IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 4581  del  2011,  integrato  con  motivi  aggiunti,
proposto  da  Liberatore  Benedetta  Alessia,  Alagia  Paolo,   Aloia
Antonio, Amendola Antonio, Aria Laura,  Attisani  Stefania,  Battisti
Carla, Bennati  Luciana,  Bruno  Fernando,  Calderoni  Mario  Cesare,
Callari  Gloria  Maria,  Camilleri  Alessia,  Capasso  Maria  Grazia,
Cappello Maja, Cascone  Sandra,  Corni  Luigi,  Conti  Gemma,  Corona
Alberta, De Gennaro Francesca De Lisi Carmela, De Tommaso Antonio, De
Vita Giuliano, Del Monte  Sara,  Della  Gatta  Alessandro,  Delmastro
Marco, Elia Angela, Falcone  Nicoletta,  Filosi  Alessandra,  Gallino
Davide, Giordani  Patrizia,  Greppi  Giorgio,  Iaconis  Paola,  Irace
Camino, La Pergola Maria Serena, Lobianco  Vincenzo,  Lotti  Adriana,
Lucidi Marina, Lupi  Paolo,  Marino  Antonella,  Marroncelli  Franca,
Martino Mauro, Mastropasqua  Maria  Rosaria,  Moltedo  Marina,  Naimo
Giuseppe, Perrucci Antonio, Plaustro Federica, Policastro Bernardino,
Provenzano Antonio,  Quattromani  Antonia,  Ragozini  Arturo,  Salera
Giorgia, Sansalone Nicola,  Santella  Giovanni,  Sebastiani  Camilla,
Sorice. Aniello, Sparano Laura, Spinelli  Carmine,  Tulliani  Benito,
Vajano Loredana, tutti rappresentati e difesi  dagli  avvocati  Paola
Salvatore e Mario Sanino, con i quali sono elettivamente  domiciliati
in Roma, viale Parioli n. 180, presso lo studio legale Sanino; 
    Contro  l'Autorita'  per   le   Garanzie   nelle   Comunicazioni,
l'Istituto Nazionale di  Statistica,  il  Ministero  dell'Economia  e
delle Finanze, in persona dei rispettivi  legali  rappresentanti  pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello  Stato
presso  la  quale  sono  per  legge  domiciliati  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Per l'annullamento: 
        quanto  al  ricorso  introduttivo,  dei  seguenti  atti:   a)
delibera dell'Autorita'. per  le  Garanzie  nelle.  Comunicazioni  n.
114/11/CONS del 2 marzo 2011, pubblicata il 23  marzo  2011,  con  la
quale  sono  state  individuate  le  modalita'  di  attuazione  delle
disposizioni previste  dal  decreto-legge  1°  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; b)
comunicazione  di  servizio  dell'Autorita'  per  le  Garanzie  nelle
Comunicazioni  n.4/11/RUF  in  data  21  marzo  2011,   relativa   al
monitoraggio delle prestazioni  oltre  l'orario  di  lavoro;  c)  ove
occorra, Parere del  Dipartimento  della  Ragioneria  Generale  dello
Stato in data 11 gennaio 2011,  in  merito  all'applicabilita'  delle
disposizioni di cui al decreto-legge n. 78/2010; d) ove occorra ed in
parte qua, l'elenco  delle  Amministrazioni  pubbliche  inserite  nel
conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo
1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196; e) ogni altro  atto
presupposto, connesso e conseguente; 
        quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, del nuovo elenco
delle  Amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto   economico
consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi  dell'articolo  1,  comma  3,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e pubblicato sulla G.U.,  serie
generale, n. 228 del 30 settembre 2011; 
        quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, della delibera
dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del
13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale,
in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del  decreto-legge  n.
78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n.  114/11/CONS  del  2
marzo  2011,e'  stata  ridefinita  la  disciplina  della  I.F.R   del
personale dell'Autorita'; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  dell'Autorita'  per  le
Garanzie nelle Comunicazioni, dell'Istituto Nazionale di Statistica e
del Ministero dell'Economia e delle Finanze; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2012 il  dott.
Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
verbale; 
    Considerato, in punto di fatto, che i ricorrenti con  il  ricorso
introduttivo  -  dopo   aver   analizzato   la   posizione   occupata
nell'ordinamento dall'Autorita' per le Garanzie  nelle  Comunicazioni
le Garanzie nelle  Comunicazioni  (di  seguito  denominata  «AGCOM»),
nonche' la specifica disciplina relativa al trattamento giuridico  ed
economico ed alle carriere del suo personale, al fine di  evidenziare
la  piena  autonomia  ed  indipendenza  organizzativa  e  finanziaria
dell'Ente,  assicurata  dall'ordinamento  comunitario,  dalla   legge
istitutiva   dell'Ente   medesimo,   nonche'   dalle   altre    norme
dell'ordinamento nazionale - rappresentano che: a) il legislatore con
il decreto-legge n. 78/2010, recante «Misure urgenti  in  materia  di
stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'  economica»,   ha
previsto per il periodo 2011/2013 una serie di norme  finalizzate  al
risanamento  dei  conti  pubblici.  In   particolare   i   ricorrenti
evidenziano che il legislatore - dopo aver salvaguardato  l'autonomia
e  l'indipendenza  dell'ordinamento  della   sola   Banca   d'Italia,
prevedendo che  la  stessa  «tiene  conto,  nell'ambito  del  proprio
ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio
2011-2013 contenuti nel presente titolo»  (art.  3,  comma  3)  -  ha
adottato, tra l'altro, un complesso di  disposizioni  finalizzate  al
contenimento della spesa relativa agli apparati pubblici e al impiego
pubblico; b) l'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni  con  la
impugnata  delibera  n.  114/11/CONS  -  sulla  base  di  una  errata
interpretazione del decreto-legge n. 78/2010, attesa l'irrilevanza di
gran parte delle disposizioni ivi contenute rispetto  alla  posizione
dell'Autorita' medesima,  ossia  delle  disposizioni  che  non  fanno
espresso  riferimento  alle  Autorita'   indipendenti,   ma   trovano
applicazione  solo  nei  confronti  delle  Amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai  sensi  del  comma  3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - ha operato  un
taglio dei trattamenti economici  complessivi  del  personale  (nella
misura del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro  e  nella  misura
del 10% per quella eccedente i 150 mila euro»), il  blocco  triennale
della progressione di carriera, la modifica del trattamento  di  fine
rapporto e il taglio indiscriminato dei trattamenti di missione; 
    Considerato che i ricorrenti chiedono quindi  l'annullamento  dei
provvedimenti impugnati per i seguenti motivi: 
I) Violazione e falsa applicazione della legge  31  luglio  1997,  n.
249, dell'art. 2, comma 38, della legge 14  novembre  1995,  n.  481,
nonche' dell'art. 1, comma 66 della legge 23 dicembre 2005,  n.  266.
Violazione  e  falsa   applicazione   del   Regolamento   concernente
l'organizzazione  e   il   funzionamento   dell'AGCOM,   nonche'   il
trattamento giuridico ed economico della stessa Autorita'. Violazione
e falsa applicazione delle Direttive n. 2002/21/CE del 7 marzo  2002,
nonche'  della  Direttiva  n.  2009/140/CE  del  25  novembre   2009.
