IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 463 del 2011, proposto da: Unione Nazionale dei Giudici di Pace - Unagipa, Gabriele Longo, Alberto Rossi, Carla Rufini, Aldo Zamparelli, Mariaflora Di Giovanni, Giacomoantonio Russo Walti, Emilio Manganiello, rappresentati e difesi dagli avv.ti Emilio Manganiello e Giacomantonio Russo Walti, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, piazza Giuseppe Mazzini, n. 27; Contro Ministero della giustizia e Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, via dei Portoghesi, n.12; Per l'annullamento del decreto del Ministro della giustizia adottato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico n. 180 del 18.10.2010, pubblicato nella G.U. n. 258 del 4.11.2010, avente ad oggetto «regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi, ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010», previa eventuale dichiarazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento agli artt. 77 e 24 Cost. Visto il ricorso; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 18 aprile 2012 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale. 1. Con il ricorso in trattazione, interposto con atto notificato in data 3 gennaio 2011 e depositato il successivo 20 gennaio, i ricorrenti, associazione non riconosciuta Unagipa - Unione nazionale dei giudici di pace, giudici di pace ed avvocati, impugnano il decreto 18 ottobre 2010, n. 180 adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ovvero il regolamento che, in forza della previsione di cui all'art. 16 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, «Attuazione dell'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», reca la determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle indennita' spettanti ai suddetti organismi. I ricorrenti, in particolare, ne domandano l'annullamento ritenendolo lesivo degli interessi della categoria dei giudici di pace e forense, nonche' illegittimo perche' in contrasto con il precitato d.lgs. n. 28 del 2010, con la relativa legge delega ed affetto da eccesso di potere sotto vari profili. I ricorrenti sollevano poi incidentalmente la questione di costituzionalita' degli artt. 5 e 16 dello stesso d.lgs. n. 28 del 2010, per contrasto con i precetti di cui agli artt. 77 e 24 della Costituzione. Nello scenario investito dal gravame si innesta anche la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, che ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Ancorche', infatti, la precitata legge delega n. 69 del 2009 non menzioni specificamente la direttiva n. 2008/52/CE, l'ambito oggetto di regolazione comunitaria e' pressoche' coincidente con quello disciplinato dalle richiamate norme legislative nazionali ed attuato con il decreto impugnato, ed il comma 2 nonche' il terzo criterio e principio direttivo della legge delega in parola (art. 60, legge n. 69 del 2009) prescrivono al legislatore delegato di disciplinare la mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria. Tant'e' che la direttiva n. 2008/52/CE e' stata richiamata espressamente nel preambolo del decreto delegato 28/2010. 2. Le questioni di legittimita' costituzionale spiegate dai ricorrenti risultano rilevanti ai fini del decidere e non manifestamente infondate, come, del resto, gia' ritenuto dalla Sezione con la precedente ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202, resa nell'ambito dei ricorsi riuniti nn. 10937/2010 e 11235/2010, pendenti innanzi a questo Tribunale. 3. Deve necessariamente essere svolta, ancorche' sinteticamente, l'illustrazione del quadro normativo della controversia, per quanto qui di interesse. 4. In forza dell'invito formulato agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio 2000 sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, nonche' del Libro verde presentato dalla Commissione nell'aprile del 2002, relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie nelle predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Come sempre in tema di diritto comunitario, i «considerando» della direttiva delineano la generale impostazione conferita all'oggetto della regolazione, sia quanto alle finalita', sia quanto alle caratteristiche. La direttiva chiarisce innanzitutto che l'obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilita' del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell'Unione europea volta a istituire uno spazio di liberta', sicurezza e giustizia, e' un importante contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando). Alla luce del sesto considerando della direttiva, la mediazione e', infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiche' le relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilita' di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare piu' facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche piu' evidenti nelle questioni di portata trans frontaliera. La direttiva intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando). Sotto il profilo sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai «procedimenti di mediazione interni» (ottavo considerando). In negativo, si afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: «ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facolta' di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro» (decimo considerando); «alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l'arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia» (undicesimo considerando). Quanto agli elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando), la possibilita' di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni, purche' non venga impedita alle parti «di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario» (quattordicesimo considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell'incoraggiare la mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, «di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all'arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione» (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo procedimento, anche in relazione all'eventuale successivo procedimento giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l'esecutivita' dell'accordo scritto raggiunto, fatta salva l'ipotesi di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralita' finanziaria in relazione agli stati membri della mediazione, che puo' includere «il ricorso a soluzioni basate sul mercato» (diciassettesimo considerando). Viene inoltre in rilievo l'assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e l'introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualita' della fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilita' del procedimento di mediazione e l'autonomia delle parti, nonche' l'efficacia l'imparzialita' e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando). 