IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4581 del 2011, integrato con motivi aggiunti, proposto da Liberatore Benedetta Alessia, Alagia Paolo, Aloia Antonio, Amendola Antonio, Aria Laura, Attisani Stefania, Battisti Carla, Bennati Luciana, Bruno Fernando, Calderoni Mario Cesare, Callari Gloria Maria, Camilleri Alessia, Capasso Maria Grazia, Cappello Maja, Cascone Sandra, Corni Luigi, Conti Gemma, Corona Alberta, De Gennaro Francesca De Lisi Carmela, De Tommaso Antonio, De Vita Giuliano, Del Monte Sara, Della Gatta Alessandro, Delmastro Marco, Elia Angela, Falcone Nicoletta, Filosi Alessandra, Gallino Davide, Giordani Patrizia, Greppi Giorgio, Iaconis Paola, Irace Camino, La Pergola Maria Serena, Lobianco Vincenzo, Lotti Adriana, Lucidi Marina, Lupi Paolo, Marino Antonella, Marroncelli Franca, Martino Mauro, Mastropasqua Maria Rosaria, Moltedo Marina, Naimo Giuseppe, Perrucci Antonio, Plaustro Federica, Policastro Bernardino, Provenzano Antonio, Quattromani Antonia, Ragozini Arturo, Salera Giorgia, Sansalone Nicola, Santella Giovanni, Sebastiani Camilla, Sorice. Aniello, Sparano Laura, Spinelli Carmine, Tulliani Benito, Vajano Loredana, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Paola Salvatore e Mario Sanino, con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, viale Parioli n. 180, presso lo studio legale Sanino; Contro l'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, l'Istituto Nazionale di Statistica, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per l'annullamento: quanto al ricorso introduttivo, dei seguenti atti: a) delibera dell'Autorita'. per le Garanzie nelle. Comunicazioni n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011, pubblicata il 23 marzo 2011, con la quale sono state individuate le modalita' di attuazione delle disposizioni previste dal decreto-legge 1° maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; b) comunicazione di servizio dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n.4/11/RUF in data 21 marzo 2011, relativa al monitoraggio delle prestazioni oltre l'orario di lavoro; c) ove occorra, Parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato in data 11 gennaio 2011, in merito all'applicabilita' delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 78/2010; d) ove occorra ed in parte qua, l'elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196; e) ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente; quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, del nuovo elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011; quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, della delibera dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011,e' stata ridefinita la disciplina della I.F.R del personale dell'Autorita'; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, dell'Istituto Nazionale di Statistica e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2012 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato, in punto di fatto, che i ricorrenti con il ricorso introduttivo - dopo aver analizzato la posizione occupata nell'ordinamento dall'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito denominata «AGCOM»), nonche' la specifica disciplina relativa al trattamento giuridico ed economico ed alle carriere del suo personale, al fine di evidenziare la piena autonomia ed indipendenza organizzativa e finanziaria dell'Ente, assicurata dall'ordinamento comunitario, dalla legge istitutiva dell'Ente medesimo, nonche' dalle altre norme dell'ordinamento nazionale - rappresentano che: a) il legislatore con il decreto-legge n. 78/2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», ha previsto per il periodo 2011/2013 una serie di norme finalizzate al risanamento dei conti pubblici. In particolare i ricorrenti evidenziano che il legislatore - dopo aver salvaguardato l'autonomia e l'indipendenza dell'ordinamento della sola Banca d'Italia, prevedendo che la stessa «tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo» (art. 3, comma 3) - ha adottato, tra l'altro, un complesso di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa relativa agli apparati pubblici e al impiego pubblico; b) l'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni con la impugnata delibera n. 114/11/CONS - sulla base di una errata interpretazione del decreto-legge n. 78/2010, attesa l'irrilevanza di gran parte delle disposizioni ivi contenute rispetto alla posizione dell'Autorita' medesima, ossia delle disposizioni che non fanno espresso riferimento alle Autorita' indipendenti, ma trovano applicazione solo nei confronti delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - ha operato un taglio dei trattamenti economici complessivi del personale (nella misura del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro e nella misura del 10% per quella eccedente i 150 mila euro»), il blocco triennale della progressione di carriera, la modifica del trattamento di fine rapporto e il taglio indiscriminato dei trattamenti di missione; Considerato che i ricorrenti chiedono quindi l'annullamento dei provvedimenti impugnati per i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione della legge 31 luglio 1997, n. 249, dell'art. 2, comma 38, della legge 14 novembre 1995, n. 481, nonche' dell'art. 1, comma 66 della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Violazione e falsa applicazione del Regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento dell'AGCOM, nonche' il trattamento giuridico ed economico della stessa Autorita'. Violazione e falsa applicazione delle Direttive n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, nonche' della Direttiva n. 2009/140/CE del 25 novembre 2009. Violazione e falsa applicazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicita', contraddittorieta', erronea valutazione dei presupposti di fatto e di dritto, difetto di istruttoria, contrasto con i precedenti. I ricorrenti sostengono innanzi tutto che la delibera n. 114/11/CONS, nel