  della   predetta   disciplina   e'
temporanea sino  alla  emanazione  dei  decreti  legislativi  che  il
Governo su  delega  del  Parlamento  dovra'  emanare  «[...]  per  il
riassetto e la riforma  delle  disposizioni  vigenti  in  materia  di
tutela    dell'ambiente    esterno    e    dell'ambiente    abitativo
dall'inquinamento acustico, di requisiti acustici degli edifici e  di
determinazione e gestione del rumore  ambientale  [...]»  cosi'  come
previsto dal combinato disposto del 1° comma dell'articolo  15  legge
96/2010 e del 1° comma dell'articolo 11 legge 88/2009; 
        d) vengono, tuttavia fatti salvi gli effetti  delle  sentenze
passate in  giudicato  e  la  corretta  esecuzione  a  regola  d'arte
asseverata da un tecnico abilitato. 
    Orbene, ad avviso del giudicante la c.d. «norma interpretata»  e'
chiara, non necessita di  interpretazione  e  non  ha  dato  adito  a
contrasti giurisprudenziali sul suo contenuto.  Ne  consegue  che  la
«norma interpretante» e'  una  norma  innovativa,  quindi  falsamente
interpretativa. 
    Invero, non e' sufficiente che una norma si auto qualifichi  come
interpretativa  e  quindi  retroattiva  per  escluderne  la   portata
innovativa, occorrendo a questo fine  un  indefettibile  presupposto,
ovvero che sussista incertezza oggettiva  sull'ambito  d'applicazione
della c.d. norma interpretata. 
    Sul punto, va in primo luogo evidenziato che l'articolo 11  delle
disposizioni sulla legge  in  generale  prevede  che  «la  legge  non
dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»  e  che,
ai sensi del successivo articolo 12, «nell'applicare la legge non  si
puo' ad essa attribuire altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal
significato proprio delle parole secondo la  connessione  di  esse  e
dall'intenzione del legislatore. Se una controversia non puo'  essere
decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni
che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora
dubbio,  si  decide  secondo  i  principi  generali  dell'ordinamento
giuridico dello Stato». 
    Tuttavia, allorquando una disposizione normativa  ha  significato
equivoco, determinando per tale ragione un'incertezza  oggettiva  sul
suo ambito di applicazione e  quindi  la  nascita,  di  un  contrasto
giurisprudenziale sulla sua interpretazione, il legislatore  con  una
c.d.  norma  d'interpretazione  autentica,   non   innovativa,   puo'
scegliere  quale  delle  varie  interpretazioni  sia  da  considerare
espressione della voluntas legislatoris. 
    Proprio perche'  sceglie  fra  interpretazioni  possibili  quella
«autentica», tale legge e' retroattiva, dispiega i  suoi  effetti  ex
tunc, dal momento in cui  la  legge  oggetto  di  interpretazione  e'
entrata in vigore, e non solamente ex nunc; con l'unico limite di far
salvi gli effetti di eventuali sentenze passate in giudicato. 
    Tuttavia, come  chiarito  dalla  Corte  costituzionale  (sentenza
4.04.1990 n. 155) «non ha carattere di interpretazione autentica  una
norma  che,  anziche'  chiarire  il  significato  di  una  disciplina
precedente  ovvero  privilegiarne   una   fra   le   piu'   possibili
interpretazioni, venga ad innovarne il contenuto. Nella misura in cui
si ponga come interpretativa, e dotata conseguentemente di  efficacia
retroattiva, tale norma risulta percio' incostituzionale (sulla  base
di detti principi e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art.
3 comma 3 della legge 25 febbraio 1987 n. 67)». Piu' in generale, del
resto, le norme interpretative debbono in  ogni  caso  sottostare  ai
principi costituzionali come ricordati da altra pronuncia della Corte
costituzionale (sentenza 22.11.2000 n. 525), la quale ha statuito che
«l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica  e'
soggetta, tra  gli  altri,  al  limite  del  rispetto  del  principio
dell'affidamento  dei  consociati  nella  certezza   dell'ordinamento
giuridico,  principio  che  trova  applicazione  anche   in   materia
processuale e che nel  caso  di  specie  deve  ritenersi  violato  in
conseguenza della non prevedibilita' della  soluzione  interpretativa
adottata  dal  legislatore,  rispetto  a  quelle  affermatesi   nella
prassi». Anche recentemente la Corte costituzionale con  sentenza  n.
234/2007 ha enunciato il principio per cui «nel rispetto  del  limite
segnato  dall'art.  25  cost.,  il  legislatore  puo'   emanare   sia
disposizioni  di  interpretazione  autentica,   che   determinano   -
chiarendola -  la  portata  precettiva  della   norma   interpretata,
fissandola in un contenuto plausibilmente gia' espresso della stessa,
sia  norme  innovative  con   efficacia   retroattiva,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul   piano   della
ragionevolezza  e  non  contrasti  con  altri  valori   e   interessi
costituzionalmente protetti». 