4.1. La direttiva 2008/52/CE regola indi la materia con 14 articoli. In particolare: l'art. 1 enuncia l'obiettivo della regolazione («...facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario») e ne delinea il campo di applicazione [«...controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa ne' alla responsabilita' dello Stato per atti o omissioni nell'esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)]; l'art. 3, dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di la' della denominazione, si intende un procedimento strutturato ove «...due o piu' parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un mediatore. Tale procedimento puo' essere avviato dalle parti, su lento od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro»; lo stesso art. 3 esplicita che per mediatore si intende «...qualunque terzo cui e' chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato...» (lett. b), che comunque incoraggia «...la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti» (art. 4, par. 2); l'art. 5, dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l'intendimento gia' anticipato dal preambolo, prevede che «L'organo giurisdizionale investito di una causa puo', se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia...» e che «La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche' tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario»; l'art. 6 delinea la esecutivita' degli accordi risultanti dalla mediazione, che e', peraltro, esclusa laddove «...il contenuto dell'accordo e' contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l'esecutivita'»; l'art. 8 dispone che «Gli Stati membri provvedono affinche' alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza». 5. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile», e, segnatamente, con l'art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o piu' decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformita' ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). Tra questi ultimi, sono attinenti alla materia dell'odierno contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: «a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione...; d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia; e) prevedere la possibilita', per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli; f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facolta' di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali; h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilita' di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli organismi di conciliazione; p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresi', e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente... e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato...; q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi; r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilita' tale da garantire la neutralita', l'indipendenza e l'imparzialita' del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni; s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale». 6. La delega in parola e' stata esercitata con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. L'art. 2 del d.lgs. n. 28/2010 recita che «1. Chiunque puo' accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto». L'art. 4 chiarisce che «1. La domanda di mediazione...e' presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo...2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato e' tenuto a informare l'assistito della possibilita' di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresi' l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale...». E' bene a questo punto illustrare l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, che, in continuita' logica con l'ultima disposizione appena richiamata, sancisce al comma 1 che «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari, e' tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza...». Esclusa, ai sensi dell'ultimo periodo del ridetto comma 1 dell'art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli arte 37, 140 e 140-bis del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il successivo comma 4 dispone ancora che lo stesso comma 1 (nonche' il comma 2) non si applica: «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f) nell'azione civile esercitata nel processo penale». Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il procedimento di mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata massima di quattro mesi), gli effetti dalla legge ricondotti ai suoi possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo, art. 8, comma 5; b) raggiungimento dell'accordo amichevole, formazione del relativo processo verbale anche sulla base di una proposta di mediazione, ed efficacia esecutiva ed esecuzione dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a norme imperative, previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e art. 12; c) mancato raggiungimento dell'accordo, art. 11, comma 41, nonche' le spese dell'eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di mediazione nel quale non si e' raggiunto un accordo (art. 13), il capo III del d.lgs. n. 28/2010 e' dedicato agli organismi di mediazione. Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell'art. 16, comma 1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che diano garanzie di serieta' ed efficienza, di organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'art. 2. Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con separate sezioni, disciplinato da appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le indennita' loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di competenza, le autorita' vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). Ai fini dell'iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16, gli organismi, unitamente alla relativa domanda, sono tenuti a depositare il proprio regolamento di procedura, la cui idoneita' forma oggetto di specifica valutazione da parte del Ministero della giustizia, e il codice etico. Al regolamento devono inoltre essere allegate le tabelle delle indennita' spettanti agli organismi costituiti da enti privati, che sono a loro volta proposte per l'approvazione, a norma del successivo art. 17. Invero, l'art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, e che il verbale di accordo e' esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro (altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente), prevede al comma 4 che con il decreto di cui all'art. 16, comma 2, sono