IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di omologa di concordato preventivo ex art. 180 l.f. iscritta in data 31 maggio 2011 al n. 35839/11 R.G. da: Arthemisia S.r.l. (in liquidazione) in C.P. (c.f. 02186270969), in persona del liquidatore Paloschi Mauro Virgilio, rappresentata e difesa dall'Avv. Tomaso di Seyssel in virtu' di procura in calce al ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, elettivamente domiciliato in Milano, alla Via San Maurilio n. 13, ricorrente; Con l'opposizione di Agenzia delle entrate (C.F. 97021490152), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Milano alla Via Freguglia n. 1, opponente; Nei confronti del Commissario giudiziale, in persona dell'Avv. Roberto Notte. Premesso in fatto La societa' Arthemisia S.r.l. in liquidazione ha presentato in data 11 maggio 2010 un ricorso per l'ammissione al concordato preventivo, che prevedeva originariamente la formazione di quattro classi di creditori. La proposta e' stata poi modificata in data 24.09.2010, nonche' in data 14.10.2010. La proposta concordataria e' divenuta, quindi, proposta senza previsione di classi, prospettando il pagamento dei creditori privilegiati al 100% e di quelli chirografari nella percentuale del 5%. Fissata adunanza dei creditori per l'udienza del 9.02.2011, la stessa veniva poi differita al 6.04.2011. In tale udienza venivano espressi voti favorevoli da parte di alcuni creditori. Nei successivi venti giorni pervenivano adesioni alla proposta concordataria a termini dell'art. 178, comma 4, l.f., che comportavano il raggiungimento della maggioranza del 62,96% dei crediti, consentendo di ritenere approvato il concordato dalla maggioranza dei creditori. Successivamente alla celebrazione dell'adunanza dei creditori, ma nel termine di cui all'art. 178 l.f. (venti giorni successivi all'adunanza), perveniva, peraltro, voto contrario da parte dell'Agenzia delle Entrate, e precisamente in data 15.04.2011. Fissata udienza di omologa per la data del 14.07.2011 e iscritta la causa a ruolo, con memoria in data 4.07.2011 proponeva opposizione l'Agenzia delle Entrate, eccependo una diversa quantificazione del debito della proponente nei confronti dell'Erario rispetto a quanto risultava all'Ente impositore. Rilevava, in particolare, l'Agenzia delle Entrate, come il debito tributario dichiarato dalla societa' in C.P. ammontasse ad Euro 1.230.662,00, di cui Euro 520.498,00 per IVA (imposta Euro 493.598,00, sanzioni Euro 111.065,00 ed interessi Euro 39.218,00, con pagamento al 100%), Euro 493.763,00 per ritenute non versate (con pagamento al 100%), Euro 216.401,00 (da corrispondersi al chirografo al 5%) per interessi e sanzioni (queste per Euro 148.079,00). Assumeva invece che il debito certificato dall'amministrazione finanziaria ammontava alla maggior somma di Euro 1.550.303,12, come da nota del 15.04.2011, e che cio' risultava (quanto alle ritenute non versate) dall'emissione degli avvisi di accertamento nn. T9B07EM00817/11 e T9B07EM00821/11 per dichiarazione infedele relativamente al modello 770 per gli anni 2007 e 2008, nonche' dell'atto di contestazione n. T9BCOEM00452/11. A termini di detti avvisi di accertamento, proseguiva l'opponente, mutava l'ammontare del debito complessivo (ammontante per IVA alla maggior somma di Euro 562.404,64), cosi' come lievitava il credito per ritenute (alla maggior somma di Euro 506.444,00). Deduceva, pertanto, il consolidamento del debito in epoca successiva alla adunanza dei creditori in data 6.04.2011. Allegava, conseguentemente, di essere creditrice dissenziente, e, ritenendo non conveniente il concordato, concludeva per il rigetto della domanda di omologa. Nel procedimento si costituiva Arthemisia S.r.l. in liquidazione, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' dell'opposizione, non avendo l'Agenzia delle Entrate espresso voto favorevole all'adunanza del 6.04.2011 e non potendo la suddetta creditrice esprimere il voto nel successivo termine di cui all'art. 178, comma 4, l.f., posto che detto termine era riservato alle sole adesioni, ossia ai voti favorevoli; conseguentemente l'Agenzia delle Entrate non poteva considerarsi creditore dissenziente, ne' legittimata all'opposizione. Nel merito rilevava che le maggiori somme di cui agli accertamenti, ammontanti ad Euro 49.455,00 (sostanzialmente per maggior debito IVA), trovavano