recepire indiscriminatamente le misure introdotte dal decreto-legge n. 78/2010, non ha minimamente tenuto conto del particolare sistema di autofinanziamento dell'AGCOM, di derivazione comunitaria e basato quasi esclusivamente (nella misura del 99%) sui contributi versati dagli operatori economici del mercato di competenza dell'Autorita', in forza del quale «il contributo dello Stato che inizialmente (per l'esercizio finanziario 2009) era di circa 2,4 milioni di euro) si e' ridotto, nell'esercizio finanziario 2011, a soli 164.000 euro, a fronte di 62,2 milioni di euro a carico degli operatori». Ne consegue che «la delibera impugnata - imponendo le riduzioni di spesa finalizzate a sanare i conti pubblici e migliorare la situazione complessiva del debito dello Stato - comportera' che nelle casse dello Stato saranno versate risorse derivanti dai contributi di operatori privati», cosi' violando le norme comunitarie e nazionali in epigrafe indicate, perche' l'Autorita' avrebbe invece dovuto limitare le riduzioni di spesa «nella misura non eccedente lo stanziamento a carico del bilancio dello Stato»; II) Violazione e falsa applicazione della legge 31 luglio 1997, n. 249, dell'art. 2, commi 8, 9, 10, 11, 28 e 38, della 14 novembre 1995, n. 481. Violazione e falsa applicazione del Regolamento di cui alla delibera n. 17/98 del 16 giugno 1998, concernente il trattamento giuridico ed economico del personale dell'AGCOM. Violazione e falsa applicazione delle Direttive n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, nonche' della Direttiva n. 2009/140/CE del 25 novembre 2009. Violazione e falsa applicazione del decreto 31 maggio 2010, n. 78. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicita', contraddittorieta', erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, contrasto con i precedenti. I ricorrenti sostengono altresi' che la delibera n. 114/11/CONS, nel recepire indiscriminatamente le misure introdotte dal decreto-legge n. 78/2010, non ha tenuto conto neppure dello speciale regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010, in forza del quale «la Banca d'Italia tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo». In particolare - posto che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, la predetta disposizione deve ritenersi applicabile anche all'AGCOM - gli organi di vertice dell'Autorita' «avrebbe dovuto attendere le determinazioni della Banca d'Italia». Del resto «sulla necessita' per le autorita' indipendenti di ispirarsi alle determinazioni della Banca d'Italia si e' espresso ... il Dipartimento della Ragioneria Generale del Ministero dell'Economia e Finanze» con il parere in data 11 gennaio 2011, reso su richiesta dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Invece gli organi di vertice dell'Autorita' «hanno ritenuto di recepire non solo le limitazioni di spesa esplicitamente dettate per le Autorita' indipendenti, ma anche quelle che il legislatore ha previsto per le Amministrazioni pubbliche tipicamente intese e per le quali il medesimo ha utilizzato diverse formulazioni», quali «pubbliche amministrazioni come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196», o «amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165»; III) Illegittimita' dell'elenco delle Amministrazioni pubbliche redatto dall'ISTAT ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Violazione e falsa applicazione del Regolamento n. 2223/96 del 25 giugno 1996. In via subordinata i ricorrenti lamentano l'illegittimita' dell'elenco ISTAT, nella parte in cui include l'AGCOM, ribadendo che nel caso dell'Autorita' il finanziamento pubblico e' quasi del tutto inesistente, perche' la stessa procede alla copertura dei costi relativi al proprio funzionamento ed all'esercizio della propria attivita' mediante contributi privati, gravando in misura minima (1%) sul bilancio dello Stato; IV) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale degli articoli 3, 6, 9 e 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, in relazione agli articoli 3, 36, 38, 41, 97 e 117 Cost. In via ulteriormente subordinata i ricorrenti denunciano la illegittimita' costituzionale degli articoli 6, 9 e 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, evidenziando innanzi tutto che le disposizioni contenute, se ritenute sic et simpliciter applicabili all'AGCOM: a) sono lesive dell'autonomia ad essa demandata in materia di regolamentazione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, «ove si consideri che detta autonomia e' stata riconosciuta dalla legge istitutiva a garanzia dell'Indipendenza dell'Autorita', che costituisce il suo tratto caratterizzante e trova il suo fondamento negli artt. 41 e 97 Cost.»; b) si pongono in contrasto anche con l'art. 117, comma 1, Cost., che impone al legislatore di non introdurre discipline contrastanti con il diritto comunitario. Inoltre i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 3 Cost., evidenziando che: a) il legislatore ha fatto un «uso distorto» dell'elenco ISTAT, perche' come segnalato dallo stesso Presidente dell'ISTAT, nell'ambito di un'audizione tenutasi in data 20 gennaio 2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed alla V Commissione del Senato della Repubblica, il predetto elenco «non puo' essere utilizzato dal legislatore per individuare i soggetti a cui applicare una certa disciplina, in quanto si fonda su criteri statistici, che lo rendono a cio' del tutto inadatto»; b) applicando all'AGCOM misure di' contenimento diverse e disomogenee rispetto a quelle applicate alla Banca d'Italia «si perde quello che, per legge, costituisce il quadro di riferimento primario per l'autonoma regolazione del rapporto di lavoro in seno all'AGCOM. In futuro, quindi, l'Autorita' sara' di fatto priva di un quadro di riferimento che possa orientarla nell'esercizio della sua autonomia regolamentare»; Considerato che con il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 1° dicembre 2011, i ricorrenti