IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA 
 
    A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 24  maggio
2012, nel procedimento relativo al reclamo presentato  da  G.  D.  n.
Palmi il  30  agosto  1958,  detenuto  presso  la  C.C.  di  Viterbo,
sottoposto al regime previsto dall'art. 41-bis O.P.; 
 
                               Osserva 
 
    G. D. ha interposto reclamo generico ex art. 35 O.P.  avverso  il
rigetto opposto dalla Direzione della C.C. di Viterbo  l'8  settembre
2011 alla sua richiesta di espletamento di colloquio  visivo  con  il
difensore, avv. Cardone Francesco, lamentando l'avvenuta lesione  dei
diritto di difesa  ed  eccependo  l'incostituzionalita'  della  norma
posta a fondamento della decisione del Direttore. 
    Il reclamo e' ammissibile.  Con  la  pronuncia  26\'99  la  Corte
Costituzionale ha infatti dichiarato l'illegittimita'  costituzionale
degli artt. 35 e 69 O.P. nella parte in cui non prevedono una  tutela
giurisdizionale  nei  confronti  degli  atti  della   Amministrazione
Penitenziaria lesivi dei diritti di  coloro  che  sono  sottoposti  a
restrizione della  liberta'  personale.  La  Corte  ha  ravvisato  la
sussistenza  di  una  lacuna   normativa   non   colmabile   in   via
interpretativa attraverso il ricorso ad uno dei procedimenti previsti
dalla normativa vigente ed ha  quindi  sollecitato  l'intervento  del
legislatore, che non e' tuttavia seguito.  Le  Sezioni  Unite  penali
della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5 del  26  febbraio  2003,
hanno quindi sciolto il  contrasto  giurisprudenziale  insorto  sulla
possibilita'  di  ricorrere  ad  alcuno  dei  procedimenti  esistenti
individuando il  rimedio  giurisdizionale  contro  la  lesione  delle
posizioni soggettive del  detenuto  ad  opera  della  Amministrazione
Penitenziaria nel procedimento disciplinato dall'art. 14-ter  O.P.  ,
che presenta le  garanzie  procedimentali  minime  costituzionalmente
dovute. 
    Nel caso di specie il detenuto lamenta la violazione del  diritto
di  difesa,  che  riceve  tutela  costituzionale  ed  e'   senz'altro
inquadrabile come diritto soggettivo. 
    Si procede pertanto ex art. 14-ter O.P. con la partecipazione  in
udienza  del  difensore  e  del  pubblico  ministero  e   conseguente
reclamabilita' della decisione avanti alla Corte di Cassazione. 
    L'art. 41-bis, c. 2 quater, lett. b), ultimo periodo O.P. posto a
fondamento  dell'impugnato  provvedimento,  dispone  che  i  detenuti
sottoposti al regime penitenziario  previsto  dall'articolo  medesimo
possono effettuare con i difensori «fino a un massimo  di  tre  volte
alla settimana, una telefonata od un colloquio della stessa durata di
quelli previsti con i familiari», pari rispettivamente a dieci minuti
e ad un'ora. Con circolari del 3 settembre 2009, del 3 dicembre  2009
e del 1° aprile 2010 il DAP ha disposto che «a ciascun detenuto  deve
essere consentita la fruizione di una telefonata o  di  un  colloquio
visivo con il difensore fino a un massimo di tre volte la  settimana,
a prescindere dai procedimenti penali per i quali il deteuto  risulta
imputato o condannato e quindi dal numero  dei  legali  patrocinanti,
senza possibilita' di abbinamento di tali colloqui»  ed  ha  dato  la
possibilita' di effettuare un colloquio visivo prolungato di tre  ore
ed il colloquio telefonico prolungato di trenta minuti, in luogo  dei
singoli colloqui di un'ora ciascuno e  delle  singole  telefonate  di
dieci minuti ciascuna, per tre volte la settimana. 
    Il G. sottoposto a sospensione delle regole  di  trattamento  con
D.M. del Ministro della Giustizia in data 5 agosto 2010 per la durata
di quattro  anni,  eccepisce  l'illegittimita'  costituzionale  della
normativa  soprarichiamata  sotto  il   profilo   dell'ingiustificata
compressione del diritto di difesa, che non puo' essere adeguatamente
esercitato nel rispetto delle limitazioni  imposte  laddove  vi  sia,
come  nel  caso  di  specie,  la  contemporanea  pendenza   di   piu'
procedimenti penali a carico del detenuto. Egli  inoltre  segnala  la
grave discriminazione subita rispetto ai detenuti in regime ordinario
che abbiano la medesima situazione processuale - magari  contrapposta
-, i quali possono espletare colloqui visivi con i  propri  difensori
senza limiti temporali. 