copertura nei fondi stanziati dalla societa' in concordato preventivo. Il Commissario Giudiziale faceva pervenire il proprio parere motivato ex art. 180 l.f., rilevando anch'esso come il disavanzo derivante dalle maggiori imposte accertate dall'Agenzia delle Entrate sarebbe stato irrilevante, alla luce dei fondi appostati per Euro 40.132,00. Il Commissario Giudiziale non teneva conto, peraltro, nel proprio parere, dei maggiori crediti risultanti dagli avvisi di accertamento nn. T9B07EM00817/11 e T9B07EM00821/11 per ritenute. A seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 98/11, che ha sancito l'antergazione al privilegio delle sanzioni sui debiti per ritenute, il Tribunale chiedeva al Commissario Giudiziale di valutare l'impatto dell'art. 23, comma 37, del suddetto d.l. sul fabbisogno concordatario; a seguito delle rettifiche operate dal Commissario Giudiziale, emergeva un disavanzo nel fabbisogno - indipendentemente dalle contestazioni dell'Agenzia delle Entrate - tale da privare di risorse il ceto chirografario. La proponente chiedeva quindi un rinvio degli incombenti e si riservava di integrare la proposta concordataria. Essa perveniva, nelle more, al reperimento di nuove risorse tali da sterilizzare l'impatto della suddetta disciplina tributaria sopravvenuta sul fabbisogno concordatario. All'udienza del 9.02.2012 l'Agenzia delle Entrate produceva, peraltro, gli avvisi di accertamento per cui e' causa, aventi ad oggetto ritenute non versate per gli anni 2007 e 2008, notificati in data 23.04.2011. In particolare l'opponente produceva l'avviso T9B07EM00817/11 (per maggiori ritenute anno 2007 pari ad Euro 178.010,00 oltre sanzioni, per complessivi Euro 213.612,00, oltre interessi e spese di notifica) e l'avviso T9B07EM00821/11 (per maggiori ritenute anno 2008 pari ad Euro 66.501,00 oltre sanzioni, per complessivi Euro 79.801,20, oltre interessi e spese di notifica), il tutto per l'importo di Euro 280.113,00 oltre interessi (quantificati alla data del 30.04.2011 in complessivi Euro 20.684,66), nonche' l'atto di contestazione n. T9BCOEM00452/11 relativo alle sanzioni dei suddetti avvisi di accertamento. A detta documentazione - che comportava l'emersione di un maggior credito per ritenute, sanzioni ed interessi per Euro 300.797,66, come dedotto in sede di espressione di voto sfavorevole in data 15.04.2011 - si aggiungeva la produzione di un ulteriore avviso di accertamento precedente notificato nel 2010 (ma di scarsa rilevanza quantitativa). Procedutosi a breve rinvio per consentire il contraddittorio in ordine a dette produzioni, all'udienza del 23 febbraio 2012 il Commissario Giudiziale produceva foglio riepilogativo, a termini del quale l'emersione del maggior debito per IVA (ammontante ad Euro 562.405,00) e, soprattutto, del maggior debito per ritenute e sanzioni risultante dai predetti avvisi di accertamento (ammontate quanto meno ad Euro 877.977,00), da soddisfare al privilegio (e quindi al 100%), non avrebbe consentito, pendente l'esistenza di ulteriori crediti privilegiati, alcuna soddisfazione al ceto chirografario. Nel corso dell'udienza le parti insistevano nelle rispettive conclusioni. Considerato in diritto 1. - Preliminare all'esame del merito e' la questione relativa alla legittimazione all'opposizione da parte dell'Agenzia delle Entrate. Sostiene Arthemisia S.r.l. che, avendo l'Agenzia delle Entrate espresso il proprio voto sfavorevole successivamente all'adunanza del 6.04.2011 - benche' nel termine di venti giorni dalla medesima - la stessa non potrebbe venire considerata ai fini dell'opposizione quale creditrice dissenziente (dotata, come tale, di interesse ad agire e di legittimazione ad opponendum), giacche' il termine di venti giorni dall'adunanza e' senza alcuna possibilita' di dubbio riservato, a termini dell'art. 178, comma 4, l.f., alle sole "adesioni", ossia alle espressioni di voto favorevole e non a quelle sfavorevoli, le quali ultime devono pervenire necessariamente entro la chiusura dell'adunanza dei creditori. Di conseguenza, conclude la ricorrente, l'Agenzia delle Entrate non sarebbe legittimata all'opposizione e a sua volta l'omologa, di conseguenza, sarebbe rivolta solo alla verifica della regolarita' della procedura e dell'esito della votazione. Siccome l'eccezione pregiudiziale sollevata dalla debitrice proponente si basa su una lettura dell'art. 