Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 485 del 4 giugno 2012, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora, domiciliato presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, via A. Mordini 14. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012 convertito con modificazioni nella legge 4 aprile 2012 n. 35, per violazione degli artt. 117, 118, 119 e 120 Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale cooperazione. In data 6 aprile 2012 e' stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale n. 82, la legge n. 35 del 4 aprile 2012 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 5/2012, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo». In particolare, l'art. 61, comma 3, prevede che «Fatta salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con una o piu' Regioni per l'adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il Consiglio dei ministri, ove ricorrano gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all'Erario puo', nel rispetto del principio di leale collaborazione, deliberare motivatamente l'atto medesimo, anche senza l'assenso delle Regioni interessate, nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la sua adozione da parte dell'organo competente. Qualora nel medesimo termine e' comunque raggiunta l'intesa, il Consiglio dei ministri delibera l'atto motivando con esclusivo riguardo alla permanenza dell'interesse pubblico». L'impugnata disposizione e' lesiva delle competenze regionali per i seguenti motivi di Diritto 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, come convertito in legge, nella parte in cui consente al Governo di attivare meccanismi sostitutivi dell'intesa di una o piu' regioni interessate per l'adozione di un atto amministrativo statale anche quando tale intesa sia costituzionalmente necessaria, ponendosi cosi' in contrasto con le norme costituzionali dalle quali dipende la necessarieta' costituzionale dell'intesa stessa, cio' in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo e secondo comma, nonche' del principio di leale collaborazione. La norma in esame ammette che - a fronte di specifiche circostanze - siano adottati unilateralmente atti amministrativi da parte dello Stato, anche quando la legislazione vigente preveda la necessaria acquisizione dell'intesa di una o piu' Regioni; cio' facendo, tuttavia, si introduce - in via generalizzata - la possibilita' del superamento dell'intesa, in tutti i casi in cui, secondo il discrezionale ed insindacabile giudizio del Governo, ricorrano i gravi motivi di tutela della sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all'Erario. E' evidente quindi che l'intervento normativo all'odierno esame e' lesivo delle prerogative regionali costituzionalmente garantite in quanto atto ad incidere su molteplici competenze regionali, sia concorrenti che esclusive. Infatti, come chiarito da costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la previsione, nella legislazione statale, dell'intesa regionale ai fini della adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato e' costituzionalmente necessaria allorquando lo Stato abbia avocato a se' funzioni regionali, attraverso la c.d. chiamata in sussidiarieta', ovvero nei casi in cui la legge statale interviene in un settore materiale caratterizzato da una concorrenza di competenze legislative, statali e regionali: ebbene, in tutti questi casi, la giurisprudenza e' pacifica nel ritenere che la previsione dell'intesa, imposta dal principio costituzionale di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma che superi l'intesa, attribuendo drasticamente la decisione ad un solo soggetto. Nelle fattispecie su indicate, quindi, l'intervento statale e' ammesso a condizione che siano assicurati strumenti effettivi di partecipazione delle Regioni. Pertanto, nei casi in cui la Costituzione impone l'individuazione di meccanismi volti a comporre i diversi interessi in rilievo nell'esercizio di un dato potere amministrativo, la scelta non puo' mai essere quella di «espropriare» della propria potesta' decisionale un soggetto istituzionale, rimettendo la decisione ad un unico Ente. Si deve, in altri termini, raggiungere un'intesa, che, alla stregua della giurisprudenza formatasi con riguardo alle fattispecie di «chiamata in sussidiarieta'», deve avere natura «forte», nel senso che il suo mancato raggiungimento impedisce la decisione finale. Nella sentenza n. 6/2004, la Corte costituzionale (con riferimento alla materia dell'energia) ha chiarito che l'intesa con le Regioni deve essere considerata di natura «forte», «nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento», stante l'impatto indubbio che determinate opere (nella fattispecie esaminata nella citata sentenza si trattava di impianti energetici) provocano su molteplici materie rimesse alla competenza, concorrente o residuale, delle Regioni, fra le quali la tutela della salute, il governo del territorio, il turismo e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Ancora, nella successiva sentenza n. 383/2005, la Corte costituzionale ha rilevato che «Nell'attuale situazione [...] come questa Corte ha piu' volte ribadito a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 (cfr., da ultimo, le sentenze n. 242 e n. 285 del 2005), tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la «chiamata in