    Nel caso di specie  l'8  settembre  2011  il  G.  non  ha  potuto
espletare colloquio visivo con l'avv. Cardone, difensore  di  fiducia
nel procedimento n. 05/03 pendente avanti al Tribunale di  Palmi.  In
proposito la Direzione della  C.C.  di  Viterbo  con  memoria  del  3
ottobre 2011 ha comunicato che in data 5 settembre 2011 il  G.  aveva
fruito di tre ore consecutive di colloquio con altro difensore  (avv.
Minasi Vincenzo) e quindi, in applicazione  dell'art.  41-bis,  comma
2-quater, lett. b), ultimo periodo O.P.  e  delle  circolari  GDAP  3
settembre 2009, 3 dicembre 2009 e 1° aprile  2010,  egli  non  poteva
piu' espletare ulteriori colloqui con difensori nella settimana dal 5
al 10 settembre 2011. 
    L'eccepita   questione   di    costituzionalita'    appare    non
manifestamente infondata. 
    La disciplina normativa del diritto  dei  detenuti  di  espletare
colloqui con il difensore e' scarna. 
    L'art.104 c.p.p. riconosce il diritto dell'imputato di  conferire
con il  difensore  sin  dall'inizio  dell'esecuzione  della  custodia
cautelare ed introduce al comma 3 specifici, eccezionali e temporanei
limiti all'esercizio di tale diritto. 
    Il medesimo diritto non e' invece esplicitamente riconosciuto  da
nessuna norma ordinaria nei confronti di coloro  che  si  trovino  in
stato di detenzione a seguito di condanna definitiva. Sino al 1997  i
colloqui  dei   condannati   venivano   autorizzati   dal   Direttore
dell'istituto  di  pena,  che,  per  effetto  di  circolare  DAP,  li
inquadrava tra i colloqui con terze  persone  previsti  dall'art.  18
O.P. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 212 del 1997, ha quindi
dichiarato l'incostituzionalita' dell'articolo nella parte in cui non
prevede che il condannato in via definitiva ha diritto  di  conferire
con difensore  fin  dall'inizio  dell'esecuzione  della  pena,  cosi'
statuendo: «il diritto di  difesa  e'  diritto  inviolabile,  che  si
esercita nell'ambito di qualsiasi  procedimento  giurisdizionale  ove
sia  in  questione  una  posizione  giuridica  sostanziale   tutelata
dall'ordinamento (cfr. sentenze n. 18 del 1982, n. 53  del  1968),  e
che deve essere garantito nella sua effettivita'  (cfr.  sentenze  n.
220 del 1994, n. 144 del 1992). Esso comprende il diritto alla difesa
tecnica (cfr. sentenze n. 125 del 1979, n. 80  del  1984),  e  dunque
anche il diritto - ad esso strumentale - di poter  conferire  con  il
difensore (cfr. sentenza n. 216 del 1996), allo scopo di  predisporre
le difese e decidere le strategie  difensive,  ed  ancor  prima  allo
scopo di poter conoscere i propri diritti e' le possibilita'  offerte
dall'ordinamento  per  tutelarli  e  per  evitare  o   attenuare   le
conseguenze pregiudizievoli cui si e' esposti.  Deve  quindi  potersi
esplicare non solo in relazione ad un procedimento  gia'  instaurato,
ma  altresi'  in  relazione  a   qualsiasi   possibile   procedimento
contenzioso suscettibile di essere instaurato  per  la  tutela  delle
posizioni garantite, e dunque anche in relazione alla necessita'  di'
preventiva conoscenza e valutazione - tecnicamente assistita -  degli
istituti e rimedi apprestati allo scopo dall'ordinamento. 
    Il diritto di conferire con il proprio difensore non puo'  essere
compresso o condizionato dallo stato di detenzione, se non nei limiti
eventualmente disposti  dalla  legge  a  tutela  di  altri  interessi
costituzionalmente  garantiti  (ad  esempio  attraverso   temporanee,
limitate sospensioni dell'esercizio del diritto, come quella prevista
dall'art. 104, comma 3, cod. proc. pen.: cfr.  sentenza  n.  216  del
1996),  e  salva  evidentemente  la  disciplina  delle  modalita'  di
esercizio del diritto, disposte  in  funzione  delle  altre  esigenze
connesse allo stato di detenzione medesimo». 
