LA CORTE D'APPELLO Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile promossa in grado di appello promossa da: Bluvacanze SpA, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Toffoletti, Pietro Greco e Ivan Lamponi ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, via Agnello n. 12, giusta delega a margine dell'atto di appello, appellante; Contro Tabitta Daniela & C. sas, rappresentata e difesa dagli avv. Mauro Govoni del foro di Bologna e dall'avv. Luciana Orru' del foro di Milano ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima in Milano, via Petrarca 22/A, giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta in grado di appello, appellata; E contro Tabitta Daniela, rappresentata e difesa dagli avv. Mauro Govoni del foro di Bologna e dall'avv. Luciana Orru' del foro di Milano ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima in Milano, via Petrarca 22/A, giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta in grado di appello, convenuta in appello. Premessa Con sentenza n. 2992/07, pubblicata in data 15.3.07, il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda dell'attrice Tabitta Daniela & C. sas: dichiarava risolto il contratto di associazione in partecipazione intercorso fra Bluvacanze SpA e la Tabitta Daniela & C. sas; condannava la convenuta Bluvacanze SpA alla restituzione in favore della Tabitta Daniela & C. sas della somma di €_25.822,84, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; dichiarava che nulla era dovuto da parte attrice a parte convenuta; respingeva le ulteriori domande dell'attrice; respingeva le domande riconvenzionali formulate dalla parte convenuta (aventi ad oggetto le somme versate a titolo di acconti sugli utili ed al conguaglio consuntivo degli anni 2001-2002); condannava la parte convenuta alla rifusione delle spese di lite. Il 23 aprile 2008 BLUVACANZE S.p.A. notificava a TABITTA S.a.s. citazione in appello denunciando la erroneita' della sentenza sotto molteplici profili. Nell'eseguire la notificazione dell'atto di appello BLUVACANZE dava atto che la S.a.s. appellata si era cancellata dal Registro delle imprese a far tempo dall'8 aprile 2008. L'atto di appello veniva notificato sia alla S.a.s. appellata presso il procuratore domiciliatario in primo grado, sia alla sig.ra Daniela Tabitta, quale socia accomandataria e liquidatrice della s.a.s. Tabitta sas si e' costituita In giudizio (con mandato conferito al proprio difensore in tempo successivo alla cancellazione della societa' dal registro delle imprese) eccependo, fra l'altro, inammissibilita' dell'appello per intervenuta estinzione della societa' appellata. La socia accomandataria, parimenti costituitasi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilita' dell'impugnazione nei suoi confronti, per non essere stata parte del giudizio di primo grado e ritenendo insussistenti i presupposti di cui agli artt. 100 e 111 c.p.c. Tanto premesso, 1. All'origine del dubbio di costituzionalita' - che questa Corte intende sollevare - vi e' la nuova formulazione dell'art. 2495 c.c. (Cancellazione della societa') introdotta da D.Lgs. n. 6/2003, in vigore dall'1/1/2004, ponendosi in questo giudizio il problema delle conseguenze, sul piano processuale, dell'intervenuta estinzione della s.a.s. appellata per effetto della cancellazione dal registro delle imprese intervenuta in tempo precedente alla proposizione dell'appello. 2. E' noto l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' formatosi nel vigore nella normativa previgente, secondo il quale l'atto formale di cancellazione di una societa' dal registro delle imprese, cosi' come il suo scioglimento, con l'instaurazione della fase di liquidazione, non determina l'estinzione della societa' ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti la perdita della legittimazione processuale della societa' e un mutamento della rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (cfr., ex multis, Cass. n. 646/2007; id. n. 3221/1999). La nuova formulazione dell'art. 2495 c.c. ha dato luogo ad alcune pronunce della Corte di legittimita' (cfr. Cass. n. 25192/08 e Cass. n. 18618/06) che, in difformita' all'orientamento sino a quel momento consolidato, hanno