Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (codice fiscale
della   Presidenza   del   Consiglio   dei   ministri   80188230587),
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello  Stato,
codice fiscale 80224030587, presso i  cui  unici  in  Roma,  Via  dei
Portoghesi n. 12 e' domiciliato (numero fax 06.96.51.40.00, indirizzo
PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it); 
    Contro la Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige, in  persona
del Presidente in carica per l'impugnazione della  legge  provinciale
della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige 16 marzo 2012, n. 7,
pubblicata  nel  B.U.R.   n.   7   del   20   marzo   2012,   recante
«Liberalizzazione dell'attivita' commerciale», in relazione  ai  suoi
articoli 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 6. 
    La legge provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano  -  Alto
Adige 16 marzo 2012, n. 7, recante  «Liberalizzazione  dell'attivita'
commerciale», agli articoli 5, commi 1. 2, 3, 4 e 7, e 6 dispone: 
    Art. 5: 
    «1. -  Stante  la  scarsita'  di  aree  idonee  all'esercizio  di
attivita' produttive e di commercio all'ingrosso e in  considerazione
del prevalente interesse  generale  di  salvaguardia  delle  esigenze
dell'ambiente urbano, della pianificazione ambientale e del traffico,
e di quelle culturali e  sociali,  finalizzato  all'integrazione  del
commercio al dettaglio  nelle  zone  residenziali,  il  commercio  al
dettaglio nelle zone produttive e' ammesso solo quale  eccezione  nei
casi di seguito elencati. 
    2. - Le merci che per  il  loro  volume  ed  ingombro  e  per  la
difficolta' connessa alla loro movimentazione,  nonche'  a  causa  di
eventuali limitazioni al traffico,  non  possono  essere  offerte  in
misura sufficiente a soddisfare la richiesta ed il  fabbisogno  nelle
zone residenziali, possono essere vendute  al  dettaglio  nelle  zone
produttive senza limitazioni di superficie. 
    Queste sono: 
        a) autoveicoli a due o piu' ruote, incluse macchine edili; 
        b) macchinari e prodotti per l'agricoltura; 
        c) materiali edili, macchine utensili e combustibili; 
        d) mobili; 
        e) bevande in confezioni formato all'ingrosso. 
    3. - Possono altresi' essere venduti gli accessori alle merci  di
cui al  comma  2.  La  Giunta  provinciale  determina  gli  accessori
ammessi. (...). 
    4. - Sono fatte salve le strutture di vendita  al  dettaglio  che
all'entrata  in  vigore  della  presente  legge   sono   gia'   state
autorizzate o hanno  gia'  iniziato  la  loro  attivita'  nelle  aree
produttive nelle  quali  vengono  vendute  merci  diverse  da  quelle
elencate al comma  2.  Tali  strutture  possono  continuare  la  loro
attivita', ma non possono essere ampliate, trasferite o concentrate. 
    5. - (...). 
    6. - (...). 
    7. La possibilita' di  esercitare  l'attivita'  di  commercio  al
dettaglio di cui al comma 4 decade, se cessa l'attivita' di commercio
al dettaglio». 
    Art. 6: 
    «1. - La Giunta provinciale e' autorizzata  ad  emanare  appositi
indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli  esercizi
di  vendita  al  dettaglio.   Tali   indirizzi   dovranno   garantire
un'effettiva tutela degli usi e costumi ai sensi  dell'art.  8  dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori
autonomi e  dipendenti  ed  il  rispetto  delle  esigenze  di  ordine
pubblico e della tutela della salute». 
    Tali norme sono illegittime per i seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
    1) In relazione all'art. 117,  comma  2,  lettera  e)  violazione
della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia  della
tutela della concorrenza. Violazione degli artt. 4, 5, 8  e  9  dello
Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). 
    Costituisce oramai  consolidato  insegnamento  di  codesta  Corte
quello  secondo  il  quale  rientrano  nel  concetto  di  concorrenza
contemplato dall'art. 117, comma 2, lettera  e),  tra  le  altre,  le
misure «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne  l'apertura,
eliminando barriere all'entrata, riducendo o  eliminando  vincoli  al
libero   esplicarsi   della   capacita'   imprenditoriale   e   della
competizione  tra  imprese»  (cosi'  le  sentenza  nn.   401/2007   e
430/2007): in una battuta, fanno parte del  concetto  di  concorrenza
tutelato in Costituzione non  solo  le  misure  di  tutela  in  senso
proprio, ma anche quelle pro-concorrenziali. 
    Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 5 della  legge
provinciale impugnata,  singolarmente  considerate  ed  in  combinato
disposto - nel prevedere che il commercio  al  dettaglio  nelle  zone
produttive  sia  ammesso  solo  quale  eccezione,  nei  limiti  delle
categorie merceologiche individuate e dei relativi accessori,  questi
ultimi a loro volta individuati da una successiva deliberazione della
Giunta provinciale - traducendosi in disposizioni  restrittive  della
concorrenza (nell'accezione che  emerge  dalla  giurisprudenza  sopra
richiamata), si pongono in contrasto  con  i  principi  e  le  regole
dettate dall'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 (conv.  in  legge
n. 214/2011), introdotto dal legislatore statale nell'esercizio della
competenza di cui all'art. 117, comma 2, lettera e) Cost. 
    Come noto, il citato art. 31, comma 2, sancisce il principio, nel
rispetto della disciplina  comunitaria  in  materia  di  concorrenza,
liberta' di stabilimento e  libera  prestazione  dei  servizi,  della
liberta'  dell'apertura  di   nuovi   esercizi   commerciali,   senza
contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di  qualsiasi  altra
natura: le uniche restrizioni ammesse  attengono  alla  tutela  della
salute, dei lavoratori, dell'ambiente (ivi incluso l'ambiente urbano)
e dei beni culturali. 
    La previsione in parola si  conclude  con  l'indicazione  cogente
alle Regioni ed agli enti locali di adeguare i propri ordinamenti  ai
principi cosi' declinati entro il 30 settembre 2012. 
    Appare evidente che le limitazioni previsti dall'art. 5, commi  1
e 2, della legge impugnata risultano essere in palese  contrasto  con
le disposizioni statali  appena  sopra  richiamate,  traducendosi  le
stesse  nell'introduzione  di  restrizioni  all'apertura   di   nuovi
esercizi di commercio al dettaglio  nelle  zone  produttive,  ammessa
soltanto per la vendita di alcune categorie merceologiche. 
    Il  che  non  puo'  che  integrare  gli  estremi  di  un  vincolo
inammissibile, non essendo lo stesso giustificato  in  ragione  degli
interessi espressamente indicati nell'art. 31, comma  2,  cit.  quali
uniche  ipotesi  legittimanti  la  permanenza  di  limitazioni   alla
liberta' di apertura di esercizi commerciali. 
    E'  appena  il  caso  di  osservare,  infatti,  che  l'apodittico
riferimento contenuto nelle norme impugnate alla esigenza di tutelare
l'ambiente urbano, la  pianificazione  ambientale  e  culturale  (pur
volendo prescindere dalla vaghezza dei concetti richiamati) non  vale
a  rendere  tali  norme  conformi  al   principio   in   materia   di
liberalizzazione dettati dal legislatore nazionale:  e  cio',  da  un
lato, proprio in ragione della rilevata assenza di motivazione alcuna
in  ordine  alla  necessita'  di  prevedere  limiti  all'apertura  di
esercizi di commercio al  dettaglio  al  fine  di  salvaguardare  gli
interessi  indicati  dal  legislatore  provinciale:  dall'altro,   in
considerazione della circostanza che non risulta comprensibile in che
modo possa venire  in  rilievo  l'esigenza  di  tutelare  «l'ambiente
urbano» e «la pianificazione ambientale e  culturale»  in  zone  gia'
destinate agli insediamenti produttivi, vale a  dire  di  per  se'  a
vocazione tipicamente commerciale. 
    Le disposizioni in  esame  risultano,  peraltro,  palesemente  in
contrasto anche con l'art.  3,  comma  1,  lettera  c)  del  d.l.  n.
223/2006 (conv. con moditicazioni nella legge n. 248/2006), ai  sensi
del quale le attivita' commerciali (quali individuate dal  d.lgs.  n.
114/1998, nonche' quelle di somministrazioni di alimenti  e  bevande)
si   svolgono   senza   limitazioni   quantitative   all'assortimento
merceologico offerto negli esercizi. 
    Ne' potrebbe obiettarsi che la materia disciplinata  dalla  legge
in esame, siccome  relativa  al  «commercio»,  quindi  di  competenza
regionale, non potrebbe  essere  utilmente  censurata  da  parte  del
ricorrente per la violazione delle regole sul riparto  di  competente
tra legislatore nazionale e provinciale. 
