Ricorso della Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P. IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 869 del 22 maggio 2012 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Bruno Barel (C.F. BRLBRN52D19M089Z) del Foro di Treviso, Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela Palumbo (C.F. PLMDNL57D69A266Q) della Direzione Regionale Affari Legislativi e Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatirorna.org); Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge con legge 4 aprile 2012, n. 35, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 82 del 6 aprile 2012, S.O. n. 69: art. 29 "Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero", per violazione degli articoli 117, IV comma, 118 e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione; art. 40 "Soppressione del vincolo in materia di chiusura domenicale e festiva per le imprese di panificazione di natura produttiva", comma l, per violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione; art. 41 "Semplificazione in materia di somministrazione temporanea di alimenti e bevande", per violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione; art. 50 "Attuazione dell'autonomia", comma 1, per violazione degli articoli 117, IV comma, e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione; art. 53, "Modernizzazione del patrimonio immobiliare scolastico e riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza agli usi finali di energia", comma 7, per violazione dell'art. 120 della Costituzione, in relazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni; art. 60 "Sperimentazione finalizzata alla proroga del programma "carta acquisti", per violazione degli articoli 117, IV comma, e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione; art. 61 "Norme transitorie e disposizioni in materia di atti amministrativi sottoposti a intesa", comma 3, per violazione dell'art. 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione, e dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 "Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo", convertito in legge con modificazioni con legge 4 aprile 2012, n. 35, contiene una serie di misure, eterogenee fra loro, alcune delle quali vanno a ledere le prerogative costituzionali delle Regioni ordinarie, sotto vari profili. La Regione del Veneto, pur condividendo in linea generale la finalita' di semplificazione, e' tuttavia costretta a censurare in questa sede quelle disposizioni, indicate in epigrafe e di seguito, che, ciascuna nelle parti e per i profili indicati, violano la sua autonomia costituzionalmente garantita e la leale collaborazione tra lo Stato e la Regione stessa. Art. 29 "Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero": violazione degli articoli 117, comma IV, 118 e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione) della Costituzione. L'art. 29 del decreto-legge reca "Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero". Al comma 1, dispone che i progetti di riconversione del comparto bieticolo saccarifero approvati dall'apposito Comitato interministeriale "rivestono carattere di interesse nazionale anche ai fini della definizione e del perfezionamento dei processi autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio". Al comma 2, stabilisce che entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge "il Comitato interministeriale di cui al comma 1 dispone le norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti, nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, un commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede regionale con coordinamento del Comitato interministeriale. Al Commissario non spettano compensi e ad eventuali rimborsi spese si provvede nell'ambito delle risorse destinate alla realizzazione dei progetti". Il contesto normativo nel quale viene a collocarsi la disposizione citata e' rappresentato dal decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, recante "Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonche' in materia di fiscalita' d'impresa". Precisamente, viene qui in rilievo l'art. 2 di quel decreto, recante la rubrica "Interventi urgenti nel settore beticolo-saccarifero", col quale, al fine di fronteggiare la grave crisi del settore bieticolo-saccarifero, si e' istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Comitato interministeriale, col compito (comma 2): a) di approvare entro 45 giorni "il piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticola-saccarifera"; b) di coordinare "le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per le connesse problematiche sociali"; c) di formulare "direttive per l'approvazione dei progetti di riconversione". La medesima disposizione statale ha poi previsto (comma 3) l'approvazione da parte del Ministro per le politiche agricole dei progetti di riconversione presentati per ciascuno degli impianti industriali ove sarebbe cessata la produzione di zucchero, ed ulteriori misure di sostegno, anche da parte dell'AGEA (commi da 4 a 5-bis, variamente modificati in sede di conversione e da leggi sopravvenute). Le misure cosi' adottate dall'Italia erano coerenti con quelle decise a livello comunitario per la ristrutturazione dell'industria comunitaria dello zucchero, affetta da difficolta' strutturali, mediante il regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006 "relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell'industria dello zucchero nella Comunita' europea e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al funzionamento della politica agricola comune" (in G.U.U.E. L 58/42 del 28 febbraio 2006). Il "Programma nazionale di ristrutturazione del settore bieticolo-saccarifero" del 19 dicembre 2006, formulato ai sensi dell'art. 6 Reg. CE 320/2006 dal Ministero delle politiche agricole, Dipartimento delle politiche di sviluppo, PQSR II, e le connesse direttive sono stati approvati dal Comitato interministeriale ad hoc nella riunione del 31 gennaio 2007, con la previsione di chiusura di 19 dei 13 stabilimenti operanti in Italia, fra i quali quello di Porto Viro (Rovigo) della societa' Italia Zuccheri s.p.a. La Regione Veneto ha dato attuazione a quanto previsto dal regolamento comunitario e dalle correlate disposizioni statali, relativamente all'unico stabilimento saccarifero presente nel territorio regionale, quello di Porto Viro, che ha proposto un accordo di riconversione. La Regione del Veneto ha infatti tempestivamente approvato, con deliberazione di Giunta regionale n. 1234 dell'8 maggio 2007 (in B.U.R. n. 49 del 29 maggio 2007), l'"Accordo di conversione produttiva dello stabilimento saccarifero di Porto Viro". L'Accordo tuttavia non ha potuto avere attuazione nei modi e termini previsti per ragioni economiche legate alla sfavorevole congiuntura di mercato; di conseguenza, e' stato successivamente modificato con un "Accordo integrativo", approvato con deliberazione di Giunta regionale n. 983 del 21 aprile 2009 (in B.U.R. n. 37 del 5 maggio 2009). Dopo una pausa imposta da impedimenti di ordine normativo e finanziario (cfr. art. 4 della legge finanziaria regionale per il 2011), il procedimento e' proseguito. Sui contenuti dell'Accordo integrativo ha recentemente espresso parere favorevole la Commissione tecnica regionale per l'ambiente, nella seduta del 12 marzo 2012, e tale parere costituira' la posizione dell'Amministrazione in seno alla Conferenza di servizi che dovra' essere convocata per concludere il procedimento autorizzativo. In tale contesto, di diritto e di fatto, sopravviene ora la disposizione statale in oggetto, che affida al Comitato interministeriale sia l'emanazione di non meglio precisate "norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti", sia la "nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 209, n. 2, [di un] un commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede regionale con coordinamento del Comitato interministeriale.". Si tratta di previsioni di ampia portata e allo stesso tempo alquanto generiche, che consentono tanto l'emanazione a livello statale di "norme idonee" ad incidere sulle competenze amministrative regionali, quanto la nomina di un commissario ad acta, sulla base di, e con riferimento a, una generica disciplina statale emanata a suo tempo a tutt'altri fini (investimenti pubblici di competenza statale prioritari: art. 20, comma 1, decreto-legge 29 novembre 2008, n. 385). In sostanza, le nuove disposizioni statali, col riclassificare di interesse nazionale l'implementazione di tutti gli Accordi regionali, in via generale e generica, sottopongono la connessa attivita' amministrativa e gestionale regionale a vigilanza e controllo del Comitato ministeriale, e consentono la nomina da parte del medesimo Comitato stesso di commissari ad acta dotati anche di poteri sostitutivi. L'art. 29 del decreto-legge in oggetto attiene palesemente alla materia dell'agricoltura, in relazione alla politica agricola comune dell'Unione europea, e lede pertanto la sfera di competenza legislativa e amministrativa esclusiva propria della Regione del Veneto, ai sensi dell'art. 117, comma IV, della Costituzione. La novella statale avoca in sostanza allo Stato, oltre che un'attivita' normativa non meglio precisata, perfino l'attuazione in sede amministrativa degli Accordi regionali finalizzati alla ristrutturazione dell'industria saccarifera nel quadro del regime temporaneo di aiuti istituito a livello dell'Unione, dichiaratamente nel quadro del funzionamento della politica agricola comune, in violazione anche della competenza amministrativa riservata alle Regioni dall'art. 118 Cost. Lede altresi' il principio costituzionale di leale collaborazione, sotteso all'art. 120 Cost., in quanto disarticola quell'equilibrio nella cooperazione fra Stato e Regioni delineato dalla previgente normativa, fino a prefigurare una sorta di commissariamento delle Regioni perfino nella gestione operativa e dettagliata degli adempimenti amministrativi finalizzati all'implementazione di Accordi con parti private. Spetta invero alle Regioni, oltre che la conclusione degli