determinati: «a) l'ammontare minimo e massimo delle indennita' spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalita' di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennita' proposte dagli organismi costituiti da enti privati; c) le maggiorazioni massime delle indennita' dovute, non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione; d) le riduzioni minime delle indennita' dovute nelle ipotesi in cui la mediazione e' condizione di procedibilita' ai sensi dell'articolo 5, comma 1». La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla al comma 5, che dispone che, quando la mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda ai sensi dell'art. 5, comma 1, all'organismo non e' dovuta alcuna indennita' dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 7. Con decreto 18 ottobre 2010, n. 180 il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ha adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi. 8. Come gia' sopra anticipato, il decreto n. 180 del 2010 e' l'atto di cui in questa sede i ricorrenti domandano, per il tramite del ricorso in trattazione, l'annullamento, per le ragioni che si passa sinteticamente ad illustrare. 8.1. Il primo ed il secondo motivo di gravame (con i quali si denunzia violazione di legge, violazione dell'art. 16 del d.lgs. n. 28/10, erronea interpretazione, eccesso di potere, difetto di presupposto, illogicita', arbitrarieta', contraddittorieta') racchiudono i tratti salienti dell'interesse azionato in giudizio e investono anche questioni di rilevanza costituzionale, poi meglio esplicitate con il quarto motivo di gravame. Di essi si trattera' piu' diffusamente nell'immediato prosieguo. Il terzo motivo di ricorso (violazione di legge, erronea interpretazione, eccesso di potere, irragionevolezza) e' diretto avverso la carenza rilevata nel provvedimento di norme di raccordo con quanto previsto dal codice di procedura civile circa l'attivita' degli uffici del giudice di pace sia in sede giudiziale che in sede non contenziosa. Il quinto motivo di ricorso (violazione di legge, violazione dell'art. 16 del d.lgs. n. 28/10, violazione dell'art. 60 della legge n. 69/09, difetto di presupposto, eccesso di potere, arbitrarieta', illogicita', sviamento) e' diretto ad avversare l'art. 4, comma 4 dell'impugnato regolamento, che subordina l'accesso al registro degli organismi di mediazione da parte degli organismi costituiti dai consigli dell'ordine degli avvocati e degli avvocati-giudici di pace alla verifica del possesso di un requisito di carattere economico-finanziario. 8.2. Come si desume da quanto appena riferito, mentre la disamina della fondatezza delle doglianze di cui al terzo e quinto motivo di gravame non investe l'apprezzamento di questioni di legittimita' costituzionale, e puo' indi essere rimandata all'atto della definizione del ricorso, analoga condizione non si ravvisa per le due prime doglianze, e per la quarta ad esse correlata, che vanno, pertanto, illustrate in dettaglio. 8.3. Mediante le censure dedotte al primo, al secondo ed al quarto motivo di gravame i ricorrenti lamentano che il decreto n. 180/2010 non reca alcun criterio volto a individuare e a selezionare gli organismi di mediazione in ragione dell'attivita' squisitamente giuridica che essi andranno ad effettuare, nel rispetto delle garanzie richieste sia dalla normativa nazionale (art. 16 del d.lgs. n. 28/10, che dispone che gli organismi di mediazione diano garanzie di' serieta' ed efficienza) sia dalla normativa comunitaria (art. 4 direttiva 2008/52/CE, che disciplinando la qualita' della mediazione individua l'obiettivo della gestione efficace, imparziale e competente). A sostegno della censura, osservano i ricorrenti che l'art. 4 del regolamento n. 180 del 2010, nel disciplinare l'iscrizione, a domanda, degli organismi di mediazione, che possono essere costituiti sia da enti pubblici che da enti privati, si limita a prevedere, al comma 2, una serie di parametri di tipo amministrativo-economico-finanziario (tra cui la capacita' finanziaria e organizzativa, il possesso di polizza assicurativa, la trasparenza amministrativa e contabile), poi a prescrivere, al comma 3, una verificazione di tipo «aggiuntivo» sui requisiti di qualificazione dei mediatori, che viene demandata al responsabile del procedimento («Il responsabile verifica altresi' i requisiti di qualificazione dei mediatori»), senza essere in alcun modo correlata con le competenze giuridiche oggettivamente richieste dall'attivita' di mediazione. I ricorrenti escludono che il criterio selettivo di cui lamentano la carenza possa essere costituito dalle previsioni di cui all'art. 4, comma 3, lett. a) del regolamento impugnato, che prevede che il mediatore debba essere in possesso di «un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale» ovvero, in alternativa, essere iscritto «ad un ordine o collegio professionale», ovvero di cui alla lett. b), relativa ad «una specifica formazione e... uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione», regolati al successivo art. 18. Cio' in quanto, secondo i ricorrenti, tutti tali elementi, essendo sprovvisti dell'indicazione di una specifica professionalita', delineano un'area generica, attinente al solo ambito della formazione culturale, che risulta, pertanto, priva di quegli agganci ad una precipua qualificazione e perizia nell'ambito giuridico e processuale - senza la quale l'attivita' formativa specifica prevista non puo' raggiungere utili, scopi - che essi ritengono invece necessaria in ragione della tipologia della prestazione che deve essere resa. E cio' soprattutto considerando che, alla luce dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, per le materie ivi previste, l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'assunto, secondo il quale il procedimento di mediazione non puo' che essere gestito con l'ausilio dei soggetti svolgenti la professione legale o di giudice di pace, viene dai ricorrenti affidata anche alla considerazione che: il procedimento di mediazione non positivamente concluso incide sulle spese del successivo giudizio [art. 13, d.lgs. n. 28/10; art. 60, comma 3, lett. p), legge n. 69/09]; il verbale dell'accordo conclusivo del procedimento di mediazione, non contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, nonche' sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d.lgs. n. 28/10). Proseguendo nel descritto ambito argomentativo, i ricorrenti pervengono alla conclusione che l'intero corpo sistematico delle fonti di` disciplina del procedimento di mediazione faccia emergere evidenti profili di contraddittorieta', ed, in particolare, che la mancata previsione di idonei criteri di valutazione della