    Anche  il  Consiglio  di  Stato  con  la  sentenza  n.  8759  del
28.12.2009 ha statuito che  una  norma  interpretativa  ad  efficacia
retroattiva puo' considerarsi costituzionalmente legittima (soltanto)
a  condizione  che  la  stessa  si  limiti  a  chiarire  la   portata
applicativa di  una  disposizione  precedente,  che  non  adotti  una
opzione ermeneutica non  desumibile  dalla  ordinaria  esegesi  della
stessa (in tal senso ex plurimis Consiglio di Stato,  V,  2.07.02  n.
3612);  l'efficacia  retroattiva  della  legge   di   interpretazione
autentica e' soggetta al limite del  principio  dell'affidamento  dei
consociati  nella  certezza  dell'ordinamento   giuridico,   con   la
conseguenza dell'illegittimita' costituzionale  di  una  disposizione
interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non  prevedibile
rispetto a quella affermatasi nella  prassi  (Corte  cost.  525/2000,
Corte cost. 234/2007). 
    Inoltre, fondamentale nel  nostro  ordinamento  giuridico  e'  il
principio della  ragionevolezza  della  leggi  quale  corollario  del
principio di uguaglianza, elaborato dalla  Corte  costituzionale.  Il
principio di  ragionevolezza  esige  che  le  disposizioni  normative
contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o  congruenti
rispetto al  fine perseguito dal legislatore. Si ha dunque violazione
del  principio   di   ragionevolezza,   quando   si   riscontri   una
contraddizione all'interno di una  disposizione  legislativa,  oppure
tra essa ed il pubblico interesse perseguito. Il principio  in  esame
costituisce dunque un limite al potere discrezionale del legislatore,
che  ne  impedisce  un  esercizio  arbitrario.  La   verifica   della
ragionevolezza di una legge comporta l'indagine sui suoi  presupposti
di  fatto,  la  valutazione  della  congruenza  tra  mezzi  e   fini,
l'accertamento   degli   stessi   fini.   Nel   caso    si    accerti
l'irragionevolezza  della  legge,  essa  sara'  affetta   dal   vizio
dell'eccesso di potere legislativo e, in quanto tale,  potra'  essere
ritenuta costituzionalmente illegittima dalla  Corte  costituzionale.
La Corte costituzionale con le sentenze n. 7 del 1973 e n. 7 del 1975
che nell'esercizio di discrezionalita' del  legislatore  deve  essere
rinvenibile  una  ragionevolezza  di  fondo.  Il   legislatore   puo'
parificare e diversificare, ma  nei  limiti  della  ragionevolezza  e
degli altri principi costituzionali. Una scelta del legislatore  deve
essere valutata rispetto a due requisiti di  validita':  nella  legge
deve essere individuabile una finalita'  e  questa  deve  essere  una
finalita' apprezzabile  costituzionalmente.  Orbene,  la  lettera  c)
dell'articolo 15 della legge n. 96/2010 e' esplicitamente qualificata
come disposizione modificativa/interpretativa dell'articolo 11  comma
5 legge 88/09. Essa,  lo  si  ripete,  recita:  Art.  15.  (Modifiche
all'articolo 11 della legge 7 luglio  2009,  n.  88,  in  materia  di
inquinamento acustico) 1. All'articolo 11 della legge 7 luglio  2009,
n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni: ... c) il comma 5 e'
sostituito dal seguente: «5. In attesa  dell'emanazione  dei  decreti
legislativi di cui al comma 1, l'articolo 3,  comma  1,  lettera  e),
della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso  che  la
disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei
loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in
particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e  acquirenti  di
alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce  giudiziali
passate in giudicato e la corretta esecuzione  dei  lavori  a  regola
d'arte asseverata da un tecnico abilitato». 
    Il senso della  norma  interpretata,  pero',  e'  chiaro,  ovvero
nessun  dubbio  e'  mai  stato  sollevato  in  giurisprudenza   circa
l'applicabilita' del  d.P.C.m.  5  dicembre  1997  nei  rapporti  tra
privati e costruttori di alloggi, tanto e' vero che la  stessa  legge
n. 88/09 - nella versione antecedente alla modifica  apportata  dalla
legge 96/2010 - dichiarava pacificamente applicabile  il  d.P.C.m.  5
dicembre 1997 nei rapporti tra privati  sorti  antecedentemente  alla
sua entrata in vigore. 