178 l.f. che, stante il tenore letterale e logico della norma, appare del tutto pacifica e inoppugnabile (tanto da essere stata costantemente seguita finora da tutta la giurisprudenza conosciuta, e non solo da questo Tribunale), acquista rilievo dirimente ai fini del decidere il dubbio di costituzionalita' dell'art. 178, comma 4, l.f., che questo Tribunale reputa di dover sollevare di ufficio, con riferimento alla parte in cui tale norma consente che nel termine di venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell'adunanza dei creditori pervengano e siano conteggiate utilmente ai fini del voto le sole adesioni, ossia i soli voti favorevoli alla proposta concordataria, e non anche i voti sfavorevoli. La questione e' nel caso di specie rilevante in concreto ai fini del decidere, non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dall'esame della medesima. Nella specie, infatti, potrebbero essere esaminate nel merito le doglianze dell'Agenzia delle Entrate - la quale ha peraltro tempestivamente depositato il proprio ricorso nel termine di cui all'art. 180, comma 2, l.f. per l'udienza del 14.07.2011 - solo se la stessa potesse qualificarsi quale creditrice (validamente ed efficacemente) dissenziente. Nel caso in cui l'Agenzia delle Entrate non fosse invece qualificabile come creditrice dissenziente (per avere espresso il proprio voto negativo solo successivamente all'adunanza), mancherebbe la sua legittimazione ad opponendum, e l'oggetto dell'omologa avrebbe per oggetto la sola verifica della regolarita' della procedura e dell'esito della votazione, mentre non potrebbe esaminarsi la questione relativa all'emersione del maggiore debito tributario, documentato in particolare dagli avvisi di accertamento e dall'atto di contestazione prodotti all'udienza del 9.02.2012, ne' ai fini del raggiungimento delle maggioranze, ne' ai fini della fattibilita' del concordato in relazione al maggior passivo da soddisfare (e comunque nemmeno, eventualmente, la questione della non convenienza della proposta). 2. - Ad avviso del Tribunale la questione di costituzionalita' appare poi non manifestamente infondata. 2.1 - Il primo profilo di dubbio investe il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., per l'ingiustificata ed illogica disparita' di trattamento tra i creditori che, ove intendano esprimersi favorevolmente, possono dare il proprio voto prima, durante e soprattutto dopo l'adunanza dei creditori, e i creditori che, ove intendano esprimere il proprio dissenso, devono farlo - secondo la previsione dell'art. 178, quarto comma, l.f. , secondo i termini in cui viene costantemente interpretata - entro e non oltre la chiusura del verbale di udienza dell'adunanza. Infatti non appare esservi alcuna logica e plausibile ragione perche' due creditori, che di fronte alla proposta concordataria hanno entrambi l'alternativa pura e semplice tra accettare la proposta o rifiutarla (ne' necessariamente devono aver gia' maturato al momento dell'adunanza la propria decisione) debbano essere trattati in modo diverso ai fini del successivo spatium deliberandi, discriminandosi essi ai fini del voto con una ponderazione disparitaria a posteriori dell'efficacia di quest'ultimo. Cio' che, appunto, si verifica attribuendo si' ai creditori una pausa di riflessione di venti giorni oltre l'adunanza, ma rendendo poi efficace tale riflessione solo se ed in quanto si traduca in un voto favorevole, e non invece se il creditore decida, nel medesimo lasso di tempo, di non aderire alla proposta. E questo appare ancora piu' ingiustificato, se si considera che l'espressione del voto sfavorevole entro la chiusura dell'adunanza non solo e' condizione necessaria per il conteggio utile di tale voto ai fini del quorum, ma e' anche condicio sine qua non per far scaturire poi l'effetto processuale della legittimazione all'opposizione. In altri termini: il creditore consenziente puo' contribuire al raggiungimento della maggioranza dei crediti con il proprio voto favorevole anche dopo l'adunanza senza maturare una specifica legittimazione a partecipare al procedimento di omologa (difettando, in sostanza, d'interesse ad opporsi e godendo di una mera aspettativa al raggiungimento delle maggioranze di legge), ma davvero non si comprende perche' analoga facolta' non debba essere parimenti e a maggior ragione concessa al