Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (codice fiscale della Presidenza del Consiglio dei ministri 80188230587), rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, codice fiscale 80224030587, presso i cui unici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 e' domiciliato (numero fax 06.96.51.40.00, indirizzo PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it); Contro la Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige, in persona del Presidente in carica per l'impugnazione della legge provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige 16 marzo 2012, n. 7, pubblicata nel B.U.R. n. 7 del 20 marzo 2012, recante «Liberalizzazione dell'attivita' commerciale», in relazione ai suoi articoli 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 6. La legge provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige 16 marzo 2012, n. 7, recante «Liberalizzazione dell'attivita' commerciale», agli articoli 5, commi 1. 2, 3, 4 e 7, e 6 dispone: Art. 5: «1. - Stante la scarsita' di aree idonee all'esercizio di attivita' produttive e di commercio all'ingrosso e in considerazione del prevalente interesse generale di salvaguardia delle esigenze dell'ambiente urbano, della pianificazione ambientale e del traffico, e di quelle culturali e sociali, finalizzato all'integrazione del commercio al dettaglio nelle zone residenziali, il commercio al dettaglio nelle zone produttive e' ammesso solo quale eccezione nei casi di seguito elencati. 2. - Le merci che per il loro volume ed ingombro e per la difficolta' connessa alla loro movimentazione, nonche' a causa di eventuali limitazioni al traffico, non possono essere offerte in misura sufficiente a soddisfare la richiesta ed il fabbisogno nelle zone residenziali, possono essere vendute al dettaglio nelle zone produttive senza limitazioni di superficie. Queste sono: a) autoveicoli a due o piu' ruote, incluse macchine edili; b) macchinari e prodotti per l'agricoltura; c) materiali edili, macchine utensili e combustibili; d) mobili; e) bevande in confezioni formato all'ingrosso. 3. - Possono altresi' essere venduti gli accessori alle merci di cui al comma 2. La Giunta provinciale determina gli accessori ammessi. (...). 4. - Sono fatte salve le strutture di vendita al dettaglio che all'entrata in vigore della presente legge sono gia' state autorizzate o hanno gia' iniziato la loro attivita' nelle aree produttive nelle quali vengono vendute merci diverse da quelle elencate al comma 2. Tali strutture possono continuare la loro attivita', ma non possono essere ampliate, trasferite o concentrate. 5. - (...). 6. - (...). 7. La possibilita' di esercitare l'attivita' di commercio al dettaglio di cui al comma 4 decade, se cessa l'attivita' di commercio al dettaglio». Art. 6: «1. - La Giunta provinciale e' autorizzata ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio. Tali indirizzi dovranno garantire un'effettiva tutela degli usi e costumi ai sensi dell'art. 8 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori autonomi e dipendenti ed il rispetto delle esigenze di ordine pubblico e della tutela della salute». Tali norme sono illegittime per i seguenti M o t i v i 1) In relazione all'art. 117, comma 2, lettera e) violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza. Violazione degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). Costituisce oramai consolidato insegnamento di codesta Corte quello secondo il quale rientrano nel concetto di concorrenza contemplato dall'art. 117, comma 2, lettera e), tra le altre, le misure «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese» (cosi' le sentenza nn. 401/2007 e 430/2007): in una battuta, fanno parte del concetto di concorrenza tutelato in Costituzione non solo le misure di tutela in senso proprio, ma anche quelle pro-concorrenziali. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 5 della legge provinciale impugnata, singolarmente considerate ed in combinato disposto - nel prevedere che il commercio al dettaglio nelle zone produttive sia ammesso solo quale eccezione, nei limiti delle categorie merceologiche individuate e dei relativi accessori, questi ultimi a loro volta individuati da una successiva deliberazione della Giunta provinciale - traducendosi in disposizioni restrittive della concorrenza (nell'accezione che emerge dalla giurisprudenza sopra richiamata), si pongono in contrasto con i principi e le regole dettate dall'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 (conv. in legge n. 214/2011), introdotto dal legislatore statale nell'esercizio della competenza di cui all'art. 117, comma 2, lettera e) Cost. Come noto, il citato art. 31, comma 2, sancisce il principio, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione dei servizi, della liberta' dell'apertura di nuovi esercizi commerciali, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura: le uniche restrizioni ammesse attengono alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente (ivi incluso l'ambiente urbano) e dei beni culturali. La previsione in parola si conclude con l'indicazione cogente alle Regioni ed agli enti locali di adeguare i propri ordinamenti ai principi cosi' declinati entro il 30 settembre 2012. Appare evidente che le limitazioni previsti dall'art. 5, commi 1 e 2, della legge impugnata risultano essere in palese contrasto con le disposizioni statali appena sopra richiamate, traducendosi le stesse nell'introduzione di restrizioni all'apertura di nuovi esercizi di commercio al dettaglio nelle zone produttive, ammessa soltanto per la vendita di alcune categorie merceologiche. Il che non puo' che integrare gli estremi di un vincolo inammissibile, non essendo lo stesso giustificato in ragione degli interessi espressamente indicati nell'art. 31, comma 2, cit. quali uniche ipotesi legittimanti la permanenza di limitazioni alla liberta' di apertura di esercizi commerciali. E' appena il caso di osservare, infatti, che l'apodittico riferimento contenuto nelle norme impugnate alla esigenza di tutelare l'ambiente urbano, la pianificazione ambientale e culturale (pur volendo prescindere dalla vaghezza dei concetti richiamati) non vale a rendere tali norme conformi al principio in materia di liberalizzazione dettati dal legislatore nazionale: e cio', da un lato, proprio in ragione della rilevata assenza di motivazione alcuna in ordine alla necessita' di prevedere limiti all'apertura di esercizi di commercio al dettaglio al fine di salvaguardare gli interessi indicati dal legislatore provinciale: dall'altro, in considerazione della circostanza che non risulta comprensibile in che modo possa venire in rilievo l'esigenza di tutelare «l'ambiente urbano» e «la pianificazione ambientale e culturale» in zone gia' destinate agli insediamenti produttivi, vale a dire di per se' a vocazione tipicamente commerciale. Le disposizioni in esame risultano, peraltro, palesemente in contrasto anche con l'art. 3, comma 1, lettera c) del d.l. n. 223/2006 (conv. con moditicazioni nella legge n. 248/2006), ai sensi del quale le attivita' commerciali (quali individuate dal d.lgs. n. 114/1998, nonche' quelle di somministrazioni di alimenti e bevande) si svolgono senza limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi. Ne' potrebbe obiettarsi che la materia disciplinata dalla legge in esame, siccome relativa al «commercio», quindi di competenza regionale, non potrebbe essere utilmente censurata da parte del ricorrente per la violazione delle regole sul riparto di competente tra legislatore nazionale e provinciale. Come, infatti, ormai chiarito dalla giurisprudenza di codesta Corte, anche se una disciplina regionale sia riconducibile alla materia del commercio «... e' comunque necessario valutare se la stessa, nel suo contenuto, determini o meno un vulnus alla tutela della concorrenza, tenendo presente che e' stata riconosciuta la possibilita', per le Regioni, nell'esercizio della potesta' legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali. Infatti la materia "tutela della concorrenza", di cui all'art. 117, secondo comma lettera e), Cost., non ha solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalita' di controllo, ma, dato il suo carattere "finalistico", anche una portata piu' generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell'esercizio della potesta' legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza» (Corte cost., sentenza n. 150/2011). Nella medesima pronuncia e' stato altresi' chiarito che «Se (...) e' ammessa una disciplina che determini effetti pro-concorrenziali "sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza" (sentenza n. 430 del 2007), al contrario, e' illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile alla materia commercio di competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all'accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacita' imprenditoriale» (detti principio sono stati confermati nella recentissima sentenza n. 18/2012 di codesta Corte). E che nel caso di specie le disposizioni dettate dal legislazione provinciale si traducano nella violazione dei principi pro-concorrenziali dettati dal legislatore nazionale appare indubitabile alla luce delle considerazioni piu' sopra espresse. Quanto sopra vale a maggior ragione con riferimento al comma 3, che, ai fini dell'individuazione degli accessori delle categorie merceologiche di cui e' ammessa la vendita, rinvia addirittura ad una determinazione della Giunta provinciale, in tal modo operando una delegificazione della materia che rende ancora piu' evidente violazione dell'ambito di competenza statale nella materia in esame. La Provincia Autonoma di Bolzano, esercita, ai sensi dell'art. 8, comma 1, numeri 3), 4), 5), 9) e 12) del d.P.R. n. 670/1972 (recante approvazione delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), potesta' legislativa primaria in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale, usi e costumi locali, urbanistica, artigianato, fiere e mercati. Inoltre, ai sensi dell'art. 9, n. 3), esercita potesta' legislativa concorrente in materia di commercio. Ad avviso del ricorrente le norme impugnate ricadono pacificamente nella materia del «commercio», essendo destinate a regolare (in modo illegittimo, come visto) le modalita' di apertura di attivita' di vendita al dettaglio. Ne consegue che, essendo esercitabile la potesta' legislativa in materia di commercio, ai sensi dell'art. 9 dello Statuto, nei limiti indicati dall'art. 5 (tra cui il rispetto dei principi stabiliti da leggi dello Stato), risulta chiaro il contrasto delle previsioni oggetto del presente ricorso con il combinato disposto dei citati artt. 5 e 9 dello Statuto. La natura di principio degli interventi del legislatore statale in materia di concorrenza emerge da quanto sopra esposto e non e', comunque, revocabile in dubbio. Ne' la conclusione muta invocando l'applicazione dell'art. 10 della legge cost. 3 del 2001, ai sensi del quale le disposizioni del nuovo Titolo V si applicano anche alle Regioni ad autonomia speciale per le parti in cui prevedono «forma di autonomia piu' ampie di quelle gia' attribuite»: in ogni caso, infatti, la potesta' legislativa della Provincia deve essere esercitata nel rispetto dei limiti imposti dalla Costituzione e dell'ordinamento comunitario; cosi' come chiarito dalla giurisprudenza di codesta Corte, ove la potesta' legislativa regionale (o provinciale) interferisce con la materia della «tutela della concorrenza», attribuita ex art. 117, comma 2, lettera e) Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, la stessa deve ritenersi illegittimamente esercitata qualora - come pacificamente nella specie - produca effetti restrittivi della concorrenza (cfr. sent. nn. 18/2012; 326/2008; 1/2008; 443/2007). Sulla scorta della medesima giurisprudenza devono ritenersi, del pari, illegittime le norme censurate anche ove dovesse ritenersi che la materia disciplinata dalle stesse rientri tra quelle di cui all'art. 8 dello Statuto, in relazione alle quali la competenza legislativa va esercitata nei limiti di cui all'art. 4, vale a dire nel rispetto della Costituzione e dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonche' delle norme di riforma economico - sociale della Repubblica, nel cui novero non sembra dubitabile che rientrino le disposizioni dettate nell'art. 31 del d.l. n. 201/2011 a tutela della concorrenza. D'altronde, codesta Corte ha ripetutamente chiarito (si vedano, fra le altre, le sentt. nn. 536 del 2002 e 447 del 2006) che, nel caso in cui una materia attribuita dallo Statuto speciale alla potesta' primaria delle Regioni a statuto speciale o delle Province autonome interferisca in tutto o in parte con un ambito spettante, ai sensi dell'art. 117, comma 2, Cost., alla potesta' legislativa esclusiva statale, il legislatore nazionale puo' incidere sulla materia di competenza regionale qualora l'intervento sia volto a garantire standard minimi ed uniformi ed ad introdurre limiti unificanti che rispondano ad esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato, con una prevalenza della competenza esclusiva statale su quella primaria delle Regioni speciali e delle Province autonome. Risulta chiaro, dunque, che le norme impugnate risultano viziate anche dalla violazione delle norme statutarie. In definitiva, quindi, le disposizioni di cui all'art. 5, commi 1, 2 e 3, della legge provinciale impugnata violano l'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 (conv. in legge n. 214/2011), l'art. 3, comma 1, lettera c) del d.l. n. 223/ 2006 (conv. con modificazioni nella legge n. 248/2006), e, di conseguenza, l'articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, in materia di tutela della concorrenza, nonche' gli artt. 4, 5, 8 e 9 dello Statuto del Trentino-Alto Adige. 