    Come, infatti, ormai chiarito  dalla  giurisprudenza  di  codesta
Corte, anche se  una  disciplina  regionale  sia  riconducibile  alla
materia del commercio «... e'  comunque  necessario  valutare  se  la
stessa, nel suo contenuto, determini o meno  un  vulnus  alla  tutela
della concorrenza, tenendo presente  che  e'  stata  riconosciuta  la
possibilita',  per  le   Regioni,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa nei loro settori di competenza,  di  dettare  norme  che,
indirettamente,  producano  effetti  pro-concorrenziali.  Infatti  la
materia "tutela della concorrenza",  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma lettera  e),  Cost.,  non  ha  solo  un  ambito  oggettivamente
individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in  senso
proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli  atti  e  i
comportamenti delle imprese che incidono  negativamente  sull'assetto
concorrenziale  dei  mercati  e  ne  disciplinano  le  modalita'   di
controllo, ma, dato il suo carattere "finalistico", anche una portata
piu' generale e trasversale, non  preventivamente  delimitabile,  che
deve essere valutata in  concreto  al  momento  dell'esercizio  della
potesta' legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle  materie
di loro rispettiva competenza» (Corte cost., sentenza n. 150/2011). 
    Nella medesima pronuncia e' stato altresi' chiarito che «Se (...)
e' ammessa una disciplina che  determini  effetti  pro-concorrenziali
"sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non  siano  in
contrasto con gli obiettivi delle norme statali che  disciplinano  il
mercato, tutelano e promuovono la concorrenza" (sentenza n.  430  del
2007), al contrario, e' illegittima una disciplina che,  se  pure  in
astratto  riconducibile  alla   materia   commercio   di   competenza
legislativa  delle  Regioni,  produca,  in  concreto,   effetti   che
ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o  ulteriori  limiti  o
barriere all'accesso al mercato  e  alla  libera  esplicazione  della
capacita' imprenditoriale» (detti  principio  sono  stati  confermati
nella recentissima sentenza n. 18/2012 di codesta Corte). 
    E che nel caso di specie le disposizioni dettate dal legislazione
provinciale   si   traducano   nella    violazione    dei    principi
pro-concorrenziali   dettati   dal   legislatore   nazionale   appare
indubitabile alla luce delle considerazioni piu' sopra espresse. 
    Quanto sopra vale a maggior ragione con riferimento al  comma  3,
che, ai fini  dell'individuazione  degli  accessori  delle  categorie
merceologiche di cui e' ammessa la vendita, rinvia addirittura ad una
determinazione della Giunta provinciale, in  tal  modo  operando  una
delegificazione  della  materia  che  rende  ancora   piu'   evidente
violazione dell'ambito di competenza statale nella materia in esame. 
    La Provincia Autonoma di Bolzano, esercita, ai sensi dell'art. 8,
comma 1, numeri 3), 4), 5), 9) e 12) del d.P.R. n. 670/1972  (recante
approvazione  delle  leggi  costituzionali  concernenti  lo   statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), potesta'  legislativa  primaria
in  materia  di  tutela  e  conservazione  del  patrimonio   storico,
artistico  e  culturale,   usi   e   costumi   locali,   urbanistica,
artigianato, fiere e mercati. 
    Inoltre,  ai  sensi  dell'art.  9,  n.  3),   esercita   potesta'
legislativa concorrente in materia di commercio. 
    Ad  avviso   del   ricorrente   le   norme   impugnate   ricadono
pacificamente nella materia  del  «commercio»,  essendo  destinate  a
regolare (in modo illegittimo, come visto) le modalita'  di  apertura
di attivita' di vendita al dettaglio. 
    Ne consegue che, essendo esercitabile la potesta' legislativa  in
materia di commercio, ai sensi dell'art. 9 dello Statuto, nei  limiti
indicati dall'art. 5 (tra cui il rispetto dei principi  stabiliti  da
leggi dello Stato), risulta  chiaro  il  contrasto  delle  previsioni
oggetto del presente ricorso con il  combinato  disposto  dei  citati
artt. 5 e 9 dello Statuto. 
    La natura di principio degli interventi del  legislatore  statale
in materia di concorrenza emerge da quanto sopra esposto  e  non  e',
comunque, revocabile in dubbio. 