competenza degli organismi di mediazione ponga il regolamento impugnato in palese contrasto non solo e non tanto con l'art. 16 del d.lgs. n. 28/2010, ma piuttosto con i principi generali e l'insieme delle disposizioni dell'intero impianto legislativo considerato. I ricorrenti espongono indi che gli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 28/2010 non sfuggirebbero a censure di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione. In particolare: a) l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale in riferimento alle controversie nelle previste materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilita' medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari), precluderebbe l'accesso diretto alla giustizia (con l'ulteriore aggravio di un costo da sostenere per il pagamento dell'indennita' del mediatore e della difesa tecnica), disattendendo espressamente le previsioni della legge delega, art. 60 della legge n. 69 del 2009, e, segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui alla lett. a), che tale accesso diretto tutela specificamente; b) l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, ponendo quali criteri di selezione, degli organismi abilitati alla mediazione esclusivamente la «serieta' ed efficienza», liberalizzerebbe il settore, lasciando aperta una interpretazione non pienamente aderente alla previsioni della legge delega e contravvenendo sia all'art. 4 della direttiva 2008/52/CE, sia alla citata legge di delega, lett. b), che fanno riferimento alla professionalita' ed indipendenza della mediazione. 9. A questo punto va subito chiarito che l'eccezione di costituzionalita' relativa alla mancata esplicitazione in capo agli organismi di mediazione del requisito della indipendenza si profila non rilevante ai fini del presente giudizio, in quanto afferisce esclusivamente allo scrutinio di legittimita' dell'art. 4 del regolamento stesso. 10. Ritiene, invece, il Collegio che le altre questioni di costituzionalita' sollevate dai ricorrenti siano rilevanti ai fini della decisione del gravame e non si profilino manifestamente infondate. Esse investono, precisamente: l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l'obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l'esperimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale), terzo periodi (che dispone che l'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza); l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serieta' ed efficienza. 11. Va, quindi, ora immediatamente affrontato il profilo della rilevanza ai fini della decisione della presente controversia delle questioni di cui al precedente punto 10. Punto centrale della decisione stessa, nonche' qualificante espressione dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, alla luce della prima e dalla seconda doglianza di cui al ricorso n. 463 del 2011, e' la dedotta omissione, da parte dell'art. 4 dell'impugnato regolamento 180/2010, di criteri volti a delineare i requisiti attinenti alla specifica professionalita' giuridico-processuale del mediatore. L'illegittimita' di siffatta omissione, precisano i ricorrenti, non si apprezza che in relazione alle previsioni contenute nell'art. 4 della direttiva 2008/52/CE e nell'art. 60 della legge n. 69 del 2009, che appunto prevedono, rispettivamente, che la mediazione debba essere svolta con competenza e professionalita'. Cio' in quanto l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, di cui il regolamento costituisce attuazione, e in relazione al quale i ricorrenti introducono il sospetto di incostituzionalita', ha obliato la valenza di detti requisiti (si ripete, competenza e professionalita'), sostituendoli con altri (serieta' ed efficienza), che il regolamento impugnato ha fatto propri, ma che non soddisfano, pero', secondo i ricorrenti, le esigenze considerate dal legislatore comunitario e da quello nazionale delegante. Tali ultime esigenze i ricorrenti ritengono, invece, insopprimibili, soprattutto osservando che, per un vasto ventaglio di materie, l'art. 5 dello stesso d.lgs. n. 28/2010, pure dai ricorrenti sospettato di incostituzionalita', rende l'esperimento della mediazione condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. E allora, per effettuare in questa sede autonomamente e compiutamente la disamina della eventuale fondatezza di un siffatto impianto argomentativo - prescindendo, cioe', dalle questioni di costituzionalita' - il Collegio dovrebbe sottoporre l'art. 60 della legge n. 69 del 2009 e l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010 ad una interpretazione costituzionalmente orientata, che tenga conto della necessita' di una stretta continuita' e coerenza delle disposizioni, tra di esse ed in relazione all'art. 4 della direttiva 2008/52/CE. Cio' al fine di risolvere ermeneuticamente il problema consistente nella non sovrapponibilita' dei concetti di «competenza», «professionalita'», nonche' «serieta' ed efficienza», alternativamente utilizzati dalle fonti regolatrici della materia (rispettivamente, direttiva, legge delega e decreto delegato), individuando, anche alla luce degli scopi e dei principi fondanti che esse assumono, il parametro normativo specifico in relazione al quale apprezzare se la disposizione regolamentare impugnata (art. 4) presenti le caratteristiche della completezza e della congruenza. ln tal modo, non solo non si porrebbe la necessita' di scrutinare in via incidentale l'art. 16 del d.lgs. n. 28/2010, ma anche l'art. 5 dello stesso d.lgs. n. 28/2010 rimarrebbe sullo sfondo della controversia, senza essere direttamente investito dalla sua definizione. Ma il Collegio ritiene che una siffatta impostazione non sia oggettivamente perseguibile. Cio' in quanto essa non esaurirebbe che in una misura molto limitata l'ambito delle questioni sottoposte a giudizio, lasciando, in particolare, aperto l'interrogativo di quale sia il ruolo che l'ordinamento giuridico nazionale intende effettivamente affidare alla mediazione. Laddove, invece, e' proprio la puntuale individuazione di tale ruolo ad essere imprescindibilmente pregiudiziale all'apprezzamento dei requisiti che, in via attuativa-amministrativa, e' legittimo richiedere al mediatore ovvero da cui e' legittimamente consentito prescindere. E' infatti intuitivo, anche sotto il profilo del grado di affidamento da ingenerarsi verso l'esterno in relazione alla figura del mediatore, e che si riflette nella professionalita' che in capo al medesimo l'amministrazione e' tenuta a verificare, che: una cosa e' la costruzione della mediazione come strumento cui lo Stato in un vasto ambito di materie obbligatoriamente e preventivamente rimandi per l'esercizio del diritto di