hanno impugnato il nuovo elenco ISTAT, pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011, deducendo le medesime censure proposte con il ricorso introduttivo; Considerato che con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 2 gennaio 2012, i ricorrenti hanno impugnato la delibera dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011,e' stata ridefinita la disciplina della I.F.R del personale dell'Autorita', deducendo le medesime censure proposte con il ricorso introduttivo; Considerato che i ricorrenti con memoria depositata in data 18 febbraio 2012 hanno insistito per l'accoglimento delle suesposte censure, evidenziando, tra l'altro, che: a) la Sez. III-quater di questo Tribunale, con la sentenza 11 gennaio 2012, n. 226, ha gia' annullato l'elenco ISTAT, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011, nella parte in cui include 1'AGCOM, evidenziando in motivazione la fondatezza della censura afferente all'autonomia finanziaria dell'AGCOM, «che si manifesta con la capacita' di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero le spese sostenute per l'attivita' svolta, sicche' manca il presupposto che in coerenza con le finalita' perseguite giustifichi il suo inserimento nell'elenco Istat, e cioe' un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto. L'autonomia finanziaria della ricorrente, le fonti dalle quali discendono le sue entrate (id est i contributi ad essa obbligatoriamente versati dagli operatori dei settori da essa regolati), la possibilita' di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da cio' che non e' configurabile spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio della ricorrente atteso che a questo fine essa e' gia' stata fornita dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma. Di qui la conclusione che il criterio di calcolo imposto dal legislatore comunitario e per libera scelta recepito dall'ISTAT, e fondato esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie, e' nel caso in esame ampiamente soddisfatto»; b) il Consiglio di Stato, interpellato sulla compatibilita' con la struttura dell'AGCOM dell'art. 6, comma 21, del d.l. 78/2010, con il parere n. 385 del 26 gennaio 2012 ha osservato come «le somme ricavate da economie di gestione dall'Autorita' possano essere destinate al bilancio statale solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo Stato, ossia nella misura corrispondente al valore percentuale di tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie dell'Autorita'. Oltre questa parte, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da richiedere - in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53 Cost. - una formulazione meno generica e presupposti piu' stringenti della semplice esigenza di fare cassa. ... E' dunque sul piano dell'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme ai principi comunitari che, collegando il comma 21 al comma 2 dell'art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, se ne puo' affermare l'applicazione «limitata» all'Autorita'»; Considerato che l'Amministrazione, con memoria depositata in data 27 febbraio 2012 ha insistito per il rigetto delle suesposte censure; Considerato, in via preliminare, che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia. Infatti: sulla scorta del quadro normativo vigente prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo la Corte di Cassazione (Sez. un., ord. 23 giugno 2005, n. 13446) aveva affermato che le controversie in materia di impiego alle dipendenze dell'Autorita' garante delle comunicazioni dovevano ritenersi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo evidenziando quanto segue: a) il fatto che il d.lgs. l'art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 80/1998 (oggi recepito nell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001 non preveda espressamente i rapporti dei dipendenti dell'AGCOM tra quelli sottratti alla giurisdizione ordinaria (al pari dei rapporti dei dipendenti della Banca d'Italia, della Consob e dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato) «non e' di per se' decisivo per fondare la giurisdizione ordinaria sulle controversie relative ai rapporti in questione: il citato d.lgs. n. 80 del 1998 attuava la delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, concepita in epoca in cui l'Autorita' delle comunicazioni non era stata ancora istituita»; b) l'art. 1, comma 26, della legge n. 249/1997, «disponendo testualmente che i ricorsi avverso i provvedimenti di detta Autorita' rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si pone chiaramente come norma speciale, oltre che derogatoria rispetto alla piu' generale opzione legislativa - sottesa alla riforma del pubblico impiego - a favore della giurisdizione ordinaria»; c) «l'estensione di una tale giurisdizione amministrativa esclusiva "sui provvedimenti" anche alle controversie in materia di impiego alle dipendenze dell'Autorita' garante delle comunicazioni, e' connaturale alla ratio posta alla base delle deroghe espresse dal citato art. 3 del t.u. n. 165/2001 giustificate dalla accentuata autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul momento conformativo del rapporto di lavoro del personale»; d) secondo l'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997 all'AGCOM si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge n. 481/1995 (istitutiva dell'Autorita' per i servizi di pubblica utilita'), il cui comma 28 gia' escludeva l'applicabilita' delle disposizioni del decreto legislativo n. 29/1993 «e, con essa, la privatizzazione (recte: contrattualizzazione) dei relativi rapporti di pubblico impiego instaurati con i propri dipendenti»; le conclusioni alle quali e' pervenuta la Suprema Corte devono essere mantenute ferme anche alla luce delle novita' normative introdotte dal codice del processo amministrativo e, in particolare, alla luce dell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm. secondo