Violazione e falsa applicazione del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.
78.   Eccesso   di   potere   per   irragionevolezza,    illogicita',
contraddittorieta', erronea valutazione dei presupposti di fatto e di
dritto, difetto di istruttoria, contrasto con i precedenti. 
    I  ricorrenti  sostengono  innanzi  tutto  che  la  delibera   n.
114/11/CONS, nel recepire indiscriminatamente  le  misure  introdotte
dal decreto-legge n. 78/2010, non ha  minimamente  tenuto  conto  del
particolare sistema di autofinanziamento dell'AGCOM,  di  derivazione
comunitaria e basato quasi esclusivamente (nella misura del 99%)  sui
contributi  versati  dagli  operatori  economici   del   mercato   di
competenza dell'Autorita', in forza del quale  «il  contributo  dello
Stato che inizialmente (per  l'esercizio  finanziario  2009)  era  di
circa 2,4 milioni di euro) si e' ridotto, nell'esercizio  finanziario
2011, a soli 164.000 euro, a fronte di 62,2 milioni di euro a  carico
degli operatori». Ne consegue che «la delibera impugnata -  imponendo
le riduzioni di  spesa  finalizzate  a  sanare  i  conti  pubblici  e
migliorare  la  situazione  complessiva  del  debito  dello  Stato  -
comportera' che nelle  casse  dello  Stato  saranno  versate  risorse
derivanti dai contributi di operatori  privati»,  cosi'  violando  le
norme  comunitarie  e  nazionali  in   epigrafe   indicate,   perche'
l'Autorita' avrebbe invece dovuto  limitare  le  riduzioni  di  spesa
«nella misura non eccedente lo stanziamento  a  carico  del  bilancio
dello Stato»; 
II) Violazione e falsa applicazione della legge 31  luglio  1997,  n.
249, dell'art. 2, commi 8, 9, 10, 11, 28  e  38,  della  14  novembre
1995, n. 481. Violazione e falsa applicazione del Regolamento di  cui
alla delibera n. 17/98 del 16 giugno 1998, concernente il trattamento
giuridico ed economico del personale dell'AGCOM. Violazione  e  falsa
applicazione delle Direttive n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002,  nonche'
della Direttiva n. 2009/140/CE del 25  novembre  2009.  Violazione  e
falsa applicazione del decreto 31 maggio  2010,  n.  78.  Eccesso  di
potere per irragionevolezza, illogicita', contraddittorieta', erronea
valutazione dei  presupposti  di  fatto  e  di  diritto,  difetto  di
istruttoria, contrasto con i precedenti. 
    I ricorrenti sostengono altresi' che la delibera n.  114/11/CONS,
nel   recepire   indiscriminatamente   le   misure   introdotte   dal
decreto-legge n. 78/2010, non ha tenuto conto neppure dello  speciale
regime previsto per la Banca  d'Italia  dall'art.  3,  comma  3,  del
decreto-legge n. 78/2010, in forza del quale «la Banca d'Italia tiene
conto,  nell'ambito  del  proprio  ordinamento,   dei   principi   di
contenimento della spesa per  il  triennio  2011-2013  contenuti  nel
presente  titolo».  In  particolare   -   posto   che,   secondo   la
prospettazione  dei  ricorrenti,  la   predetta   disposizione   deve
ritenersi  applicabile  anche  all'AGCOM  -  gli  organi  di  vertice
dell'Autorita' «avrebbe  dovuto  attendere  le  determinazioni  della
Banca  d'Italia».  Del  resto  «sulla  necessita'  per  le  autorita'
indipendenti di ispirarsi alle determinazioni della Banca d'Italia si
e'  espresso  ...  il  Dipartimento  della  Ragioneria  Generale  del
Ministero dell'Economia e Finanze» con il parere in data  11  gennaio
2011, reso su richiesta dell'Autorita' Garante  della  Concorrenza  e
del Mercato. Invece  gli  organi  di  vertice  dell'Autorita'  «hanno
ritenuto di recepire non solo le limitazioni di spesa  esplicitamente
dettate per  le  Autorita'  indipendenti,  ma  anche  quelle  che  il
legislatore ha previsto per le Amministrazioni pubbliche  tipicamente
intese  e  per  le  quali   il   medesimo   ha   utilizzato   diverse
formulazioni»,  quali  «pubbliche  amministrazioni  come  individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3
dell'articolo  1  della  legge  31  dicembre   2009,   n.   196»,   o
«amministrazioni  di  cui  all'articolo  1,  comma  2,  del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165»; 
III)  Illegittimita'  dell'elenco  delle  Amministrazioni   pubbliche
redatto dall'ISTAT ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31 dicembre  2009,  n.  196.  Violazione  e  falsa  applicazione  del
Regolamento n. 2223/96 del 25 giugno 1996. 
    In  via  subordinata  i  ricorrenti  lamentano   l'illegittimita'
dell'elenco ISTAT, nella parte in cui include l'AGCOM, ribadendo  che
nel caso dell'Autorita' il finanziamento pubblico e' quasi del  tutto
inesistente, perche' la  stessa  procede  alla  copertura  dei  costi
relativi al proprio  funzionamento  ed  all'esercizio  della  propria
attivita' mediante contributi privati, gravando in misura minima (1%)
sul bilancio dello Stato; 
IV) Illegittimita' derivata per illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 3, 6, 9 e 12 del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78,  in
relazione agli articoli 3, 36, 38, 41, 97 e 117 Cost. 
    In via  ulteriormente  subordinata  i  ricorrenti  denunciano  la
illegittimita'  costituzionale  degli  articoli  6,  9   e   12   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, evidenziando innanzi  tutto  che
le disposizioni contenute, se ritenute sic et simpliciter applicabili
all'AGCOM: a) sono lesive dell'autonomia ad essa demandata in materia
di regolamentazione del rapporto di lavoro con i  propri  dipendenti,
«ove si consideri che detta autonomia  e'  stata  riconosciuta  dalla
legge istitutiva a  garanzia  dell'Indipendenza  dell'Autorita',  che
costituisce il suo tratto caratterizzante e trova il  suo  fondamento
negli artt. 41 e 97 Cost.»; b) si  pongono  in  contrasto  anche  con
l'art. 117,  comma  1,  Cost.,  che  impone  al  legislatore  di  non
introdurre  discipline  contrastanti  con  il  diritto   comunitario.