difesa in giudizio; altra cosa e' la costruzione della mediazione come strumento generale normativamente predisposto, di cui lo Stato incoraggi favorisca l'utilizzo, lasciando purtuttavia impregiudicata la liberty nell'apprezzamento dell'interesse del privato ad adirla ed a sopportarne i relativi effetti e costi. In altre parole, non pare potersi porre fondatamente in dubbio che la disamina rimessa a questa sede in ordine alla valutazione della fondatezza delle descritte doglianze, in relazione alle norme del regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda demolitoria nei sensi sopra precisati, non possa prescindere dall'accertamento della correttezza, in raffronto ai criteri della legge delega ed ai precetti costituzionali, e tenuto conto delle disposizioni comunitarie, delle scelte operate dal legislatore delegato laddove: all'art. 16, ha conformato gli organismi di conciliazione a parametri, o meglio a qualita', che attengono esclusivamente ed essenzialmente all'aspetto della funzionalita' generica, e che, per contro, sono scevri da qualsiasi riferimento a canoni tipologici tecnici o professionali di carattere qualificatorio ovvero strutturale; al contempo, all'art. 5, ha configurato, per le materie ivi previste, l'attivita' da questi posta in essere come insopprimibile fase preprocessuale, cui altre norme del decreto assicurano effetti rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in ogni suo possibile sviluppo, o di conformare definitivamente i diritti soggettivi da essa coinvolti, o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la giustiziabilita' nelle sedi istituzionali e si intenda adire la tutela giudiziale. E cio' anche tenendo particolarmente conto, sotto un profilo piu' generale, del fatto che nel decreto legislativo n. 28 del 2010 si rinvengono, come al Collegio sembra palese, elementi che fanno emergere due scelte di fondo che, in relazione ai diritti disponibili e nelle materie considerate, in misura inversamente proporzionale, ma biunivocamente, mirano, con forza cogente, l'una, alla deistituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia civile e commerciale nelle materie stesse, e, l'altra, alla enfatizzazione di un procedimento para-volontario di componimento delle controversie nelle materie stesse, che, pero', per come strutturate, non risultano omogenee con una ulteriore scelta pure ivi operata. Che consiste nel disporre che l'atto che conclude la mediazione, sottoposto ad omologazione, possa acquistare efficacia di titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d.lgs. n. 28/10) - rientrando, cosi', a pieno titolo tra gli atti aventi gli stessi effetti giuridici tipici delle statuizioni giurisdizionali - laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto legislativo stesso, il profilo della competenza tecnica del mediatore sbiadisce, e, vieppiu', anche il diritto positivo viene in evidenza solo sullo sfondo, come cornice esterna ovvero come generale limite alla convenibilita' delle posizioni giuridiche in essa coinvolte (divieto di omologare accordi contrari all'ordine pubblico o a norme imperative, art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010). E allora, per assicurare la certezza della fattibilita' del descritto meccanismo, al fine di escludere che lo stesso ridondi in danno del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24 Cost., risulta insopprimibile la necessita' che l'interpretazione dell'art. 16 del d.lgs. n. 28/2010 [propedeutica alla disamina della impugnata disposizione regolamentare dell'art. 4)] sia correlata con quanto previsto dall'art. 5 dello stesso decreto (entrambi nelle parti precisate al punto 9), il cui combinato disposto costituisce il vero perno della regolazione delegata. Tale ultima norma, pero', per le ragioni che si passa ad illustrare, non risulta al Collegio trovare una rispondenza nella legge delega, con conseguente violazione dell'art. 77 Cost.. 12. Nell'illustrare il complessivo quadro normativo della fattispecie, si e' dato conto che la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE e' chiara nell'affermare, all'ottavo considerando ed all'art. 1, che il campo privilegiato di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione in materia civile e commerciale e' rappresentato dalle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai «procedimenti di mediazione interni». L'intento della direttiva sul punto e' chiaro. La immediata disponibilita' nell'ambito dell'Unione europea del servizio di mediazione in relazione alle controversie transfrontaliere nelle materie civili e commerciali risponde, infatti, con efficacia apprezzabile a prima vista, alla necessita' di superare le problematiche solitamente e squisitamente proprie di tali tipologie di controversie, quali l'individuazione dell'ordinamento statale applicabile e del giudice comperate, contribuendo, cosi', ad una soluzione rapida ed efficace delle ragioni del contendere, che altrettanto indubitabilmente manifesta il ruolo di elemento necessario al corretto funzionamento del mercato interno, anche tenuto conto che la materia degli scambi commerciali non e' ontologicamente estranea alla composizione amichevole delle controversie. Al contempo, il legislatore comunitario esprime evidentemente l'avviso che nulla osta a che la mediazione, quale strumento tendenzialmente generale di risoluzione delle controversie, sia valorizzata dalle singole legislazioni nazionali, mediante l'esercizio di un'opzione estensiva dell'istituto, come delineato nei tratti salienti dalla direttiva, che ne comporti l'applicazione anche a quelle che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri, e che ricadono interamente nell'ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri. Secondo le attribuzioni proprie dell'ordinamento nazionale vigente, l'eventuale adesione, di carattere pacificamente discrezionale, a siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non puo' che essere individuata che in capo alla fonte normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l) ed m) Cost.]