ritenuto che la novella legislativa avesse conferito alla cancellazione dal registro delle imprese l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della societa', anche in presenza di rapporti non definiti, ed anche laddove intervenuta in epoca anteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina, con conseguente perdita della sua capacita' processuale. E', poi, altrettanto noto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenendo a comporre un contrasto giurisprudenziale, hanno sancito il principio per cui il novellato art. 2495, 2° comma, c.c., ancorche' dettato per le sole societa' di capitali nel contesto della riforma di cui al d.lgs. 6/2003, e' applicabile anche alle societa' commerciali di persone: sicche' la cancellazione della societa' dal registro delle imprese determina, con effetto immediato, l'estinzione delle societa', indipendentemente dall'esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti (Cass., sez. un., 22-02-2010, n. 4060). Il contrasto giurisprudenziale, sottoposto alle SS.UU. della Cassazione, e' stato risolto (con le coeve pronunce nn. 4060, 4061 e 4062 del 22/2/2010) con l'enunciazione dei seguenti principi di diritto: a) natura innovativa e ultrattiva dell'art. 2495 comma secondo c.c., che «disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di societa' di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1/1/2004), prevedendo a tale data la loro estinzione in conseguenza dell'indicata pubblicita' e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l'avvenire, riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci dopo l'entrata in vigore della norma, con le novita' previste dagli effetti processuali per le notifiche infrannuali della citazione»; b) conseguente incidenza della nuova normativa sul pregresso orientamento giurisprudenziale di legittimita', fondato sulla natura non costitutiva della iscrizione della cancellazione; c) riaffermazione della efficacia dichiarativa della pubblicita' della cancellazione delle societa' di persone (esclusa, per ragioni logiche e di sistema, l'efficacia costitutiva di questa, «impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione») opponibile dall'1/1/2004 ai creditori che agiscano contro i soci ex artt. 2312 e 2324 c.c., con presunzione del venir meno della capacita' e legittimazione di esse operante negli stessi limiti temporali, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse sono parti; d) necessita', attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme, di una «soluzione unitaria» del problema degli effetti delta iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di societa' o imprese collettive, a garanzia della parita' di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di societa', coerente anche con la Legge fallimentare, art. 10 (ora art. 9), facendosi decorrere dalla data della iscrizione della cancellazione stessa l'anno per la dichiarazione di fallimento ed evitando incertezze sul punto. 3. Alla stregua di tale diritto vivente deve dunque ritenersi realizzato, nel caso di specie, un evento interruttivo, essendosi estinta una parte processuale tra un grado e l'altro del giudizio. Sul problema dell'estinzione della parte tra un grado e l'altro del giudizio le Sezioni Unite della Suprema Corte, facendo riferimento all'art. 328 c.p.c., hanno fissato il principio per cui, «in caso di morte della parte vittoriosa, l'impugnazione della sentenza deve essere rivolta e notificata agli eredi, indipendentemente dal momento in cui il decesso e' avvenuto e dalla eventuale ignoranza incolpevole del decesso da parte del soccombente, senza che sia possibile applicare l'art. 291 c.p.c. in caso di impugnazione rivolta al defunto» (Cass., sez. un., 16-12-2009, n. 26279). Peraltro, in materia di estinzione di societa' (e sia pure nel regime anteriore alla riforma organica delle societa' di capitali, allorche' si riteneva che l'incorporazione di una societa' costituisse evento interruttivo), le stesse Sezioni Unite avevano stabilito che «l'impugnazione notificata presso il procuratore costituito di una societa' che, successivamente alla chiusura della discussione (o alla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica), si