Inoltre i ricorrenti denunciano  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,
evidenziando che: a)  il  legislatore  ha  fatto  un  «uso  distorto»
dell'elenco ISTAT, perche' come  segnalato  dallo  stesso  Presidente
dell'ISTAT, nell'ambito di un'audizione tenutasi in data  20  gennaio
2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed  alla  V
Commissione del Senato della Repubblica, il predetto elenco «non puo'
essere utilizzato dal legislatore per individuare i  soggetti  a  cui
applicare una  certa  disciplina,  in  quanto  si  fonda  su  criteri
statistici, che lo rendono a cio' del tutto inadatto»; b)  applicando
all'AGCOM misure di' contenimento diverse e  disomogenee  rispetto  a
quelle applicate alla Banca d'Italia «si perde quello che, per legge,
costituisce  il  quadro  di  riferimento  primario   per   l'autonoma
regolazione del rapporto di lavoro  in  seno  all'AGCOM.  In  futuro,
quindi, l'Autorita' sara' di fatto priva di un quadro di  riferimento
che   possa   orientarla   nell'esercizio   della    sua    autonomia
regolamentare»; 
    Considerato  che  con  il  primo  ricorso  per  motivi  aggiunti,
depositato in data 1° dicembre 2011, i ricorrenti hanno impugnato  il
nuovo elenco ISTAT, pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 228 del
30 settembre 2011, deducendo le  medesime  censure  proposte  con  il
ricorso introduttivo; 
    Considerato che con  il  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti,
depositato in data 2 gennaio 2012, i ricorrenti  hanno  impugnato  la
delibera  dell'Autorita'  per  le  Garanzie  nelle  Comunicazioni  n.
498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata  in  data  11  novembre
2011, con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8,  9  e  10
del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n.
114/11/CONS del 2 marzo 2011,e' stata ridefinita la disciplina  della
I.F.R del personale dell'Autorita',  deducendo  le  medesime  censure
proposte con il ricorso introduttivo; 
    Considerato che i ricorrenti con memoria depositata  in  data  18
febbraio 2012 hanno  insistito  per  l'accoglimento  delle  suesposte
censure, evidenziando, tra l'altro, che: a)  la  Sez.  III-quater  di
questo Tribunale, con la sentenza 11 gennaio 2012, n.  226,  ha  gia'
annullato l'elenco ISTAT, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  228
del  30  settembre  2011,  nella  parte  in  cui   include   1'AGCOM,
evidenziando in motivazione la  fondatezza  della  censura  afferente
all'autonomia  finanziaria  dell'AGCOM,  «che  si  manifesta  con  la
capacita' di provvedere con le proprie  entrate  a  fronteggiare  per
intero le spese sostenute per l'attivita' svolta,  sicche'  manca  il
presupposto che in coerenza con le finalita'  perseguite  giustifichi
il suo inserimento nell'elenco Istat, e cioe' un costo per la finanza
pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.  L'autonomia
finanziaria della ricorrente, le fonti dalle quali discendono le  sue
entrate (id est i contributi ad essa obbligatoriamente versati  dagli
operatori  dei  settori  da  essa  regolati),  la   possibilita'   di
intervenire per garantirne nel tempo la  corrispondenza  alle  uscite
sono   tutti   elementi   legislativamente   fissati,   e,    quindi,
incontestabili. Segue da cio' che non e' configurabile spesa  che  la
finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per
assicurare il pareggio di bilancio  della  ricorrente  atteso  che  a
questo fine essa e' gia' stata fornita dal legislatore  di  strumenti
propri per provvedere in via autonoma. Di qui la conclusione  che  il
criterio di calcolo imposto dal legislatore comunitario e per  libera
scelta recepito dall'ISTAT, e fondato esclusivamente sul rapporto fra
spesa complessiva ed entrate proprie, e' nel caso in esame ampiamente
soddisfatto»;  b)  il  Consiglio   di   Stato,   interpellato   sulla
compatibilita' con la struttura dell'AGCOM dell'art. 6, comma 21, del
d.l. 78/2010, con il parere n. 385 del 26 gennaio 2012  ha  osservato
come «le  somme  ricavate  da  economie  di  gestione  dall'Autorita'
possano essere destinate al bilancio statale solo relativamente  alla
parte imputabile ai contributi  ricevuti  dallo  Stato,  ossia  nella
misura corrispondente al valore percentuale di  tali  contributi  sul
complesso delle  entrate  finanziarie  dell'Autorita'.  Oltre  questa
parte, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria
imposta, tanto da richiedere - in relazione ai principi di  cui  agli
articoli 23 Cost. e 53 Cost.  -  una  formulazione  meno  generica  e
presupposti piu' stringenti della semplice esigenza  di  fare  cassa.
...  E'  dunque  sul  piano  dell'interpretazione  costituzionalmente
orientata e conforme ai principi comunitari che, collegando il  comma
21 al comma 2 dell'art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, se
ne puo' affermare l'applicazione «limitata» all'Autorita'»; 
    Considerato che l'Amministrazione, con memoria depositata in data
27 febbraio 2012 ha insistito per il rigetto delle suesposte censure; 
    Considerato, in via preliminare, che  sussiste  la  giurisdizione
del giudice amministrativo sulla presente controversia. Infatti: 
        sulla scorta del quadro normativo vigente prima  dell'entrata
in  vigore  del  codice  del  processo  amministrativo  la  Corte  di
Cassazione (Sez. un., ord. 23 giugno 2005, n. 13446) aveva  affermato
che  le  controversie  in  materia   di   impiego   alle   dipendenze
dell'Autorita'  garante  delle   comunicazioni   dovevano   ritenersi
devolute alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo
evidenziando quanto segue: a) il fatto che il d.lgs. l'art. 2,  comma
2, del decreto legislativo n. 80/1998  (oggi  recepito  nell'art.  3,
comma  1,  del  decreto   legislativo   n.   165/2001   non   preveda
espressamente  i  rapporti  dei  dipendenti  dell'AGCOM  tra   quelli
sottratti alla giurisdizione ordinaria  (al  pari  dei  rapporti  dei
dipendenti  della  Banca  d'Italia,  della  Consob  e  dell'Autorita'
Garante della Concorrenza e del Mercato) «non e' di per se'  decisivo
per fondare la giurisdizione ordinaria sulle controversie relative ai
rapporti in questione: il citato d.lgs. n. 80  del  1998  attuava  la
delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, concepita in epoca
in  cui  l'Autorita'  delle  comunicazioni  non  era   stata   ancora
istituita»;  b)  l'art.  1,  comma  26,  della  legge  n.   249/1997,
«disponendo testualmente che i ricorsi  avverso  i  provvedimenti  di
detta Autorita' rientrano nella giurisdizione esclusiva  del  giudice
amministrativo, si pone chiaramente come norma  speciale,  oltre  che
derogatoria rispetto alla piu' generale opzione legislativa - sottesa
alla riforma del pubblico impiego  -  a  favore  della  giurisdizione
ordinaria»; c) «l'estensione di una tale giurisdizione amministrativa
esclusiva "sui provvedimenti" anche alle controversie in  materia  di
impiego alle dipendenze dell'Autorita' garante  delle  comunicazioni,
e' connaturale alla ratio posta alla base delle deroghe espresse  dal
citato art. 3 del t.u.  n.  165/2001  giustificate  dalla  accentuata
autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le  Autorita'
indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che
non puo' non riflettersi sul momento  conformativo  del  rapporto  di
lavoro del personale»; d) secondo l'art. 1, comma 21, della legge  n.