Accordi di ristrutturazione nel quadro del Programma nazionale, anche - a maggior ragione - la loro attuazione, attraverso la disciplina e l'attivazione degli appropriati procedimenti amministrativi. La Regione del Veneto ha specifico interesse a dolersene in relazione all'Accordo e al procedimento in corso e in via di conclusione, volto alla riconversione dello stabilimento ex saccarifero di Porto Viro, che potrebbe ora essere pregiudicato. Articolo 40 "Soppressione del vincolo in materia di chiusura domenicale e festiva per le imprese di panificazione di natura produttiva": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. L'art. 40 del decreto-legge consta di un solo comma, del tenore seguente: "1. Il secondo periodo dell'art. 11, comma 13, della legge 3 agosto 1999, n. 265, e' soppresso". L'art. 11, comma 13, della legge n. 265/1999 dispone: "E' abrogata la legge 13 luglio 1966, n. 611. All'attivita' di panificazione autorizzata ai sensi della legge 31 luglio 1956, n. 1002, si applicano gli articoli 11, comma 4, 12 e 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114". La disposizione statale censurata va dunque ad abrogare quella proposizione normativa (secondo periodo) che assoggettava l'attivita' di panificazione ad alcune disposizioni del decreto legislativo n. 114/1998 e precisamente: - all'art. 11, comma 4, secondo il quale "Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di cui al comma l, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale"; - all'art. 12, che ammette deroghe all'obbligo precedente nei Comuni ed economia prevalentemente turistica e nelle citta' d'arte; - all'art. 13, che detta ulteriori disposizioni speciali di deroga. La finalita' della novella, resa evidente fin dalla rubrica e perseguita mediante l'abrogazione del rinvio alle disposizioni che disciplinavano la chiusura domenicale e festiva, e' costituita dunque dalla liberalizzazione delle aperture dei panifici per la commercializzazione della propria produzione. Si intende cosi' estendere ulteriormente la c.d. liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali al dettaglio, gia' disposta con il c.d. decreto-legge "Salva Italia" del 6 dicembre 2011, n. 201, anche alle imprese artigiane di panificazione quanto alla commercializzazione diretta di prodotti propri. La nuova disposizione statale va peraltro a confliggere con la specifica disciplina dettata dalla Regione del Veneto con la legge 21 settembre 2007, n. 29 (art. 25), nell'esercizio della propria competenza legislativa esclusiva sia in materia di commercio che di artigianato. In proposito, si segnala che il decreto-legge n. 201/2011 e' gia' oggetto di un giudizio di legittimita' costituzionale anche relativamente alla disciplina delle aperture degli esercizi commerciali (r.g. 29/2011, su ricorso proposto (anche) dalla Regione del Veneto). In questa sede, la Regione del Veneto, coerentemente con quanto dedotto nei suddetti giudizi, a tutela delle proprie prerogative costituzionali, e segnatamente della potesta' legislativa regionale in materia di commercio e di artigianato, non puo' che censurare anche l'art. 40 del decreto-legge in oggetto, per violazione della competenza legislativa regionale residuale, ai sensi dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. In sintesi, e' indubbio, secondo la giurisprudenza costituzionale, che la materia del commercio, cui sembra appropriato ricondurre la disciplina delle aperture e degli orari ai fini della commercializzazione dei prodotti anche di propria produzione - analogamente comunque alla materia dell'artigianato - sia di competenza legislativa residuale regionale (sentenza n. 1 del 2004; ord. 11 maggio 2006, n. 199; sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2007, n. 165; 12 dicembre 2007, n. 430; 24 ottobre 2008, n. 350; 5 luglio 2010, n. 247; 8 ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150). Rispetto alle prerogative regionali, la tutela della concorrenza rappresenta un limite "interno", da intendere pero' in modo tale che non possa determinare lo svuotamento della competenza esclusiva regionale nella materia del commercio. La legislazione regionale deve certamente conformarsi ai generali obiettivi di non discriminazione fra operatori economici, di apertura al mercato e di eliminazione di barriere e vincoli al libero esplicarsi dell'attivita' economica (in questo senso, da ultimo, Corte cost., sentenze n. 18 del 23 gennaio 2012, n. 150 del 2011), ma allo stesso tempo non le puo' essere negato ogni margine di intervento per modellare la disciplina concreta in modo tale da salvaguardare altri valori che pure trovano fondamento nella Carta costituzionale e nell'insieme dell'ordinamento italiano. La completa liberalizzazione delle aperture domenicali e festive non persegue affatto l'obiettivo di una piu' efficace tutela della concorrenza, dal momento che essa determina, al contrario, il rafforzamento sul mercato delle sole aziende che per le loro maggiori dimensioni sono in grado di cogliere tale opportunita', a discapito delle imprese minori le quali, non essendo in grado di garantire una apertura continuativa, risulterebbero penalizzate e giocoforza emarginate dal mercato, determinandosi, quale ulteriore grave conseguenza, un'accentuazione della desertificazione dei centri storici, gia' di per se' in atto a seguito degli effetti del perdurare della crisi economica (come infatti correttamente osservato dalla piu' recente giurisprudenza amministrativa in materia: in tal senso, cfr. ancora TAR Veneto, III Sez., sentenza n. 1261 del 28 luglio 2011). La totale liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali finisce percio' col produrre effetti opposti a quelli voluti, non risulta adeguato e proporzionato rispetto all'obiettivo, priva di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur meritevoli anch'essi di cura. Anche l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, nel parere del 26 agosto 2011 in relazione alle disposizioni in materia di liberalizzazione dell'esercizio delle attivita' economiche contenute nel decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 16 settembre 2011, n. 148), ha, seppure indirettamente, mostrato di ritenere che rientri appieno nell'ambito della potesta' normativa delle Regioni la facolta' di introdurre limitazioni all'esercizio dell'attivita' economica, allorche' esse discendono da motivi imperativi di interesse generale, quali, tra l'altro, la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, gli obiettivi di politica sociale e, non ultima, la tutela del consumatore. L'esigenza di un ragionevole contemperamento tra valori e' al fondo di quella giurisprudenza costituzionale che, di recente, ha riconosciuto la legittimita' di leggi regionali in materia di commercio che introducevano differenziazioni di regime con riferimento alle dimensioni dell'impresa, in quanto ispirate all'esigenza di interesse generale di riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio regionale (sentenze n. 64 del 2007, n. 288 del 2010). La disposizione di legge qui censurata, cosi' come formulata, nella sua assolutezza e inderogabilita', non trova base giuridica legittimante ne' nel diritto dell'Unione, cui resta estraneo questo tema, ne' nell'art. 117, II comma, della Costituzione, e viola la competenza esclusiva regionale in materia di commercio attribuita dall'art. 117, IV comma, della Costituzione. Preclude conseguentemente alla Regione anche l'esercizio della propria autonomia amministrativa nella materia considerata e la possibilita' di attribuire funzioni amministrative ai Comuni. La novella legislativa ha un effetto opposto a quello perseguito. Essa non e' adeguata e proporzionata rispetto all'obiettivo e priva di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur meritevoli anch'essi di cura. In particolare, finisce col precludere la stessa possibilita' di graduare il processo di liberalizzazione, in modo che non travolga gli operatori economici piu' deboli, il mondo delle piccole e medie imprese commerciali che per dimensioni e struttura non sono immediatamente in grado di competere 24 ore su 24, in tutti i giorni festivi dell'anno, cosi' come invece le grandi imprese, col rischio di disarticolare un mercato distributivo caratterizzato fin qui da una pluralita' di formule e di offerte, capace di garantire anche servizi di prossimita', essenziali nei piccoli paesi e nei centri storici sia per i consumatori che per l'ambiente urbano e sociale. Nel diritto vivente, segnatamente nella recente giurisprudenza amministrativa, non mancano precisi riferimenti alla pluralita' dei valori messi in gioco dalla disciplina dei giorni ed orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali. Si e' affermato, fra l'altro, che una disciplina locale che differenziava le aperture domenicali entro e fuori le mura storiche di una citta' "mira ad una regolamentazione finalizzata a contemperare i principi e i valori della concorrenza con la salvaguardia delle aree urbane, dei centri storici, della pluralita' tra diverse tipologie di strutture commerciali e della funzione sociale svolta dai servizi commerciali di prossimita'" e che "alla luce di tale contemperamento vanno lette anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali" (TAR Emilia-Romagna, sentenza n. 8002 del 2010). Analogamente si e' espresso il TAR per il Veneto: "la vigente disciplina in materia di commercio (d.lgs. n. 114/98 e d.