IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza, nel giudizio introdotto con il ricorso n. 10321/11, proposto da Adriana Apollonio, Carlo Batori, Alberto Bertoni, Lorenzo Morini, Paolo Scartozzoni, Massimo C.M. Branciforte, Stefano Verrecchia, Laura Aghilarre, Stefano Bianchi, Laura Egoli, Michele Pala, Cecilia Piccioni, Michele Tommasi, Marilina Armellin, Alessandro Gonzales, Gianluca Greco, Enrico Nunziata ed Alberto Vecchi, nonche' dal Sindacato nazionale dipendenti ministero affari esteri - SNDMAE, in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'avv. M. Scongiaforno, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Postumia 3; Contro il Ministero degli affari esteri, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge; Per l'annullamento del d.m. 26 luglio 2011, n. 1615, nella parte in cui ha disposto che la progressione dei ricorrenti al grado di consigliere d'ambasciata per gli anni 2011, 2012 e 2013 debba avere effetto ai fini esclusivamente giuridici; di ogni altro atto preparatorio, preliminare, connesso, consequenziale ed esecutivo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero degli affari esteri; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 il cons. avv. A. Gabbricci ed uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 1.1. Laura Aghilarre, Adriana Apollonio, Marilina Armellin, Carlo Batori, Alberto Bertoni, Stefano Bianchi, Massimo C.M. Branciforte, Laura Egoli, Alessandro Gonzales, Gianluca Greco, Lorenzo Morini, Enrico Nunziata Michele Pala, Cecilia Piccioni, Paolo Scartozzoni, Michele Tommasi, Alberto Vecchi e Stefano Verrecchia sono dipendenti del Ministero degli esteri, promossi, con decorrenza dal 2 luglio 2011, al grado di consigliere d'ambasciata mediante il d.m. 26 luglio 2011, n. 1615. 1.2. Tale provvedimento, peraltro, stabilisce all'art. 2 che, a' sensi dell'art. 9, comma XXI, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010, n. 122, la progressione in carriera dei promossi avrebbe avuto effetto, per il triennio 2011-2013, a fini esclusivamente giuridici. Gli interessati l'hanno pertanto impugnato in questa parte, e con essi ha proposto gravame anche il sindacato di categoria S.N.D.M.A.E., la cui legittimazione, ed i limiti della stessa, verranno specificatamente esaminati nella decisione definitiva. 2.1. Il ripetuto art. 9, comma XXI, per quanto d'immediato interesse, stabilisce appunto che, per il personale di cui all'art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - cioe' tuttora in regime di diritto pubblico, compreso appunto anche quello della carriera diplomatica - «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». 2.2. I ricorrenti sostengono l'illegittimita' del d.m. n. 1615/11 che questa norma ha inteso applicare, sotto un duplice profilo: dapprima assumendo, sotto piu' aspetti, che il ripetuto art. 9, comma XXI, non troverebbe ad essi applicazione; solo in subordine essi affermano che quest'ultima disposizione presenterebbe profili d'incostituzionalita' non manifestamente infondati, da cui deriverebbe l'invalidita' del provvedimento ministeriale che vi da' attuazione. 3.1. Nei limiti imposti dalla verifica di rilevanza della questione di costituzionalita', va anzitutto considerata quella parte del ricorso che non la investe direttamente, e cosi' i relativi tre motivi, il primo dei quali e' rubricato nella violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206 e dell'art. 9, comma XXI, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 e, ancora nell'eccesso di potere per sviamento, ovvero per nullita' derivante da carenza di potere. 3.2. Osservano intanto i ricorrenti come il d.m. n. 1615/11 statuisca sulla loro progressione di carriera, rinviando, quanto al conseguente trattamento economico, al vigente accordo sindacale per il personale della carriera diplomatica, relativamente al servizio prestato in Italia, recepito mediante decreto presidenziale. 3.3.1. In effetti, il personale appartenente alla carriera diplomatica e' retto dal proprio specifico ordinamento, regolato dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, il cui art. 112 - siccome sostituito dal d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 - ha introdotto il sistema della contrattazione, da trasfondere successivamente in un atto regolamentare, emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica (art. 112, commi 2 e 3): attualmente, l'atto di recepimento e' rappresentato dal d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206. 3.3.2. L' art. 112, secondo i ricorrenti, assegnerebbe al d.P.R il ruolo di atto-fonte per la determinazione e l'attribuzione del trattamento economico, e costituirebbe «una vera e propria norma sulla produzione», tale essendo quella norma che «definisce gli atti-fonte, imputa loro potesta' normativa e ne delimita le competenze». Al contrario, l'art. 9, XXI comma, del d.l. n. 78/10 configurerebbe «una norma di produzione, attesa l'immediata incidenza materiale delle sue prescrizioni sui rapporti sui quali il suo contenuto prescrittivo va ad incidere». 