249/1997 all'AGCOM si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2
della legge n. 481/1995 (istitutiva dell'Autorita' per i  servizi  di
pubblica utilita'), il cui comma 28 gia'  escludeva  l'applicabilita'
delle disposizioni del decreto legislativo n. 29/1993 «e,  con  essa,
la  privatizzazione  (recte:   contrattualizzazione)   dei   relativi
rapporti di pubblico impiego instaurati con i propri dipendenti»; 
        le conclusioni alle  quali  e'  pervenuta  la  Suprema  Corte
devono essere mantenute ferme anche alla luce delle novita' normative
introdotte dal codice del processo amministrativo e, in  particolare,
alla luce dell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc.  amm.  secondo
il quale sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, «le controversie
aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori
ed esclusi quelli  inerenti  ai  rapporti  di  impiego  privatizzati,
adottati ... dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ... »
e dell'art. 1, comma 26, della legge  n.  249/1997  (come  sostituito
dall'art. 3, comma 8,  dell'allegato  4  al  decreto  legislativo  n.
104/2010),   il   quale   attualmente   dispone   che   «la    tutela
giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dal
codice  del  processo  amministrativo».  Infatti  il  riferimento  ai
«rapporti di impiego privatizzati», contenuto nell'art. 133, comma 1,
lett. l), cod. proc. amm., per quanto  d'interesse  in  questa  sede,
deve ritenersi limitato ai contratti di lavoro di diritto privato  di
cui all'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997; 
    Considerato sempre in via preliminare che, ai fini dell'interesse
ad  agire  dei  ricorrenti  e  della  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale che di  seguito  saranno  esaminate,  non
puo'  assumere  rilievo  decisivo  la  circostanza  che  la   Sezione
III-quater di questo Tribunale con la sentenza 11  gennaio  2012,  n.
226,  abbia  annullato  l'elenco  ISTAT  pubblicato  nella   Gazzetta
Ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011, nella parte in cui  inserisce
anche l'AGCOM fra le predette Amministrazioni.  Infatti  il  Collegio
ritiene che il legislatore con le norme del decreto-legge n.  78/2010
richiamate  dai  ricorrenti  non  abbia  operato  un  rinvio   mobile
all'elenco annualmente redatto dall'ISTAT ai sensi  dell'articolo  1,
comma 3, della legge n. 196/2009 (nel qual caso la predetta  sentenza
n. 226/2012 effettivamente determinerebbe l'accoglimento del presente
ricorso per effetto dell'annullamento di un atto  presupposto,  quale
sarebbe l'elenco ISTAT pubblicato sulla G.U., serie generale, n.  228
del  30  settembre  2011  rispetto   alla   impugnata   delibera   n.
114/11/CONS), ma abbia piuttosto operato un rinvio  fisso  all'elenco
ISTAT vigente nel momento dell'entrata in vigore del decreto-legge n.
78/2010,  al  solo  fine  di  individuare  l'ambito   soggettivo   di
applicazione delle disposizioni  in  materia  di  contenimento  della
spesa  pubblica  dallo  stesso  introdotte.  Del  resto  gli   stessi
ricorrenti  nel  quarto  motivo  del   ricorso   introduttivo   hanno
evidenziato che l'elenco ISTAT e' redatto «secondo criteri  meramente
statistici ed economici, che prescindono dalla forma giuridica  degli
enti e dalla loro disciplina giuridica» e, quindi, laddove si optasse
per  la  tesi  del  rinvio  mobile  all'elenco  redatto   annualmente
effettivamente si porrebbero  i  problemi  segnalati  dal  Presidente
dell'ISTAT nell'ambito dell'audizione tenutasi  in  data  20  gennaio
2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed  alla  V
Commissione del Senato della Repubblica; 
    Considerato che, sempre ai fini della rilevanza  delle  questioni
di legittimita' costituzionale che di seguito saranno  esaminate,  il
Collegio ritiene necessario evidenziare che: 
        A) non pare condivisibile la tesi (sviluppata dai  ricorrenti
nel secondo motivo, facendo leva sul  criterio  ermeneutico  ubi  lex
voluit, dixit) secondo la quale l'art. 9, commi 1, 2 e 21,  e  l'art.
12, commi  7  e  10,  del  decreto-legge  n.  78/2010  non  sarebbero
applicabili all'AGCOM, perche' in tali  articoli  il  legislatore  ha
operato  un  generico  riferimento  alle  «amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31  dicembre  2009,  n.  196»,  senza  richiamare  espressamente   le
Autorita' indipendenti, mentre  in  altri  casi  (come,  ad  esempio,
nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) il
legislatore ha  fatto  riferimento  alle  «amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse  le  autorita'  indipendenti».
Infatti, prescindendo da ogni considerazione di drafting legislativo,
il Collegio ritiene che la prova della volonta'  del  legislatore  di
includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione dell'art. 9,  commi
1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 si
rinvenga: a) nel  fatto  che  il  legislatore  quando  ha  menzionato
espressamente  le  Autorita'  indipendenti  (come,   per   l'appunto,
nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) ha
utilizzato la formula  «incluse  le  autorita'  indipendenti»,  cosi'
limitandosi a specificare un dato - quale l'inclusione di  tali  enti
nell'elenco ISTAT - chiaramente evincibile da  una  semplice  lettura
del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore,  laddove
ha inteso garantire la specialita' di determinati  soggetti  pubblici
ha introdotto una disciplina  speciale  in  materia  di  contenimento
della spesa; si intende evidentemente  far  riferimento  all'art.  3,
comma 3, del decreto-legge n. 78/2010, che prevede  soltanto  per  la
Banca d'Italia (cosi' escludendo le altre Autorita' indipendenti)  un
peculiare regime in virtu' del quale «la Banca d'Italia tiene  conto,
nell'ambito del proprio ordinamento,  dei  principi  di  contenimento
della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo»,
fermo restando che «a tal fine, qualora non si raggiunga  un  accordo
con  le   organizzazioni   sindacali   sulle   materie   oggetto   di
contrattazione  in  tempo  utile  per  dare  attuazione  ai  suddetti
principi, la  Banca  d'Italia  provvede  sulle  materie  oggetto  del
mancato  accordo,  fino  alla  successiva  eventuale   sottoscrizione
dell'accordo»; 
        B) a differenza di  quanto  affermato  dai  ricorrenti  nella
memoria depositata in data  18  febbraio  2012,  non  assume  rilievo
decisivo nella presente  controversia  il  parere  del  Consiglio  di
Stato, Commissione Speciale, 26 gennaio  2012,  n.  385.  Infatti  il
Consiglio di Stato - chiamato a chiarire  l'applicabilita'  dell'art.
6, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 all'AGCOM, sul  presupposto
che il sistema di finanziamento dell'Autorita' e'  quasi  interamente
autonomo,  essendo  affidato  al  contributo  versato  dai   soggetti
regolati, mentre solo una minima parte delle entrate e' a carico  del
bilancio  dello  Stato  -  dopo  aver  ribadito  «il   principio   di
corrispondenza tra  gli  oneri  imposti  agli  operatori  e  i  costi
amministrativi  sostenuti  per   l'esercizio   dei   compiti   svolti
dall'Autorita'»  (principio  richiamato  dai  ricorrenti  nel   primo
motivo),   nell'affrontare   il   problema    di    delineare    «una
compartecipazione   dell'Autorita'   ai   doveri   di    solidarieta'
finanziaria verso lo Stato, senza che cio'  implichi  uno  storno  di
risorse vincolate al perseguimento della missione istituzionale»,  ha
affermato   quanto   segue:   «il   punto   di   equilibrio   sotteso
all'applicazione dell'art. 6, comma 21 del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 all'Autorita' e' da ravvisarsi nel  sostegno  finanziario
che la stessa riceve dallo  Stato,  il  quale  costituisce  al  tempo
stesso  fondamento  e  limite  del  suo  dovere  di  contribuire   al
risanamento della finanza pubblica, mediante versamento  allo  Stato,
attraverso le risorse derivanti da  risparmi  della  spesa  corrente.