    Ne' la conclusione muta  invocando  l'applicazione  dell'art.  10
della legge cost. 3 del 2001, ai sensi del quale le disposizioni  del
nuovo Titolo V si applicano anche alle Regioni ad autonomia  speciale
per le parti in cui prevedono  «forma  di  autonomia  piu'  ampie  di
quelle  gia'  attribuite»:  in  ogni  caso,  infatti,   la   potesta'
legislativa della Provincia deve essere esercitata nel  rispetto  dei
limiti imposti dalla  Costituzione  e  dell'ordinamento  comunitario;
cosi' come chiarito dalla giurisprudenza di  codesta  Corte,  ove  la
potesta' legislativa regionale (o provinciale)  interferisce  con  la
materia della «tutela della concorrenza»,  attribuita  ex  art.  117,
comma 2, lettera e) Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato, la stessa deve ritenersi illegittimamente esercitata qualora -
come pacificamente nella specie - produca effetti  restrittivi  della
concorrenza (cfr. sent. nn. 18/2012; 326/2008; 1/2008; 443/2007). 
    Sulla scorta della medesima giurisprudenza devono ritenersi,  del
pari, illegittime le norme censurate anche ove dovesse ritenersi  che
la materia disciplinata  dalle  stesse  rientri  tra  quelle  di  cui
all'art. 8 dello Statuto,  in  relazione  alle  quali  la  competenza
legislativa va esercitata nei limiti di cui all'art. 4, vale  a  dire
nel rispetto  della  Costituzione  e  dei  principi  dell'ordinamento
giuridico della Repubblica, degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali  nonche'  delle  norme  di  riforma  economico  -
sociale della Repubblica, nel cui novero non  sembra  dubitabile  che
rientrino le disposizioni dettate nell'art. 31 del d.l. n. 201/2011 a
tutela della concorrenza. 
    D'altronde, codesta Corte ha ripetutamente chiarito  (si  vedano,
fra le altre, le sentt. nn. 536 del 2002 e 447  del  2006)  che,  nel
caso in cui  una  materia  attribuita  dallo  Statuto  speciale  alla
potesta' primaria delle Regioni a statuto speciale o  delle  Province
autonome interferisca in tutto o in parte con un ambito spettante, ai
sensi dell'art.  117,  comma  2,  Cost.,  alla  potesta'  legislativa
esclusiva statale,  il  legislatore  nazionale  puo'  incidere  sulla
materia di competenza regionale  qualora  l'intervento  sia  volto  a
garantire  standard  minimi  ed  uniformi  ed  ad  introdurre  limiti
unificanti  che  rispondano  ad  esigenze  riconducibili  ad   ambiti
riservati alla competenza esclusiva dello Stato, con  una  prevalenza
della competenza esclusiva statale su quella primaria  delle  Regioni
speciali e delle Province autonome. 
    Risulta chiaro, dunque, che le norme impugnate risultano  viziate
anche dalla violazione delle norme statutarie. 
    In definitiva, quindi, le disposizioni di cui all'art.  5,  commi
1, 2 e 3, della legge provinciale impugnata violano l'art. 31,  comma
2, del d.l. n. 201/2011 (conv. in legge n. 214/2011), l'art. 3, comma
1, lettera c) del d.l. n. 223/ 2006 (conv.  con  modificazioni  nella
legge n. 248/2006), e,  di  conseguenza,  l'articolo  117,  comma  2,
lettera  e),  della  Costituzione,  in  materia   di   tutela   della
concorrenza, nonche' gli  artt.  4,  5,  8  e  9  dello  Statuto  del
Trentino-Alto Adige. 
    2) In relazione all'art. 117, comma 2, lettera o violazione della
potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia delle tutela
della concorrenza. In relazione all'art. 41 violazione della liberta'
di iniziativa economica. Violazione degli artt. 4, 5,  8  e  9  dello
Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). 
    Tutte le considerazioni sopra svolte valgono anche per il comma 4
dell'art. 5, che, nel fare  salve  dall'applicazione  dei  primi  tre
commi le strutture di vendita al dettaglio gia' autorizzate o gia' in
esercizio in cui - nelle aree interessate  -  vengono  vendute  merci
diverse  da  quelle  elencate  nel  comma  2,  stabilisce  che  dette
strutture, pur potendo continuare  la  loro  attivita',  non  possono
essere ampliate, trasferite o concentrate. 