    Per effetto di tale pronuncia quindi oggi i  detenuti  in  regime
ordinario possono espletare colloqui con i difensori senza limiti  di
frequenza e di durata. 
    Non cosi' per i detenuti sottoposti al regime previsto  dall'art.
41-bis O.P., che, per effetto di  esplicita  disposizione  normativa,
soggiacciono ai limiti sopraindicati. 
    La diversa disciplina non trova fondamento, ad avviso  di  questo
magistrato, in una sostanziale diversita' delle  esigenze  difensive,
ma  nel  diverso  grado  di  pericolosita'  sociale   del   detenuto,
circostanza che non puo' incidere  significativamente  sull'esercizio
del diritto di difesa. 
    Si osserva inoltre che i detenuti sottoposti al  regime  previsto
dall'art. 41-bis O.P. hanno di regola  maggiori  esigenze  difensive,
collegate al maggior, numero e complessita' dei  procedimenti  penali
pendenti a proprio carico rispetto ai detenuti cd.  comuni.  Esigenze
gia' sostanzialmente penalizzate dalla (spesso notevole) distanza del
luogo  di  detenzione  dal  luogo  di  celebrazione   del   processo,
necessaria  per  ridurre  al  minimo  rischi   di   mantenimento   di
collegamenti con le organizzazioni criminali. 
    Identiche  posizioni  processuali  (magari   contrapposte,   come
segnalato dal G., verosimilmente con riferimento al procedimento  per
il quale non ha potuto  conferire  -  con  l'avv.  Cardone)  ricevono
diversa tutela  dall'ordinamento  in  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione. 
    L'evidente compressione del  diritto  di  difesa,  in  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, non  trova  inoltre  giustificazione
nella necessita' di  tutela  di  altro  interesse  costituzionalmente
garantito. 
    L'esigenza di impedire  indebiti  contatti  del  detenuto  con  i
membri liberi dell'organizzazione di appartenenza, che e'  alla  base
di tutte le restrizioni imposte dall'art. 41-bis O.P. e che  comporta
la consistente limitazione dei rapporti con i familiari - con i quali
puo' essere espletato un solo colloquio mensile -, non  puo'  infatti
essere invocata per la  disciplina  dei  rapporti  con  i  difensori,
categoria di operatori del diritto che non  puo'  essere  formalmente
destinataria  del  sospetto  di  porsi  come   illecito   canale   di
comunicazione. 
    La disposizione in esame si pone infine in netto contrasto  anche
con l'art. 111, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, che
nel disciplinare le condizioni  necessarie  per  lo  svolgimento  del
giusto processo penale, dispone che la legge assicuri che la  persona
accusata  cli  un  reato  «disponga  del  tempo  e  delle  condizioni
necessarie per preparare la sua difesa». I limiti  imposti  dall'art.
41-bis, comma 2-quater, lett. b), ultimo periodo O.P. non  consentono
di ritenere che il G., contemporaeneamente chiamato ad  occuparsi  di
diverse  posizioni  processuali,  abbia  a  disposizione   il   tempo
necessario per preparare la sua difesa, anche tenuto conto del  fatto
che i difensori non possono assicurare la  propria  assidua  presenza
presso il luogo di detenzione (Viterbo), assai distante da quello  di
celebrazione della maggior parte dei processi (la Calabria). 
    La disciplina dei rapporti con il difensore nel  processo  penale
e'  del  resto  tutta  improntata  a  garantire  massima  liberta'  e
riservatezza e la stessa penuria  di  norme  puo'  dirsi  sintomatica
della   riconosciuta   implicita   neessita'   di   noti    ingerenza
dell'ordinamento. Si e' gia' citato l'art. 104 c.p.p.,  che  consente
all'imputato  di  conferire  con   il   difensore   sin   dall'inizio
dell'esecuzione della misura. Il comma  3  introduce  l'unico  limite
normativamente  previsto  (oltre  quello  di  cui  all'art.  41-bis),
consistente nella facolta' del pubblico ministero  di  richiedere  al
giudice la dilazione, per un tempo non  superiore  a  cinque  giorni,
dell'esercizio del diritto dell'imputato di conferire col  difensore.
