IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di  omologa
di concordato preventivo ex art. 180 l.f. iscritta in data 31  maggio
2011 al n. 35839/11 R.G. da: 
    Arthemisia S.r.l. (in liquidazione) in C.P.  (c.f.  02186270969),
in persona del liquidatore Paloschi Mauro Virgilio,  rappresentata  e
difesa dall'Avv. Tomaso di Seyssel in virtu' di procura in  calce  al
ricorso per l'ammissione alla  procedura  di  concordato  preventivo,
elettivamente domiciliato in Milano, alla Via  San  Maurilio  n.  13,
ricorrente; 
    Con l'opposizione di Agenzia delle entrate (C.F. 97021490152), in
persona  del  Direttore   pro   tempore,   rappresentata   e   difesa
dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Milano alla Via Freguglia
n. 1, opponente; 
    Nei confronti del Commissario giudiziale,  in  persona  dell'Avv.
Roberto Notte. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    La societa' Arthemisia S.r.l. in liquidazione  ha  presentato  in
data 11  maggio  2010  un  ricorso  per  l'ammissione  al  concordato
preventivo, che prevedeva originariamente la  formazione  di  quattro
classi di creditori. 
    La proposta e' stata poi modificata in data  24.09.2010,  nonche'
in data 14.10.2010. 
    La proposta concordataria e'  divenuta,  quindi,  proposta  senza
previsione  di  classi,  prospettando  il  pagamento  dei   creditori
privilegiati al 100% e di quelli chirografari nella  percentuale  del
5%. 
    Fissata adunanza dei creditori per l'udienza  del  9.02.2011,  la
stessa veniva poi differita al 6.04.2011. 
    In tale udienza venivano espressi voti  favorevoli  da  parte  di
alcuni creditori. 
    Nei successivi venti giorni pervenivano  adesioni  alla  proposta
concordataria  a  termini  dell'art.  178,   comma   4,   l.f.,   che
comportavano il  raggiungimento  della  maggioranza  del  62,96%  dei
crediti,  consentendo  di  ritenere  approvato  il  concordato  dalla
maggioranza dei creditori. 
    Successivamente alla celebrazione dell'adunanza dei creditori, ma
nel termine  di  cui  all'art.  178  l.f.  (venti  giorni  successivi
all'adunanza),  perveniva,  peraltro,   voto   contrario   da   parte
dell'Agenzia delle Entrate, e precisamente in data 15.04.2011. 
    Fissata udienza di omologa per la data del 14.07.2011 e  iscritta
la causa a ruolo, con memoria in data 4.07.2011 proponeva opposizione
l'Agenzia delle Entrate, eccependo una  diversa  quantificazione  del
debito della proponente nei confronti dell'Erario rispetto  a  quanto
risultava all'Ente impositore. 
    Rilevava, in particolare, l'Agenzia delle Entrate, come il debito
tributario dichiarato dalla  societa'  in  C.P.  ammontasse  ad  Euro
1.230.662,00,  di  cui  Euro  520.498,00  per   IVA   (imposta   Euro
493.598,00, sanzioni Euro 111.065,00 ed interessi Euro 39.218,00, con
pagamento al 100%), Euro 493.763,00 per  ritenute  non  versate  (con
pagamento al 100%), Euro 216.401,00 (da corrispondersi al  chirografo
al 5%)  per  interessi  e  sanzioni  (queste  per  Euro  148.079,00).
Assumeva  invece  che  il  debito  certificato   dall'amministrazione
finanziaria ammontava alla maggior somma di Euro  1.550.303,12,  come
da nota del 15.04.2011, e che cio' risultava  (quanto  alle  ritenute
non  versate)  dall'emissione  degli  avvisi  di   accertamento   nn.