-l. n. 223/06, conv. in l. n. 248/06) non persegue in via esclusiva una finalita' liberalizzatrice, connessa al solo scopo di tutelare la liberta' delle imprese e la concorrenza, in una prospettiva di sostanziale deregolamentazione del settore, giacche' questo obiettivo avrebbe quale esito estremo il rafforzamento sul mercato (delle imprese) di maggiori dimensioni a discapito proprio di un mercato concorrenziale, ed esaurirebbe l'intera disciplina nell'ambito della competenza legislativa statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, giungendo a negare una propria autonomia al "commercio" inteso come "materia attribuita alla competenza legislativa residuale delle regioni" (pacificamente riconosciuta invece dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: cfr. le sentenze 12 dicembre 2007, n. 430, punto 3.2.2. in diritto; 11 maggio 2007, n. 165; 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2006 , n. 199)"; "in ragione dei rilevanti effetti di carattere urbanistico e sociale che derivano dalla presenza o meno di esercizi commerciali sul territorio, la predetta disciplina mira a una regolamentazione finalizzata a contemperare i principi e i valori della concorrenza con la salvaguardia delle aree urbane, dei centri storici, della pluralita' tra diverse tipologie delle strutture commerciali e della funzione sociale svolta dai servizi commerciali di prossimita' ... per l'art. 1, comma 3, lett. b), d), ed e) del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, la disciplina sul commercio persegue anche le finalita' della tutela del consumatore, con particolare riguardo (...) alla possibilita' di approvvigionamento, al servizio di prossimita', del pluralismo ed equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, con particolare riguardo al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese, e della valorizzazione e salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari"; "e' pertanto alla luce del contemperamento operato dal legislatore tra la pluralita' di questi interessi che devono essere lette anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali, con la conseguente insussistenza di una regola che preveda la totale liberalizzazione dei giorni di apertura." (sentenza n. 135 del 2010). "L'art. 6 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 attua tali principi prevedendo una programmazione della rete distributiva che: - renda "compatibile l'impatto territoriale e ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a fattori quali la mobilita', il traffico e l'inquinamento e valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio" (art. 6, comma 1, lett. c); - salvaguardi e riqualifichi "i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale" (art. 6, comma 1, lett. d); - favorisca "gli insediamenti commerciali destinati al recupero delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali reali e con facolta' di prevedere a tale fine forme di incentivazione" (art. 6, comma 1, lett. f); - individui "i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonche' dell'arredo urbano, ai quali sono sottoposte le imprese commerciali nei centri storici e nelle localita' di particolare interesse artistico e naturale" (art. 6, comma 2, lett. b); - tenga conto dei "centri storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attivita' commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attivita' commerciali e artigianali" (art. 6, comma 3, lett. c). E' pertanto alla luce del contemperamento operato dal legislatore tra la pluralita' di questi interessi che devono essere lette anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali." (TAR Veneto, sez. III, 28 luglio 2011, n 126, che richiama la propria sentenza n. 3819 del 2009; conf. TAR Emilia-Romagna, sez. Bologna, n. 8002 del 2010; TAR Piemonte, n. 3585 del 2009; v. anche TAR Lombardia - Milano, n. 5658 del 2010). Art. 41 "Semplificazione in materia di somministrazione di alimenti e bevande": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. Dispone il comma unico dell'art. 41 del decreto-legge censurato: "1. L'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari, e' avviata previa segnalazione certificata di inizio attivita' priva di dichiarazioni asseverate ai sensi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e non e' soggetta al possesso dei requisiti previsti dall'art. 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.". La disposizione citata detta dunque una disciplina relativa all'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in situazioni particolari (sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari) che riguarda sia le modalita' di avvio (ridotte ad una s.c.i.a. ulteriormente semplificata, non accompagnata cioe' da dichiarazioni asseverate) che i requisiti da rispettare (soppressi, in totale deroga agli ordinari requisiti anche morali stabiliti a livello statale dal d.lgs. n. 59/2010 di attuazione della direttiva Bolkestein 2006/123/CEE). L'attivita', anche temporanea, di somministrazione di alimenti e bevande, anche in situazioni particolari, rientra pacificamente nella materia del commercio, pertanto l'intervento statale e' lesivo della competenza legislativa regionale residuale delle Regioni nella materia del commercio, attribuita dall'art. 117, IV comma, della Costituzione (sentenza n. 1 del 2004; ord. 11 maggio 2006, n. 199; sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2007, n. 165; 12 dicembre 2007, n. 430; 24 ottobre 2008, n. 350; 5 luglio 2010, n. 247; 8 ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150). La Regione del Veneto ha gia' esercitato tale competenza, successivamente alla riforma costituzionale del 2001, con la legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, "Disciplina dell'esercizio dell'attivita' e somministrazione di alimenti e bevande", ponendo fra l'altro una regolamentazione specifica delle autorizzazioni temporanee in occasione di fiere, feste o altre riunioni straordinarie di persone, incidente sia sui requisiti che il richiedente deve soddisfare (art. 11, comma 3), che sulle modalita' (art. 11, commi l e 4). Nella giurisprudenza costituzionale si rinviene un puntuale precedente in termini nella sentenza 13 gennaio 2004, n. 1. Con quella pronuncia e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una norma statale (art. 52, comma 17, l. 28 dicembre 2001, n. 448) che escludeva l'applicabilita' della legge n. 426 del 1971 sul commercio alle sagre, fiere e manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico, per lesione della competenza riconosciuta nella materia del commercio alle regioni dall'art. 117, IV comma, della Costituzione. Art. 50, comma 1, relativamente alla emanazione di un decreto ministeriale recante linee guida in materia di istruzione: violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. L'art. 50, comma 1, della legge oggetto del presente giudizio rimette ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'adozione di linee guida orientate al perseguimento degli obiettivi specificati dalla norma medesima, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Benche' le finalita' perseguite dalla norma di cui si tratta, in quanto afferenti alla "autonomia delle istituzioni scolastiche" e alla "ridefinizione degli organici" siano indubbiamente ascrivibili ad un ambito di competenza esclusiva statale quale e' appunto quello rubricato "norme generali sull'istruzione" di cui all'art. 117, II comma, lettera n), della Costituzione, la disposizione in esame interferisce con le competenze regionali laddove si intreccia con il dimensionamento delle istituzioni scolastiche di spettanza invece regionale che, a propria volta, si correla necessariamente al diverso ambito di competenza residuale regionale, nella misura in cui puo' interessare la materia di servizi sociali, violando cosi' direttamente il IV comma dell'art. 117 della Costituzione, valutato in relazione al disposto del III comma, nonche' il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Preliminarmente, si reputa utile una breve ricostruzione sistematica del contesto normativo di riferimento, costituzionalmente inquadrato, allo scopo di evidenziare le disarmonie strutturali che si riverberano sui contenuti disciplinatori, generando quelle antinomie che, ad avviso della difesa regionale, fondano le censure di illegittimita' sollevate. Si rileva, infatti, come, nell'alveo generico qualificato come "istruzione pubblica", esista in realta' una pluralita' di ambiti specifici, i cui contorni sono stati progressivamente delineati in forza di una notevolissima, intensa, attivita' giurisprudenziale di codesta ecc.ma Corte, con la quale sono state definite, sotto il profilo oggettivo, le linee di demarcazione della competenza insistente in materia, e sono stati cosi' individuati come ambiti di attribuzione regionale il dimensionamento della rete scolastica e la programmazione dell'offerta formativa. Tuttavia, tale competenza deve necessariamente connettersi alla materia dei servizi sociali, particolarmente per quanto attiene alle scuole dell'infanzia, nonche' alle misure di prevenzione e contrasto del disagio di particolari utenti del servizio scolastico. Inoltre, parimenti intrecciata ed indissolubilmente collegata all'anzidetta competenza risulta, altresi', la formazione professionale, che per espressa previsione della Carta fondamentale e' ascrivibile appunto al quarto comma dell'art. 117 della Costituzione. Pertanto, il contenuto del decreto ministeriale, pur riguardando espressamente gli organici delle istituzioni scolastiche e l'autonomia delle medesime, di indiscussa competenza esclusiva statale, non puo' collocarsi in una posizione giuridica sistematicamente avulsa e distante da quella competenza regionale in materia di dimensionamento della rete scolastica di cui si e' detto. In altri termini, la definizione degli organici delle istituzioni scolastiche pare costituire il presupposto indefettibile affinche' la Regione sia posta nelle condizioni effettive, e non meramente virtuali, di programmare l'apertura e la chiusura delle istituzioni scolastiche, nonche' gli eventuali accorpamenti. Si richiama a tal proposito la decisione n. 34 del 2005, con la quale codesta ecc.ma Corte ha inequivocabilmente precisato che il dimensionamento della rete delle istituzionali scolastiche e' un ambito di spettanza regionale. Segnatamente, ha affermato che "proprio alla luce del fatto che gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, e' da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' stata ed esse conferita." Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato ulteriore conferma, dapprima, nella sentenza n. 200 del 2009, che ha dichiarato illegittime le lettere f-bis) e f-ter) del comma 4 dell'art. 64 del decreto legge n. 112 del 2008, concernente appunto gli accorpamenti di istituiti scolastici aventi sede in piccoli Comuni, e successivamente, nella decisione n. 92 del 2011, con la quale codesta ecc.ma Corte ha dichiarato come la disciplina afferente l'istituzione di nuove sezioni o scuole dell'infanzia non sia di attribuzione statale. Infine, ad ulteriore riprova della labilita' del riparto di competenze in subiecta materia, testimoniato dalla vivacita' del contrasto interpretativo, cui si contrappongono i puntuali accertamenti giurisprudenziali di legittimita', di recente e' stata discussa, ma non ancora decisa, sempre dinanzi a codesta ecc.ma Corte, anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, che, proprio perche' disciplinante, con statuizioni di estrazione statale, gli accorpamenti delle istituzioni scolastiche, e' stato impugnato da alcune Regioni, per violazione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite. Per evidenziare adeguatamente le modalita' ed i contenuti della lamentata lesione alle attribuzioni regionali operato dalla disposizione impugnata, si ritiene opportuno soffermarsi ora sul riparto delle funzioni esercitabili da Regione ed Enti Locali in materia di istruzione scolastica, con particolare riferimento al dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Sul punto, si rammenta che, al fine di assicurare l'autonomia scolastica, l'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 prevedeva l'obbligo, per le istituzioni scolastiche, di adeguarsi ai requisiti dimensionali, in conformita' ai piani di dimensionamento della rete scolastica. Successivamente, il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 "Conferimento di finzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali", in attuazione proprio della legge n. 59 del 1997, all'art. 138, comma 1, lettere a) e b), ha riorganizzato, definendole, seppure con qualche difficolta' applicativa, le competenze in materia di istruzione scolastica, secondo un ulteriore riparto. Conseguentemente, il nuovo assetto istituzionale che ne risulta vede riservate allo Stato le funzioni concernenti i criteri e i parametri per l'organizzazione della rete scolastica; mentre alle Regioni e' delegata la programmazione della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, nonche' la programmazione dell'offerta integrata tra istruzione e formazione professionale; infine, sono trasferite alle Province - quanto all'ambito dell'istruzione secondaria di secondo grado - ed ai Comuni - quanto all'ambito dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado - le funzioni di istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di istituti scolastici, in attuazione degli strumenti di programmazione, nonche' la redazione dei piani di organizzazione delle rete delle istituzioni scolastiche. Il regolamento 18 giugno 1998, n. 233, recante "Norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti" individua, sempre in conformita' a quanto stabilito dalla L. 59 del 1997, i parametri dimensionali ottimali ed e' proprio a tali parametri che espressamente rinvia l'art. 64 del decreto-legge n. 112 del 2008. Si precisa, al riguardo, che il regolamento citato prevede un meccanismo di formazione progressiva della pianificazione di settore, in base al quale i piani dimensionali contemplati dalla legge n. 59 del 1997, adottati dalle conferenze provinciali della rete scolastica, devono confluire nel piano regionale di dimensionamento, di competenza, appunto, della Regione. Il medesimo regolamento, all'art. 4, nel confermare la competenza regionale ad esercitare funzioni di pianificazione in tema di dimensionamento ottimale, richiama altresi' la competenza attribuita dal d.lgs. n. 112 del 1998 agli Enti Locali, che attribuiva ai medesimi la competenza in ordine alla soppressione, istituzione e trasferimento di sedi, plessi, unita' delle istituzioni scolastiche titolari di personalita' giuridica e di autonomia scolastica, secondo la nota allocazione funzionale. Conformemente al riparto di competenze stabilito dalla disciplina di fonte statale, il gia' menzionato art. 138 della legge regionale n. 11/2001 ha ribadito che spettano agli Enti Locali, nei rispettivi ambiti di competenza sia di ordine che di grado scolastico, la istituzione, aggregazione, fusione e soppressione delle scuole, in attuazione degli strumenti di programmazione, nonche' la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche. Cosi' brevemente riassunto il quadro normativo, si rileva che lo Stato, nonostante il riparto di competenze sopra descritto, ha perseguito la realizzazione di una linea di azione generalizzata tesa a ridimensionare la rete scolastica, secondo modalita' centralistiche e del tutto indifferenti alle prerogative regionali esistenti in materia, attraverso meccanismi temporali imposti a Regioni ed enti locali, che, nell'ambito delle rispettive competenze, dovevano osservare scadenze restrittive per adottare detti piani di dimensionamento, in osservanza della modifica apportata all'art. 64 del d.-l. n. 112 del 2008. In dettaglio, infatti, la legge 4 dicembre 2008, n. 189, di conversione del d.-l. 7 ottobre 2008, n. 154, ha sostanzialmente modificato l'art. 64 di cui si tratta, stabilendo le scansioni cronologiche alle quali si e' accennato e che si riportano quale dato utile a valutare la straordinaria complessita' del contesto legislativo progressivamente formatosi. In punto, per il solo anno scolastico 2009/2010, il termine per il dimensionamento delle istituzioni scolastiche da parte di Regioni ed Enti Locali, nell'ambito delle rispettive competenze, era stato fissato al 31 dicembre 2008. Inoltre, era stata introdotta una procedura di concertazione sempre con Regioni ed Enti Locali, allo scopo di conseguire apposita Intesa, da raggiungere in sede di Conferenza unificata, ma con esclusivo riferimento agli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012. E' intervenuto, quindi, il DPR 20 marzo 2009, n. 81 recante "Norme per riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola" che, all'art. 1, prevede che alla definizione dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei punti di erogazione del servizio scolastico si provveda con decreto, previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza Unificata. Tale regolamento, tuttavia, genera non poche difficolta' interpretative ed attuative, posto che, ai sensi del successivo art. 2, la determinazione e la distribuzione delle dotazioni organiche tra le Regioni doveva avvenire con decreto, ma sentita la Conferenza Unificata e, quindi, in assenza dell'intesa alla quale rinviava, invece, l'art. 1. Infine, nella medesima logica di normazione statalistica avviata con il piu' volte ricordato art. 64 del d.-1.112/2008, il DPR n. 22 giugno 2009, n. 119, che ha stabilito i criteri e i parametri per la determinazione degli organici, all'art. 2, comma 1, ha previsto che la consistenza numerica complessiva dei posti, definita a livello nazionale, venga ripartita in dotazioni regionali, tenuto conto anche dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Correlativamente, i commi successivi indicano le modalita' di concreta distribuzione a livello territoriale, temperando la statuizione con una disposizione cedevole che limitava l'efficacia degli anzidetti criteri di ripartizione fino all'adozione, da parte delle Regioni, delle norme legislative necessarie ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Nella congerie normativa cui si e' fatto cenno in estrema sintesi, codesta ecc.ma Corte e' stata chiamata a pronunciarsi proprio in ordine all'individuazione del corretto riparto di competenze tra Stato e Regioni, traendo spunto dalla possibile emanazione di un atto regolamentare di fonte statale disciplinante il dettaglio della materia. Con la decisione n. 200 del 2009 ha appunto dichiarato l'illegittimita' dell'art. 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui demandava ad un regolamento statale i criteri del ridimensionamento scolastico. Conseguentemente si e' verificato quell'impedimento alla prosecuzione dell'attivita' amministrativa statale che non ha consentito l'emanazione del regolamento previsto dall'art. 1 del DPR n. 81/2009 ed attuativo dell'art. 64 del decreto-legge n. 112/2008. Attualmente, l'art. 50, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2012 si inserisce nella vicenda legislativa di cui si tratta e, laddove "ri"definisce "un organico dell'autonomia", assegna a tale locuzione la funzione di indicatore della sussistenza di quei requisiti essenziali del soggetto giuridico indispensabili per il conseguimento ed il correlativo riconoscimento di quella differenziazione amministrativa che trova la propria legittimazione nella capacita' autosufficiente di funzionamento in una logica complessiva di gestione ottimale delle risorse. Appare del tutto evidente come tale impostazione legislativa diverga sostanzialmente e non sia assimilabile alla diversa funzione esercitata per la determinazione e distribuzione dell'organico del personale docente, di cui all'art. 2 del DPR n. 81 del 2009. La definizione degli "organici dell'autonomia", ad avviso della difesa regionale, e' infatti riconducibile ad aspetti di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, assumendo a parametro di riferimento un arco temporale piu' ampio di quello annuale, e presenta quel carattere di stabilita' - peraltro chiaramente espresso alla lettera e) del comma 1 in argomento - strettamente correlato alla costituzione delle reti territoriali tra istituzioni scolastiche, per le quali e' indefettibile la previa intesa in sede di Conferenza unificata. Ma la disposizione qui impugnata introduce autoritativamente un sistema di definizione riferito non piu' esclusivamente "alla singola istituzione scolastica" bensi' alla "rete delle istituzioni", strutturata in base a criteri e parametri del dimensionamento scolastico di cui all'articolo 1 del DPR n. 81 del 2009; tali criteri, tuttavia, non sono stati emanati per l'effetto impeditivo