Cio'  comporta  che  le  somme  ricavate  da  economie  di   gestione
dall'Autorita' possano essere  destinate  al  bilancio  statale  solo
relativamente alla parte  imputabile  ai  contributi  ricevuti  dallo
Stato, ossia nella misura corrispondente  al  valore  percentuale  di
tali   contributi   sul   complesso   delle    entrate    finanziarie
dell'Autorita'.  Oltre  questa  parte,  il  dovere  contributivo   si
trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da  richiedere  -
in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53  Cost.  -
una formulazione meno generica e presupposti  piu'  stringenti  della
semplice esigenza di «fare cassa». Fino a tale  limite,  invece,  per
quanto il prelievo possa tradursi nel versamento di una  parte  delle
entrate che,  in  assenza  di  tali  risparmi,  avrebbero  finanziato
l'organizzazione e l'attivita' dell'Autorita', non puo' ritenersi che
sia sol per questo pregiudicata l'autonomia finanziaria  dell'ente  e
la corrispondenza tra contribuiti  «privati»  e  costi  di  gestione,
poiche' detti costi, per definizione, non ci sono piu' per  la  parte
corrispondente all'obbligo di versamento».  Tuttavia,  ragionando  in
questi termini, il Consiglio di Stato non fa altro  che  ribadire  la
volonta' del legislatore di includere  anche  l'AGCOM  nel  campo  si
applicazione delle misure previste dal decreto-legge n. 78/2010; 
    Considerato che -  ancor  prima  di  esaminare  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti  -  il  Collegio
ritiene di dover innanzi tutto sollevare, d'ufficio la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2,  del  decreto-legge
n. 78/2010 - secondo il quale «in considerazione della eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio  2011
e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti  economici  complessivi  dei
singoli dipendenti, anche di  qualifica  dirigenziale,  previsti  dai
rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel
conto economico  consolidato  della  pubblica  amministrazione,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  ai  sensi
del comma 3, dell'art. 1, della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,
superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento  per
la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000  euro,  nonche'
del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della
predetta riduzione il  trattamento  economico  complessivo  non  puo'
essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui» -  in  relazione
agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost.  Infatti  il  T.A.R.  Calabria,
Sez. staccata di Reggio Calabria, chiamato ad  esaminare  il  ricorso
proposto da taluni magistrati amministrativi avverso le  «illegittime
decurtazioni del trattamento retributivo» previste dal  decreto-legge
n. 78/2010, con l'ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012 ha  sollevato,
tra l'altro, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma  2,  del  predetto  decreto-legge  alla  luce  delle   seguenti
considerazioni  che,  oltre  ad  essere   pienamente   condivisibili,
risultano evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM: 
        A) la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9,
comma 2, del decreto-legge n. 78/2010.  In  particolare,  secondo  il
T.A.R. Calabria, «nella prestazione imposta con  la  norma  in  esame
devono essere ravvisati i caratteri della doverosita', in mancanza di
un rapporto sinallagmatico tra  parti,  e  del  collegamento  tra  la
prestazione di sostegno alla  pubblica  spesa,  in  relazione  ad  un
presupposto economicamente  rilevante.  In  sostanza,  sono  previste
l'imposizione di  un  sacrificio  economico  individuale,  realizzata
attraverso  un  atto   autoritativo   di   carattere   ablatorio   e,
contestualmente, la  destinazione  del  gettito  scaturente  da  tale
ablazione al  fine  di  integrare  la  finanza  pubblica,  ossia  per
reperire risorse necessarie a  coprire  spese  pubbliche  (come  reso
palese dalla stessa dizione della  norma  riportata,  che  invoca  la
situazione di grave crisi economica internazionale e gli obiettivi di
finanza   pubblica   concordati   in   sede   europea   quanto   alla
giurisprudenza della Corte, si richiamano ex plurimis,  Corte  cost.,
sentt. nn. 141/2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005; la  difesa
dei ricorrenti fa riferimento altresi' alla  giurisprudenza  volta  a
definire la nozione costituzionale di "leggi tributarie", ai fini del
giudizio di ammissibilita' del  referendum  ex  art.  75  Cost.).  In
effetti, l'obiettivo di finanza pubblica evocato dal d.l. n.  78/2010
va oltre la mera riduzione dei costi o  della  spesa  corrente  degli
Stati, attenendo, piu' propriamente, alla riduzione del rapporto  tra
debito pubblico e PIL (come chiarisce lo stesso comma 2 dell'art.  9,
laddove fa riferimento alle "esigenze prioritarie  di  raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea")»; 
        B) la conseguente violazione dei principi sanciti dall'art 53
Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2,  «colpisce  solo
una specifica categoria di contribuenti, sulla base di loro peculiari
qualita' soggettive e non  sulla  base  di  determinate  qualita'  di
reddito, e, nello stesso tempo, impone una  prestazione  patrimoniale
indipendente   dall'effettiva   capacita'   contributiva   soggettiva
globalmente considerata (ossia individua  uno  specifico  cespite  da
assoggettare a tassazione, senza  relazioni  con  altre  entrate  del
soggetto   inciso),   introducendo   un'imposizione   sostanzialmente
regressiva e discriminatoria. Il primo profilo di incostituzionalita'
si ravvisa nel fatto che il prelievo e'  disposto  esclusivamente  in
danno di una ben  definita  categoria  socioeconomica,  i  lavoratori
dipendenti del settore pubblico, ... , laddove utilizzando il termine
"Tutti", la disposizione costituzionale e' chiara nell'individuare in
modo inequivoco ed onnicomprensivo  la  platea  dei  contribuenti  da
assoggettare al prelievo fiscale. Con l'ord. n. 341/2000 la Consulta,
dopo aver premesso che «l'art.  53  della  Costituzione  deve  essere
interpretato in modo unitario e coordinato, e  non  per  preposizioni
staccate ed autonome  le  une  dalle  altre»  ha  affermato  che  «la
universalita'  della  imposizione,   desumibile   dalla   espressione
testuale "tutti" (cittadini o non  cittadini,  in  qualche  modo  con
rapporti di collegamento con la  Repubblica  italiana),  deve  essere
intesa nel senso di obbligo  generale,  improntato  al  principio  di
eguaglianza (senza alcuna  delle  discriminazioni  vietate:  art.  3,
primo comma, della Costituzione), di concorrere alle "spese pubbliche
in ragione della loro capacita'  contributiva"  (con  riferimento  al
singolo tributo ed al  complesso  della  imposizione  fiscale),  come
dovere inserito nei rapporti politici in  relazione  all'appartenenza
del soggetto alla collettivita' organizzata».  Manca,  dunque,  nella
fattispecie normativa  in  esame  l'indefettibile  «raccordo  con  la
capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato  a  criteri