T9B07EM00817/11  e   T9B07EM00821/11   per   dichiarazione   infedele
relativamente al modello 770  per  gli  anni  2007  e  2008,  nonche'
dell'atto di contestazione n. T9BCOEM00452/11.  A  termini  di  detti
avvisi di accertamento, proseguiva  l'opponente,  mutava  l'ammontare
del debito complessivo (ammontante per IVA alla maggior somma di Euro
562.404,64), cosi' come  lievitava  il  credito  per  ritenute  (alla
maggior  somma  di   Euro   506.444,00).   Deduceva,   pertanto,   il
consolidamento del debito  in  epoca  successiva  alla  adunanza  dei
creditori in data 6.04.2011. Allegava,  conseguentemente,  di  essere
creditrice dissenziente, e, ritenendo non conveniente il  concordato,
concludeva per il rigetto della domanda di omologa. 
    Nel procedimento si costituiva Arthemisia S.r.l. in liquidazione,
eccependo preliminarmente  l'inammissibilita'  dell'opposizione,  non
avendo l'Agenzia delle Entrate espresso voto favorevole  all'adunanza
del 6.04.2011 e non potendo la suddetta creditrice esprimere il  voto
nel successivo termine di cui all'art. 178, comma 4, l.f., posto  che
detto termine  era  riservato  alle  sole  adesioni,  ossia  ai  voti
favorevoli;  conseguentemente  l'Agenzia  delle  Entrate  non  poteva
considerarsi creditore dissenziente, ne' legittimata all'opposizione.
Nel merito rilevava che le maggiori somme di cui  agli  accertamenti,
ammontanti ad Euro  49.455,00  (sostanzialmente  per  maggior  debito
IVA), trovavano copertura  nei  fondi  stanziati  dalla  societa'  in
concordato preventivo. 
    Il Commissario Giudiziale  faceva  pervenire  il  proprio  parere
motivato ex art. 180 l.f.,  rilevando  anch'esso  come  il  disavanzo
derivante dalle maggiori imposte accertate dall'Agenzia delle Entrate
sarebbe stato irrilevante, alla luce dei  fondi  appostati  per  Euro
40.132,00. Il Commissario Giudiziale non teneva conto, peraltro,  nel
proprio parere, dei  maggiori  crediti  risultanti  dagli  avvisi  di
accertamento nn. T9B07EM00817/11 e T9B07EM00821/11 per ritenute. 
    A seguito dell'entrata in  vigore  del  d.l.  n.  98/11,  che  ha
sancito l'antergazione al privilegio delle sanzioni  sui  debiti  per
ritenute, il Tribunale chiedeva al Commissario Giudiziale di valutare
l'impatto dell'art. 23, comma 37, del suddetto  d.l.  sul  fabbisogno
concordatario; a seguito delle  rettifiche  operate  dal  Commissario
Giudiziale, emergeva un disavanzo nel fabbisogno -  indipendentemente
dalle contestazioni dell'Agenzia delle Entrate - tale da  privare  di
risorse il ceto chirografario. 
    La proponente chiedeva quindi un rinvio  degli  incombenti  e  si
riservava di integrare la proposta concordataria. 
    Essa perveniva, nelle more, al reperimento di nuove risorse  tali
da  sterilizzare  l'impatto  della  suddetta  disciplina   tributaria
sopravvenuta sul fabbisogno concordatario. 