sia estinta per incorporazione, deve ritenersi valida se l'impugnante non abbia avuto notizia dell'evento modificatore della capacita' della persona giuridica, mediante notificazione di esso» (Cass. sez. un., 14-09-2010, n. 19509). Pronuncia questa che, peraltro, contiene in motivazione numerosi passaggi che contraddicono il principio espresso dalle Sezioni Unite nel 2009 per il caso di morte di una parte tra un grado e l'altro del giudizio, ivi inclusa la considerazione per cui, «a parte l'inaccettabilita' di una concezione antropomorfica della soggettivita' giuridica, e delle societa' in particolare, poiche' la disciplina dell'interruzione del processo e' diretta a ripristinare l'effettivita' del contraddittorio, tale esigenza sussiste solo quando si verificano eventi estranei alla volonta' dei soggetti che ne sono colpiti, sui quali, per tale ragione, non possono ricadere gli eventuali effetti negativi derivanti da un processo al quale non abbiano avuto la possibilita' di prendere parte. Nella modificazione dell'organizzazione societaria, invece, il fenomeno e' riconducibile alla volonta' del soggetto e pertanto non sussiste l'esigenza garantistica che giustifica il verificarsi dell'effetto interruttivo e del conseguente onere di riassunzione dell'altra parte. La societa' che "viene meno" (... ) non e' pregiudicata dalla continuazione di un processo di cui era perfettamente a conoscenza...». Sennonche', il principio di valida ed efficace prosecuzione del processo in sede di impugnazione nei confronti della societa' quando l'evento interruttivo non sia stato notificato all'altra parte, quale professato da tale ultima pronuncia a Sezioni Unite (eppero', in evidente contrasto con il precedente e assai severo arrêt del 2009 delle stesse Sezioni Unite per l'ipotesi di morte della parte vittoriosa intervenuta prima che l'impugnazione sia stata notificata), non risulta applica bile al caso di specie, in cui l'estinzione della s.a.s. era conosciuta dall'appellante, che ne ha dato espressamente atto nella premessa della sua impugnazione e che, in ragione di cio', ha ritenuto di notificare l'atto di appello sia al procuratore domiciliatario costituito in primo grado per la societa', sia alla persona fisica, gia' socia accomandataria e liquidatrice della societa'. 4. Nel procedimento in oggetto, la notifica dell'atto di appello effettuata alla societa' Tabitta sas (gia' estinta), secondo il costante orientamento della Suprema Corte, deve considerarsi inesistente, per inesistenza del soggetto notificando (cfr. Cassazione civile 16 settembre 2011 n. 18983 e Cass. n. 9504/02). Parimenti inesistente deve considerarsi la costituzione in giudizio di tale societa' a mezzo del procuratore che ha ricevuto il mandato difensivo successivamente alla estinzione della societa': infatti, l'assenza dello ius postulandi del detto professionista e' conseguente al difetto di soggettivita' giuridica della parte rappresentata al momento del rilascio della procura. Per quanto concerne la notificazione dell'atto di appello a Tabitta Daniela nella sua veste di liquidatore della sas, pur avendosi presente il principio secondo cui per le societa' di persone, «dalla cancellazione della societa' i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento e' dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi» (art. 2312 c.c., applicabile anche agli accomandatarii a mente dell'art. 2324 c.c.), va, non di meno, osservato che l'azione dei creditori sociali nei confronti dei liquidatori, presupponendo la deduzione in giudizio di una loro colpevole condotta nel condurre le operazioni liquidatorie, implica, evidentemente, una domanda nuova in appello (di qui l'inevitabile inammissibilita' dell'appello proposto nei confronti della sig.ra Daniela Tabbita nella sua qualita' di liquidatrice). Resta, dunque, da stabilire la sorte dell'appello proposto nei suoi confronti, in qualita' di socia accomandataria. In altri termini occorre stabilire se la notifica dell'atto di appello effettuata alla socia accomandataria valga a consentire la prosecuzione del giudizio di primo grado in sede di gravame, impedendo il formarsi di un giudicato; ovvero, piu' correttamente, se il socio accomandatario possa ritenersi «successore» della estinta societa', con la conseguenza di assicurare una valida pronuncia in sede di appello sostitutiva, a tutti gli effetti, di quella pronunciata in primo grado nei confronti della societa' estintasi nelle more fra la sentenza di primo grado e la notificazione dell'atto di appello. Il problema degli effetti sul processo dell'estinzione di una s.a.s. e di prosecuzione del processo nei confronti dei soggetti legittimati non pare facilmente risolvibile. 