. E cio' anche perche', come meglio in seguito, essa non esaurisce le scelte da compiersi, ma costituisce il presupposto da cui scaturisce la necessita' di operare altre scelte, che ineriscono, se cosi' si puo' dire, ai massimi livelli del sistema nazionale della «giustizia» in materia civile. Si pone, indi, la necessita' di verificare se le scelte effettuate dal legislatore delegato, con specifico riferimento alle prime tre disposizioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, possano essere ascritte, nelle parti fondanti, all'art. 60 della piu' volte richiamata legge n. 69 del 2009. E' il caso di chiarire che ad analoga necessita' condurrebbe anche l'eventualita' che l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, oltre a porsi in continuita' con la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE - come sembra al Collegio palese ancorche' la stessa non venga richiamata nel testo dell'articolo, che rimanda pero' al «rispetto» ed alla «coerenza» con la normativa comunitaria [comma 2 e comma 3, lett. c)], e come e' in effetti sembrato palese anche al legislatore delegato, che l'ha citata nel preambolo - esprima anche l'ulteriore ed autonomo intendimento del legislatore di approntare soluzioni volte a fronteggiare le note problematiche connesse nel nostro ordinamento al processo civile. In tale ultimo senso sembrano, per vero, militare sia l'inserimento dell'art. 60 non nella legge comunitaria annuale bensi' in un corpus normativo per «lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile», sia la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo, che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi del comma 1 che lo precede («in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale») quale «riforma». Infatti, quand'anche ci si trovasse di fronte ad un'autonoma «riforma» di carattere ordinamentale, meramente occasionata dall'obbligo di recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua il contenuto essenziale, ma senza che l'intento recettivo esaurisca le intenzioni del legislatore, a maggior ragione si imporrebbe l'indagine sull'oggetto che costituisce il reale ambito della delega, che non potrebbe essere sic et simpliciter derivato dalle disposizioni comunitarie in corso di recepimento. 13. Ma il Collegio non rinviene nella legge delega alcun elemento che consenta di ritenere che la regolazione della materia andasse effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010. E cio' per le ragioni che si passa ad illustrare. 13.1. Va subito chiarito che, laddove indubitabilmente e' ascrivibile al piu' volte nominato art. 60 della legge n. 60/09 la scelta di ampliare il ricorso alla mediazione nelle controversie interne in ambito civile e commerciale, nessuno dei criteri e principi direttivi previsti e nessuna altra disposizione dell'articolo espressamente assume l'intento deflattivo del contenzioso giurisdizionale o configura l'istituto della mediazione quale fase preprocessuale obbligatoria. Ne' detto tema puo' ritenersi rientrante nell'ambito di liberta', ovvero nell'area di discrezionalita' commessa alla legislazione delegata, esso non costituendo, per quanto sopra riferito e per quanto in seguito, ne' un mero sviluppo delle scelte effettuate in sede di delega ne' una fisiologica attivita' di riempimento o di coordinamento normativo, sia che si tratti di recepire la direttiva comunitaria n. 2008/52/CE sia che si tratti della riforma del processo civile. Ne consegue che, ai fini della positiva valutazione della costituzionalita' delle prime tre previsioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010., tenendo conto del silenzio serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema, occorrerebbe almeno che l'art. 60 lasci trasparite elementi in tal senso univoci e concludenti. Ma cosi' non e'. 13.2. Va poi anche escluso che l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, con la locuzione del relativo comma 2 (regolare la riforma «nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria»), ovvero con il principio e criterio direttivo posto alla lett. c) del comma 3 («disciplinare la mediazione nel rispetto della normativa comunitaria») possa essere inteso quale delega al Governo a compiere ogni e qualsivoglia scelta latamente occasionata dalla direttiva comunitaria n. 2008/52/CE, che, come sopra si e' rilevato, il Governo non e' stato neanche espressamente chiamato a recepire. Ma, sul punto, come gia' sopra accennato, e' ancor piu' decisivo osservare che varie sono le opzioni da considerare a termini della direttiva in parola. La prima e la piu' significativa, nonche' quella chiaramente compiuta dall'art. 60, e' indubbiamente quella relativa alla estensione dell'applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione anche ai procedimenti interamente ricadenti nell'ordinamento nazionale, per i quali essa non e' originariamente ed obbligatoriamente prevista. La seconda e' quella di valutare se il procedimento di mediazione debba essere «avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro» [art. 3, lett. a), direttiva n. 2008/52 /CE] . La terza, logicamente conseguente all'ultima delle opzioni della seconda, e' quella di apprezzare se, dinamicamente, lasciare «impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario» (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE). Il tutto, tenendo comunque conto del limite costituito dalla necessita' di non impedire «alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario» (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE). I ricaschi della scelta estensiva dell'istituto della mediazione dal campo privilegiato delle controversie transfontaliere a quello dei procedimenti interamente ricadenti nell'ordinamento interno sono, indi, molteplici, ed attengono precipuamente alle varie modalita' con cui tale estensione, salvaguardando l'accesso alla giustizia, puo' essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in primis, all'opzione di rendere il ricorso alla mediazione «prescritto dal diritto», indi «obbligatorio» e «soggetto a sanzioni». Quand'anche, pertanto, dovesse ritenersi che l'art. 60 si ponga un intento integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE, il silenzio del legislatore delegante su tali ultime opzioni non ha, ne' puo' avere, alla luce della doverosa interpretazione della delega in conformita' agli artt. 24, 76 e 77 Cost., il significato di assentire la meccanica introduzione nell'ordinamento statale delle opzioni comunitarie che, rispetto al diritto di difesa come scolpito dall'art. 24 Cost., appaiono le piu' estreme, ovvero la «prescrizione di diritto» per talune materie dell'obbligatorieta' del ricorso alla mediazione, e la predisposizione della massima «sanzione» per il suo eventuale inadempimento, quale e' l'improcedibilita' rilevabile anche d'ufficio, come, al contempo, ha fatto l'art. 5 del decreto delegato. 