il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, «le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati ... dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ... » e dell'art. 1, comma 26, della legge n. 249/1997 (come sostituito dall'art. 3, comma 8, dell'allegato 4 al decreto legislativo n. 104/2010), il quale attualmente dispone che «la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dal codice del processo amministrativo». Infatti il riferimento ai «rapporti di impiego privatizzati», contenuto nell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm., per quanto d'interesse in questa sede, deve ritenersi limitato ai contratti di lavoro di diritto privato di cui all'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997; Considerato sempre in via preliminare che, ai fini dell'interesse ad agire dei ricorrenti e della rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che di seguito saranno esaminate, non puo' assumere rilievo decisivo la circostanza che la Sezione III-quater di questo Tribunale con la sentenza 11 gennaio 2012, n. 226, abbia annullato l'elenco ISTAT pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011, nella parte in cui inserisce anche l'AGCOM fra le predette Amministrazioni. Infatti il Collegio ritiene che il legislatore con le norme del decreto-legge n. 78/2010 richiamate dai ricorrenti non abbia operato un rinvio mobile all'elenco annualmente redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009 (nel qual caso la predetta sentenza n. 226/2012 effettivamente determinerebbe l'accoglimento del presente ricorso per effetto dell'annullamento di un atto presupposto, quale sarebbe l'elenco ISTAT pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011 rispetto alla impugnata delibera n. 114/11/CONS), ma abbia piuttosto operato un rinvio fisso all'elenco ISTAT vigente nel momento dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78/2010, al solo fine di individuare l'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica dallo stesso introdotte. Del resto gli stessi ricorrenti nel quarto motivo del ricorso introduttivo hanno evidenziato che l'elenco ISTAT e' redatto «secondo criteri meramente statistici ed economici, che prescindono dalla forma giuridica degli enti e dalla loro disciplina giuridica» e, quindi, laddove si optasse per la tesi del rinvio mobile all'elenco redatto annualmente effettivamente si porrebbero i problemi segnalati dal Presidente dell'ISTAT nell'ambito dell'audizione tenutasi in data 20 gennaio 2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed alla V Commissione del Senato della Repubblica; Considerato che, sempre ai fini della rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che di seguito saranno esaminate, il Collegio ritiene necessario evidenziare che: A) non pare condivisibile la tesi (sviluppata dai ricorrenti nel secondo motivo, facendo leva sul criterio ermeneutico ubi lex voluit, dixit) secondo la quale l'art. 9, commi 1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 non sarebbero applicabili all'AGCOM, perche' in tali articoli il legislatore ha operato un generico riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196», senza richiamare espressamente le Autorita' indipendenti, mentre in altri casi (come, ad esempio, nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) il legislatore ha fatto riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti». Infatti, prescindendo da ogni considerazione di drafting legislativo, il Collegio ritiene che la prova della volonta' del legislatore di includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 si rinvenga: a) nel fatto che il legislatore quando ha menzionato espressamente le Autorita' indipendenti (come, per l'appunto, nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) ha utilizzato la formula «incluse le autorita' indipendenti», cosi' limitandosi a specificare un dato - quale l'inclusione di tali enti nell'elenco ISTAT - chiaramente evincibile da una semplice lettura del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore, laddove ha inteso garantire la specialita' di determinati soggetti pubblici ha introdotto una disciplina speciale in materia di contenimento della spesa; si intende evidentemente far riferimento all'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010, che prevede soltanto per la Banca d'Italia (cosi' escludendo le altre Autorita' indipendenti) un peculiare regime in virtu' del quale «la Banca d'Italia tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo», fermo restando che «a tal fine, qualora non si raggiunga un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie oggetto di contrattazione in tempo utile per dare attuazione ai suddetti principi, la Banca d'Italia provvede sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva eventuale sottoscrizione dell'accordo»; B) a differenza di quanto affermato dai ricorrenti nella memoria depositata in data 18 febbraio 2012, non assume rilievo decisivo nella presente controversia il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 26 gennaio 2012, n. 385. Infatti il Consiglio di Stato - chiamato a chiarire l'applicabilita' dell'art. 6, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 all'AGCOM, sul presupposto che il sistema di finanziamento dell'Autorita' e' quasi interamente autonomo, essendo affidato al contributo versato dai soggetti regolati, mentre solo una minima parte delle entrate e' a carico del bilancio dello Stato - dopo aver ribadito «il principio di corrispondenza tra gli oneri imposti agli operatori e i costi amministrativi sostenuti per l'esercizio dei compiti svolti dall'Autorita'» (principio richiamato dai ricorrenti nel primo motivo), nell'affrontare il problema di delineare «una compartecipazione dell'Autorita' ai doveri di solidarieta' finanziaria verso lo Stato, senza che cio' implichi uno storno di risorse vincolate al perseguimento della missione istituzionale», ha affermato quanto segue: «il punto di equilibrio sotteso all'applicazione