2) In relazione all'art. 117, comma 2, lettera o violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia delle tutela della concorrenza. In relazione all'art. 41 violazione della liberta' di iniziativa economica. Violazione degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). Tutte le considerazioni sopra svolte valgono anche per il comma 4 dell'art. 5, che, nel fare salve dall'applicazione dei primi tre commi le strutture di vendita al dettaglio gia' autorizzate o gia' in esercizio in cui - nelle aree interessate - vengono vendute merci diverse da quelle elencate nel comma 2, stabilisce che dette strutture, pur potendo continuare la loro attivita', non possono essere ampliate, trasferite o concentrate. Non appare necessario diffondersi in analisi particolarmente estese al fine di evidenziare come la disposizione in parola rappresenti un'ingiustificata restrizione al libero svolgimento dell'attivita' di commercio al dettaglio delle merci differenti da quelle ammesse, risolvendosi in una sorta di «congelamento» delle attivita' in essere - che non possono essere in alcun modo modificate nelle loro modalita' di svolgimento fino, sostanzialmente, al loro esaurimento, come dimostra la disposizione di cui al successivo comma 7, ai sensi della quale, nel momento in cui una dette attivita' di cui al comma 4 decade, viene meno la possibilita' di esercitare l'attivita' stessa. Se possibile i commi in esame si pongono ancor piu' di quelli precedenti in palese contrasto con l'art. 31, comma 2, del citato d.l. n. 201/2011, impedendo di fatto che le attivita' in essi contemplate possano adattarsi alle eventualmente mutate esigenze del mercato, con evidenti riflessi anticoncorrenziali, e che, al cessare delle stesse, per qualunque motivo, le attivita' possano essere nuovamente in futuro esercitate. L'evidente restrizione della concorrenza rende chiara, quindi, la violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e) Cost. - di cui il citato art. 31, comma 2 -, e' espressione, e cio' alla luce della giurisprudenza di codesta Corte sopra richiamata, cosi' come altrettanto chiara e' la violazione del principio di liberta' nell'iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., essendo i vincoli in commento un evidente ostacolo alla possibilita' di adottare strategie differenziate da parte degli esercenti, dunque un ostacolo all'ampliamento dell'offerta a beneficio dei consumatori, nonche' al potenziale aumento o, quanto meno, mantenimento del proprio giro d'affari. In definitiva, le norme di cui ai commi 4 e 7 dell'art. 5 hanno il chiaro scopo di avvantaggiare la chiusura degli esercizi in essere, imponendo loro vincoli che ne rendono piu' difficile la sopravvivenza ed impedendo che, nel momento in cui quelle attivita', per qualunque motivo, cessino, possano negli stessi esercizi essere avviate nuove attivita'. In tal modo le stesse si pongono in palese contrasto con l'art. 31, comma 2, del ripetuto d.l. n. 201/2011 - espressione dell'opposto principio della piena liberta' di apertura di nuovi esercizi sul territorio nazionale -, quindi con l'art. 117, comma 2, lettera e) Cost., nonche' con l'art. 41 Cost. Si richiama, inoltre, quanto sopra detto in ordine alla violazione da parte delle norme impugnate anche delle norme dello Statuto dei Trentino-Alto Adige (in particolare, degli artt. 4, 5, 8 e 9). 