13.3. Va, altresi', chiarito che nessun elemento decisivo, sempre ai fini in parola, e' ricavabile dal principio e criterio direttivo previsto dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, «senza precludere l'accesso alla giustizia». Tale principio e criterio direttivo, infatti, nella dinamica della delega, non sembra assumere altro ruolo che quello di richiamare l'attenzione sulla necessita' di rispettare un principio assoluto e primario dell'ordinamento nazionale (art. 24 della Costituzione) e di quello comunitario. Cio' posto, e' vero che l'accesso alla giustizia potrebbe non ritenersi ex se precluso dalla previsione di una fase preprocessuale, che, ancorche' obbligatoria, lasci comunque aperta la facolta' di adire la via giurisdizionale. Infatti, secondo il costante insegnamento del Giudice delle leggi, l'art. 24 Cost. non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi effetti, e non vieta quindi che la legge possa subordinare l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purche' non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalita' tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attivita' processuale (Corte cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non puo' non richiamarsi anche la recente sentenza della Corte di Giustizia CE, IV, 18 marzo 2010). Ma e' altresi' vero: sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le modalita' di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine di valutarne la conformita' a Costituzione; sia che nell'ordinamento giuridico vigente, e specificamente in quello che regola la delega legislativa, non tutto cio' che e' in via generale permesso all'autorita' delegante puo' ritenersi anche assentito alla sede delegata. Di talche', anche potendosi ammettere che le prime tre disposizioni del comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, isolatamente considerate, possano non essere in contrasto con il principio costituzionale del diritto alla difesa, alla stessa conclusione potrebbe non pervenirsi tenendo conto degli effetti del loro coordinamento con altre disposizioni dello stesso d.lgs., e, segnatamente, con l'art. 16. In ogni caso, poi, attesa la natura della fonte, occorrerebbe rinvenirne il fondamento in un altro principio e criterio direttivo della delega. Ma, come si e' gia' accennato, cio' non e' dato. 13.4. Atteso, quindi, che i principi e criteri direttivi appena esaminati appaiono neutrali al fine di apprezzare la rispondenza dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/10 alla legge delega, va osservato, vieppiu', che ben due principi e criteri direttivi depongono, invece, a favore della non rispondenza. 13.4.1. Con il principio e criterio direttivo previsto dall'art. 60, lett. c), si prevede che la mediazione sia disciplinata anche «attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5». Il decreto legislativo n. 5/2003 reca la «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366», e nel titolo VI, dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale gli artt. da 38 a 40, ora abrogati proprio dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010. Il richiamo' dell'art. 60 in parola al d.lgs. n. 5/2003 fa escludere che la puntuale scelta operata dal comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 possa essere ascritta al legislatore delegante. Infatti, il d.lgs. n. 5/2003, segnatamente, all'art. 40, comma 6, molti piu' limitatamente di quanto previsto dal ridetto art. 5, e solo nello scenario in cui «il contratto ovvero lo statuto della societa' prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito», prevede che «il giudice, su istanza della patte interessata proposta nella prima difesa dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto». Il modello legale valorizzato dall'art. 60 della legge n. 69/90 mediante il richiamo al d.lgs. n. 5/2003 e' quello, quindi, in cui si versa innanzitutto in un ambito gia' delineato da norme di fonte volontaria privata (contratto o statuto sociale). In tale quadro, e' comunque rimesso ad un altro momento volontario privato, ovvero alla facolta' della parte che vi ha interesse, e non alla forza cogente della legge, far constare nel giudizio gia' interposto, ed entro termini prestabiliti, la sussistenza di una clausola conciliativa ed il mancato esperimento della conciliazione. Ed anche qualora la parte ritenga di avvalersi di tale facolta', il procedimento giudiziale non si estingue, ma, molto piu' limitatamente, deve essere sospeso per il periodo necessario ad esperire la conciliazione. Il decreto legislativo n. 5/2003 delinea, dunque, una fattispecie nella quale l'esistenza di un modulo normativo di composizione delle controversie alternativo alla giurisdizione, di cui l'interessato non si sia avvalso, ne' pospone de iure il suo diritto di difesa in giudizio ne' lo rende, eventualmente, inutiliter esercitato, come, invece, fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010. E' bene aggiungere che nulla muta, poi, considerando che il decreto delegato n. 28 del 2010, al comma 2 dello stesso art. 5, affianca al meccanismo sospetto di incostituzionalita' di cui al comma 1 anche un meccanismo coincidente a quello appena descritto, ascrivibile al modello richiamato dal legislatore delegante (d.lgs. n. 5/2003), in forza del quale e' il giudice adito, anche in sede di appello, che, valutati una serie di elementi, invita le parti a procedere alla mediazione e differisce la decisione giurisdizionale: tale disposizione, infatti, tiene comunque «Fermo quanto previsto dal comma 1...». Anzi, il comma 2 dell'art. 5 lumeggia maggiormente la incisivita' della diversa scelta compiuta dal legislatore delegato al comma 1 dello stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi previste il diritto di difesa in giudizio all'esperimento della mediazione, rendendo ancor piu' pressante l'esigenza che di una siffatta scelta si individui il preciso fondamento nella legge delega. 13.4.2. A sua volta, la lett. n) del piu' volte richiamato art. 60 prevede il dovere. dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della «possibilita'», e non dell'obbligo, di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli organismi di conciliazione. Anche tale disposizione non consente di ritenere che l'art. 5 del d.lgs. n. 20/10, al comma 1, nelle tre prime disposizioni, trovi un riscontro nella legge delega n. 69/09. Infatti, la possibilita' e', per definizione, diversa dall'obbligatorieta', e l'accentuazione di tale differenza non puo' ritenersi superflua, vertendosi nel campo della deontologia professionale, ovvero in un complesso di' obblighi e doveri la cui inosservanza puo' determinare conseguenze pregiudizievoli in base all'ordinamento civile (risarcimento del danno), amministrativo (sanzioni disciplinari) e pubblicistico (art. 4, comma 3, d.lgs. n. 28/2010), che richiedono l'esatta individuazione del precetto presidiato dalle sanzioni. Tant'e' che lo stesso decreto delegato 28/2010 ha dovuto differenziare, al comma 3 dell'art. 4, l'ipotesi in cui l'avvocato omette di informare il cliente della «possibilita'» di avvalersi della mediazione, da quella in cui l'omissione informativa concerne i casi in cui «l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale». E cio' ancorche' poi, alquanto sorprendentemente, l'art. 4, comma 3 in parola: non diversifichi poi la sanzione correlata alle due fattispecie, che sono state entrambe ricondotte alla unica categoria della «violazione degli obblighi di informazione» e all'annullabilita' del contratto intercorso tra l'avvocato e l'assistito, nonostante la assai maggior pregiudizievolezza della seconda. 