IL TRIBUNALE PER I MINORENNI All'udienza preliminare del 22 maggio 2012, nel procedimento n. 66/11 R.G.U.P. e 2765/09 R.G.N. R. nei confronti di: U.M.T. nato in Romania il 7.8.1993 ha emesso la seguente ordinanza. All'esito delle indagini preliminari il PMM ha chiesto il rinvio a giudizio di U.M.T. affinche' rispondesse del reato di cui agli artt. 624 e 625 n. 2 c.p. Nel corso dell'udienza preliminare, la difesa dell'imputato, dichiarato contumace, ha chiesto di poter prestare il consenso all'utilizzazione degli atti del P.M. al fine di definire il presente procedimento nella presente fase. Il P.M. si e' opposto deducendo la natura di atto personalissimo del consenso, riservato esclusivamente all'imputato. Il difensore ha sollevato l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 32 d.P.R. 448/88 deducendone il contrasto con gli artt. 3, 24 e 31 della Costituzione. Ad avviso del Collegio la questione di costituzionalita' e' ammissibile e rilevante. Ed infatti, quanto al primo presupposto, l'imputato e' chiamato a rispondere del delitto di' furto di due specchietti e di due copri valvole, asportati, previa eliminazione dei dispositivi antitaccheggio, dall'ipermercato Panorama. Il giovane e' immune da pregiudizi penali o di polizia e il fatto risulta di particolare tenuita'. Il presente procedimento potrebbe, dunque, concludersi celermente con l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ovvero di concessione del perdono giudiziale. L'art. 32 comma 1 d.P.R. 448/88, tuttavia, subordina tale possibilita' al consenso alla definizione del processo da parte dell'imputato, cosicche' nel caso in esame, pur sussistendo i presupposti per la concessione di uno dei benefici, si imporrebbe il rinvio a giudizio dell'imputato. Ebbene, osserva il Collegio che la modifica dell'art. 32 d.P.R. cit. e' stata resa necessaria dall'introduzione nel nostro ordinamento del principio del c.d. "giusto processo"; in particolare poiche', come piu' volte osservato dalla Corte di Cassazione, le sentenze emesse in sede di udienza preliminare di concessione del perdono giudiziale o di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto presuppongono un'affermazione di colpevolezza nei confronti dell'imputato, dette sentenze, in quanto fondate su prove formate non in contraddittorio delle parti ma raccolte dal solo P.M. nel corso delle indagini preliminari, potrebbero essere pronunciate solo con il consenso dell'imputato (cosi' come accade nel giudizio abbreviato). Tale norma e' stata interpretata costantemente da parte della Corte di cassazione (cfr. Cass. Pen. 14.1.2010 n. 6374 e 19.2.2009 n. 14173) nel senso che la legittimazione a prestare il consenso spetta esclusivamente all'imputato, trattandosi di atto personalissimo, ovvero ad un suo procuratore speciale cosicche', in caso di contumacia dell'imputato e in assenza di una formale procura speciale conferita al difensore, quest'ultimo non sarebbe legittimato a prestare il consenso alla definizione del procedimento nella fase dell'udienza preliminare. In tal caso, dunque, il GUP deve disporre il rinvio a giudizio del minore, con il risultato che lo stesso, per godere dei benefici a lui riconosciuti dalla legge (art. 27 d.P.R. 448/88 o perdono giudiziale), deve attendere il dibattimento con conseguente ritardo per una definitiva uscita dal processo. Osserva, inoltre, il Collegio che, quanto alla rilevanza della questione di legittimita' prospettata dalla difesa, l'art. 32 comma 1 D.P.R., 448/88 contrasta con le disposizioni di cui agli artt. 3, 24, 31 e 111 della Costituzione. Innanzitutto, risulta evidente la disparita' di trattamento che consegue all'esercizio di una scelta processuale quale quella, garantita espressamente dalle norme processualpenalistiche, di non comparire in udienza preliminare e di rimanere, dunque, contumace. L'imputato, infatti, e' libero di non comparire in udienza e cio' puo' argomentarsi, oltre che dall'art. 420 quater cpp, anche dall'art. 132 c.p.p. che consente il suo accompagnamento coattivo solo nei casi espressamente previsti dalla legge (quali quelli relativi a interrogatori o confronti) tra cui non rientra l'udienza preliminare. Cio' premesso, dunque, nel caso in cui l'imputato scelga di non comparire in udienza preliminare, rimane preclusa al GUP la possibilita' di concedergli i benefici previsti dal diritto minorile, pur ricorrendone i presupposti - di tenuita' del fatto ed occasionalita' del comportamento quanto all'irrilevanza del fatto, e di condotta punibile con pena contenuta nei due anni di reclusione e prognosi positiva sul futuro stile di vita quanto al perdono giudiziale - poiche' al difensore, che comunque rappresenta l'imputato contumace ai sensi dell'art. 420 quater comma 2 c.p.p., e' preclusa la possibilita' di prestare, in sua vece, il consenso alla definizione anticipata del procedimento. Cio' determina una disparita' di trattamento tra imputati che, pur trovandosi nelle medesime condizioni quanto alla sussistenza dei presupposti di legge per fruire di uno dei citati benefici, hanno effettuato una diversa scelta processuale quanto alla comparizione in udienza preliminare. La norma in esame, ad avviso del Collegio, contrasta anche con l'art. 24 della Costituzione in quanto compromette il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato. Se infatti l'imputato contumace e' rappresentato dal difensore al quale, ai sensi dell'art. 99 c.p.p. "competono le facolta' e i diritti che la legge riconosce all'imputato", salvo che