dell'art. 6, comma 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 all'Autorita' e' da ravvisarsi nel sostegno finanziario che la stessa riceve dallo Stato, il quale costituisce al tempo stesso fondamento e limite del suo dovere di contribuire al risanamento della finanza pubblica, mediante versamento allo Stato, attraverso le risorse derivanti da risparmi della spesa corrente. Cio' comporta che le somme ricavate da economie di gestione dall'Autorita' possano essere destinate al bilancio statale solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo Stato, ossia nella misura corrispondente al valore percentuale di tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie dell'Autorita'. Oltre questa parte, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da richiedere - in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53 Cost. - una formulazione meno generica e presupposti piu' stringenti della semplice esigenza di «fare cassa». Fino a tale limite, invece, per quanto il prelievo possa tradursi nel versamento di una parte delle entrate che, in assenza di tali risparmi, avrebbero finanziato l'organizzazione e l'attivita' dell'Autorita', non puo' ritenersi che sia sol per questo pregiudicata l'autonomia finanziaria dell'ente e la corrispondenza tra contribuiti «privati» e costi di gestione, poiche' detti costi, per definizione, non ci sono piu' per la parte corrispondente all'obbligo di versamento». Tuttavia, ragionando in questi termini, il Consiglio di Stato non fa altro che ribadire la volonta' del legislatore di includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione delle misure previste dal decreto-legge n. 78/2010; Considerato che - ancor prima di esaminare le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti - il Collegio ritiene di dover innanzi tutto sollevare, d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010 - secondo il quale «in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui» - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost. Infatti il T.A.R. Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, chiamato ad esaminare il ricorso proposto da taluni magistrati amministrativi avverso le «illegittime decurtazioni del trattamento retributivo» previste dal decreto-legge n. 78/2010, con l'ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012 ha sollevato, tra l'altro, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, del predetto decreto-legge alla luce delle seguenti considerazioni che, oltre ad essere pienamente condivisibili, risultano evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM: A) la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010. In particolare, secondo il T.A.R. Calabria, «nella prestazione imposta con la norma in esame devono essere ravvisati i caratteri della doverosita', in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti, e del collegamento tra la prestazione di sostegno alla pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. In sostanza, sono previste l'imposizione di un sacrificio economico individuale, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio e, contestualmente, la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza pubblica, ossia per reperire risorse necessarie a coprire spese pubbliche (come reso palese dalla stessa dizione della norma riportata, che invoca la situazione di grave crisi economica internazionale e gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea quanto alla giurisprudenza della Corte, si richiamano ex plurimis, Corte cost., sentt. nn. 141/2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005; la difesa dei ricorrenti fa riferimento altresi' alla giurisprudenza volta a definire la nozione costituzionale di "leggi tributarie", ai fini del giudizio di ammissibilita' del referendum ex art. 75 Cost.). In effetti, l'obiettivo di finanza pubblica evocato dal d.l. n. 78/2010 va oltre la mera riduzione dei costi o della spesa corrente degli Stati, attenendo, piu' propriamente, alla riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL (come chiarisce lo stesso comma 2 dell'art. 9, laddove fa riferimento alle "esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea")»; B) la conseguente violazione dei principi sanciti dall'art 53 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2, «colpisce solo una specifica categoria di contribuenti, sulla base di loro peculiari qualita' soggettive e non sulla base di determinate qualita' di reddito, e, nello stesso tempo, impone una prestazione patrimoniale indipendente dall'effettiva capacita' contributiva soggettiva globalmente considerata (ossia individua uno specifico cespite da assoggettare a tassazione, senza relazioni con altre entrate del soggetto inciso), introducendo un'imposizione sostanzialmente regressiva e discriminatoria. Il primo profilo di incostituzionalita' si ravvisa nel fatto che il prelievo e' disposto esclusivamente in danno di una ben definita categoria socioeconomica, i lavoratori dipendenti del settore pubblico, ... , laddove utilizzando il termine "Tutti", la disposizione costituzionale e' chiara nell'individuare in modo inequivoco ed onnicomprensivo la platea dei contribuenti da assoggettare al prelievo fiscale. Con l'ord. n. 341/2000 la Consulta, dopo aver premesso che «l'art. 53 della Costituzione deve essere interpretato in modo unitario e coordinato, e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre» ha affermato che «la universalita' della imposizione, desumibile dalla espressione testuale "tutti" (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di concorrere alle "spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva" (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettivita' organizzata». Manca, dunque, nella fattispecie normativa in esame l'indefettibile «raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)», che la Corte ha ritenuto essere la corretta condizione per un'imposizione contributiva equa. Tale impostazione fa apparire