14. Nessuna delle problematiche di rilievo costituzionale sopra evidenziate viene risolta dalle difese formulate dalle amministrazioni resistenti. 14.1. Si opina che il recente d.m. 6 luglio 2011, n. 145 ha introdotto una rilevante modifica all'art. 7 del decreto n. 180 del 2010 in questa sede impugnato, in forza della quale il regolamento dell'organismo di mediazione deve recare «criteri inderogabili per l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta». Per la difesa erariale, vieppiu', la sopravvenienza di tale norma determinerebbe l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza del primo motivo di gravame. L'argomentazione non puo', pero', essere seguita, atteso che la disposizione aggiunta, che si limita ad individuare un criterio di assegnazione degli affari interno all'organismo di mediazione, lascia ampiamente impregiudicata ogni questione inerente il meccanismo tramite il quale la mediazione e' stata introdotta, per alcune materie, nell'ordinamento vigente e la conseguente individuazione dei requisiti minimi necessari in capo al mediatore. 14.2. Si opina ancora che lo schema procedimentale seguito e' quello dell'art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, in tema di controversie agrarie. Ma la risalente legge invocata, che effettivamente configura un meccanismo in forza del quale il previo esperimento del tentativo di conciliazione assume la condizione di presupposto processuale, la cui carenza preclude al giudice eventualmente adito di pronunciare nel merito della domanda (Cass. SS.UU, 20 dicembre 1985, n. 6517), oltre a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010) ipotesi dei contratti agrari, non figura menzionata in alcuna parte della legge delega, che richiama, invece, la completamente diversa fattispecie normativa del gia' citato d.lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata. 14.3. L'assunzione di finalita' deflative del contenzioso giudiziale, l'apprezzamento dell'equilibrio della soluzione prescelta, anche per quanto attiene ai procedimenti il cui svolgimento non e' precluso dalla mediazione neppure quando obbligatoria, e ai procedimenti cui non si applicano le disposizioni sulla condizione di procedibilita', nonche' ai costi della mediazione, non sono qui in discussione. Si tratta, infatti, di questioni di merito sottratte all'ambito proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, piu' a monte, occorre verificare, per le suesposte ragioni ed in osservanza delle regole proprie dello scrutinio incidentale di costituzionalita' di cui all'art. 1 della 1. cost. n. 1 del 1948, se trattasi di scelte che il Governo era legittimato ad attuare, e con le previste modalita', in forza delle attribuzioni delegate dal Parlamento. 14.4. E' fuori tema e non coglie comunque nel segno, per le stesse ragioni appena riferite e per quanto al punto 13.3., ogni questione attinente alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria (in tema di telecomunicazioni invocata dalle parti resistenti in relazione alla astratta possibilita' per il legislatore nazionale di sottoporre l'esercizio dei diritti fondamentali a restrizioni compatibili con obiettivi di interesse generale, a condizione che essi siano perseguiti in modo non sproporzionato. o inaccettabile, ed alla verifica del rispetto di siffatte condizioni da parte delle norme delegate. 14.5. Non e' vero, per quanto pure in precedenza riferito, che l'unico limite posto al decreto delegato e' quello del rispetto della possibilita' di accesso alla giustizia. Si e' infatti sopra dato conto che nell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo univoci e concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle gia' illustrate disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38 a 40, ora abrogati dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010), che, nel rapporto tra mediazione e processo, delineano un equilibrio molto diverso da quello assunto dal comma 1 dell'art. 5. Ne' e' conducente, per quanto sopra pure diffusamente esposto (13.2), affermare che la normativa comunitaria fa esplicito riferimento all'ipotesi di mediazione obbligatoria anche negli specifici termini estremi fatti propri dal legislatore delegato (e non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni via via «facoltizzate». In altre parole, e conclusivamente, quanto riferito dalla difesa erariale si profila di assoluta neutralita' in relazione alle questioni dibattute in questa sede, come sopra delineate. 15. Tutto quanto sin qui argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l'obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l'esperimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice); dell'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di «serieta' ed efficienza». 15.1. In particolare, le disposizioni di cui sopra risultano in contrasto con l'art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull'azionabilita' in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce. Cio' in quanto esse non garantiscono, mediante un'adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l'accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio. 15.2. Le disposizioni in parola risultano altresi' in contrasto con l'art. 77 Cost., atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorieta' del previo esperimento della mediazione al fine dell'esercizio della tutela giudiziale in determinate materie, nonche' tenuto conto del grado di specificita' di alcuni principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, art. 60 della legge n. 69/09, che risultano stridenti con le disposizioni stesse. In particolare, alcuni principi e criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere che l'obbligatorieta' del previo esperimento della mediazione al fine dell'esercizio della tutela giudiziale in determinate materie possa rientrare nella discrezionalita' commessa alla legislazione delegata, quale mero sviluppo o fisiologica attivita' di riempimento della delega, anche tenendo conto della sua ratio e finalita', nonche' del contesto normativo comunitario al quale e' ricollegabile. 15.3. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.