5. L'art. 2495 c.c., che e' norma sostanziale, contiene un riferimento alla sola proposizione ex novo della domanda giudiziale (dei creditori sociali nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento e' dipeso da colpa di questi) prevedendosi che, se essa e' proposta entro un anno dalla cancellazione, possa essere notificata presso l'ultima sede della societa'. Nulla invece dispone con riguardo alle liti pendenti. La legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile (di una sas) non pare riconducibile a un fenomeno di successione universalein locum et ius della societa' estinta (il socio accomandatario ha una responsabilita' originaria in quanto socio illimitatamente responsabile delle obbligazioni della societa') e neppure sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo «necessario» (nell'accezione diversa da quella che rinvia alla successione necessaria dei legittimari e avvicina invece i soci della societa' estinta allo Stato quale erede «necessario»), sconosciuto al nostro Ordinamento, che consente al successore universale la rinuncia all'eredita' e configura tale diritto potestativo come principio di ordine pubblico. Difetterebbero, dunque, i presupposti di cui all'art. 110 c.p.c. Neppure appaiono ravvisabili i presupposti di cui all'art. 111 c.p.c. (successione nel processo a titolo particolare nel diritto controverso), mancando qui una fattispecie di trasferimento dei crediti azionati, poiche' il socio illimitatamente e solidalmente responsabile non e' subentrato nella posizione giuridica della societa', essendo invece ab origine un condebitore solidale, sia pur beneficiario, ma solo in sede esecutiva, dell'onere di preventiva escussione del patrimonio sociale imposto ai creditori ex art. 2304 c.c. Un problema, quello dianzi delineato, tanto piu' grave quando il processo debba proseguire nei gradi di impugnazione e quando la societa' estintasi sia destinataria dell'atto d'impugnazione, in quanto vittoriosa nel precedente grado di giudizio, faticandosi non poco, per le ragioni dette, a rinvenire un successore legittimato a proseguire giudizio. Peraltro, a non dissimili conclusioni, se non addirittura a conclusioni piu' penalizzanti, si perviene in caso di societa' di capitali, dove la legittimazione passiva dei soci e' circoscritta, per espressa disposizione di legge (art. 2495 c.c.) entro i limiti dell'attivo del bilancio da ciascuno di essi riscosso e la estinzione della societa' determina, senza dubbio, la necessita' di intraprendere un nuovo giudizio, fondato su una diversa causa petendi. 6. Rebus sic stantibus, l'applicazione della regola d'immediata estinzione della societa' per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, quale sancita dalle Sezioni Unite in relazione all'art. 2495 c.c., contrasta con il principio fissato dalle Sezioni Unite 19509/2010, secondo cui occorre operare «un attento bilanciamento tra le esigenze del soggetto che intenda impugnare la decisione sfavorevole e quelle del soggetto protagonista di una vicenda modificatrice della capacita' di stare in giudizio, dallo stesso voluta». Ed invero, se il processo si interrompe sol per effetto di volontaria cancellazione, non rinvenendosi un successore della stessa legittimato a proseguirlo, la societa' estinta potrebbe agevolmente sottrarsi alle obbligazioni e finanche impedire la valida interposizione di un gravame, provocando in tal modo la formazione del giudicato per inammissibilita' dell'impugnazione rivolta ad un soggetto non piu' esistente. L'orientamento anteriore alla novella dell'art. 2495 c.c., quale oggi interpretato dalle Sezioni Unite, evitava conseguenze di tal genere, ritenendo