creditore dissenziente che, per di piu', ha anche uno specifico interesse a esperire l'opposizione in caso di raggiungimento delle maggioranze per far valere il suo dissenso. Ne' detta discriminazione puo' essere considerata innocua alla luce del fatto - del tutto ovvio - che i creditori (sia dissenzienti che consenzienti) possono astrattamente esprimere il proprio voto anche prima dell'adunanza. Appare infatti opportuno evidenziare - come e' stato suggerito dalla dottrina piu' attenta - che le dichiarazioni di voto, per essere espressione di un consenso informato, presuppongono quanto meno la lettura della relazione del commissario giudiziale, che viene solitamente depositata tre giorni prima dell'adunanza (art. 172 l.f.), o finanche l'esposizione della relazione nel corso dell'adunanza dei creditori. Il che rende ancora piu' evidente il vulnus inferto ai creditori che decidano di essere non assenzienti, perche' essi - di conseguenza - hanno ben poco tempo per esprimere consapevolmente detto voto (poche decine di minuti dopo la relazione del commissario) diversamente dai creditori che, pur non avendo nel medesimo frangente maturato la propria decisione, decidano poi di essere assenzienti, in tal caso potendo fruire del termine di cui all'art. 178, comma 4, l.f., ma con un esito legittimante che puo' apprezzarsi solo a posteriori (ossia solo quando nei venti giorni essi esprimano il voto favorevole, mentre perderebbero il diritto di fruire utilmente di tale termine se decidessero di esprimersi negativamente), con un effetto discriminante che gioca secundum eventum e che, se e' indubbiamente espressione di un favor legislativo verso l'esito favorevole della proposta, appare in frontale contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e ragionevolezza. 2.1.1 - La irragionevole disparita' di trattamento e' poi resa evidente anche da una interpretazione evolutiva della disciplina del voto nel concordato preventivo. Nella sua originaria formulazione (precedente la novella di cui al d.l. n. 35/05), l'adunanza rivestiva un ruolo fondamentale per l'approvazione della proposta concordataria. Si richiedeva, a termini dell'art. 178, comma 4, l.f. pro tempore, quale condizione processuale per l'approvazione del concordato, il raggiungimento della maggioranza assoluta (per capita) dei creditori votanti presenti in adunanza. Solo in caso di raggiungimento della maggioranza numerica e non anche della maggioranza di capitale (per quantum) dei due terzi della totalita' dei crediti ammessi al voto, era consentito il ricorso alle adesioni tardive nei venti giorni successivi al solo fine del raggiungimento della maggioranza di capitale dei 2/3. La precedente disciplina, conformemente a quanto previsto in altri ordinamenti (negli esatti termini il Concordato Preventivo USA, US Code, Title 11, Ch. 11, ยง 1126, lett. c, che prevede la maggioranza quantitativa dei 2/3 dei crediti e la maggioranza numerica dei creditori votanti per ogni classe), prefigurava nel raggiungimento della maggioranza numerica dei votanti, entro e non oltre l'adunanza, una condizione per l'approvazione della proposta e consentiva, nel solo caso in cui si fosse verificata detta condizione, l'utile espressione di adesioni successive all'adunanza al solo fine del raggiungimento della maggioranza quantitativa. L'espressione di voto aveva, pertanto, sotto il precedente ordinamento, una duplice valenza: 1) concorreva al raggiungimento della maggioranza per capita dei creditori e questo poteva avvenire solo in adunanza; 2) concorreva al raggiungimento della maggioranza per quantum e questo poteva avvenire anche successivamente all'adunanza, benche' solo nel caso in cui in adunanza i creditori presenti avessero votato favorevolmente a maggioranza. L'adesione successiva ex art. 178, comma 4, l.f. si configurava, pertanto, in maniera differente rispetto all'espressione del voto in adunanza, posto che: il voto in adunanza concorreva al raggiungimento della maggioranza numerica (oltre che, eventualmente, quantitativa); l'adesione successiva concorreva solo alla maggioranza quantitativa e nel solo caso in cui nella suddetta adunanza fosse stata conseguita la maggioranza numerica dei votanti (Cass., Sez. I, 23 maggio 2000, n. 6715). Si noti che la condizione processuale (un vero e proprio sbarramento) dell'approvazione della maggioranza assoluta