dispiegato dalla citata sentenza n. 200 del 2009. In altri termini, lo Stato, nel disciplinare l'organico dell'autonomia, con intervento normativo assai discutibile quanto a chiarezza espositiva, per un verso differenzia tra "singola istituzione scolastica" (art. 50, comma 1, lettera b)) e "rete delle istituzioni"(art. 50, comma 1, lettera c)) assoggettando la seconda e non la prima ad un'intesa obbligatoria da raggiungere in Conferenza Unificata; per altro verso, dispone che alla costituzione degli organici di entrambe (art. 50, comma 1, lettera e)) si possa procedere, con il medesimo decreto, solo sentita la Conferenza Stato-Regioni, cosi' interferendo con il dimensionamento della rete scolastica, e ledendo la potesta' legislativa della Regione sussistente in detto ambito, seppure connessa alla potesta' legislativa statale sul personale scolastico, con simultanea violazione del principio di leale cooperazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Infatti, nelle more dell'emanazione di una compiuta legislazione regionale al riguardo, lo Stato non puo' ridefinire gli organici per un periodo triennale, in assenza di un adeguato coinvolgimento delle Regioni che si troverebbero, in quanto esautorate delle proprie competenze, ad esprimere un mero parere, ed accettare un assetto disciplinatorio con evidenti effetti compromissori e limitativi della propria potesta' legislativa. Correlativamente, laddove imposto normativamente, il rinvio al ricorso necessario allo strumento concertativo non puo' essere eluso, non riconnettendo al mancato raggiungimento della prescritta intesa alcuna conseguenza sostanziale, con cio' svuotando l'istituto degli effetti che gli sono propri. Sul punto, si richiama quanto affermato da codesta ecc.ma Corte nelle sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003, laddove e' stato sancito il principio che il mancato raggiungimento della prescritta intesa deve necessariamente costituire ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento. Nella specie, non pare potersi negare che il dimensionamento scolastico produca un decisivo impatto sul sistema regionale delle reti scolastiche, come gia' strutturato in attuazione dell'esercizio della pluralita' di funzioni conferite dal D.lgs. 112/1998, nonche' su una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, per quanto attiene all'edilizia scolastica, alla formazione professionale ed alla programmazione dell'offerta formativa. Infine, si richiama il parere datato 22 febbraio 2012, rilasciato in sede di Conferenza Unificata e concernente la legge di conversione del decreto-legge n. 5 del 2012, nella parte in cui evidenzia che "La norma conferma il contrasto con quanto recita la sentenza della Corte costituzionale", vale a dire con la sentenza n. 13 del 2004, "che ha precisato che la funzione di programmazione della rete scolastica sul territorio", di competenza esclusiva delle Regioni, "non e' compatibile con il mantenimento nelle mani dello Stato delle decisioni relative alla distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche". Per superare l'attuale incaglio legislativo, che si riverbera sul corretto esercizio delle funzioni, sarebbe necessario chiarire l'ambito normativo specifico nel quale si innesta la funzione amministrativa. Sul punto, poiche' appare indiscutibile la competenza statale a legiferare in materia di personale scolastico, docente e non docente, trattandosi, appunto, di personale direttamente ed immediatamente dipendente dal Ministero competente, anche la funzione concernente la ripartizione di detto personale deve permanere in capo allo Stato, ma non puo' negarsi che debba comunque essere assicurato il pieno coinvolgimento regionale, attraverso lo strumento dell'intesa, proprio per l'interferenza che tale profilo presenta con quello della potesta' legislativa regionale. Seppure l'obiettivo perseguito dallo Stato consiste nel progressivo dimensionamento della rete scolastica, programmato in una prospettiva di medio/lungo termine, non possono da questo essere adottati atti normativi che incidano sulle attribuzioni regionali sussistenti in ordine a tale profilo, che si esprimono, anche, in interventi finalizzati alla riduzione del disagio di particolari utenti, laddove tale particolare aspetto, pure presente nel contesto del dimensionamento della rete scolastica, appartiene pero' all'ambito della legislazione esclusiva regionale in materia di servizi sociali. Conseguentemente, ad avviso del patrocinio regionale, mentre la definizione del personale scolastico e la relativa distribuzione tra le Regioni rientra nelle competenze esclusive statali, il dimensionamento della rete scolastica, di sicura attribuzione regionale, ovviamente non puo' e non deve determinarsi in un contesto avulso dalle dotazioni di personale di cui si e' detto. Proprio per tali considerazioni, la previsione di un mero parere in luogo della necessaria intesa viola l'art. 117, IV comma, della Costituzione, valutato in relazione al disposto del III comma, in quanto lesiva delle prerogative regionali legislative esistenti in materia di dimensionamento scolastico e di servizi sociali, considerato che il mero parere non costituisce un adeguato modello di concertazione in tale ambito. Si richiama, sul punto quanto disposto all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante "Disposizioni per l'adeguamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3", nella parte in cui prevede che, nelle materie di competenza concorrente o residuale, lo Stato non puo' adottare atti di indirizzo e coordinamento, per cui l'armonizzazione tra legislazioni e' possibile solo attraverso intese; ma lo strumento dell'intesa riconosce proprio quella competenza legislativa regionale che nella fattispecie della norma impugnata, per converso, e' stata disconosciuta. Art. 53, comma 7, relativamente alla previsione dell'emanazione di un decreto ministeriale recante le norme tecniche quadro in materia di edilizia scolastica: violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. L'art. 53, rubricato "Modernizzazione del patrimonio immobiliare scolastico e riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza degli usi finali di energia", al comma 7 prevede l'adozione di un decreto del Ministro competente, finalizzato a determinare le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalita' urbanistica, edilizia, anche riferite alle tecnologie in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti energetiche rinnovabili, nonche' didattica, indispensabili a garantire indirizzi progettuali adeguati ed omogenei sul territorio nazionale. Anche tale decreto dovrebbe, pero', essere emanato senza il necessario coinvolgimento delle Regioni, poiche' viene richiesto il mero parere in Conferenza unificata, e non viene prescritta la necessaria intesa, in violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Ad avviso del patrocinio regionale, l'edilizia scolastica e' riconducibile alla materia del "governo del territorio" al pari dell'edilizia privata e pubblica e come tale rientra nella competenza concorrente legislativa di cui all'art. 117, III comma, della Costituzione. Per altro verso, se si adottano criteri distintivi per tipologia, le opere possono essere ascritte alla competenza esclusiva statale o regionale a seconda della titolarita' delle stesse, ripartita tra Stato e Regione. Al riguardo, codesta ecc.ma Corte, nella decisione n. 303 del 2003, ha per la prima volta sancito il principio secondo il quale i lavori pubblici "non sono inquadrabili in una materia ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti". Ne consegue che la competenza, differenziata in statale o regionale, non riguarda la "materia" bensi' l'oggetto dei lavori pubblici, cioe' la tipologia dell'opera pubblica, che puo' afferire a settori riconducibili a materie sia di competenza esclusiva statale, sia di competenza concorrente, sia di competenza residuale regionale. Gli assunti che precedono devono ora essere correttamente rapportati ed inquadrati nella specifica normativa attualmente ancora vigente contenuta nella legge 11 gennaio 1996, n. 23. L'art. 3 di detta legge individua, quali soggetti giuridici pubblici competenti alla realizzazione degli edifici scolastici, i Comuni e le Province, secondo un riparto ancorato alla destinazione dell'edificio costruendo. Al riguardo, la Regione, titolare della potesta' legislativa di dettaglio e' altresi' tributaria di specifiche funzioni amministrative, riconducibili all'alveo dell'art. 118 della Costituzione, di natura programmatoria dell'edilizia scolastica e consistenti nel potere di adottare piani annuali e triennali, predisposti ed approvati in conformita' alle istanze provenienti dagli enti territoriali minori. Orbene, nella scansione procedurale alla quale si e' accennato, la disposizione impugnata si configura certamente come lesiva del principio di leale collaborazione, laddove la predisposizione di norme tecniche, anche in tale settore, interferisce tanto con attribuzioni regionali, quanto con funzioni amministrative esercitabili dalle Regioni, atteso che l'esercizio delle funzioni di cui si tratta e' stato ripartito in vari livelli di governo. A tale proposito, la disposizione impugnata prevede una pianificazione di livello nazionale fondata sulle indicazioni fornite dalle Regioni come contenute ed espresse nella programmazione regionale. E poiche' la pianificazione nazionale richiede l'intesa con le Regioni, da raggiungere in sede di Conferenza Unificata, anche la normativa tecnica dovrebbe essere emanata seguendo la medesima procedura concertativa e utilizzando l'istituto dell'intesa, atteso che la regolamentazione tecnica di dettaglio dovrebbe essere attratta dalla disciplina sostanziale, in quanto ad essa strettamente correlata. Si rammenta, al riguardo, che l'art. 5 della legge 11 gennaio 1996, n. 23, tuttora vigente, ha superato il vaglio di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che con la decisione n. 381 del 1996 ne ha dichiarato l'illegittimita' limitatamente alla parte in cui trovava applicazione