sussidiarieta'» di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese «in senso forte», ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volonta' della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale. L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta' a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni». Sul punto, anche la sentenza n. 303/2003 aveva riconosciuto una ben precisa valenza procedimentale ai principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, con conseguente necessita' che l'ampliamento delle funzioni dello Stato costituisca «oggetto di accordo con la Regione interessata». Ed ancora, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 121/2010, ha annullato una norma (art. 11, comma 4, decreto-legge n. 112/2008, in materia di edilizia residenziale pubblica) che stabiliva che «decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati». Piu' precisamente, la Corte costituzionale ha affermato che «tale norma vanifica la previsione dell'intesa, in quanto attribuisce ad una delle parti "un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata [...] dalla paritaria codeterminazione dell'atto"; e che non e' legittima "la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisivita' della volonta' di una sola delle parti, la quale riduce all'espressione di un parere il ruolo dell'altra"». Tale interpretazione era gia' stata espressa da codesta Ecc.ma Corte costituzionale, ad esempio nella sentenza n. 24/2007 (citata peraltro nella sentenza n. 121/2010 di cui sopra), ove e' confermato che, per ovviare all'esigenza di superare la situazione di stallo determinata dalla mancata intesa e, quindi, per dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione, spetta al legislatore stabilire «un sistema che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla manifestazione della volonta' di ciascuna delle parti e, in ultima ipotesi, contenga previsioni le quali assicurino il raggiungimento del risultato, senza la prevalenza di una parte sull'altra (per esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo)». Nella recente sentenza n. 33 del 2011 e' stata poi ribadita l'esclusione della «legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte», affermandosi, viceversa, «la necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso - idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005)». Inoltre, alla stregua di queste indicazioni, e' stata ritenuta conforme a Costituzione una disciplina caratterizzata da «un procedimento che si articola dapprima, attraverso la nomina di un comitato a composizione paritaria il cui scopo e' appunto quello di addivenire all'accordo, e quindi, in caso di esito negativo, attraverso l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui prende parte il Presidente della Regione interessata». Cio' in virtu' delle seguenti considerazioni: a) «in mancanza dell'accordo regionale, si determina non gia' l'automatico trasferimento del potere decisorio in capo allo Stato, bensi' l'attivazione di un procedimento volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario»; b) «solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire ad un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con il coinvolgimento, peraltro, anche del Presidente della Regione»; c) su questa decisione, che «assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica si esercita, inoltre, la funzione di controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i quali ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche' eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione». Dunque il superamento di eventuali situazioni di stallo derivanti dal mancato raggiungimento dell'intesa prevista tra lo Stato e le Regioni deve necessariamente uniformarsi a principi che garantiscano anche il rispetto delle attribuzioni regionali. Percio', una volta acclarata l'impossibilita' di raggiungere l'intesa nel confronto diretto tra le parti interessate, deve essere prevista una ulteriore sede decisionale, rispettando il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove si ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia il Governo) il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, devono essere predisposti strumenti di controllo della correttezza politica (e del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la terzieta'. Il principio e' stato nuovamente ribadito nella recentissima sentenza n. 165 del 2011, ove si legge: «Questa Corte ha affermato, con giurisprudenza costante, che, nei casi di attrazione in sussidiarieta' di funzioni relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, e' necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un'intesa, in modo da contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004). La previsione dell'intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie "idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze" (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005). Solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all'accordo, puo' essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sentenza n. 33 del 2011). La norma impugnata configura una di quelle drastiche previsioni di superamento unilaterale dell'intesa da parte dello Stato, ritenute dalla giurisprudenza di questa Corte come inidonee ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione, particolarmente in rilievo nelle