della proposta in adunanza era anche all'origine della querelle relativa alla irrevocabilita' del voto sfavorevole (espresso in adunanza), sul presupposto che il voto espresso in adunanza (anche negativo) concorreva al raggiungimento del quorum deliberativo della maggioranza dei votanti (Cass., Sez. I, 22 settembre 1990, n. 9651), salvo ritenersi consentita da altra giurisprudenza la revoca del voto sfavorevole ai fini del raggiungimento della maggioranza quantitativa, qualora il voto sfavorevole non avesse concorso in alcun modo alla formazione della maggioranza quantitativa (Cass. Sez. I, 7 agosto 1989, n. 3618). Seguendo quest'ultima accezione (revocabilita' del voto sfavorevole espresso in adunanza), detto voto sfavorevole poteva essere oggetto di ius poenitendi ed essere revocato nei successivi venti giorni, sul presupposto che non incideva sulla maggioranza numerica dei creditori votanti (in quanto, togliendo dai votanti un creditore non favorevole, si incrementava ulteriormente la percentuale dei creditori assenzienti e, quindi, non si incideva negativamente sulla maggioranza dei creditori favorevoli), ma andava ad incidere solo sulla maggioranza quantitativa e, in tal senso, esso risultava quale "adesione" ai meri fini quantitativi e non come "voto" ai fini della maggioranza numerica. Era, quindi, possibile enucleare una differenza normativa tra "voto" (rilevante ai fini del raggiungimento in adunanza della maggioranza numerica dei votanti) e "adesione" (rilevante ai fini del raggiungimento della maggioranza quantitativa dei crediti nel caso in cui fosse stata raggiunga la maggioranza numerica in adunanza). Con l'entrata in vigore del d.l. n. 35/05 scompare dall'art. 177 l.f. e dall'ordinamento giuridico la maggioranza numerica dei creditori votanti quale condizione per l'approvazione del concordato. Tuttavia, ancora dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/06, l'art. 178, comma 4, l.f. (non toccato dalla novella del d.l. n. 35/05) continuava a prevedere la computabilita' delle adesioni successive all'adunanza "se il concordato e' stato approvato dalla maggioranza dei creditori votanti nell'adunanza, senza che tale maggioranza abbia raggiunto i due terzi della totalita' dei crediti". Nonostante il mancato raccordo del d.lgs. n. 5/06 con il novellato art. 177 l.f., era del tutto prevalente in dottrina e in giurisprudenza l'interpretazione secondo cui il riferimento alla maggioranza numerica dei creditori votanti dovesse ritenersi implicitamente caducato per effetto del venir meno della maggioranza per capita nell'art. 177 l.f. ai fini dell'approvazione del concordato. Solo con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 169/07 e' scomparso nell'art. 178, comma 4, 1.f il riferimento al raggiungimento della maggioranza numerica dei creditori presenti in adunanza ed e' stata confermata l'efficacia delle adesioni pervenute post adunanza, a tacitazione di quella autorevole opinione dottrinale che, venuta meno la maggioranza numerica in adunanza a termini della novella dell'art. 177 l.f., riteneva tacitamente abrogato il comma 4 dell'art. 178 l.f. (opinione che riteneva computabile soltanto i voti espressi prima o nel corso dell'adunanza). Nel mutato quadro normativo l'adesione successiva si rivela, peraltro, foriera molto piu' di quanto avrebbe potuto esserlo in passato di una disparita' di trattamento tra creditore assenziente e creditore dissenziente. Voto e adesione non si differenziano piu' - a differenza che per il passato - ai fini del raggiungimento della maggioranza numerica dei creditori (scomparsa dall'ordinamento) e concorrono congiuntamente al raggiungimento della sola maggioranza quantitativa dei crediti. Se, quindi, voto (favorevole e contrario) ed adesione non hanno piu' i ruoli distinti che avevano sotto il vigore della disciplina abrogata (in quanto il primo doveva essere espresso in adunanza e concorreva a formare la maggioranza numerica dei votanti e la seconda soccorreva successivamente per il raggiungimento della maggioranza quantitativa, eventualmente previo ius poenitendi del precedente voto sfavorevole espresso in adunanza), la disparita' tra creditore favorevole (che puo' votare nel termine di cui all'art. 178, comma 4, l.f.) e creditore sfavorevole (che deve votare non oltre l'adunanza) appare ancora meno giustificabile a termini