che, in pendenza di rapporti di debito o di credito (tanto piu' se sub iudice), la societa', sebbene cancellata dal registro delle imprese, non si estinguesse (cfr., ex plurimis, Cass. 646/2007), in tal modo assicurando la legittima e naturale prosecuzione dei processi, per non essersi verificato alcun evento interruttivo fino all'esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti. Tale orientamento, gia' criticato in dottrina e superato a seguito della modifica dell'art. 2495 c.c. nell'interpretazione datane dalle Sezioni Unite, consentiva, se non altro, che l'estinzione della societa' non producesse effetti sulle liti in corso, garantendone la pacifica proseguibilita' in ogni stato e grado del giudizio. L'irragionevolezza di un effetto interruttivo sul processo sol per effetto di una volontaria cancellazione dal registro delle imprese appare evidente, tanto piu' allorche' cio' avvenga tra un grado e l'altro del giudizio, quando si debba evitare la formazione del giudicato attraverso la notifica dell'impugnazione alla parte vittoriosa, munita di legittimazione. 7. L'impossibilita' di identificare un successore nel processo e nella res litigiosa in caso di estinzione della societa' per intervenuta cancellazione e, dunque, di un soggetto legittimato a stare in giudizio, nei cui confronti poter proseguire il processo, instaurando il giudizio d'impugnazione, viola non soltanto il principio di eguaglianza, ex art. 3 Cost. anche nelle sue declinazioni in termini di ragionevolezza - intesa come generale esigenza di coerenza dell'ordinamento giuridico - ma viola, altresi', i canoni fondamentali del giusto processo e del diritto alla difesa e alla tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 111 Cost. Quanto all'art. 3 Cost., e' evidente la sperequazione nella gestione delle cause fra persone fisiche e persone giuridiche, potendo il rapporto processuale instauratosi con le persone fisiche trasferirsi in capo agli eredi, al contrario di quanto accade, in virtu' del novellato art. 2495 c.c., in riferimento alle persone giuridiche, rispetto alle quali il rapporto processuale si estingue senza la possibilita' dell'esame dei crediti in discussione. Quanto all'art. 24 Cost., si evidenzia che viene concessa la facolta' a una parte di sottrarsi ai propri obblighi con un semplice atto formale di cancellazione dal Registro delle imprese, impedendosi alla parte soccombente, alla stregua dei ricordati principii delle Sezioni Unite, di instaurare un valido rapporto processuale d'impugnazione, adeguando il processo alle modificazioni intervenute nel campo sostanziale, come impone Cass., sez. un., 26279/2009. Quanto all'art. 111 Cost., si osserva che viene costretta una parte processuale ad instaurare un nuovo giudizio, ripercorrendo gradi gia' esauriti, cosi' determinandosi un indubbio dispendio di energie nella rivalutazione di fatti gia' in precedenza vagliati e con l'ulteriore conseguenza dell'inevitabile protrarsi della durata del processo. In base al diritto vivente non pare possibile fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata del plesso di norme sin qui esaminate, stante l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite sia sull'estinzione della societa' per intervenuta cancellazione ex art. 2495 c.c., sia sugli effetti interruttivi dell'estinzione tra un grado e l'altro del processo, allorche' (come nella specie) noti alla parte impugnante. La mancata possibilita' di individuare un successore legittimato a proseguire il giudizio di appello instaurato avanti questa Corte di merito non potrebbe che condurre ad una mera declaratoria di carattere processuale, id est: il sopravvenuto difetto di legittimazione ad causam , nella specie passiva, della societa'), senza alcuna statuizione nel merito (cfr. Appello Milano, I sez. civ., sentenza n. 1072/2012, est. Secchi). Risulta percio' rilevante e non manifestamente infondata, ad avviso di questa Corte, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2495 c.c. e 328 c.p.c. nella parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della societa' per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della societa' cancellata, sino alla formazione del giudicato.