    Non appare  necessario  diffondersi  in  analisi  particolarmente
estese  al  fine  di  evidenziare  come  la  disposizione  in  parola
rappresenti  un'ingiustificata  restrizione  al  libero   svolgimento
dell'attivita' di commercio al dettaglio delle  merci  differenti  da
quelle ammesse, risolvendosi in una  sorta  di  «congelamento»  delle
attivita' in essere - che non possono essere in alcun modo modificate
nelle loro modalita' di svolgimento fino,  sostanzialmente,  al  loro
esaurimento, come dimostra la disposizione di cui al successivo comma
7, ai sensi della quale, nel momento in cui una  dette  attivita'  di
cui al comma 4 decade,  viene  meno  la  possibilita'  di  esercitare
l'attivita' stessa. 
    Se possibile i commi in esame si pongono  ancor  piu'  di  quelli
precedenti in palese contrasto con l'art. 31,  comma  2,  del  citato
d.l. n. 201/2011,  impedendo  di  fatto  che  le  attivita'  in  essi
contemplate possano adattarsi alle eventualmente mutate esigenze  del
mercato, con evidenti riflessi anticoncorrenziali, e che, al  cessare
delle stesse, per  qualunque  motivo,  le  attivita'  possano  essere
nuovamente in futuro esercitate. 
    L'evidente restrizione della concorrenza rende chiara, quindi, la
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera  e)  Cost.  -  di  cui  il
citato art. 31, comma 2 -, e' espressione, e  cio'  alla  luce  della
giurisprudenza  di  codesta  Corte  sopra  richiamata,   cosi'   come
altrettanto  chiara  e'  la  violazione  del  principio  di  liberta'
nell'iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., essendo i vincoli
in commento  un  evidente  ostacolo  alla  possibilita'  di  adottare
strategie differenziate da parte degli esercenti, dunque un  ostacolo
all'ampliamento dell'offerta a beneficio dei consumatori, nonche'  al
potenziale aumento o, quanto  meno,  mantenimento  del  proprio  giro
d'affari. 
    In definitiva, le norme di cui ai commi 4 e 7 dell'art.  5  hanno
il chiaro scopo  di  avvantaggiare  la  chiusura  degli  esercizi  in
essere, imponendo loro vincoli  che  ne  rendono  piu'  difficile  la
sopravvivenza ed impedendo che, nel momento in cui quelle  attivita',
per qualunque motivo, cessino, possano negli stessi  esercizi  essere
avviate nuove attivita'. 
    In tal modo le stesse si pongono in palese contrasto  con  l'art.
31, comma 2, del ripetuto d.l. n. 201/2011 - espressione dell'opposto
principio della piena liberta' di  apertura  di  nuovi  esercizi  sul
territorio nazionale -, quindi con l'art. 117, comma  2,  lettera  e)
Cost., nonche' con l'art. 41 Cost. 
    Si  richiama,  inoltre,  quanto  sopra  detto  in   ordine   alla
violazione da parte delle norme impugnate  anche  delle  norme  dello
Statuto dei Trentino-Alto Adige (in particolare, degli artt. 4, 5,  8
e 9). 
    3) In relazione all'art. 117,  comma  2,  lettera  e)  violazione
della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia  della
tutela della concorrenza. Violazione degli artt. 4, 5, 8  e  9  dello
Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972). 
    Parimenti contrario al parametro  indicato  in  rubrica  risulta,
infine, l'art. 6 della legge regionale impugnata, ai sensi del  quale
la Giunta provinciale e' autorizzata ad emanare appositi indirizzi in 
    materia di orari  di  apertura  al  pubblico  degli  esercizi  di
vendita al dettaglio, indirizzi che dovranno  garantire  un'effettiva
tutela degli usi e costumi ai sensi dell'art.  8  dello  Statuto  del
Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori autonomi  e  dipendenti
ed il rispetto delle esigenze di ordine pubblico e  di  tutela  della
salute. 
    Tale norma, benche'  non  introduca  nell'immediato  disposizioni
vincolanti,  favorisce  l'adozione  di  iniziative  locali  idonee  a
reintrodurre vincoli che la normativa nazionale  di  liberalizzazione
ha abolito dall'ordinamento. 