    All'udienza del  9.02.2012  l'Agenzia  delle  Entrate  produceva,
peraltro, gli avvisi di accertamento per  cui  e'  causa,  aventi  ad
oggetto ritenute non versate per gli anni 2007 e 2008, notificati  in
data  23.04.2011.  In  particolare  l'opponente  produceva   l'avviso
T9B07EM00817/11  (per  maggiori  ritenute  anno  2007  pari  ad  Euro
178.010,00 oltre sanzioni, per  complessivi  Euro  213.612,00,  oltre
interessi e  spese  di  notifica)  e  l'avviso  T9B07EM00821/11  (per
maggiori ritenute anno 2008 pari ad Euro  66.501,00  oltre  sanzioni,
per complessivi Euro 79.801,20, oltre interessi e spese di notifica),
il  tutto  per  l'importo  di   Euro   280.113,00   oltre   interessi
(quantificati  alla  data  del   30.04.2011   in   complessivi   Euro
20.684,66),  nonche'  l'atto  di  contestazione  n.   T9BCOEM00452/11
relativo alle sanzioni dei suddetti avvisi di accertamento.  A  detta
documentazione - che comportava l'emersione di un maggior credito per
ritenute, sanzioni ed interessi per Euro 300.797,66, come dedotto  in
sede di espressione di voto  sfavorevole  in  data  15.04.2011  -  si
aggiungeva la produzione  di  un  ulteriore  avviso  di  accertamento
precedente notificato nel 2010 (ma di scarsa rilevanza quantitativa). 
    Procedutosi a breve rinvio per consentire il  contraddittorio  in
ordine a dette  produzioni,  all'udienza  del  23  febbraio  2012  il
Commissario Giudiziale produceva foglio riepilogativo, a termini  del
quale l'emersione del maggior debito  per  IVA  (ammontante  ad  Euro
562.405,00)  e,  soprattutto,  del  maggior  debito  per  ritenute  e
sanzioni risultante dai predetti avvisi  di  accertamento  (ammontate
quanto meno ad Euro  877.977,00),  da  soddisfare  al  privilegio  (e
quindi al 100%), non  avrebbe  consentito,  pendente  l'esistenza  di
ulteriori  crediti  privilegiati,  alcuna   soddisfazione   al   ceto
chirografario. 
    Nel corso dell'udienza  le  parti  insistevano  nelle  rispettive
conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Preliminare all'esame del merito e'  la  questione  relativa
alla  legittimazione  all'opposizione  da  parte  dell'Agenzia  delle
Entrate. 
    Sostiene Arthemisia S.r.l. che, avendo  l'Agenzia  delle  Entrate
espresso il proprio voto sfavorevole successivamente all'adunanza del
6.04.2011 - benche' nel termine di venti giorni dalla medesima  -  la
stessa non potrebbe venire considerata ai fini dell'opposizione quale
creditrice dissenziente (dotata, come tale, di interesse ad  agire  e
di legittimazione ad opponendum), giacche' il termine di venti giorni
dall'adunanza e' senza alcuna possibilita'  di  dubbio  riservato,  a
termini dell'art. 178, comma 4, l.f.,  alle  sole  "adesioni",  ossia
alle espressioni di voto favorevole e non a  quelle  sfavorevoli,  le
quali ultime  devono  pervenire  necessariamente  entro  la  chiusura
dell'adunanza dei creditori. Di conseguenza, conclude la  ricorrente,
l'Agenzia delle Entrate non sarebbe legittimata all'opposizione  e  a
sua volta  l'omologa,  di  conseguenza,  sarebbe  rivolta  solo  alla
verifica  della  regolarita'  della  procedura  e  dell'esito   della
votazione. 
    Siccome  l'eccezione  pregiudiziale  sollevata  dalla   debitrice
proponente si basa su una lettura dell'art. 178 l.f. che,  stante  il
tenore letterale e logico della norma, appare del  tutto  pacifica  e
inoppugnabile (tanto da essere stata costantemente seguita finora  da
tutta la giurisprudenza conosciuta, e non solo da questo  Tribunale),
acquista  rilievo  dirimente  ai  fini  del  decidere  il  dubbio  di
costituzionalita' dell'art. 178, comma 4, l.f., che questo  Tribunale
reputa di dover sollevare di ufficio, con riferimento alla  parte  in
cui tale norma consente che nel termine di  venti  giorni  successivi
alla chiusura del verbale dell'adunanza dei  creditori  pervengano  e
siano conteggiate utilmente ai fini del voto le sole adesioni,  ossia
i soli voti favorevoli alla proposta concordataria,  e  non  anche  i
voti sfavorevoli. 