3.3.3 Ora, il citato d.P.R. n. 206/10, successivo allo stesso d.l. n. 78/10, recependo l'ipotesi d'accordo, ne ha espressamente decretato l'applicazione al personale appartenente alla carriera diplomatica, e, dunque, la relativa disciplina degli aspetti giuridici ed economici, decorrente dalla data della sua entrata in vigore, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 3.3.4. Sarebbe allora evidente l'illegittimita' del ripetuto art. 2 del d.m. n. 1615/11, per la parte in cui ha ritenuto applicabile anche nei confronti dei ricorrenti il citato art. 21, XXI comma, poiche' questo non ha costituito oggetto di specifico e puntale recepimento da parte del decreto presidenziale in questione, e cio' costituirebbe invece una condizione imprescindibile perche' lo stesso art. 21, XXI comma, possa trovare applicazione anche al personale diplomatico. 3.4.1. Il secondo motivo di ricorso censura ancora l'art. 2 del d.m. n. 1615/11 per violazione dell'art. 112 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, dell'art. 17, I comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400; per violazione e falsa applicazione del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206 e, infine, per violazione dell'art. 9, XXI comma, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78. 3.4.2. I ricorrenti muovono nuovamente dall'affermazione per cui l'art. 112 del d.P.R. n. 18/61 delegificherebbe la disciplina della materia. La norma assegnerebbe al d.P.R. n. 206/10 la funzione di atto regolamentare speciale, che non potrebbe essere comunque eterointegrato da prescrizioni pur contenute in una fonte di grado superiore, se non le abbia formalmente recepite: nel caso cio' non sarebbe avvenuto, nonostante, come gia' osservato, l'art. 9, XXI comma, sia antecedente al d.P.R. n. 206/10. 3.4.3. Sotto altro profilo, il d.P.R. n. 206/10, in quanto norma primaria speciale, ed atto fonte a competenza specifica sopravvenuta, ha ridisciplinato il trattamento economico del personale diplomatico, escludendo che a questo si possa applicare la disposizione di cui all'art. 9, XXI comma: pertanto, il d.m. n. 1615/11 disapplicherebbe illegittimamente il d.P.R. n. 206/10, sul quale la legge anteriore - compreso l'art. 9, XXI comma del d.l. n. 78 - non potrebbe interferire. 3.5.1. Il terzo motivo, infine, e' rubricato nella violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, del d.P.R. n. 18/67, dell'art. 17, I comma, della legge n. 400/88, nonche' del d.P.R. n. 206/10. 3.5.2. I ricorrenti rammentano come il d.P.R. n. 206/10 abbia stabilito quale sarebbe stato, a partire dal 2008, il trattamento economico del personale diplomatico, cosi' ingenerando un preciso affidamento negli interessati, poi indebitamente smentito dal d.m. impugnato. 4.1. Orbene, in una valutazione necessariamente sommaria, finalizzata, come gia' detto, al giudizio di rilevanza costituzionale, nella rammentata sommarieta', le censure appaiono infondate. Cio' e' particolarmente evidente per l'ultimo motivo, sia perche' le previsioni del d.P.R. n. 206/10 non escludono espressamente un'eventuale integrazione esterna, sia perche', comunque, l'eventuale affidamento non renderebbe illegittimo il d.m. n. 1615/11, ove questo applicasse correttamente le norme vigenti, ma giustificherebbe, eventualmente, una richiesta d'indennizzo per chi, in buona fede, fosse stato senza colpa indotto a ritenere che la previsione di cui all'art. 9, XXI comma, non trovasse applicazione e ne avesse subito pregiudizio. 4.2. Per quanta riguarda gli altri due motivi di ricorso, questi muovono dal comune presupposto che solo il decreto presidenziale di recepimento potrebbe disciplinare il trattamento economico del personale diplomatico, sicche' solo alle previsioni in quello contenute avrebbe potuto riferirsi il d.m. attuativo. 4.3. Ora, e' intanto da ritenere che la delegificazione di una materia, effettuata mediante un atto avente forza e valore fonte di legge, non escluda che altre norme dello stesso grado possano integrare, con previsioni generali o speciali, la disciplina della materia delegificata: in altre parole, la delegificazione comporta che la materia trova la sua disciplina ordinaria in una fonte inferiore, non che questa e' l'unica fonte costituzionalmente legittima per la disciplina della materia stessa. 4.4. Nel caso, non pare revocabile in dubbio l'art. 9 del d.l. n. 78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e per la finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera e la ratio delle stesse - si prefigga lo scopo di intervenire su tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte principale che li disciplina. 4.5. Invero, sempre lo stesso XXI comma, immediatamente di seguito alla norma fin qui considerata, dispone ad evidente integrazione di quella che «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»: sicche' sembra chiara la volonta' del legislatore di escludere, per il periodo d'interesse, efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera, a prescindere dalla fonte che regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso. 5.1. Acquista cosi' rilevanza, ai fini della decisione, la questione - prospettata nel quarto motivo di ricorso - di costituzionalita' del ripetuto art. 21, XXI comma, del d.l. n. 78/10, nella parte d'interesse: disposizione che, secondo quanto si e' fin qui visto, trova applicazione alla fattispecie attraverso il d.m. n. 1615/11, che lede direttamente i ricorrenti, e che potrebbe dunque essere travolto soltanto unitamente alla prima. 