anche per le Province autonome di Trento e Bolzano. Detta norma, dunque, prevede che le Regioni approvino specifiche nonne tecniche per la progettazione esecutiva degli interventi, definendo, in particolare, indici diversificati in ragione della specificita' dei centri storici e delle aree metropolitane e, per l'effetto, assegna inequivocabilmente alle Regioni funzioni non solamente pianificatorie ma anche di legislazione di dettaglio di natura concretamente "tecnica". Inoltre, a' termini del citato art. 5, doveva essere emanato un decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro dei Lavori pubblici, tenuto conto delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica, nel cui seno erano presenti appunto rappresentanti delle Regioni. Se la ricostruzione che precede e' condivisibile, ne consegue che nell'adozione di linee guida tale competenza legislativa non puo' essere disconosciuta e deve anzi essere correttamente valorizzata attraverso il ricorso all'istituto concertativo dell'intesa. La disposizione oggetto del presente giudizio, pur non dispiegando alcuna efficacia abrogativa dell'art. 5 piu' volte menzionato, per converso introduce la previsione di un ulteriore decreto interministeriale, per il quale non e' contemplata la preventiva disamina delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica di cui si e' detto, ma prevede che sia "sentita la Conferenza Unificata.". Orbene, la difesa regionale reputa che, paradossalmente, la partecipazione collaborativa delle Regioni in sede di Osservatorio, seppure secondo il riparto di competenze previgente all'attuale testo della Carta fondamentale, fosse piu' garantista, quanto al rispetto delle prerogative regionali esistenti in materia, dell'attuale disciplina impugnata, che invece, sebbene sia ora vigente il Titolo V della Costituzione modificato, pretende di ignorare, eludendole, le attribuzioni regionali laddove richiede un mero parere espresso in Conferenza Unificata. Per queste ragioni, si reputa insufficiente tale parere, che dovrebbe essere sostituito con la piu' corretta ed adeguata previsione della necessaria intesa, da raggiungere in sede di Conferenza Unificata. Infine, anche qualora si reputasse ammissibile, in tale ambito, invocare, a fondamento dell'intervento normativo posto in essere, prevalenti ragioni di sicurezza ed incolumita' pubblica, in ogni caso non potrebbe non ritenersi violato il principio della leale collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione, che postula appunto il coinvolgimento regionale. Da ultimo, in riferimento all'esercizio delle funzioni di tipo amministrativo, si rammenta che gia' con il decreto legislativo n. 112 del 1998 lo Stato si era riservato la predisposizione di norme tecniche nazionali concernenti le costruzioni in zone sismiche, subordinando pero' l'esercizio concreto di tale funzione alla preventiva intesa in sede di Conferenza Unificata. Non si vede pertanto per quale ragione giuridica l'edilizia scolastica dovrebbe rappresentare una disciplina con un grado di intensita' di tutela maggiore, proprio per cio' che concerne la sicurezza ed incolumita' pubblica, rispetto alla normativa tecnica nazionale in materia di costruzioni in zone sismiche. Poiche' l'istituto dell'intesa costituisce una delle possibili forme di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato e le Regioni, esso si sostanzia in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto ad essa soggetto e puo' implicare anche reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo. Va da se' che tale forma di partecipazione, proprio in quanto ispirata a esigenze di leale cooperazione, non deve condurre a situazioni paralizzanti ne' tradursi in una lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sempre possibile ove il procedimento non si concluda entro termini ragionevoli. Tuttavia, come chiaramente sancito da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 351 del 1991, tale eventualita' patologica nell'utilizzo dello strumento non puo' in alcun caso giustificare un declassamento dell'attivita' di codeterminazione connessa all'intesa, a mera attivita' consultiva non vincolante. Art. 60, concernente la proroga del programma carta acquisti: violazione dell'art. 117, IV comma, e dell'art. 120 della Costituzione, in riferimento al principio di leale collaborazione. L'art. 60 del decreto-legge n. 5/2012, rubricato "Sperimentazione finalizzata alla proroga del programma carta acquisti", presenta una complessita' di contenuti, non agevolmente riassumibili, si ritiene percio' indispensabile riportare qui di seguito il testo integrale, come formulato per effetto della conversione operata dalla legge 35/2012. Si dispone: "l. Al fine di favorire la diffusione della carta acquisti, istituita dall'art. 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno, anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta, e' avviata una sperimentazione nei comuni con piu' di 250.000 abitanti. 2. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti: a) i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari per il tramite dei Comuni, con riferimento ai cittadini italiani e di altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di Stati esteri in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; b) l'ammontare della disponibilita' sulle singole carte acquisto, in funzione del nucleo familiare; c) le modalita' con cui i comuni adottano la carta acquisti, anche attraverso l'integrazione o evoluzione del Sistema di gestione delle agevolazioni sulle tariffe energetiche (SGATE), come strumento all'interno del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328; d) le caratteristiche del progetto personalizzato di presa in carico, volto al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale, anche attraverso il condizionamento del godimento del beneficio alla partecipazione al progetto; e) la decorrenza della sperimentazione, la cui durata non puo' superare i dodici mesi; f) i flussi informativi da parte dei Comuni sul cui territorio e' attivata la sperimentazione, anche con riferimento ai soggetti individuati come gruppo di controllo ai fini della valutazione della sperimentazione stessa. 2-bis. I comuni, anche attraverso l'utilizzo della base di dati SGATE relativa ai soggetti gia' beneficiari del bonus gas e del bonus elettrico, possono, al fine di incrementare il numero di soggetti beneficiari della carta acquisti, adottare strumenti di comunicazione personalizzata in favore della cittadinanza. 3. Per le risorse necessarie alla sperimentazione si provvede, nel limite massimo di 50 milioni di euro, a valere sul Fondo di cui all'art. 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che viene corrispondentemente ridotto. 4. I commi 46, 47 e 48 dell'art. 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sono abrogati". Si rammenta innanzitutto, per completezza espositiva, che l'art. 81, comma 32, del decreto-legge n. 112 del 2008, cui la disposizione investita dal presente ricorso fa rinvio, aveva istituito la carta acquisti, "in considerazione delle straordinarie tensioni cui sono sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle bollette energetiche, nonche' il costo per la fornitura di gas da privati, al fine di soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di particolare bisogno". Ai sensi di tale disposizione, la carta acquisti e' finalizzata all'acquisto di tali beni e servizi con onere a carico dello Stato, a valere su un Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze, prioritariamente di natura alimentare, e successivamente anche energetiche e sanitarie, dei cittadini meno abbienti. In ordine all'art. 81, con specifico riferimento ai commi 29, 30 e da 32 a 38-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, codesta ecc.ma Corte si e' gia' pronunciata con la sentenza 10 del 2010, con la quale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale proposte dalla Regione Piemonte, dalla Regione Emilia Romagna e dalla Regione Liguria, in relazione agli articoli 117, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione, ed al principio di leale collaborazione. Tuttavia, appare utile richiamare, nei punti essenziali, talune argomentazioni contenute in tale sentenza che, ad avviso del patrocinio regionale, potrebbero essere utilmente applicate, seppure con effetti diametralmente opposti, anche alla disposizione qui impugnata, atteso che quest'ultima fa espresso richiamo alla norma oggetto di giudicato costituzionale. Codesta ecc.ma Corte ha distinto l'intervento finanziario di cui si tratta dalle altre ipotesi in cui il legislatore statale ha previsto finanziamenti vincolati in materie di competenza regionale, ed ha riconosciuto che le norme istitutive del Fondo e della Carta acquisti incidono nell'ambito materiale dell'assistenza e dei servizi sociali, oggetto di competenza residuale delle regioni. E' stato altresi' osservato, al riguardo, che tali norme non si limitano alla mera enunciazione del proposito di destinare risorse per una finalita' genericamente indicata, ma prevedono una provvidenza specifica la cui attuazione e' disciplinata nel dettaglio. A rigore, conducendo a logica conseguenza tali argomentazioni, assodato che non e' consentito allo Stato prevedere finanziamenti a destinazione vincolata in ambiti di competenza regionale residuale ovvero concorrente, le norme in allora impugnate avrebbero dovuto essere dichiarate costituzionalmente illegittime. Per contro, la pronuncia emanata non contiene alcuna dichiarazione di incostituzionalita' delle norme censurate, in quanto nell'analisi effettuata, posta a fondamento della decisione, sono stati ritenuti determinanti ai fini della decisione gli elementi dati dalla finalita' e dal contesto in cui dette norme operano. La valutazione di tali elementi, secondo la sentenza de qua, in sostanza differenzia l'intervento oggetto di sindacato costituzionale da tutti gli altri che, precedentemente, erano stati sottoposti ad analogo vaglio. Per quanto concerne il profilo attinente alla "finalita'", e' stato cosi' riconosciuto che le disposizioni che disciplinano la carta acquisti assicurano un diritto sociale, qual e' "il diritto a conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno - in particolare, alimentare". Per quanto attiene all'altro profilo dato dal "contesto", l'intervento dello Stato e' stato ritenuto ammissibile in quanto avente carattere di "straordinarieta', eccezionalita' e urgenza" in relazione alla "situazione di crisi internazionale economica e finanziaria che ha investito negli anni 2008 e 2009 anche il nostro Paese". Quindi, nel percorso argomentativo seguito dalla Corte, finalita' e contesto caratterizzano in maniera cosi' stringente l'intervento normativo statale da rendere inevitabile la collocazione della disciplina del Fondo speciale e della carta acquisti nella materia "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" di competenza statale esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma lettera m). Se sono state correttamente intese le ragioni che sorreggono la pronuncia di codesta ecc.ma Corte in riferimento all'art. 81 del d.