    La questione e' nel caso di specie rilevante in concreto ai  fini
del   decidere,   non   potendo   il   giudizio    essere    definito
indipendentemente dall'esame della medesima. 
    Nella specie, infatti, potrebbero essere esaminate nel merito  le
doglianze  dell'Agenzia  delle  Entrate  -  la  quale   ha   peraltro
tempestivamente depositato il proprio  ricorso  nel  termine  di  cui
all'art. 180, comma 2, l.f. per l'udienza del 14.07.2011 - solo se la
stessa  potesse  qualificarsi  quale   creditrice   (validamente   ed
efficacemente) dissenziente. 
    Nel  caso  in  cui  l'Agenzia  delle  Entrate  non  fosse  invece
qualificabile come creditrice dissenziente  (per  avere  espresso  il
proprio voto negativo solo successivamente all'adunanza), mancherebbe
la sua legittimazione ad opponendum, e l'oggetto dell'omologa avrebbe
per oggetto la sola verifica  della  regolarita'  della  procedura  e
dell'esito  della  votazione,  mentre  non  potrebbe  esaminarsi   la
questione relativa  all'emersione  del  maggiore  debito  tributario,
documentato in particolare dagli avvisi di accertamento  e  dall'atto
di contestazione prodotti all'udienza del 9.02.2012, ne' ai fini  del
raggiungimento delle maggioranze, ne' ai fini della fattibilita'  del
concordato in relazione al maggior passivo da soddisfare (e  comunque
nemmeno, eventualmente, la  questione  della  non  convenienza  della
proposta). 
    2. - Ad avviso del Tribunale la  questione  di  costituzionalita'
appare poi non manifestamente infondata. 
    2.1 -  Il  primo  profilo  di  dubbio  investe  il  principio  di
uguaglianza  sancito  dall'art.  3  Cost.,  per  l'ingiustificata  ed
illogica disparita' di trattamento tra i creditori che, ove intendano
esprimersi  favorevolmente,  possono  dare  il  proprio  voto  prima,
durante e soprattutto dopo l'adunanza dei creditori,  e  i  creditori
che, ove intendano esprimere il  proprio  dissenso,  devono  farlo  -
secondo la previsione dell'art. 178, quarto comma, l.f. ,  secondo  i
termini in cui viene costantemente interpretata - entro e  non  oltre
la chiusura del verbale di udienza dell'adunanza. 
    Infatti non appare esservi alcuna  logica  e  plausibile  ragione
perche' due creditori, che  di  fronte  alla  proposta  concordataria
hanno  entrambi  l'alternativa  pura  e  semplice  tra  accettare  la
proposta o rifiutarla (ne' necessariamente devono aver gia'  maturato
al  momento  dell'adunanza  la  propria  decisione)  debbano   essere
trattati in modo diverso ai fini del successivo spatium  deliberandi,
discriminandosi  essi  ai  fini  del  voto   con   una   ponderazione
disparitaria a posteriori dell'efficacia di quest'ultimo.  Cio'  che,
appunto, si verifica  attribuendo  si'  ai  creditori  una  pausa  di
riflessione  di  venti  giorni  oltre  l'adunanza,  ma  rendendo  poi
efficace tale riflessione solo se ed in quanto si traduca in un  voto
favorevole, e non invece se il creditore decida, nel  medesimo  lasso
di tempo, di non aderire alla proposta. 
    E questo appare ancora piu' ingiustificato, se si  considera  che
l'espressione del voto sfavorevole entro  la  chiusura  dell'adunanza
non solo e' condizione necessaria per il conteggio utile di tale voto
ai fini del quorum, ma  e'  anche  condicio  sine  qua  non  per  far
scaturire   poi   l'effetto    processuale    della    legittimazione
all'opposizione. 