3) In relazione all'art. 117, comma 2, lettera e) violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza. Violazione degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). Parimenti contrario al parametro indicato in rubrica risulta, infine, l'art. 6 della legge regionale impugnata, ai sensi del quale la Giunta provinciale e' autorizzata ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, indirizzi che dovranno garantire un'effettiva tutela degli usi e costumi ai sensi dell'art. 8 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori autonomi e dipendenti ed il rispetto delle esigenze di ordine pubblico e di tutela della salute. Tale norma, benche' non introduca nell'immediato disposizioni vincolanti, favorisce l'adozione di iniziative locali idonee a reintrodurre vincoli che la normativa nazionale di liberalizzazione ha abolito dall'ordinamento. Infatti, l'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/2011, nel modificare l'art. 3, comma 1, lettera d-bis) del d.l. n. 223/2006, stabilisce che le attivita' commerciali (come individuate dal d.lgs. n. 114/1998 e di somministrazioni di alimenti e bevande) si svolgono senza limitazioni e prescrizioni quanto al rispetto degli orari di apertura e di chiusura, dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva, nonche' di quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Risulta evidente che attribuire alla Giunta la facolta' di reintrodurre in ambito provinciale le suddette prescrizioni comporta una potenziale limitazione alla possibilita' di differenziare il servizio adattandolo alle caratteristiche della domanda, con conseguente possibilita' di peggioramento delle condizioni dell'offerta e della liberta' di scelta dei consumatori, senza che di cio' venga, nella norma di legge, fornita un'adeguata giustificazione. Quanto detto trova ancora una volta conforto nella giurisprudenza di codesta Corte che, nella gia' citata sentenza n. 150/2011, con riguardo proprio alla tematica degli orari e della chiusura degli esercizi commerciali, ha evidenziato che, in ambito regionale (o provinciale) «Se (...) e' ammessa una disciplina che determini effetti pro-concorrenziali "sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza" (sentenza n. 430 del 2007), al contrario, e' illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile alla materia commercio di competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all'accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacita' imprenditoriale. (...) ... nelle recenti decisioni n. 288 del 2010, n. 283 del 2009, n. 431 e n. 430 del 2007, nelle quali questa Corte e' stata chiamata a valutare disposizioni legislative regionali che, adottate nell'ambito della potesta' legislativa concorrente o residuale, venivano comunque ad incidere sul complesso ed articolato sistema di principi e regole che attengono alla "concorrenza", si e' affermato che esse non violavano quanto previsto dall'art. 117 Cost. in quanto avevano, anche se marginalmente ed indirettamente, "una valenza pro-competitiva". Cio' non si verifica nel caso in esame. L'art. 2 della legge regionale n. 38 del 2010 impone, infatti, agli esercizi commerciali che vogliano usufruire della facolta' di derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva, di "compensare" ogni giornata di apertura facoltativa domenicale o festiva con una corrispondente giornata di chiusura infrasettimanale. Tale norma, contrariamente alla precedente che pure pretende di interpretare, invece di ampliare o, comunque, di non modificare la portata della liberalizzazione introdotta a partire dal d.lgs. n. 114 del 1998, viene a regolamentare in modo piu' restrittivo la materia degli orari degli esercizi commerciali e della facolta' di apertura nelle giornate domenicali e festive, traducendosi in una misura che contrasta con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.». Anche alla luce della giurisprudenza citata, quindi, appare evidente l'incostituzionalita' della norma impugnata, in quanto sicuramente idonea a determinare effetti anti-concorrenziali. Tenuto, peraltro, conto della formulazione chiaramente inderogabile della norma di cui all'art. 31, comma 1, cit. - non ammettendo previsto nella stessa alcun margine di intervento in senso restrittivo rispetto al suo disposto - e' evidente che il legislatore provinciale non puo' legiferare in senso (anche potenzialmente) modificativo rispetto alla stessa. Di qui l'evidente contrarieta' dell'art. 6 della legge impugnata con l'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/201 l e con l'art. 117, comma lettera e) Cost. Si richiama, inoltre, quanto sopra detto in ordine alla violazione da parte delle norme impugnate anche delle norme dello Statuto del Tremino-Alto Adige (in particolare, degli artt. 4, 5, 8 e 9).