Trattasi  di  provvedimento  a  ridottissima   efficacia   temporale,
sottoposto  a  controllo  giurisdizionale  ed  alla   ricorrenza   di
specifiche ed eccezionali esigenze di cautela. 
    Anche alla  corrispondenza  -  ordinaria  e  telefonica-  con  il
difensore e' garantita la massima  riservatezza;  essa  e'  sottratta
alle limitazioni previste dall'art. 18-ter O.P.  e  non  puo'  quindi
essere  oggetto  di  controllo,  sequestro  od  intercettazione,  con
l'unico limite dell'ipotesi in cui il il giudice abbia fondato motivo
di ritenere che si tratti di corpo del reato (artt. 35 Disp. Att.  e.
103, c.6, c.p.p.). Cosi' come del  resto  i  colloqui  personali  non
possono subire registrazioni audiovisive. 
    Nella citata pronuncia del 1997 la Corte Costituzionale ha  fatto
salva la potesta' dell P.A. di disciplinare le modalita' di esercizio
del diritto di conferire con il difensore. I  colloqui  non  potranno
quindi ovviamente essere espletati in orari non  compatibili  con  le
esigenze di organizzazione degli  istituti  di  pena  e,  proprio  in
materia di 41-bis, il DAP ha disposto che i colloqui telefonici siano
eseguiti con la presenza fisica del difensore  presso  l'istituto  di
pena piu' vicino alla sede del suo studio professionale, al  fine  di
consentire l'identificazione certa del difensore medesimo. 
    La limitazione temporale dei colloqui personali non puo' tuttavia
essere considerata una disciplina delle modalita'  di  esercizio  del
diritto di conferire col difensore, poiche', come si e'  visto,  essa
incide pesantemente sulla concreta  possibilita'  di  approntare  una
difesa adeguata ed efficiente. 
    Alla luce delle considerazioni  svolte,  si  ritiene  che  l'art.
41-bis,  c.  2  quater,  lett.  b),  ultimo  periodo  O.P.  non   sia
suscettibile di un'interpretazione costituzionalmente  orientata  che
permetta  di  ritenere  osservati  i   principi   costituzionali   di
uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di inviolabilita' del
diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento e del giusto
processo, sanciti rispettivamente dagli  artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione. 
    Si osserva infine  che  la  questione  ha  sicura  rilevanza  nel
presente procedimento. 
    Il G. e' detenuto in esecuzione di  sentenze  C.  Appello  Reggio
Calabria 27  settembre  1990,  Pretore  Messina  26  settembre  1992,
Tribunale Palmi 30 maggio 1995 e di provvedimento  di  cumulo  emesso
dalla Procura della Repubblica di Palmi il 6 ottobre  2003;  egli  e'
inoltre sottoposto a custodia cautelare in  carcere  per  effetto  di
ordinanze emesse dal Gip di Reggio Calabria il 24 maggio 2010  ed  il
22 dicembre 2011; pendono in fine a suo  carico  alcuni  procedimenti
penali per i quali e' intervenuta decorrenza dei termini di  custodia
cautelare in carcere. 
    Egli, come del resto quasi tutti i detenuti sottoposti al  regime
previsto dall'art. 41-bis O.P., ha quindi evidentemente interesse  ad
esercitare il diritto di difesa in una molteplicita' di  procedimenti
distinti, che possono riguardare sia la fase  della  cognizione,  che
quella dell'esecuzione. Il reclamo de qua trae infatti origine  dalla
richiesta di colloquio con difensori  investiti  di  diversi  mandati
professionali, l'uno attinente a procedimento di cognizione e l'altro
relativo al procedimento di  sorveglianza  instaurato  a  seguito  di
reclaino  avverso  il  D.M.  di  sottoposizione  al  regime  previsto
dall'art. 41 bis.  L'esito  di  entrambi  incide  pesantemente  sulla
condizione penitenziaria e sullo status libertatis del G. 
    La richiesta declaratoria  di  incostituzionalita'  comporterebbe
l'accoglimento  del  reclamo  e  la  conseguente   imposizione   alla
Direzione della C.C. di Viterbo dell'obbligo di consentire al  G.  il
libero espletamento di colloqui visivi con i  difensori  nominati  in
relazione a tutti i diversi procedimenti nei quali egli e' coinvolto.