    In altri termini: il creditore consenziente puo'  contribuire  al
raggiungimento della maggioranza dei  crediti  con  il  proprio  voto
favorevole  anche  dopo  l'adunanza  senza  maturare  una   specifica
legittimazione a partecipare al procedimento di omologa  (difettando,
in sostanza, d'interesse ad opporsi e godendo di una mera aspettativa
al raggiungimento delle maggioranze di  legge),  ma  davvero  non  si
comprende perche' analoga facolta' non debba  essere  parimenti  e  a
maggior ragione concessa al creditore dissenziente che, per di  piu',
ha anche uno specifico interesse a esperire l'opposizione in caso  di
raggiungimento delle maggioranze per far valere il suo dissenso. 
    Ne' detta discriminazione puo' essere  considerata  innocua  alla
luce del fatto - del tutto ovvio - che i creditori (sia  dissenzienti
che consenzienti) possono astrattamente  esprimere  il  proprio  voto
anche prima dell'adunanza. 
    Appare infatti opportuno evidenziare - come  e'  stato  suggerito
dalla dottrina piu' attenta -  che  le  dichiarazioni  di  voto,  per
essere espressione di un  consenso  informato,  presuppongono  quanto
meno la lettura della relazione del commissario giudiziale, che viene
solitamente depositata  tre  giorni  prima  dell'adunanza  (art.  172
l.f.),  o  finanche   l'esposizione   della   relazione   nel   corso
dell'adunanza dei creditori. Il che rende  ancora  piu'  evidente  il
vulnus inferto ai creditori che decidano di essere  non  assenzienti,
perche' essi - di conseguenza - hanno ben poco  tempo  per  esprimere
consapevolmente detto voto (poche decine di minuti dopo la  relazione
del commissario) diversamente dai creditori che, pur non  avendo  nel
medesimo frangente maturato la propria  decisione,  decidano  poi  di
essere assenzienti, in tal caso potendo fruire  del  termine  di  cui
all'art. 178, comma 4, l.f., ma con un esito  legittimante  che  puo'
apprezzarsi solo a posteriori (ossia solo  quando  nei  venti  giorni
essi esprimano il voto favorevole, mentre perderebbero il diritto  di
fruire  utilmente  di  tale  termine  se  decidessero  di  esprimersi
negativamente), con  un  effetto  discriminante  che  gioca  secundum
eventum  e  che,  se  e'  indubbiamente  espressione  di   un   favor
legislativo  verso  l'esito  favorevole  della  proposta,  appare  in
frontale contrasto con il principio costituzionale di  eguaglianza  e
ragionevolezza. 
    2.1.1 - La irragionevole disparita' di trattamento  e'  poi  resa
evidente anche da una interpretazione evolutiva della disciplina  del
voto nel concordato preventivo. 
    Nella sua originaria formulazione (precedente la novella  di  cui
al d.l. n. 35/05), l'adunanza rivestiva  un  ruolo  fondamentale  per
l'approvazione della proposta concordataria. Si richiedeva, a termini
dell'art.  178,  comma  4,  l.f.  pro   tempore,   quale   condizione
processuale per  l'approvazione  del  concordato,  il  raggiungimento
della  maggioranza  assoluta  (per  capita)  dei  creditori   votanti
presenti  in  adunanza.  Solo  in  caso   di   raggiungimento   della
maggioranza numerica e non anche della maggioranza di  capitale  (per
quantum) dei due terzi della totalita' dei crediti ammessi  al  voto,
era consentito il ricorso alle  adesioni  tardive  nei  venti  giorni
successivi al solo  fine  del  raggiungimento  della  maggioranza  di
capitale dei 2/3. 