di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico  campo
tributario, del principio di eguaglianza,  collegato  al  compito  di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti  di  fatto  alla
liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane,  in  spirito  di
solidarieta' politica,  economica  e  sociale  (artt.  2  e  3  della
Costituzione)»,  che  la  Corte  ha  ritenuto  essere   la   corretta
condizione per un'imposizione contributiva equa. Tale impostazione fa
apparire decisamente anomala e  non  conforme  alla  Costituzione  la
scelta   del   Legislatore   del   2010   che,   in    un    contesto
economico-finanziario esplicitamente qualificato come  «eccezionale»,
avrebbe  potuto  operare   soltanto   interventi   straordinari   e/o
temporanei di prelievo forzoso, ed invece ha posto in  essere  misure
continuative e sostanzialmente stabili - e percio' dal palese  sapore
tributario - in quanto oltretutto prolungate nel triennio 2011 - 2013
(oltre  che  legate  al  superamento  di  scaglioni   predeterminati,
esattamente come le imposte);  ma  soprattutto  ha  indirizzato  tale
prelievo nei confronti di una ben limitata «classe di  persone»,  ben
guardandosi dall'operare nei confronti di «tutti» i  contribuenti  in
possesso di determinate fasce di  reddito,  nessuno  escluso  (liberi
professionisti,   lavoratori   dipendenti   del   settore    privato,
imprenditori     e     quant'altro),     esentati     immotivatamente
dall'imposizione  straordinaria,  nonostante  l'eccezionalita'  della
situazione  economica  del  Paese,  come   viceversa   una   corretta
applicazione  dei  principi  di  cui  all'art.   53   Cost.   avrebbe
richiesto»; 
        C)  in  via  subordinata,  per  il  caso  in  cui  non  fosse
riconosciuta la natura tributaria  alla  disposizione  in  esame,  la
violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3  Cost.  e  dagli
articoli 42 e 97 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2,
«va a rideterminare, in senso ablativo, un trattamento economico gia'
acquisito alla sfera del pubblico dipendente sub  specie  di  diritto
soggettivo. Essa, pertanto, va ad incidere sullo status economico dei
lavoratori ... alterando quel sinallagma  che  e'  il  «propium»  dei
rapporti di durata ed in particolare proprio dei rapporti di  lavoro;
basti considerare che sulla stabilita' anche economica si fondano  le
aspettative, le progettualita' e gli investimenti - di lungo periodo,
se non addirittura a  vita  -  del  dipendente.  Sebbene  nel  nostro
sistema costituzionale non sia affatto, interdetto al Legislatore  di
emanare disposizioni atte a modificare in  senso  sfavorevole  per  i
beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se  l'oggetto
di  questi  sia  costituito  da  diritti  soggettivi   perfetti,   le
disposizioni  in  esame  sembrano  non   rispettare   la   condizione
essenziale, ossia che la  riforma  «in  pejus»  non  trasmodi  in  un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,   l'affidamento   del
cittadino nella sicurezza giuridica,  da  intendersi  quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, Corte cost., sent. n.
446/2002; ord. n. 327/2001; sentt. nn. 393/2000,  264/2005,  416/1999
n. 282/2005)». Ne consegue, secondo il T.A.R. Calabria, innanzi tutto
la violazione dell'art. 2 Cost., perche' «la novazione  oggettiva  ed
unilaterale del rapporto di lavoro, realizzata dal d.l.  n.  78/2010,
oltre a tradursi nel grave scardinamento di un principio di rilevanza
costituzionale, e quindi indeclinabile, della materia lavoristica (la
proporzionalita' tra prestazione e retribuzione ex art. 36 Cost.), va
in  fondo  a   sacrificare   la   stessa   dignita'   sociale   della
persona-lavoratore   pubblico,   che   si   trova   soggetto,   senza
possibilita' di difesa, ad aggressioni  patrimoniali  sostanzialmente
arbitrarie non solo nelle  modalita'  del  prelievo,  nei  tempi  del
medesimo e nelle soglie stipendiali cui attingere,  ma  nello  stesso
presupposto (il presentarsi di pretese esigenze finanziarie); e  cio'
perche' a determinarlo e' lo stesso soggetto  (Stato)  che  opera  il
prelievo, avvalendosi della forza congiunta e soverchiante  derivante
dall'essere ad un tempo datore di lavoro e Legislatore, e  senza  che
il destinatario del sacrificio possa essere considerato  direttamente
o indirettamente responsabile della crisi finanziaria e di cassa  cui
e' chiamato a  far  fronte,  derivando  quest'ultima  da  fattori  di
squilibrio  che  sono  ascrivibili  a   responsabilita'   (quantomeno
politica) dello stesso organo che dispone il prelievo». Ne  consegue,
altresi', la violazione degli articoli 42  e  97  Cost.  perche'  «si
dispone nei confronti dei pubblici  dipendenti  una  vera  e  propria
ablazione di redditi  formanti  oggetto  di  diritti  quesiti,  senza
alcuna indennita', con conseguente  violazione  dell'art.  42  Cost.,
secondo cui «La proprieta' privata puo' essere,  nei  casi  preveduti
dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per  motivi  d'interesse
generale».  Non  appare   dubitabile   che   l'espropriazione   possa
astrattamente  colpire  (stante  l'uso  dell'onnicomprensivo  termine
«proprieta' privata» da parte  del  Costituente)  anche  beni  mobili
fungibili, quale il denaro (nella specie, gli stipendi pubblici nella
misura gia' acquisita allo status economico  del  dipendente  ...  );
secondo tale prospettazione, la fattispecie considerata consentirebbe
di qualificare la norma di cui all'art. 9 comma  2  alla  stregua  di
norma-provvedimento  (in  coerenza  con  la   natura   procedimentale
dell'espropriazione),  e  dunque  ne  conseguirebbe   la   violazione
dell'art. 97 Cost., perche' del provvedimento la norma ha mutuato  la
natura, ma ha eliso il procedimento, nel cui ambito vanno convogliate
quelle imprescindibili  esigenze  di  equilibrio  dell'esercizio  del
potere tipicamente volte  ad  assicurare  il  minimo  sacrificio,  il
giusto  equilibrio  con  l'indennita',  nonche'  tutte  quelle  altre
numerose  facolta'  di,   partecipazione   degli   interessati,   che
consentono   a   questi   ultimi   verificare   la   legittimita'   e
l'opportunita' delle scelte cui sono chiamati a  contribuire  con  il
loro  sacrificio,  sia  nell'an,  che  nel   quantum   delle   misure
richieste»; 
        D) in via ulteriormente subordinata, a prescindere dal  fatto
che sia riconosciuta o meno la natura tributaria  della  disposizione
posta dall'art. 9, comma 2, la violazione dei principi sanciti  dagli
articoli  2  e  3  Cost.  sotto  altro  profilo.  Infatti  «la  Carta
Fondamentale, all'art. 3 comma 2,  prevede  quale  precipuo  "compito
della Repubblica" (per tale  intendendosi  lo  Stato-apparato,  ossia
l'insieme dei pubblici poteri, ivi compreso il Legislatore) quello di
promuovere  e  garantire  "l'effettiva  partecipazione  di  tutti   i
lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
Paese". Poiche'  tale  partecipazione  "economica"  non  puo'  essere
ovviamente considerata solo dal  lato  "attivo"  ma  anche  dal  lato
"passivo", ovvero inglobando una serie di oneri ed  obblighi  che  ad