    Al contrario, l'aberrante e distorta  disposizione  normativa  di
cui  alla  lettera  c)  dell'articolo  15  della  legge  n.   96/2010
(mascherata formalmente come norma di interpretazione  autentica),  a
differenza di quanto previsto dal precedente comma 5 dell'articolo 11
della legge  n.  88/2009  ha  un  effetto  innovativo  con  efficacia
retroattiva  alla   data   dell'entrata   in   vigore   della   norma
interpretata. 
    La disposizione contenuta nella lettera c) dell'articolo 15 della
legge n. 96/2010, sostanzialmente, pur utilizzando il modulo  formale
lessicale proprio della norma interpretativa ha dunque introdotto una
disciplina del tutto nuova, dotata di  forza  retroattiva.  Pertanto,
non configura una norma  di  interpretazione  autentica,  bensi'  una
norma del tutto nuova destinata a svolgere i propri effetti ex tunc. 
    Peraltro, l'articolo 15 lettera c) della legge n. 96/2010,  anche
per il suo contenuto  retroattivo  (e  falsamente  interpretativo)  -
oltre a incorrere in un eccesso di potere conseguente all'uso deviato
dello strumento  dell'interpretazione  autentica  -  ha  operato  una
lesione di alcuni valori costituzionali contemplati dagli articoli  3
e 24 della  Costituzione  oltre  che  del  principio  generale  della
irretroattivita'  delle  leggi  contemplato  nell'articolo  11  delle
disposizioni generali delle leggi che seppur non elevato, fuori dalla
materia penale, a dignita' costituzionale (art.  25,  secondo  comma,
cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale  del  sistema  a
cui, salva una effettiva causa giustificatrice, il  legislatore  deve
ragionevolmente  attenersi  in  quanto  la  certezza   dei   rapporti
preteriti costituisce un indubbio cardine della civile  convivenza  e
della tranquillita' dei cittadini. 
    In conclusione, la norma prevista  dall'articolo  15  lettera  c)
della legge n.  96/2010  e'  da  ritenersi  incostituzionale  per  le
seguenti ragioni: 
        a)  viola  l'art.  3  della  Costituzione,   in   quanto   e'
suscettibile di produrre una ingiustificata disparita' di trattamento
tra coloro che hanno gia' conseguito, in via pattizia o  giudiziaria,
un risarcimento a fronte dell'acquisto di un  immobile  acusticamente
viziato e coloro che, pur trovandosi  nella  stessa  situazione,  non
possono, invece, piu' conseguirlo; 
        b) risulta affetta da  eccesso  di  potere  legislativo,  non
essendo fondata su di una adeguata causa  giustificativa,  risultando
comunque priva di natura  interpretativa  e,  pur  non  abrogando  il
d.P.C.m. 5 dicembre 1997 nei  rapporti  pubblicistici  (che  tradotto
significa che il Comune nel concedere il permesso di costruire e  nel
rilasciare il certificato di agibilita' deve pretendere  il  rispetto
dei requisiti acustici passivi  in  vigore)  nello  stesso  tempo  lo
disapplica ai  rapporti  tra  privati,  con  la  conseguenza  di  non
salvaguardare i diritti del cittadino che acquista l'unita' abitativa
e che e' il vero destinatario degli effetti (ossia tutela dal rumore)
che il d.P.C.m. 5 dicembre 1997 persegue; 
        c)  si  presenta  lesiva  di   vari   principi   di   rilievo
costituzionale quali la tutela  dell'affidamento  legittimante  sorto
nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto  e  la
tutela  della  certezza  dei  rapporti  giuridici,   della   coerenza
dell'ordinamento giuridico; 
        d)   viola   l'art.   24   della   Costituzione   in   quanto
irragionevolmente limita il diritto  di  difesa  non  permettendo  la
relativa azione dei  proprietari  degli  immobili  compravenduti  nei
confronti dei soggetti responsabili  della  non  corretta  esecuzione
delle opere; 
        d) viola le funzioni costituzionalmente riservate  al  potere
giudiziario  dagli  artt.  101,  102,  104  cost.  Invero,  la  Corte
costituzionale ha ripetutamente affermato il principio secondo cui il
legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando la  legge  sia
intenzionalmente diretta ad incidere  su  concrete  fattispecie  «sub
judice» (cfr. Corte Cost. nn. 397/94, 6/94, 429/93,  424/93,  283/93,
39/93, 440/92, 429/91 ed altre). Si tratta, allora, di  stabilire  se
la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente
i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale  dotato  dei
caratteri della generalita' ed astrattezza,  ovvero  sia  diretto  ad
incidere su concrete fattispecie «sub  judice»  a  vantaggio  di  una
delle due parti del giudizio (nel caso di  specie  il  costruttore  a
svantaggio dell'acquirente).