    La precedente disciplina,  conformemente  a  quanto  previsto  in
altri ordinamenti (negli esatti termini il Concordato Preventivo USA,
US Code,  Title  11,  Ch.  11,  ยง  1126,  lett.  c,  che  prevede  la
maggioranza  quantitativa  dei  2/3  dei  crediti  e  la  maggioranza
numerica dei creditori votanti  per  ogni  classe),  prefigurava  nel
raggiungimento della maggioranza numerica dei votanti,  entro  e  non
oltre l'adunanza, una condizione per l'approvazione della proposta  e
consentiva,  nel  solo  caso  in  cui  si  fosse   verificata   detta
condizione, l'utile espressione di adesioni  successive  all'adunanza
al solo fine del raggiungimento della maggioranza quantitativa. 
    L'espressione  di  voto  aveva,  pertanto,  sotto  il  precedente
ordinamento, una duplice valenza: 
        1) concorreva al raggiungimento della maggioranza per  capita
dei creditori e questo poteva avvenire solo in adunanza; 
        2) concorreva al raggiungimento della maggioranza per quantum
e questo poteva avvenire anche successivamente all'adunanza,  benche'
solo nel caso in cui in adunanza i creditori presenti avessero votato
favorevolmente a maggioranza. 
    L'adesione successiva ex art. 178, comma 4, l.f. si  configurava,
pertanto, in maniera differente rispetto all'espressione del voto  in
adunanza, posto che: 
        il  voto  in  adunanza  concorreva  al  raggiungimento  della
maggioranza numerica (oltre che, eventualmente, quantitativa); 
        l'adesione  successiva  concorreva  solo   alla   maggioranza
quantitativa e nel solo caso in cui  nella  suddetta  adunanza  fosse
stata conseguita la maggioranza numerica dei votanti (Cass., Sez.  I,
23 maggio 2000, n. 6715). 
    Si  noti  che  la  condizione  processuale  (un  vero  e  proprio
sbarramento)  dell'approvazione  della  maggioranza  assoluta   della
proposta in adunanza era anche all'origine  della  querelle  relativa
alla irrevocabilita' del voto sfavorevole (espresso in adunanza), sul
presupposto  che  il  voto  espresso  in  adunanza  (anche  negativo)
concorreva  al   raggiungimento   del   quorum   deliberativo   della
maggioranza dei votanti (Cass., Sez. I, 22 settembre 1990, n.  9651),
salvo ritenersi consentita da altra giurisprudenza la revoca del voto
sfavorevole   ai   fini   del   raggiungimento   della    maggioranza
quantitativa, qualora il voto  sfavorevole  non  avesse  concorso  in
alcun modo alla formazione della maggioranza quantitativa (Cass. Sez.
I, 7 agosto 1989, n. 3618). 
    Seguendo   quest'ultima   accezione   (revocabilita'   del   voto
sfavorevole espresso in  adunanza),  detto  voto  sfavorevole  poteva
essere oggetto di ius poenitendi ed essere  revocato  nei  successivi
venti giorni, sul presupposto  che  non  incideva  sulla  maggioranza
numerica dei creditori votanti (in quanto, togliendo dai  votanti  un
creditore  non   favorevole,   si   incrementava   ulteriormente   la
percentuale dei creditori assenzienti  e,  quindi,  non  si  incideva
negativamente sulla maggioranza dei creditori favorevoli), ma  andava
ad incidere solo sulla maggioranza quantitativa e, in tal senso, esso
risultava quale "adesione" ai  meri  fini  quantitativi  e  non  come
"voto" ai fini della maggioranza numerica. 
    Era, quindi, possibile enucleare  una  differenza  normativa  tra
"voto" (rilevante  ai  fini  del  raggiungimento  in  adunanza  della
maggioranza numerica dei votanti) e "adesione" (rilevante ai fini del
raggiungimento della maggioranza quantitativa dei crediti nel caso in
cui fosse stata raggiunga la maggioranza numerica in adunanza). 
    Con l'entrata in vigore del d.l. n. 35/05 scompare dall'art.  177
l.f.  e  dall'ordinamento  giuridico  la  maggioranza  numerica   dei
creditori votanti quale condizione per l'approvazione del concordato.