essa naturalmente pertengono  (tra  i  quali  la  contribuzione  alle
esigenze  finanziarie  dell'Erario,  a  loro   volta   correlate   al
soddisfacimento dei bisogni della comunita'), il fine della norma  e'
quello di incaricare lo Stato (e percio' tutti i pubblici poteri)  di
rimuovere  gli  squilibri   socio-economici   esistenti,   ossia   le
diversificazioni economiche tra  categorie  sociali  diverse,  o  tra
lavoratori appartenenti ai diversi settori della societa' civile.  In
questo senso, l'aver attribuito la parte  predominante  dello  sforzo
"contributivo" tramite una minore retribuzione ai dipendenti pubblici
... introduce forti discriminazioni nell'eguaglianza sostanziale  dei
soggetti dell'Ordinamento per le seguenti ragioni».  In  particolare,
secondo  il  T.A.R.  Calabria,  «viene  sottoposta  a  prelievo   una
categoria di sicura  "tassabilita'"  per  via  della  garanzia  della
ritenuta  alla  fonte;  al  di  a  di  ogni   altra   giustificazione
ravvisabile nella ratio dell'istituto, il ricorso al prelievo fiscale
e'  indotto  dall'incapacita'  (tecnica  o  politica)  di  perseguire
l'evasione fiscale, con conseguente vantaggio di fatto per i  redditi
non  derivanti  da  lavoro  dipendente  nel  settore  pubblico.  Come
evidenziato   dai    ricorrenti,    lungi    dall'impegnarsi    nella
predisposizione di strumenti fiscali efficaci  nella  prevenzione  di
tale  fenomeno,   il   Legislatore   statale   inconcepibilmente   ed
intollerabilmente ha aumentato gli squilibri, trascurando  del  tutto
di colpire le  ricchezze  evase  al  fisco  e  persino  gli  introiti
derivanti da rendite ben conosciute (si pensi alle rendite  catastali
e  finanziarie),  per  concentrarsi  su  una  fascia   specifica   di
lavoratori, colpevoli unicamente di possedere la qualita' di pubblici
impiegati ... e di avere redditi  facilmente  accertabili  ed  ancora
piu' facilmente attaccabili». Del resto  «la  soluzione  in  concreto
adottata nel d.l. n. 78/2010 e'  stata  probabilmente  preferita:  in
quanto piu' "difendibile" da un punto di vista politico -  ossia  sul
piano dell'accettabilita' da parte dell'opinione  pubblica  generale,
nel momento storico in cui e' stata posta in essere;  perche'  assume
come propria  la  semplicistica  e  generalizzante  opinione  comune,
secondo  cui  i  redditi  incisi,  per  il  fatto  stesso  di  essere
"elevati", costituiscono per lo piu' "prebende di Stato"; perche'  il
"tributo",  o  comunque  il  prelievo,  poteva   comodamente   essere
qualificato  come  "riduzione  di   spesa";   e   cio'   naturalmente
approfittando della coincidenza tra il soggetto che lo impone  ed  il
datore di lavoro che si vede ridotto per legge il costo  del  lavoro.
Sennonche', tali ipotesi ricostruttive non consentono di sostenere la
costituzionalita'  della  legge,  fermo  restando  che   le   pretese
"motivazioni" della manovra concepita a danno dei pubblici dipendenti
non reggono ad un piu'  approfondito  esame.  Infatti,  la  capacita'
contributiva dei lavoratori dipendenti ... e' gia' messa a dura prova
da un sistema fiscale alimentato  in  grande  misura  dal  meccanismo
della  ritenuta  alla  fonte.  Pertanto,  prima  di  assoggettare  ad
ulteriore prelievo gli stipendi dei dipendenti  pubblici  destinatari
di un'elevata retribuzione, si  sarebbe  dovuto  verificare  se  tali
dipendenti fossero - come effettivamente sono -  gia'  sottoposti  ad
una schiacciante imposizione fiscale, e conseguentemente  concentrare
la "riduzione della spesa" in altri settori, ad esempio  frenando  il
ricorso sempre piu' frequente alle consulenze esterne in favore della
Pubblica  Amministrazione,  oppure  -   argomento   quest'ultimo   di
particolare rilievo - incidendo nel settore di tutte  le  c.d.  spese
(lato sensu) "clientelari", di  particolare  diffusione  nel  settore
delle  Autonomie  regionali  e  locali  (di  difficoltosa  riduzione,
perche' a torto ritenute essenziali alla politica ed alla  formazione
del consenso, cosi' come inteso negli ultimi anni, come ad esempio  i
contributi a pioggia alle imprese, le spese per iniziative culturali,
aggregative, le spese per societa' ed enti - satellite della  PA,  la
formazione e cosi' via)»; 
    Considerato  che  il  Collegio  ritiene   di   dover   sollevare,
d'ufficio,  anche  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge  n.  78/2010  -  secondo  il
quale «a titolo di concorso  al  consolidamento  dei  conti  pubblici
attraverso il contenimento della dinamica della  spesa  corrente  nel
rispetto   degli   obiettivi    di    finanza    pubblica    previsti
dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita, dalla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, con  riferimento  ai
dipendenti   delle   amministrazioni   pubbliche   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3
dell'articolo  1  della  legge  31   dicembre   2009,   n.   196   il
riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita'  premio
di servizio, del  trattamento  di  fine  rapporto  e  di  ogni  altra
indennita' equipollente corrisposta  una-tantum  comunque  denominata
spettante a seguito di cessazione  a  vario  titolo  dall'impiego  e'
effettuato: a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo
della prestazione, al lordo delle  relative  trattenute  fiscali,  e'
complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b)  in  due  importi
annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo  delle
relative trattenute fiscali, e' complessivamente superiore  a  90.000
euro ma inferiore a 150.000  euro.  In  tal  caso  il  primo  importo
annuale e' pari a 90.000 euro e il secondo importo  annuale  e'  pari
all'ammontare residuo; c)  in  tre  importi  annuali  se  l'ammontare
complessivo della prestazione, al  lordo  delle  relative  trattenute
fiscali, e' complessivamente uguale o superiore a  150.000  euro,  in
tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 euro,  il  secondo
importo annuale e' pari a 60.000 euro e il terzo importo  annuale  e'
pari all'ammontare residuo» - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53
e 97 Cost.. Infatti il  T.A.R.  Calabria,  Sez.  staccata  di  Reggio
Calabria, con la suddetta ordinanza n. 89 del  19  febbraio  2012  ha
sollevato anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
12, comma 7, del predetto  decreto-legge  alla  luce  delle  seguenti
considerazioni    (anch'esse    integralmente    condivisibili     ed
evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM): 
        A) la disposizione in esame comporta «lo scaglionamento -  in
favore  del  solo  datore  di  lavoro  pubblico   -   dell'onere   di
corresponsione  delle  indennita',  comunque  denominate,   di   fine
rapporto;   il   differimento   opera   diversamente,    a    seconda
dell'ammontare  complessivo  delle  prestazioni.  Cio'  comporta  una
diminuzione  patrimoniale  certa  (e  quindi  un  altrettanto   certo
pregiudizio), che  si  identifica  nella  mancata  corresponsione  di
interessi per la dilazione del pagamento; ma determina anche una piu'
profonda compromissione del rapporto  sinallagmatico  tra  datore  di