decisamente anomala e non conforme alla Costituzione la scelta del Legislatore del 2010 che, in un contesto economico-finanziario esplicitamente qualificato come «eccezionale», avrebbe potuto operare soltanto interventi straordinari e/o temporanei di prelievo forzoso, ed invece ha posto in essere misure continuative e sostanzialmente stabili - e percio' dal palese sapore tributario - in quanto oltretutto prolungate nel triennio 2011 - 2013 (oltre che legate al superamento di scaglioni predeterminati, esattamente come le imposte); ma soprattutto ha indirizzato tale prelievo nei confronti di una ben limitata «classe di persone», ben guardandosi dall'operare nei confronti di «tutti» i contribuenti in possesso di determinate fasce di reddito, nessuno escluso (liberi professionisti, lavoratori dipendenti del settore privato, imprenditori e quant'altro), esentati immotivatamente dall'imposizione straordinaria, nonostante l'eccezionalita' della situazione economica del Paese, come viceversa una corretta applicazione dei principi di cui all'art. 53 Cost. avrebbe richiesto»; C) in via subordinata, per il caso in cui non fosse riconosciuta la natura tributaria alla disposizione in esame, la violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3 Cost. e dagli articoli 42 e 97 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2, «va a rideterminare, in senso ablativo, un trattamento economico gia' acquisito alla sfera del pubblico dipendente sub specie di diritto soggettivo. Essa, pertanto, va ad incidere sullo status economico dei lavoratori ... alterando quel sinallagma che e' il «propium» dei rapporti di durata ed in particolare proprio dei rapporti di lavoro; basti considerare che sulla stabilita' anche economica si fondano le aspettative, le progettualita' e gli investimenti - di lungo periodo, se non addirittura a vita - del dipendente. Sebbene nel nostro sistema costituzionale non sia affatto, interdetto al Legislatore di emanare disposizioni atte a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, le disposizioni in esame sembrano non rispettare la condizione essenziale, ossia che la riforma «in pejus» non trasmodi in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, Corte cost., sent. n. 446/2002; ord. n. 327/2001; sentt. nn. 393/2000, 264/2005, 416/1999 n. 282/2005)». Ne consegue, secondo il T.A.R. Calabria, innanzi tutto la violazione dell'art. 2 Cost., perche' «la novazione oggettiva ed unilaterale del rapporto di lavoro, realizzata dal d.l. n. 78/2010, oltre a tradursi nel grave scardinamento di un principio di rilevanza costituzionale, e quindi indeclinabile, della materia lavoristica (la proporzionalita' tra prestazione e retribuzione ex art. 36 Cost.), va in fondo a sacrificare la stessa dignita' sociale della persona-lavoratore pubblico, che si trova soggetto, senza possibilita' di difesa, ad aggressioni patrimoniali sostanzialmente arbitrarie non solo nelle modalita' del prelievo, nei tempi del medesimo e nelle soglie stipendiali cui attingere, ma nello stesso presupposto (il presentarsi di pretese esigenze finanziarie); e cio' perche' a determinarlo e' lo stesso soggetto (Stato) che opera il prelievo, avvalendosi della forza congiunta e soverchiante derivante dall'essere ad un tempo datore di lavoro e Legislatore, e senza che il destinatario del sacrificio possa essere considerato direttamente o indirettamente responsabile della crisi finanziaria e di cassa cui e' chiamato a far fronte, derivando quest'ultima da fattori di squilibrio che sono ascrivibili a responsabilita' (quantomeno politica) dello stesso organo che dispone il prelievo». Ne consegue, altresi', la violazione degli articoli 42 e 97 Cost. perche' «si dispone nei confronti dei pubblici dipendenti una vera e propria ablazione di redditi formanti oggetto di diritti quesiti, senza alcuna indennita', con conseguente violazione dell'art. 42 Cost., secondo cui «La proprieta' privata puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». Non appare dubitabile che l'espropriazione possa astrattamente colpire (stante l'uso dell'onnicomprensivo termine «proprieta' privata» da parte del Costituente) anche beni mobili fungibili, quale il denaro (nella specie, gli stipendi pubblici nella misura gia' acquisita allo status economico del dipendente ... ); secondo tale prospettazione, la fattispecie considerata consentirebbe di qualificare la norma di cui all'art. 9 comma 2 alla stregua di norma-provvedimento (in coerenza con la natura procedimentale dell'espropriazione), e dunque ne conseguirebbe la violazione dell'art. 97 Cost., perche' del provvedimento la norma ha mutuato la natura, ma ha eliso il procedimento, nel cui ambito vanno convogliate quelle imprescindibili esigenze di equilibrio dell'esercizio del potere tipicamente volte ad assicurare il minimo sacrificio, il giusto equilibrio con l'indennita', nonche' tutte quelle altre numerose facolta' di, partecipazione degli interessati, che consentono a questi ultimi verificare la legittimita' e l'opportunita' delle scelte cui sono chiamati a contribuire con il loro sacrificio, sia nell'an, che nel quantum delle misure richieste»; D) in via ulteriormente subordinata, a prescindere dal fatto che sia riconosciuta o meno la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9, comma 2, la violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3 Cost. sotto altro profilo. Infatti «la Carta Fondamentale, all'art. 3 comma 2, prevede quale precipuo "compito della Repubblica" (per tale intendendosi lo Stato-apparato, ossia l'insieme dei pubblici poteri, ivi compreso il Legislatore) quello di promuovere e garantire "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Poiche' tale partecipazione "economica" non puo' essere ovviamente considerata solo dal lato "attivo" ma anche dal lato "passivo", ovvero inglobando una serie di oneri ed obblighi che ad essa naturalmente pertengono (tra i quali la contribuzione alle esigenze finanziarie dell'Erario, a loro volta