    Infatti, l'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/2011, nel modificare
l'art. 3, comma 1, lettera d-bis) del d.l.  n.  223/2006,  stabilisce
che le attivita' commerciali (come individuate dal d.lgs. n. 114/1998
e di somministrazioni  di  alimenti  e  bevande)  si  svolgono  senza
limitazioni e prescrizioni quanto al rispetto degli orari di apertura
e di chiusura, dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva, nonche'
di quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. 
    Risulta evidente  che  attribuire  alla  Giunta  la  facolta'  di
reintrodurre in ambito provinciale le suddette prescrizioni  comporta
una potenziale limitazione  alla  possibilita'  di  differenziare  il
servizio  adattandolo  alle  caratteristiche   della   domanda,   con
conseguente   possibilita'   di   peggioramento   delle    condizioni
dell'offerta e della liberta' di scelta dei consumatori, senza che di
cio'   venga,   nella   norma   di   legge,    fornita    un'adeguata
giustificazione. 
    Quanto detto trova ancora una volta conforto nella giurisprudenza
di codesta Corte che, nella gia' citata  sentenza  n.  150/2011,  con
riguardo proprio alla tematica degli orari  e  della  chiusura  degli
esercizi commerciali, ha evidenziato  che,  in  ambito  regionale  (o
provinciale) «Se  (...)  e'  ammessa  una  disciplina  che  determini
effetti pro-concorrenziali "sempre che tali effetti siano marginali o
indiretti e non siano in contrasto  con  gli  obiettivi  delle  norme
statali  che  disciplinano  il  mercato,  tutelano  e  promuovono  la
concorrenza" (sentenza n. 430 del 2007), al contrario, e' illegittima
una disciplina che, se pure in astratto  riconducibile  alla  materia
commercio  di  competenza  legislativa  delle  Regioni,  produca,  in
concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o
ulteriori limiti o barriere all'accesso  al  mercato  e  alla  libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale. (...) ... nelle recenti
decisioni n. 288 del 2010, n. 283 del 2009, n. 431 e n. 430 del 2007,
nelle quali questa Corte e' stata chiamata  a  valutare  disposizioni
legislative  regionali  che,  adottate  nell'ambito  della   potesta'
legislativa concorrente o residuale, venivano  comunque  ad  incidere
sul  complesso  ed  articolato  sistema  di  principi  e  regole  che
attengono alla "concorrenza", si e' affermato che esse non  violavano
quanto previsto dall'art. 117  Cost.  in  quanto  avevano,  anche  se
marginalmente ed indirettamente, "una valenza pro-competitiva".  Cio'
non si verifica nel caso in esame. L'art. 2 della legge regionale  n.
38 del 2010 impone, infatti, agli esercizi commerciali  che  vogliano
usufruire  della  facolta'  di  derogare  all'obbligo   di   chiusura
domenicale e festiva,  di  "compensare"  ogni  giornata  di  apertura
facoltativa domenicale o festiva con una corrispondente  giornata  di
chiusura infrasettimanale. Tale norma, contrariamente alla precedente
che pure pretende di interpretare, invece di ampliare o, comunque, di
non modificare la portata della liberalizzazione introdotta a partire
dal d.lgs. n. 114 del  1998,  viene  a  regolamentare  in  modo  piu'
restrittivo la materia degli orari degli esercizi commerciali e della
facolta'  di  apertura   nelle   giornate   domenicali   e   festive,
traducendosi in una misura che  contrasta  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost.». 
    Anche alla  luce  della  giurisprudenza  citata,  quindi,  appare
evidente  l'incostituzionalita'  della  norma  impugnata,  in  quanto
sicuramente idonea a determinare effetti anti-concorrenziali. 
    Tenuto,   peraltro,   conto   della   formulazione    chiaramente
inderogabile della norma di cui all'art. 31,  comma  1,  cit.  -  non
ammettendo previsto nella stessa alcun margine di intervento in senso
restrittivo rispetto al suo disposto - e' evidente che il legislatore
provinciale non  puo'  legiferare  in  senso  (anche  potenzialmente)
modificativo rispetto alla stessa. 
    Di qui l'evidente contrarieta' dell'art. 6 della legge  impugnata
con l'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/201 l e con l'art. 117, comma
lettera e) Cost. 
    Si  richiama,  inoltre,  quanto  sopra  detto  in   ordine   alla
violazione da parte delle norme impugnate  anche  delle  norme  dello
Statuto del Tremino-Alto Adige (in particolare, degli artt. 4, 5, 8 e
9).