IL TRIBUNALE Il giudice, sciogliendo la riserva formulata, premesso che alla odierna udienza del 17 aprile 2012 la difesa dell'imputata F. M., sollevava eccezione di incostituzionalita' dell'art. 574 bis c.p. nella parte in cui si prevede, all'ultimo comma del suddetto articolo, l'applicazione della sospensione dall'esercizio della potesta' dei genitori nel caso in cui il delitto in questione sia stato commesso da un genitore in danno del figlio. A sostegno della propria istanza la difesa dell'imputato ha evidenziato come la norma in questione presenta evidenti profili di contrasto vuoi con l'art. 2, 30 e 31 Cost., vuoi con le Convenzioni internazionali in materia di tutela di minori, prima fra tutte la convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, richiamando altresi' quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 31 del 2012 nella quale si prende in considerazione la fattispecie di cui all'art. 567 comma 2 c.p. dichiarando l'incostituzionalita' della suddetta norma nella parte in cui prevede «che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall'articolo 567, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potesta' genitoriale, cosi' precludendo al giudice ogni possibilita' di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto». Ai rilievi della difesa dell'imputata si sono opposti sia la parte civile costituita sia il Pubblico Ministero i quali hanno ritenuto che la norma di cui all'art. 574 bis c.p non comporta alcun profilo di incostituzionalita' in quanto l'applicazione automatica di una sanzione accessoria e' prevista anche per altre fattispecie di reato ed inoltre non puo' equipararsi il delitto di cui all'art. 574 bis c.p. a quello di cui all'art. 567 c.p. oggetto della citata sentenza della Corte Costituzionale in quanto il bene giuridico tutelato dalle due norme incriminatrici e' diverso come diversa e' la collocazione dei due istituti all'interno del codice penale; infine diversa e' la natura della sanzione accessoria: nel caso in questione la norma prevede l'applicazione della sospensione della potesta' dei genitori e quindi di una misura che ha una durata limitata nel tempo mentre in relazione al delitto di cui all'art. 567 c.p. si prescrive la sanzione della perdita della potesta' dei genitori che comporta una definitiva ablazione. Tutto cio' premesso, questo giudice Rileva a) In merito alla rilevanza della questione proposta in relazione alla definizione del procedimento a carico dell'imputata F. M. Questo giudice rileva come che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, perche' in caso di condanna si troverebbe necessariamente ad applicare all'imputata anche la sanzione accessoria della sospensione dalla potesta' genitoriale. Invero, il tenore della norma non consente al giudice alcuno spazio di discrezionalita' nel decidere se applicare o meno la citata pena accessoria. b) Con riguardo alla non manifesta infondatezza. La questione proposta dalla difesa dell'imputata non appare manifestatamente irrilevante. Invero con riferimento alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che, ai sensi dell'art. 2 Cost., la Repubblica garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e non si potrebbe dubitare che tra i diritti inviolabili del fanciullo vi sia quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che cio' comporti un grave pregiudizio. Cio' discenderebbe, in primo luogo, dagli artt. 30 e 31 Cost. e dall'art. 147 del codice civile, ma anche da una serie di norme internazionali, vigenti nel nostro ordinamento a norma dell'art. 10 Cost. e segnatamente dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176. L'art. 7 della Convenzione, infatti, attribuisce al bambino il diritto di conoscere i genitori e di essere allevato da essi, mentre il successivo art. 8 obbliga gli Stati a preservare le relazioni familiari del fanciullo, sempre fermo restando il suo interesse superiore (art. 3), a tutela del quale e' possibile adottare provvedimenti di allontanamento o di ablazione della potesta' genitoriale. Questo giudice, inoltre, ritiene evidente che, proprio per tutelare i preminenti interessi del minore, gli eventuali provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potesta' genitoriale devono essere adottati caso per caso, all'esito dell'attento esame di tutte le peculiarita' della fattispecie, al fine di stabilire se quei provvedimenti corrispondano effettivamente al preminente interesse del minore stesso. Cio' escluderebbe, ad avviso del rimettente, che la sospensione della potesta' genitoriale possa essere comminata in via del tutto automatica a seguito di una condanna per il delitto di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, reato che - a differenza di quello di cui all'art. 609-bis cod. pen. - non e' di per se' sintomatico di una generalizzata pericolosita' del genitore. Viceversa, il denunciato art. 574 bis c.p. prevede, ad avviso di questo Tribunale; un automatismo de iure che escluderebbe qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice circa l'interesse del minore nel caso concreto e violerebbe, quindi, gli evidenziati parametri costituzionali. In altri termini, poiche' l'interesse primario del figlio e' quello di crescere ed essere educato all'interno della famiglia naturale, si dovrebbe porre in evidenza che occorre un vaglio da parte dell'autorita' giudiziaria, al fine di verificare quale sia la migliore tutela per il minore nel caso concreto, ben potendo risultare irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., l'applicazione automatica della pena accessoria della decadenza dalla potesta' genitoriale a seguito di condotte (in ipotesi) ispirate proprio da una finalita' di tutela del figlio, a causa di comportamenti pregiudizievoli posti in essere dall'altro genitore. Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 2003, e' intervenuta sull'art. 222 cod. pen., che imponeva l'applicazione della misura di sicurezza del ricovero in un manicomio giudiziario in caso di proscioglimento per infermita' psichica. In detta decisione la Corte ha affermato l'irragionevolezza di una norma «che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del giudice, per imporgli un'unica scelta, che puo' rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra le diverse esigenze». L'irragionevolezza dell'automatismo in questione emerge anche ove si consideri che i provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potesta' genitoriale, attribuiti al Tribunale per i Minorenni, di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., sono adottati all'esito di approfondita analisi della situazione, «solo quando vi sia la ricorrenza di un pregiudizio agito dai genitori nei confronti dei figli derivante da una mancata osservanza dei doveri nascenti dalla titolarita' della potesta'». Infatti, nella fattispecie in questione vengono in rilievo non soltanto l'interesse dello Stato all'esercizio della potesta' punitiva nonche' l'interesse dell'imputato (e delle altre eventuali parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione. Sul punto pertanto non puo' che condividersi il principio di diritto affermato nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 31 del 2012 in relazione all'illegittimita' costituzionale della sanzione accessoria di cui art. 569 c.p. per cui quando si decide in materia di potesta' di genitori si incide anche sull'interesse del minore oggetto di detta potesta'. Peraltro il diritto del minore al mantenimento di un rapporto continuativo ed equilibrato con i propri genitori «costituisce un interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento internazionale sia in quello interno. Quanto al primo, la Convenzione sui diritti del fanciullo (per quest'ultimo dovendosi intendere «ogni essere umano avente un'eta' inferiore a diciotto anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturita' in virtu' della legislazione applicabile», ai sensi dell'art. 1 della Convenzione stessa), fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone nell'art. 3, primo comma, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalita' cui l'autorita' giudiziaria deve conformarsi «prima di giungere a qualunque decisione», stabilendo (tra l'altro) che l'autorita' stessa deve acquisire «informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del minore». La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell'art. 24, comma secondo, prescrive che «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente»; e il comma terzo del medesimo articolo aggiunge che «Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora cio' sia contrario al suo interesse». Come si vede, nell'ordinamento internazionale e' principio acquisito che in ogni atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse, considerato preminente. E non diverso e' l'indirizzo dell'ordinamento interno, nel quale l'interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralita', specialmente dopo la riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell'adozione realizzata con la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre piu' incisiva dei diritti del minore. Cio' posto, si deve osservare che la legge non da' una definizione della potesta' genitoriale, ma nell'art. 147 cod. civ. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli come obblighi di «mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacita', dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». La norma ripete la formula dell'art. 30, primo comma, Cost. («E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio») e dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta potesta', che si collega all'obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilita' socio-economiche dei genitori stessi. E' evidente, dunque, che la potesta' genitoriale, se correttamente esercitata, risponde all'interesse morale e materiale del minore, il quale, dunque, e' inevitabilmente coinvolto da una statuizione che di quella potesta' sancisca la perdita ovvero la sua sospensione. E' possibile, e la stessa Costituzione lo prevede (art. 30, secondo comma), che uno o entrambi i genitori si rivelino incapaci di assolvere i loro compiti, con conseguente necessita' per il legislatore di disporre interventi sostitutivi (artt. 330 e seguenti cod. civ.). E del pari e' possibile che la condotta di uno o di entrambi i genitori sia idonea ad integrare gli estremi di un reato, in relazione al quale il legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalita', ritenga che, in caso di condanna, si debba rendere applicabile la pena accessoria della perdita della potesta'. Tuttavia, proprio perche' la pronunzia di decadenza va ad incidere sull'interesse del minore sopra indicato, non e' conforme al principio di ragionevolezza, e contrasta quindi con il dettato dell'art. 3 Cost., il disposto della norma censurata che, ignorando il detto interesse, statuisce la perdita della potesta' sulla base di un mero automatismo, che preclude al giudice ogni possibilita' di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l'interesse stesso e la necessita' di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell'episodio criminoso, tali da giustificare la detta applicazione appunto a tutela di quell'interesse. «E' ragionevole, pertanto, affermare che il giudice possa valutare, nel caso concreto, la sussistenza di detta idoneita' in funzione della tutela dell'interesse del minore».