correlate al soddisfacimento dei bisogni della comunita'), il fine della norma e' quello di incaricare lo Stato (e percio' tutti i pubblici poteri) di rimuovere gli squilibri socio-economici esistenti, ossia le diversificazioni economiche tra categorie sociali diverse, o tra lavoratori appartenenti ai diversi settori della societa' civile. In questo senso, l'aver attribuito la parte predominante dello sforzo "contributivo" tramite una minore retribuzione ai dipendenti pubblici ... introduce forti discriminazioni nell'eguaglianza sostanziale dei soggetti dell'Ordinamento per le seguenti ragioni». In particolare, secondo il T.A.R. Calabria, «viene sottoposta a prelievo una categoria di sicura "tassabilita'" per via della garanzia della ritenuta alla fonte; al di a di ogni altra giustificazione ravvisabile nella ratio dell'istituto, il ricorso al prelievo fiscale e' indotto dall'incapacita' (tecnica o politica) di perseguire l'evasione fiscale, con conseguente vantaggio di fatto per i redditi non derivanti da lavoro dipendente nel settore pubblico. Come evidenziato dai ricorrenti, lungi dall'impegnarsi nella predisposizione di strumenti fiscali efficaci nella prevenzione di tale fenomeno, il Legislatore statale inconcepibilmente ed intollerabilmente ha aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (si pensi alle rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di lavoratori, colpevoli unicamente di possedere la qualita' di pubblici impiegati ... e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora piu' facilmente attaccabili». Del resto «la soluzione in concreto adottata nel d.l. n. 78/2010 e' stata probabilmente preferita: in quanto piu' "difendibile" da un punto di vista politico - ossia sul piano dell'accettabilita' da parte dell'opinione pubblica generale, nel momento storico in cui e' stata posta in essere; perche' assume come propria la semplicistica e generalizzante opinione comune, secondo cui i redditi incisi, per il fatto stesso di essere "elevati", costituiscono per lo piu' "prebende di Stato"; perche' il "tributo", o comunque il prelievo, poteva comodamente essere qualificato come "riduzione di spesa"; e cio' naturalmente approfittando della coincidenza tra il soggetto che lo impone ed il datore di lavoro che si vede ridotto per legge il costo del lavoro. Sennonche', tali ipotesi ricostruttive non consentono di sostenere la costituzionalita' della legge, fermo restando che le pretese "motivazioni" della manovra concepita a danno dei pubblici dipendenti non reggono ad un piu' approfondito esame. Infatti, la capacita' contributiva dei lavoratori dipendenti ... e' gia' messa a dura prova da un sistema fiscale alimentato in grande misura dal meccanismo della ritenuta alla fonte. Pertanto, prima di assoggettare ad ulteriore prelievo gli stipendi dei dipendenti pubblici destinatari di un'elevata retribuzione, si sarebbe dovuto verificare se tali dipendenti fossero - come effettivamente sono - gia' sottoposti ad una schiacciante imposizione fiscale, e conseguentemente concentrare la "riduzione della spesa" in altri settori, ad esempio frenando il ricorso sempre piu' frequente alle consulenze esterne in favore della Pubblica Amministrazione, oppure - argomento quest'ultimo di particolare rilievo - incidendo nel settore di tutte le c.d. spese (lato sensu) "clientelari", di particolare diffusione nel settore delle Autonomie regionali e locali (di difficoltosa riduzione, perche' a torto ritenute essenziali alla politica ed alla formazione del consenso, cosi' come inteso negli ultimi anni, come ad esempio i contributi a pioggia alle imprese, le spese per iniziative culturali, aggregative, le spese per societa' ed enti - satellite della PA, la formazione e cosi' via)»; Considerato che il Collegio ritiene di dover sollevare, d'ufficio, anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010 - secondo il quale «a titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita' premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennita' equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall'impiego e' effettuato: a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b) in due importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 euro e il secondo importo annuale e' pari all'ammontare residuo; c) in tre importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente uguale o superiore a 150.000 euro, in tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 euro, il secondo importo annuale e' pari a 60.000 euro e il terzo importo annuale e' pari all'ammontare residuo» - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost.. Infatti il T.A.R. Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, con la suddetta ordinanza n. 89 del 19 febbraio 2012 ha sollevato anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 7, del predetto decreto-legge alla luce delle seguenti considerazioni (anch'esse integralmente condivisibili ed evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM): A) la disposizione in esame comporta «lo scaglionamento - in favore del solo datore di lavoro pubblico - dell'onere di corresponsione delle indennita', comunque denominate, di fine rapporto; il differimento opera diversamente, a seconda dell'ammontare complessivo delle prestazioni. Cio' comporta una diminuzione patrimoniale certa (e quindi un altrettanto certo pregiudizio), che si identifica nella mancata corresponsione di interessi per la dilazione del pagamento; ma determina anche una piu' profonda compromissione del rapporto sinallagmatico tra datore di lavoro e dipendente pubblico, giacche' le somme di cui trattasi hanno pacificamente natura retributiva, sia pure differita. L'operativita' della rateizzazione e', d'altra parte, ineludibile, trattandosi di misura di carattere strutturale, non limitata - nella sua vigenza - ad un periodo di tempo predefinito»; B) valgono anche per la disposizione in esame le medesime censure, relative all'art. 9 comma 2 del d.l. n. 78/2010, da