ipotesi di attrazione in sussidiarieta'. Non e' prevista infatti alcuna articolazione procedurale, che possa consentire un superamento concordato del dissenso. L'intervento unilaterale dello Stato non si presenta quindi come l'ipotesi estrema, che si verifica allorche' l'esperimento di ulteriori procedure bilaterali si sia rivelato inefficace, ma e' previsto come conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, in relazione al quale, peraltro, e' fissato un termine molto ristretto ed incerto per l'effettivo svolgimento delle attivita' rivolte al fine dell'accordo ("trenta giorni dalla convocazione del primo incontro"). La previsione, nella norma censurata, di un invito, rivolto al Presidente della Regione o della Provincia interessata, a partecipare - in posizione minoritaria - alla riunione del Consiglio dei ministri, nella quale si decide l'esercizio del potere sostitutivo, non puo' essere considerata valida sostituzione dell'intesa, giacche' trasferisce nell'ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all'esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parita'». Come e' agevole constatare, la norma impugnata non rispetta i su richiamati principi, ma si limita a devolvere immediatamente la decisione al Consiglio dei ministri, eliminando totalmente l'intesa con una previsione talmente ampia, da ricomprendere tutti i casi di competenze concorrenti e residuali delle Regioni. La disposizione censurata, infatti, consentendo, come visto, la determinazione unilaterale governativa nei casi in cui lo stesso Governo ritenga sussistere gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all'Erario, sostanzialmente esautora la Regione medesima delle proprie attribuzioni. Ne' puo' in alcun modo rilevare in senso contrario, l'enunciazione meramente formale del principio di leale collaborazione e del rispetto delle competenze legislative esclusive delle Regioni, contenuta nella norma contestata: le Regioni, laddove venga dichiarata l'esistenza delle su citate condizioni, perdono sostanzialmente ogni capacita' deliberativa, essendo la questione rimessa al (solo) Consiglio dei ministri. Com'e' intuitivo, pero', il rispetto dell'autonomia regionale e della posizione paritaria fra il livello centrale e quello regionale di governo, cui evidentemente presiede la previsione legislativa dell'intesa costituzionalmente necessitata, possono essere garantite soltanto se l'intesa viene interpretata come vero e proprio strumento destinato a recepire la codeterminazione (appunto, paritaria) dell'an e del quomodo dell'esercizio del potere amministrativo, di volta in volta in rilievo. Emerge, pertanto, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, nella parte in cui si riferisce a quei procedimenti amministrativi, nel cui ambito l'intesa regionale sia costituzionalmente necessaria; cio' in violazione dei parametri costituzionali che rendono di volta in volta obbligatorio prevedere la acquisizione dell'intesa nell'ambito del procedimento amministrativo considerato, ovvero gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo e secondo comma, nonche' il generale principio di leale collaborazione. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, come convertito in legge, nella parte in cui consente al Governo di attivare meccanismi sostitutivi dell'intesa di una o piu' regioni interessate per l'adozione di un atto amministrativo statale anche quando tale intesa sia costituzionalmente necessaria, per contrasto con l'art. 120 Cost. La norma in esame e' incostituzionale anche per un ulteriore profilo: essa determina di fatto un'applicazione del potere sostitutivo di cui all'art. 120 Costituzione, al di fuori dei presupposti - sostanziali e procedurali - richiesti dalla medesima norma ai fini del legittimo esercizio del potere sostitutivo. Come appena illustrato, il terzo comma dell'art. 61 in esame, rimette al Governo la determinazione finale in tutti i casi in cui l'intesa con la Regione interessata non sia raggiunta. Cosi' facendo, e' quindi evidente che la medesima disposizione preveda un'ipotesi di potere sostitutivo straordinario del Governo al fuori dei limiti costituzionali indicati dall'art. 120 Cost., per il quale e' necessario innanzitutto il previo verificarsi di un inadempimento dell'Ente sostituito rispetto ad un'attivita' ad esso imposta come obbligatoria. Tale, pero', non puo' essere considerato il mancato raggiungimento dell'intesa prevista per legge (e costituzionalmente necessitata) per l'esercizio di una funzione amministrativa da parte dello Stato. Cio' e' stato riconosciuto dalla Corte costituzionale anche nella recente sentenza n. 278/2010, nella quale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, 2° comma, lett. f), della legge n. 99/2009, e' stata ritenuta non fondata «poiche' si basa sull'erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione impugnata si applicherebbe alle intese con le Regioni: infatti, nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicche' si deve escludere che il legislatore delegato abbia potuto includere le Regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010)» (punto 14 del considerato in diritto). Il comma 3 in esame, invece, introduce proprio, in via generalizzata, una siffatta applicazione, in violazione palese del dettato costituzionale di cui all'art. 120 Cost. e della giurisprudenza della Corte costituzionale.