-l. 112 del 2008, appare allora di tutta evidenza come le medesime ragioni non possano valere anche con riferimento all'art. 60 del d.-l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, oggetto del presente ricorso; con la conseguenza della sua illegittimita' per violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione, in materia di servizi sociali, e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione medesima, nonche' per violazione derivata, emergente per effetto della comparazione sistematica proposta, degli articoli 118 e 119 della Costituzione. Infatti, mentre, apparentemente, l'art. 60 proroga il programma carta acquisti avviato con il d.l. 112 del 2008, procedendo attraverso un meccanismo sperimentale circoscritto ai comuni con popolazione superiore ai 250.000 abitanti, in realta' la norma si aggancia alla disposizione che aveva istituito sia il Fondo che la carta acquisti, con un intervallo temporale di ben quattro anni, significativo soprattutto se valutato in riferimento a quelle ragioni emergenziali che ne avevano legittimato l'assetto disciplinatorio. Inoltre, tale sperimentazione dovrebbe essere finalizzata a diffondere la carta acquisti "tra le fasce di popolazione in condizione di maggior bisogno, anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta" e deve avere una durata che "non puo' superare i dodici mesi". Dalla citata sentenza n. 10 del 2010, come si e' gia' detto, si evince con sufficiente sicurezza che la carta acquisti e' certamente una prestazione sociale, destinata a persone in stato di bisogno, per la quale lo Stato non si e' limitato a fissare il livello strutturale e qualitativo ma ne ha disciplinato tutti gli aspetti di dettaglio, benche', relativamente alla materia dei servizi sociali, sussista un'indubitabile competenza legislativa regionale, a termini dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. Infatti, e questo e' il punto nodale, la previsione e la diretta erogazione di una determinata provvidenza da parte dello Stato e' stata da codesta ecc.ma Corte ritenuta ammissibile solo "quando cio' sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa". Conseguentemente, la presenza di tali "peculiari situazioni" sembra costituire la condizione di legittimita' costituzionale di un intervento diretto da parte dello Stato che investa una materia, come nel caso di specie, di competenza regionale. Pertanto, se e' sulla situazione eccezionale di crisi, riconosciuta da codesta ecc.ma Corte, che si fonda la legittimita' dell'art. 81 del d.-l. 112/2008, non risulta che la medesima situazione di eccezionalita' possa giustificare l'emanazione della norma oggetto del presente ricorso. Infatti, stante l'innegabile lasso di tempo intercorso, seppure in un contesto generale di non risolta crisi internazionale, tra la disposizione di cui all'art. 81, comma 32, del d.-l. n. 112 del 2008 citato, istitutiva del Fondo e della Carta acquisti, e quella di cui all'art. 60 del decreto-legge n. 5/2012, non pare ammissibile la reiterazione di una misura che aveva trovato la propria legittimazione nell'eccezionalita' temporalmente circoscritta. Dal tenore letterale della disposizione risulta poi, inequivocabilmente, che la pretesa sperimentazione, destinata a cessare decorsi dodici mesi, si pone in realta' in termini anticipatori di quella che e' dichiaratamente destinata a divenire una misura strutturale, dovendosene valutare "la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta". Pertanto, per come e' congegnata, tale norma si pone gia', sin d'ora, come lesiva delle competenze residuali regionali in materia di servizi sociali e di assistenza, ai sensi degli articoli 117, IV comma, della Costituzione, oltre che dell'art. 118 della Costituzione medesima. Ove dunque sia accertata l'insussistenza attuale dei presupposti che avevano storicamente legittimato il diretto intervento statale in un ambito di competenza residuale regionale, tale competenza, temporaneamente compressa dalle ragioni eccezionali di cui si e' detto, deve riespandersi pienamente. Si rinvia sul punto alla copiosa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte concernente i finanziamenti statali a destinazione vincolata. Si richiamano, al riguardo, le numerose pronunce di codesto ecc.mo Collegio nelle quali e' stato ribadito il principio secondo cui, nell'ambito della Carta fondamentale novellata, non e' di norma consentito allo Stato prevedere finanziamenti a destinazione vincolata in ambiti di competenza regionale residuale o concorrente, in quanto cio' si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e dei Comuni. In via meramente incidentale rispetto alle eccezioni di illegittimita' sollevate con riferimento ai parametri proposti, per mera completezza espositiva, si rinvia alle sentenze n. 370 del 2003 e n. 50 del 2008, con le quali e' stato affermato che il nuovo art. 119 della Costituzione, pur nella sua perdurante mancata attuazione, pone precisi limiti al legislatore statale, ammettendo per il finanziamento delle normali funzioni regionali l'erogazione di risorse senza vincoli specifici di destinazione. Infine, il comma 2 dell'art. 60 viola palesemente il principio di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede il coinvolgimento delle regioni nell'emanazione del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze. Anche a tale proposito si rinvia nuovamente alla sentenza 10 del 2010, nella parte in cui, ponendo a fondamento dell'intervento - significativamente realizzato con decreto-legge e in corso d'anno - le straordinarie tensioni cui sono sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle bollette energetiche e della fornitura di gas da privati, puo' legittimamente indurre a ritenere che, al di fuori degli interventi straordinariamente consentiti per circostanze eccezionali, l'attivita' istituzionale concertativa possa e debba essere correttamente ripresa. In effetti, codesta ecc.ma Corte ha affermato come, una volta cessata la situazione congiunturale che ha imposto una misura di politica sociale estesa alla diretta erogazione della provvidenza, non si possa prescindere dagli strumenti di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome, "avendo cura cosi' di garantire anche la piena attuazione del principio di leale collaborazione, nell'osservanza del riparto delle competenze definito dalla Costituzione". In conclusione, accertato che l'articolo impugnato e' stato emanato in assenza di quei presupposti di straordinarieta' ed eccezionalita' che avevano legittimato l'emanazione dell'art. 81 del d.-l. 112 del 2008, istitutivo del Fondo e della carta acquisti, la disposizione, in quanto incidente nella materia dei servizi sociali di competenza residuale regionale, viola l'art. 117, IV comma, della Costituzione, nonche' il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Art. 61, comma 3, relativamente alla previsione di una intesa superabile dal Governo: violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione e, quale norma interposta, dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. L'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5/2012 presenta una formulazione di cosi' dubbia chiarezza da imporre il ricorso alla Consulta per ottenere quanto meno una pronuncia interpretativa della disposizione nella parte in cui, eccettuati gli ambiti di attribuzione esclusiva regionale, rende superabili le intese tra Stato e Regioni, escludendo queste ultime dal processo normativa, con modalita' del tutto incompatibili con quanto sancito all'art. 120 della Carta fondamentale, nonche' con quanto previsto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Si fa riferimento, innanzitutto, alle numerose pronunce di codesta ecc.ma Corte con le quali e' stata ripetutamente ammessa la possibilita', per il legislatore statale, di determinare il coinvolgimento, nei procedimenti di propria competenza, dei vari soggetti istituzionali, alla quale fanno da contrappunto le statuizioni che, con pari costanza di orientamento, hanno ravvisato la lesione delle attribuzioni regionali qualora si verifichi l'imposizione, nei procedimenti che si svolgono in settori di loro spettanza, di moduli procedurali che condizionino in radice l'esercizio delle attribuzioni loro costituzionalmente riconosciute, tanto piu' se dalla mancata intesa discenda l'esercizio di un potere sostitutivo dell'autorita' statale. (ex plurimis, cfr. le sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, nn. 383 e 339 del 2005). Nella specie, la norma censurata incide radicalmente nella competenza regionale concorrente proprio la' dove attribuisce al Consiglio dei ministri un potere sostitutivo, nel caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con le Regioni. Appare utile, al riguardo, richiamare in particolare la sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 33 del 2011, con la quale e' stata esclusa "la legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la «drastica previsione» della decisivita' della volonta' di una sola parte, affermando, al contrario, la necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso - idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze". Ma v'e' di piu'. Per altro verso, il comma impugnato, introducendo una disposizione dai connotati generici nei presupposti ed oggettivamente indifferenti al riparto di competenze costituzionalmente garantito, ad avviso della difesa regionale ripropone uno schema normativo gia' severamente valutato da codesta ecc.ma Corte con la decisione n. 232 del 2011, che ha dichiarato la parziale illegittimita' dell'art. 