Tuttavia, ancora dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/06,  l'art.
178, comma 4, l.f. (non toccato dalla  novella  del  d.l.  n.  35/05)
continuava a prevedere la computabilita'  delle  adesioni  successive
all'adunanza "se il concordato e' stato approvato  dalla  maggioranza
dei creditori votanti nell'adunanza, senza che tale maggioranza abbia
raggiunto i due terzi della totalita'  dei  crediti".  Nonostante  il
mancato raccordo del d.lgs. n. 5/06 con il novellato art.  177  l.f.,
era  del  tutto  prevalente   in   dottrina   e   in   giurisprudenza
l'interpretazione  secondo  cui  il  riferimento   alla   maggioranza
numerica  dei  creditori  votanti  dovesse  ritenersi  implicitamente
caducato per effetto del venir  meno  della  maggioranza  per  capita
nell'art. 177 l.f. ai fini dell'approvazione del concordato. Solo con
l'entrata in vigore del d.lgs. n. 169/07 e' scomparso nell'art.  178,
comma 4, 1.f  il  riferimento  al  raggiungimento  della  maggioranza
numerica dei creditori presenti in adunanza ed  e'  stata  confermata
l'efficacia delle adesioni pervenute post adunanza, a tacitazione  di
quella autorevole opinione dottrinale che, venuta meno la maggioranza
numerica in adunanza a termini  della  novella  dell'art.  177  l.f.,
riteneva tacitamente abrogato il comma 4 dell'art. 178 l.f. (opinione
che riteneva computabile soltanto i voti espressi prima o  nel  corso
dell'adunanza). 
    Nel mutato quadro  normativo  l'adesione  successiva  si  rivela,
peraltro, foriera molto piu' di  quanto  avrebbe  potuto  esserlo  in
passato di una disparita' di trattamento tra creditore assenziente  e
creditore dissenziente. 
    Voto e adesione non si differenziano piu' - a differenza che  per
il passato - ai fini del raggiungimento  della  maggioranza  numerica
dei   creditori    (scomparsa    dall'ordinamento)    e    concorrono
congiuntamente al raggiungimento della sola maggioranza  quantitativa
dei crediti. Se, quindi, voto (favorevole e  contrario)  ed  adesione
non hanno piu' i ruoli distinti che avevano  sotto  il  vigore  della
disciplina abrogata (in quanto il primo  doveva  essere  espresso  in
adunanza e concorreva a formare la maggioranza numerica dei votanti e
la seconda soccorreva successivamente  per  il  raggiungimento  della
maggioranza quantitativa, eventualmente  previo  ius  poenitendi  del
precedente voto sfavorevole espresso in adunanza), la disparita'  tra
creditore favorevole (che puo' votare nel  termine  di  cui  all'art.
178, comma 4, l.f.) e creditore  sfavorevole  (che  deve  votare  non
oltre  l'adunanza)  appare  ancora  meno  giustificabile  a   termini
dell'art. 3 Cost., concorrendo entrambi al raggiungimento della  sola
maggioranza quantitativa dei crediti ammessi al voto. 
    2.1.2 - Sotto il medesimo profilo gioca anche, in termini di  non
manifesta infondatezza, il meccanismo della revoca  (ius  poenitendi)
del voto espresso in adunanza. Se, difatti, oggi si tende in dottrina
a ritenere generalmente revocabile il voto  sfavorevole  espresso  in
adunanza, posto che non vi e' piu' lo sbarramento del  raggiungimento
della maggioranza numerica dei crediti  (non  essendovi  piu'  alcuna
ragione per non consentire  ai  creditori  che  hanno  espresso  voto
contrario fino alla chiusura  dell'adunanza  di  modificare  il  voto
sfavorevole in favorevole mediante una adesione pervenuta  nei  venti
giorni successivi), non  si  comprende  -  sul  piano  della  parita'
costituzionale dei diritti in difetto di ragioni  giustificatrici  di
un  trattamento  disparitario  -  per  quale  motivo   non   potrebbe
consentirsi analogo ius  poenitendi  anche  ai  creditori  che  hanno
espresso in adunanza voto favorevole e decidano successivamente e nel
medesimo termine di revocare il proprio consenso. 