lavoro e dipendente pubblico, giacche' le somme di cui trattasi hanno
pacificamente natura retributiva, sia pure differita.  L'operativita'
della rateizzazione e', d'altra parte,  ineludibile,  trattandosi  di
misura di carattere strutturale, non limitata - nella sua  vigenza  -
ad un periodo di tempo predefinito»; 
        B) valgono anche per la disposizione  in  esame  le  medesime
censure, relative  all'art.  9  comma  2  del  d.l.  n.  78/2010,  da
intendersi qui richiamate e reiterate per quanto di ragione. Infatti,
come evidenziato dal T.A.R. Calabria,  «il  mero  differimento  della
retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne'
puo' essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si  tratta
di una misura strutturale ma  di  un  mero  rinvio  della  spesa,  di
talche' la razionalita' del "prelievo" mascherato cede  innanzi  alle
esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino,  oltre  che  di
lealta' dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che  esige  la
giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale  per
la nuova e diversa incisione del  computo  dei  trattamenti  di  fine
servizio».  Inoltre,  viene  leso  -  senza  che   lo   richieda   il
soddisfacimento di altri e piu'  pregnanti  principi  costituzionali,
nell'ottica  di  un  ragionevole  bilanciamento  -  il  principio  di
affidamento del pubblico dipendente nell'ordinario sviluppo economico
della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione
del rapporto di  impiego.  «E',  del  resto,  fatto  notorio  che  il
pubblico dipendente, in molti casi, si propone -  proprio  attraverso
l'integrale ed immediata percezione del trattamento di fine  rapporto
- di recuperare una somma gia' spesa o in via di  erogazione  per  le
principali necessita' di vita (pensiamo  all'acquisto  di  una  casa,
alle spese per il matrimonio di un figlio, alla  necessita'  di  cure
mediche, ecc.), ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo
ad  impegni  finanziari  gia'  assunti,  magari  da  tempo  (pensiamo
all'estinzione di  un  mutuo)».  A  cio'  si  aggiunge  che  «vengono
discriminati "in peius" i pubblici dipendenti rispetto  a  tutti  gli
altri cittadini e/o lavoratori, con  palese  violazione  dell'art.  3
Cost., posto che nei riguardi dei  lavoratori  privati  il  (privato)
datore  di  lavoro  non   e'   legittimato   ad   effettuare   alcuna
rateizzazione del TFR». Palese  anche  «la  violazione  dell'art.  36
Cost., tenuto conto che  il  trattamento  di  fine  rapporto,  e  gli
istituti  equivalenti,  altro  non  sono  se  non  una   retribuzione
differita,  i  cui  importi  devono  pertanto  essere  restituiti  al
lavoratore al momento  della  cessazione  del  rapporto.  Non  appare
dunque appropriato che  il  datore  di  lavoro,  approfittando  della
coincidenza tra questo suo ruolo e quello di  Legislatore,  dilazioni
dei pagamenti che sono dovuti nella  loro  interezza,  a  fronte  del
prelievo frattanto operato,  e  contestualmente  rivoluzioni,  da  un
giorno  all'altro,  le   regole   in   ordine   alle   modalita'   di
quantificazione dell'indennita' di buonuscita, ledendo  il  principio
di  buona  fede  nell'esecuzione  del   contratto».   Infine   «viene
completamente svuotata la capacita' autorganizzativa delle P.A.,  che
dovrebbero normalmente potersi esprimere anche  in  riferimento  allo
stato economico del personale, secondo i generali  principi  espressi
dall'art. 97 Cost.»; 
    Considerato che, fermo restando quanto precede, rilevante  e  non
manifestamente infondata appare anche la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata dai ricorrenti  con  il  quarto  motivo  del
ricorso   introduttivo,   nella   parte   in   cui   viene    dedotta
l'incostituzionalita' dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e  dell'art.  12,
commi 7 e 10, del decreto-legge  n.  78/2010,  per  violazione  degli
articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost., sul presupposto della  ritenuta
inapplicabilita' all'AGCOM dello  speciale  regime  previsto  per  la
Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del  decreto-legge  n.  78/2010.
Infatti: 
        A) in punto di rilevanza della questione, il Collegio osserva
che la tesi secondo la quale l'art. 3, comma 3, del decreto-legge  n.
78/2010  sarebbe  implicitamente  applicabile   anche   all'AGCOM   -
sostenuta dai ricorrenti nel secondo  motivo  -  sembrerebbe  trovare
conferma in una recente pronuncia della I Sezione di questo Tribunale
(sentenza  18  aprile  2012,  n.  3502),  con  la  quale   e'   stato
parzialmente  accolto  il  ricorso  proposto  da  alcuni   dipendenti
dell'Autorita' garante della concorrenza e  del  mercato  avverso  la
delibera della medesima Autorita' in data 19  gennaio  2011,  con  la
quale  e'  stata   disciplinata   l'applicazione   delle   norme   di
contenimento della spesa in materia di pubblico  impiego  di  cui  al
decreto-legge n. 78/2010 al predetto ente. Infatti la  I  Sezione  ha
annullato la predetta delibera in data  19  gennaio  2011  rimettendo
all'Autorita' garante della  concorrenza  e  del  mercato  l'adozione
«delle misure volte a perseguire l'obiettivo del raggiungimento delle
economie di spesa da realizzarsi secondo i principi del Titolo I  del
d.l. n. 78/2010, nel solco di quanto stabilito dalla Banca d'Italia».
Tuttavia la tesi in esame, a ben vedere, non  puo'  essere  condivisa
perche', a fronte della gia' evidenziata inclusione  delle  Autorita'
indipendenti   (ivi   compresa   l'AGCOM)   nell'elenco   ISTAT,   la
disposizione dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge  n.  78/2010  si
presenta come una norma eccezionale e, come tale, non suscettibile di
essere applicata in ambiti diversi da quelli  espressamente  indicati
dal legislatore (ossia alla sola Banca d'Italia); 
        B) in punto di non manifesta infondatezza della questione, in
aggiunta alle considerazioni svolte dai ricorrenti nel  primo  motivo
sulla  autonomia  ed   indipendenza   organizzativa   e   finanziaria
(considerazioni che devono intendersi qui integralmente  richiamate),
il Collegio ritiene sufficiente evidenziare che, a fronte  di  quanto
affermato dalla Corte di Cassazione (Sez.  un.,  ord.  n.  13446/2005
cit.) in merito alla  «accentuata  autonomia  -  rispetto  al  potere
esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti  fondano  la  loro
presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul
momento confermativo  del  rapporto  di  lavoro  del  personale»,  la
mancata applicazione all'AGCOM del regime speciale previsto dall'art.
3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 per la Banca d'Italia, oltre
a comportare una ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  enti
appartenenti  alla  medesima  categoria   (quella   delle   Autorita'
indipendenti), finisce  per  pregiudicare  gravemente  l'autonomia  e
l'indipendenza organizzativa  e  finanziaria  riconosciuta  all'AGCOM
dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale, in contrasto  con
gli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.;