dell'art. 3 Cost., concorrendo entrambi al raggiungimento della sola maggioranza quantitativa dei crediti ammessi al voto. 2.1.2 - Sotto il medesimo profilo gioca anche, in termini di non manifesta infondatezza, il meccanismo della revoca (ius poenitendi) del voto espresso in adunanza. Se, difatti, oggi si tende in dottrina a ritenere generalmente revocabile il voto sfavorevole espresso in adunanza, posto che non vi e' piu' lo sbarramento del raggiungimento della maggioranza numerica dei crediti (non essendovi piu' alcuna ragione per non consentire ai creditori che hanno espresso voto contrario fino alla chiusura dell'adunanza di modificare il voto sfavorevole in favorevole mediante una adesione pervenuta nei venti giorni successivi), non si comprende - sul piano della parita' costituzionale dei diritti in difetto di ragioni giustificatrici di un trattamento disparitario - per quale motivo non potrebbe consentirsi analogo ius poenitendi anche ai creditori che hanno espresso in adunanza voto favorevole e decidano successivamente e nel medesimo termine di revocare il proprio consenso. Si consideri anzi, in termini di analisi economica, che mentre uno ius poenitendi del creditore che abbia espresso originariamente voto favorevole (con particolare riferimento ai voti espressi prima dell'adunanza) puo' derivare dalla naturale asimmetria informativa conseguente a selezione avversa (antecedente alla manifestazione di adesione), laddove detta carenza di informazioni venga sanata successivamente all'adunanza da parte del commissario giudiziale (fenomeno analogo allo ius poenitendi nei contratti del consumatore); viceversa la fattispecie opposta (da voto sfavorevole a voto favorevole) potrebbe trovare origine in accordi para-concordatari tra debitore e singolo creditore (ignoti agli altri creditori), estranei alla sede concorsuale e non propriamente meritevoli di analoga tutela. Il che contraddice ulteriormente - se possibile - la ragionevolezza di un favor espresso per il voto tardivo assenziente a preferenza di quello contrario. 2.2 - La questione appare poi non manifestamente infondata anche in relazione al disposto dell'art. 24 Cost. Come si e' gia' rilevato, vi e' un'evidente compressione del diritto di difesa per il meccanismo della validita' del voto secundum eventum: il creditore che, avendo necessita' di maggiore riflessione (consultazione con il cliente, delibera dell'organo amministrativo o assembleare), abbia bisogno di tempo, non puo' esprimere la sua volonta' negli stessi termini positivi o negativi, poiche' nei venti giorni successivi all'adunanza puo' esprimere efficacemente solo il consenso alla proposta concordataria, non invece il dissenso. Vero e' che detta discriminazione viene giustificata solitamente con il favor del legislatore per il debitore che depositi una proposta concordataria rispetto alla soluzione liquidatoria (fallimento). Ma detto favor - che riguarda esclusivamente il riflesso del voto per la posizione d'interesse del debitore proponente - non puo' spingersi sino al punto di comprimere il diritto di difesa e di espressione del voto dei creditori (la cui tutela in sede concorsuale - tra l'altro - appare non meno meritevole di tutela di quella del debitore), i quali, per il fatto stesso che venga depositata una proposta di concordato e la stessa venga posta in votazione, finiscono per essere discriminati sulla base del termine che hanno a disposizione per esprimere la propria adesione o meno alla proposta concordataria, e a seconda della propria scelta postuma, efficace solo se positiva, subendo - in caso contrario - anche la conseguente privazione del diritto processuale di opporsi all'omologa. E' pertanto conseguente sollevare in via incidentale la questione di legittimita' costituzionalita' dell'art. 178, comma 4, legge fallimentare in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui tale norma - con articolazione letterale inequivoca e quindi non soggetta a diversa interpretazione esegetica (che, se fosse possibile, potrebbe giustificare una diretta interpretazione correttiva secundum constitutionem) - consente che nel termine di venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell'adunanza dei creditori pervengano e siano utilmente conteggiate le sole adesioni, ossia i soli voti favorevoli alla proposta concordataria, e non anche i voti sfavorevoli.