    Si consideri anzi, in termini di analisi  economica,  che  mentre
uno ius poenitendi del creditore che abbia  espresso  originariamente
voto favorevole (con particolare riferimento ai voti  espressi  prima
dell'adunanza) puo' derivare dalla  naturale  asimmetria  informativa
conseguente a selezione avversa (antecedente alla  manifestazione  di
adesione),  laddove  detta  carenza  di  informazioni  venga   sanata
successivamente all'adunanza  da  parte  del  commissario  giudiziale
(fenomeno analogo allo ius poenitendi nei contratti del consumatore);
viceversa  la  fattispecie  opposta  (da  voto  sfavorevole  a   voto
favorevole) potrebbe trovare origine in accordi para-concordatari tra
debitore e singolo creditore (ignoti agli altri creditori),  estranei
alla sede  concorsuale  e  non  propriamente  meritevoli  di  analoga
tutela.  Il  che  contraddice  ulteriormente  -  se  possibile  -  la
ragionevolezza di un favor espresso per il voto tardivo assenziente a
preferenza di quello contrario. 
    2.2 - La questione appare poi non manifestamente infondata  anche
in relazione al disposto dell'art. 24 Cost. 
    Come si e' gia' rilevato,  vi  e'  un'evidente  compressione  del
diritto di difesa per il meccanismo della validita' del voto secundum
eventum: il creditore che, avendo necessita' di maggiore  riflessione
(consultazione con il cliente, delibera dell'organo amministrativo  o
assembleare), abbia bisogno di  tempo,  non  puo'  esprimere  la  sua
volonta' negli stessi termini positivi o negativi, poiche' nei  venti
giorni successivi all'adunanza puo' esprimere efficacemente  solo  il
consenso alla proposta concordataria, non invece il dissenso. 
    Vero e' che detta discriminazione viene giustificata  solitamente
con il favor  del  legislatore  per  il  debitore  che  depositi  una
proposta   concordataria   rispetto   alla   soluzione   liquidatoria
(fallimento).  Ma  detto  favor  -  che  riguarda  esclusivamente  il
riflesso  del  voto  per  la  posizione  d'interesse   del   debitore
proponente - non puo'  spingersi  sino  al  punto  di  comprimere  il
diritto di difesa e di espressione del voto  dei  creditori  (la  cui
tutela in sede concorsuale - tra l'altro - appare non meno meritevole
di tutela di quella del debitore), i quali, per il fatto  stesso  che
venga depositata una proposta di concordato e la stessa  venga  posta
in votazione,  finiscono  per  essere  discriminati  sulla  base  del
termine che hanno a disposizione per esprimere la propria adesione  o
meno alla proposta concordataria, e a seconda  della  propria  scelta
postuma, efficace solo se positiva, subendo -  in  caso  contrario  -
anche la conseguente privazione del diritto  processuale  di  opporsi
all'omologa. 
    E' pertanto conseguente sollevare in via incidentale la questione
di legittimita'  costituzionalita'  dell'art.  178,  comma  4,  legge
fallimentare in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui
tale norma - con articolazione  letterale  inequivoca  e  quindi  non
soggetta  a  diversa  interpretazione  esegetica   (che,   se   fosse
possibile,  potrebbe   giustificare   una   diretta   interpretazione
correttiva secundum constitutionem) - consente  che  nel  termine  di
venti giorni successivi alla chiusura del verbale  dell'adunanza  dei
creditori pervengano e siano utilmente conteggiate le sole  adesioni,
ossia i soli voti favorevoli alla proposta concordataria, e non anche
i voti sfavorevoli.