siano espressamente riservati dalla legge a quest'ultimo, risulta evidente che la preclusione per il difensore a prestare il consenso alla definizione anticipata del procedimento nella fase dell'udienza preliminare rappresenta una ingiustificata compressione dell'attivita' difensiva. D'altronde, il nostro sistema processuale penale disciplina espressamente i casi in cui un atto deve essere compiuto personalmente dall'imputato o dal difensore munito di procura speciale (v. artt. 46 2°c., 419 5°c., 438 3°c., 446 3°c., 571 1°c.,589 2°c., 645 1°c c.p.p.). Nell'art. 32 nulla del genere e' detto. La norma statuisce che il giudice deve chiedere all'imputato se consente alla definizione del processo in quella fase, salvo che il consenso sia stato prestato validamente in precedenza. La norma non dice espressamente che il consenso debba essere prestato personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Resta pertanto aperta, anche sulla base della lettera della norma, la possibilita' che il consenso sia validamente prestato dal difensore in caso di contumacia dell'imputato, circostanza che impedisce di fatto al giudice di richiederlo personalmente allo stesso. La scelta del difensore di prestare il consenso alla definizione del procedimento, ai soli fini ovviamente delle sentenze di cui all'art. 32, in quanto attinente a valutazioni che presuppongono cognizioni tecnico-giuridiche che solo lo stesso difensore puo' possedere, si pone poi come attuazione del principio di garanzia della difesa tecnica svolta nel processo dal difensore medesimo; le norme che assicurano la difesa tecnica sono d'altra parte funzionali alla realizzazione del giusto processo, garantendo la effettivita' di un contraddittorio piu' equilibrato e una sostanziale parita' tra accusa e difesa. Deve infine evidenziarsi che l'imputato, nel caso non approvi l'operato del suo difensore, potra' sempre, attraverso il rimedio della opposizione, di cui all'art. 32 3° co d.P.R. 448/88 (esteso anche alle sentenze di perdono giudiziale e irrilevanza del fatto v. CC n.° 77/93), ottenere il vaglio dell'accusa nel pieno contraddittorio davanti al giudice del dibattimento. Resta cosi' salva anche la possibilita' di attuare, pur se con le forme del contraddittorio differito, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, restato contumace all'udienza preliminare, avverso una sentenza che ne affermi la responsabilita' penale. Parimenti evidente e' il contrasto di tale interpretazione con il principio costituzionale sancito all'art. 111 comma 2 cost. in ordine alla ragionevole durata del processo che la legge deve garantire, avendo come effetto di mantenere nel circuito penale e rinviare al giudice del dibattimento minori che ne potrebbero uscire agevolmente. L'art. 32 d.P.R. 448/88 risulta, inoltre, in contrasto con l'art. 31 comma 2 Cost. che prevede quale compito della Repubblica la protezione dell'infanzia e della gioventu' "favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Invero, piu' volte la Corte costituzionale ha ribadito il principio che il processo minorile e' finalizzato, oltre che alla ricerca della verita' sul fatto reato, anche e soprattutto al recupero ed al reinserimento del minore stesso nel contesto sociale, di modo che deve essere valorizzato qualunque strumento o istituto processuale che favorisca detto recupero; a tale proposito appaiono particolarmente efficaci tutti quegli accorgimenti che consentano una rapida definizione del procedimento penale ed una uscita il piu' possibile celere del minore stesso dal processo. La Corte ha anche sottolineato come le stesse esigenze sono espresse dalle norme internazionali relative alla tutela dei minori; in particolare l'art. 40 della Convenzione sui diritti del fanciullo afferma il diritto del fanciullo accusato di un reato "ad un trattamento tale da favorire il suo senso della dignita' e del valore personale, e che tenga conto della sua eta' nonche' della necessita' di facilitare il suo reinserimento nella societa' e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest'ultima" e chiama gli Stati a "promuovere l'adozione di leggi, di procedure, la costituzione di autorita' e di istituzioni destinate specificamente ai fanciulli sospettati, accusati e riconosciuti colpevoli di avere commesso reato" nonche' a prevedere, fra l'altro, soluzioni alternative all'assistenza in istituti "in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al reato". Cio' premesso, uno degli strumenti processuali che garantisce le esigenze educative del minore, rendendo piu' agevole una rapida definizione del procedimento, e' proprio quello previsto dall'art. 32 d.P.R. cit., che consente al giudice dell'udienza preliminare di pronunciare sentenze sostanzialmente di merito, di regola riservate al collegio dibattimentale, quali quelle di perdono giudiziale o irrilevanza del fatto, sempre e solo allo scopo di realizzare il preminente interesse del minore ad una uscita rapida dal circuito penale. Di conseguenza appare di tutta evidenza come contrasti con i principi sopra enunciati qualunque interpretazione della norma in esame che in qualche modo renda difficoltoso il conseguimento di tale fine come quella che escluda la possibilita' che il consenso sia validamente prestato dal difensore, facendo discendere dalla semplice contumacia, che di fatto rende impossibile al minore prestare personalmente il consenso stesso, la impossibilita' per giudice di emettere una pronunzia personalizzata nei confronti del ragazzo.