5.2. Nel determinare se la questione sia o meno manifestamente infondata, sembra al Collegio di dover partire da quello che e' il concreto effetto della disposizione («le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici») e cioe' che, per il triennio in questione, al dipendente non vengono versati le somme corrispondenti agli emolumenti, al netto d'imposta, stabiliti per la posizione attuale - in concreto, nella fattispecie, quello di consigliere di ambasciata - ma gli importi corrispondenti alla loro precedente qualifica di appartenenza, da cui il dipendente e' cessato: in altre parole, per effetto della disposizione de qua, il dipendente, pur svolgendo un lavoro presuntivamente di maggiore complessita' ed impegno, continua a percepire un corrispettivo equivalente al precedente trattamento economico, che si deve presumere adeguato invece ad una prestazione meno onerosa. 5.3. Orbene, a seconda del significato giuridico che a tale situazione economica si vuole attribuire, si presentano distinti profili di potenziale incostituzionalita', non configgenti, ma subordinati tra loro: nel rispetto dunque del principio, affermato dalla Corte costituzionale, che considera invece inammissibili le questioni di costituzionalita' della stessa disposizioni di legge, poste tra loro in forma alternativa ed incompatibile. 5.4.1. Orbene, l'art. 9, XXI comma, del d.l. n. 78/10, nella parte d'interesse, determina anzitutto, in violazione dell'art. 2 Cost., un'irragionevole disparita' di trattamento all'interno del personale della carriera diplomatica. Infatti, a parita' di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti - con incarichi complessi e responsabilita' di uffici apicali, come previsto per i consiglieri d'ambasciata - tali dipendenti percepiscono o meno lo stesso trattamento economico (in disparte le maggiorazioni per la diversa anzianita' nella qualifica stessa), in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall'anno in cui la qualifica e' stata ad essi attribuita, che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. 5.4.2. D'altro canto, ex art. 36 Cost. il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro: e si deve presumere che, in specie, tale sia la retribuzione tabellare assegnata ai consiglieri diplomatici, stabilita per effetto di a specifica trattativa con la parte datoriale pubblica, e poi recepita nel decreto presidenziale piu' volte richiamato. Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta ai colleghi promossi prima del 2011, e' invece negata agli odierni ricorrenti e cio' per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad oltre trentasei mensilita': l'art. 9, XXI comma, si pone dunque in espresso contrasto con la norma costituzionale teste' citata. 5.4.3. Non e' dubbio che il legislatore con l'art. 9, XXI comma, persegua la riduzione del passivo del bilancio statale, ma questo si deve comunque armonizzare, secondo proporzionalita' e ragionevolezza, e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex artt. 2 e 3 Cost., con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall'art. 36 Cost.. Questo non si verifica invece nella specie: l'eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrasta con il principio di proporzionalita' teste' richiamato, che il legislatore, pur nella sua discrezionalita', e' tenuto a rispettare. 5.5. Per altro verso, poi, la situazione cosi' descritta, dove il trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni e le conseguenti responsabilita', ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica e' stata conferita, non puo' che interferire negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, e cio' si riverbera sull'organizzazione degli uffici, incidendo negativamente sul loro buon andamento, cosi' violando l'art. 97 Cost. 5.6.1. Sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, si deve constatare come l'art. 9, XXI comma, sebbene letteralmente prescriva di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l'Erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti, impone a quegli stessi dipendenti una prestazione patrimoniale, poiche' gli trattiene una parte dei compensi maturati con la promozione e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari qualifica. 5.6.2. L'art. 9, comma XXI, impone cioe' agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituisce un tributo anomalo, il quale contrasta con i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. 5.6.3. E' infatti anzitutto violato il principio di capacita' contributiva, poiche' il sacrificio e' richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica e' stata acquisita, e senza alcuna considerazione del principio di progressivita'. Si aggiunga che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parita' capacita' contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi. 5.6.4. Per dirla altrimenti, un limite espresso all'azione impositiva e' quello per cui a situazioni uguali corrispondono tributi uguali, e viceversa: per cui il sacrificio patrimoniale, il quale incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi) indenni, o comunque colpendoli piu' leggermente, a parita' di capacita' reddituale, e' arbitrario ed irragionevole, e viola il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. ed il principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost. 6.1. In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma XXI, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per la parte in cui stabilisce che «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione. 6.2. Restano riservati all'esito del giudizio incidentale le determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul merito e sulle spese.