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nella parte in cui si riferiva anche ai procedimenti amministrativi concernenti ambiti materiali di tipo concorrente e residuale, poiche' si trattava di "attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni individuate in modo generico e caratterizzate da una notevole eterogeneita' quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza". Al riguardo, si condividono i medesimi dubbi di legittimita' costituzionale espressi nel parere datato 22 febbraio 2012 e formulato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in ordine al disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5. Nel testo di tale parere - che si riporta in parte per coglierne la poliedricita' argomentativa - si evidenzia infatti la necessita' di abrogare la norma oggetto di conversione, proprio perche' "Il comma 3 pare di oscura formulazione: fa innanzitutto salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni, facendo cosi' supporre che l'ambito applicativo della disposizione sia limitato alle materie di competenza legislativa concorrente Stato-Regioni. Il seguito della disposizione appare assai problematico e di dubbia costituzionalita', in quanto disciplina il caso di mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con una o piu' Regioni per l'adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato; si prevede la deliberazione motivata del Consiglio dei ministri in una serie di ipotesi ("gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all'"erario") anche senza l'assenso delle Regioni interessate e non si capisce come cio' possa avvenire, come pure previsto dall'inciso successivo "nel rispetto del principio di leale collaborazione", nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la sua adozione da parte dell'organo competente. Pare dunque che per gravi motivi il Governo possa superare la prescritta intesa attraverso una deliberazione motivata;". Oscuro anche l'ultimo periodo della disposizione ove si prevede che "qualora nel medesimo termine e' comunque raggiunta l'intesa", il Consiglio dei Ministri possa deliberare l'atto motivando con esclusivo riguardo alla permanenza dell'interesse pubblico.". Si consideri, sul punto, che il ricorso all'istituto dell'intesa con la Regione interessata e' necessario ogni qualvolta sussista un intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione e pertanto si impone la concertazione, in ossequio al principio di leale collaborazione. Conseguentemente, la facolta' che la norma riconosce al Governo di superare la prescritta intesa per ragioni che non paiono riconducibili all'art. 120 della Costituzione, vanifica radicalmente lo spessore delle attribuzioni regionali, negandone le potesta' costituzionalmente garantite, atteso che comunque lo Stato avrebbe la possibilita' di deliberare sul punto, ledendo ex se anche il principio della leale collaborazione. La corretta dimensione della lesione cagionata dall'intervento della disposizione impugnata si percepisce ancor meglio attraverso un'attenta lettura sistematica dell'art. 8 della legge n. 131 del 2003. Detto articolo, proprio in attuazione dell'art. 120 della Costituzione, al comma 6 prevede che "Il Governo puo' promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi Comuni; in tale caso e' esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.". In dettaglio, il comma 3 dell'art. 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997 stabilisce che il Consiglio dei ministri possa provvedere unilateralmente, con deliberazione motivata, quando l'intesa non sia raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-Regioni in cui l'oggetto e' posto all'ordine del giorno; mentre il comma 4 del medesimo art. 3 consente al Consiglio dei Ministri di provvedere senza la preventiva intesa, in caso di motivata urgenza, purche' i provvedimenti gia' adottati in via esclusiva dallo Stato siano sottoposti all'esame della Conferenza Stato-Regioni nei successivi quindici giorni. La norma specifica, altresi', che il Consiglio dei Ministri e' tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza ai fini di eventuali deliberazioni successive. Appare di tutta evidenza la differente portata del rapporto collaborativo istituzionale, soprattutto per quanto attiene all'intensita' del vincolo procedurale che stabilisce nei due ambiti normativi e che si e' considerevolmente accresciuto a seguito della nota modifica del Titolo V della Costituzione. Infatti, mentre l'intesa raggiunta nell'alveo del d.lgs. n. 281 del 1997 e' superabile dal Governo per quelle preminenti esigenze di interesse nazionale gia' menzionate, l'intesa raggiunta in applicazione dell'art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003 rispecchia il corretto modello della necessaria concertazione, che proprio in attuazione dell'art. 120 della Costituzione esclude espressamente ogni potere di decisione unilaterale da parte dello Stato, incompatibile con l'attuale assetto di competenze legislative ed amministrative costituzionalmente garantite. La difesa regionale e' consapevole dell'orientamento espresso da codesta ecc.ma Corte in una pluralita' di decisioni, tra le quali la sentenza n. 397 del 2006, ove ha chiarito che l'art. 120, II comma, della Costituzione non puo' essere interpretato in termini di completezza e tassativita' delle possibili forme di esercizio di poteri sostitutivi, concentrandoli tutti in capo allo Stato. Tuttavia, come asserito da codesta ecc.ma Corte nella pronuncia n. 43 del 2004, il principio di leale collaborazione deve trovare puntuale applicazione nelle disposizioni legislative che prevedono poteri sostitutivi, secondo i criteri e le modalita' procedurali delineate dal giudice delle leggi, ed e' appunto la lesione di detti criteri e modalita' procedurali che originano le censure di illegittimita' costituzionale sollevate in riferimento alla norma impugnata. Oltretutto, non si riscontra alcuna corrispondenza tra le gravi esigenze sommariamente indicate dal legislatore e la previsione tassativa delle ipotesi di cui all'art. 120 della Costituzione. Infatti, se la tutela della sicurezza e della salute puo' ricondursi al "pericolo grave per l'incolumita' pubblica e la sicurezza pubblica", non altrettanto puo' sostenersi in relazione alla tutela dell'ambiente o dei beni culturali, che non sembrano ascrivibili ad alcun ambito del precetto costituzionale di cui si tratta, cosi' come il danno grave all'Erario appare difficilmente riconducibile alla tutela "dell'unita' economica.". La partecipazione regionale al procedimento di determinazione dei criteri che vincolano l'intesa e' percio' costituzionalmente indefettibile e deve essere effettivamente resa, poiche' il provvedimento conclusivo deve tener conto dei risultati di tale partecipazione. Laddove tale principio risulti violato, come affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 6 del 2004, non resta che l'impugnativa come ultimo strumento di tutela avverso eventuali prassi applicative che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale collaborazione tra Stato e Regioni , poiche' il giudice delle leggi e' tenuto a tutelare il rispetto delle regole di leale collaborazione che, appunto, nella disposizione censurata sono state violate, benche' ammantate da apodittiche dichiarazioni di formale osservanza, in contrasto con la sostanza lesiva. In conclusione, dalle sentenze nn. 378 e 339 del 2005, assunte da codesta ecc.ma Corte in riferimento ad un'unica fattispecie complessa concernente la nomina del Presidente dell'Autorita' Portuale, si estrapolano taluni principi, ivi sanciti, che, ad avviso del patrocinio regionale, seppure in linea astratta incontrovertibili, risultano irrimediabilmente pregiudicati nel concreto dall'art. 61, comma 3, oggetto dell'odierna impugnazione. Si tratta della nozione di intesa quale atto doveroso di codecisione tra Stato e Regione, non assimilabile ad un mero parere non vincolante della Regione. Inoltre, laddove sussiste il potere di codeterminazione tanto dello Stato quanto della Regione, le rispettive competenze sono poste sullo stesso livello. Infine, 1"intesa tra Stato e Regione non rappresenta solo l'esito di un modello procedimentale, ma deve essere perseguita in tutte le fasi della procedura in modo serio e continuativo, "attraverso reiterate trattative", allo scopo di pervenire ad una soluzione positiva della vicenda. Orbene, l'evidente astrattezza e generalita' del comma 3 dell'art. 61 potrebbe generare effetti applicativi scardinanti l'intero assetto istituzionale tra Stato e Regioni in ogni settore normativo, eludendo tutto il complesso giurisprudenziale di legittimita' intervenuto al riguardo. Peraltro, quale sistema alternativo teso a superare l'eventuale incaglio nel raggiungimento dell'intesa a tutela dell'incomprimibile salvaguardia di interessi pubblici prevalenti, sarebbe stato utile l'inserimento, nel disposto, di una clausola di cedevolezza nel caso di raggiungimento della prescritta intesa, atteso che le trattative devono essere reiterate anche a seguito della decisione unilaterale statale. Si chiede, conseguentemente, a codesta ecc.ma Corte una pronuncia interpretativa della disposizione impugnata, in ossequio al principio di leale collaborazione consacrato nell'art. 120 della Costituzione, ovvero una pronuncia additiva del disposto normativo, nella parte in cui la delibera motivata del Consiglio dei Ministri non prevede la necessaria clausola di cedevolezza a fronte dell'intervenuta intesa.