intendersi qui richiamate e reiterate per quanto di ragione. Infatti, come evidenziato dal T.A.R. Calabria, «il mero differimento della retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne' puo' essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si tratta di una misura strutturale ma di un mero rinvio della spesa, di talche' la razionalita' del "prelievo" mascherato cede innanzi alle esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino, oltre che di lealta' dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che esige la giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale per la nuova e diversa incisione del computo dei trattamenti di fine servizio». Inoltre, viene leso - senza che lo richieda il soddisfacimento di altri e piu' pregnanti principi costituzionali, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento - il principio di affidamento del pubblico dipendente nell'ordinario sviluppo economico della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione del rapporto di impiego. «E', del resto, fatto notorio che il pubblico dipendente, in molti casi, si propone - proprio attraverso l'integrale ed immediata percezione del trattamento di fine rapporto - di recuperare una somma gia' spesa o in via di erogazione per le principali necessita' di vita (pensiamo all'acquisto di una casa, alle spese per il matrimonio di un figlio, alla necessita' di cure mediche, ecc.), ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari gia' assunti, magari da tempo (pensiamo all'estinzione di un mutuo)». A cio' si aggiunge che «vengono discriminati "in peius" i pubblici dipendenti rispetto a tutti gli altri cittadini e/o lavoratori, con palese violazione dell'art. 3 Cost., posto che nei riguardi dei lavoratori privati il (privato) datore di lavoro non e' legittimato ad effettuare alcuna rateizzazione del TFR». Palese anche «la violazione dell'art. 36 Cost., tenuto conto che il trattamento di fine rapporto, e gli istituti equivalenti, altro non sono se non una retribuzione differita, i cui importi devono pertanto essere restituiti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto. Non appare dunque appropriato che il datore di lavoro, approfittando della coincidenza tra questo suo ruolo e quello di Legislatore, dilazioni dei pagamenti che sono dovuti nella loro interezza, a fronte del prelievo frattanto operato, e contestualmente rivoluzioni, da un giorno all'altro, le regole in ordine alle modalita' di quantificazione dell'indennita' di buonuscita, ledendo il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto». Infine «viene completamente svuotata la capacita' autorganizzativa delle P.A., che dovrebbero normalmente potersi esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale, secondo i generali principi espressi dall'art. 97 Cost.»; Considerato che, fermo restando quanto precede, rilevante e non manifestamente infondata appare anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti con il quarto motivo del ricorso introduttivo, nella parte in cui viene dedotta l'incostituzionalita' dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010, per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost., sul presupposto della ritenuta inapplicabilita' all'AGCOM dello speciale regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010. Infatti: A) in punto di rilevanza della questione, il Collegio osserva che la tesi secondo la quale l'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 sarebbe implicitamente applicabile anche all'AGCOM - sostenuta dai ricorrenti nel secondo motivo - sembrerebbe trovare conferma in una recente pronuncia della I Sezione di questo Tribunale (sentenza 18 aprile 2012, n. 3502), con la quale e' stato parzialmente accolto il ricorso proposto da alcuni dipendenti dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato avverso la delibera della medesima Autorita' in data 19 gennaio 2011, con la quale e' stata disciplinata l'applicazione delle norme di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego di cui al decreto-legge n. 78/2010 al predetto ente. Infatti la I Sezione ha annullato la predetta delibera in data 19 gennaio 2011 rimettendo all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato l'adozione «delle misure volte a perseguire l'obiettivo del raggiungimento delle economie di spesa da realizzarsi secondo i principi del Titolo I del d.l. n. 78/2010, nel solco di quanto stabilito dalla Banca d'Italia». Tuttavia la tesi in esame, a ben vedere, non puo' essere condivisa perche', a fronte della gia' evidenziata inclusione delle Autorita' indipendenti (ivi compresa l'AGCOM) nell'elenco ISTAT, la disposizione dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 si presenta come una norma eccezionale e, come tale, non suscettibile di essere applicata in ambiti diversi da quelli espressamente indicati dal legislatore (ossia alla sola Banca d'Italia); B) in punto di non manifesta infondatezza della questione, in aggiunta alle considerazioni svolte dai ricorrenti nel primo motivo sulla autonomia ed indipendenza organizzativa e finanziaria (considerazioni che devono intendersi qui integralmente richiamate), il Collegio ritiene sufficiente evidenziare che, a fronte di quanto affermato dalla Corte di Cassazione (Sez. un., ord. n. 13446/2005 cit.) in merito alla «accentuata autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul momento confermativo del rapporto di lavoro del personale», la mancata applicazione all'AGCOM del regime speciale previsto dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 per la Banca d'Italia, oltre a comportare una ingiustificata disparita' di trattamento tra enti appartenenti alla medesima categoria (quella delle Autorita' indipendenti), finisce per pregiudicare gravemente l'autonomia e l'indipendenza organizzativa e finanziaria riconosciuta all'AGCOM dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale, in contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.;