IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 5228 del 2011, proposto da: Sandro De Bernardin, Stefano Ronca, Francesco Paolo Trupiano, Luca del Balzo di Presenzano, Francesco Maria Greco, Giorgio Malfatti di Monte Tretto, Gherardo La Francesca, Daniele Mancini, Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero Affari Esteri -SNDMAE, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gea Sgueglia e Ugo Sgueglia, presso lo studio dei quali domiciliano in Roma, via Ottorino Lazzarini, n. 19; Contro Ministero degli affari esteri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l'annullamento del d.m. 0856 del 17 maggio 2011 che dispone che la nomina ad ambasciatore dei ricorrenti per il triennio 2011/2013 avra' fini esclusivamente giuridici. Visto il ricorso; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero degli affari esteri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 23 maggio 2012 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale. 1. I ricorrenti, funzionari diplomatici del Ministero degli affari esteri rivestenti il grado di ambasciatore, impugnano il decreto del Ministero degli affari esteri 17 maggio 2011, n. 0856 che, in seguito alla loro nomina al grado di ambasciatore, intervenuta con d.P.R. 16 febbraio 2011, n. 4, con decorrenza 2 gennaio 2011, ha determinato l'attribuzione del relativo trattamento economico, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 gli effetti sono «esclusivamente giuridici». L'impugnazione avverso il predetto provvedimento viene interposta anche dal Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero Affari Esteri - SNDMAE, sindacato che cura gli interessi della categoria dei diplomatici, nei confronti del quale ogni questione relativa alla legittimazione ad agire, ed ai limiti della stessa, puo' essere esaminata in sede di decisione definitiva, atteso che, in ogni caso, non sussiste alcun dubbio sulla legittimazione degli altri ricorrenti ad agire nella presente sede avverso il gravato provvedimento. L'impugnato decreto ministeriale espone di dare applicazione al comma 21 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122. La disposizione recita che «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Al riguardo, i ricorrenti sostengono che il ripetuto art. 9, comma 21, non troverebbe ad essi applicazione, che, in ogni caso, l'amministrazione ne avrebbe fatto erronea applicazione, e sollevano questione di costituzionalita', in relazione agli artt. 3, 35, 36 e 97 Cost., dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 122 del 2010, se applicabile alle nomine degli ambasciatori. 2. Nei esclusivi limiti imposti dalla verifica di rilevanza della questione di costituzionalita', va quindi anzitutto chiarito se e' vero che, come sostenuto dai ricorrenti, l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 non e' applicabile alle nomine degli ambasciatori. La questione in parola e' dai ricorrenti posta con il primo mezzo (Violazione degli artt. 101, 105, 109-bis del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 e s.m.i., dell'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010 convertito con modificazioni dalla l. 122/2010, degli artt. 3, 35, 36 e 97 della Costituzione e dei principi generali - Eccesso di potere), con il quale si sostiene che le nomine al grado di ambasciatore non costituirebbero una progressione di carriera ma un vero e proprio cambiamento di status, restando, pertanto, estranee alla regolazione discendente dal citato art. 9, comma 21, che la progressione di carriera, invece, presuppone. Le argomentazione per il tramite delle quali i ricorrenti pervengono a siffatta conclusione non risultano pero' persuasive. Invero, per un verso, gli stessi ricorrenti riconoscono che l'art. 101 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, «Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri», imprime alla carriera diplomatica - i cui gradi, in ordine decrescente, sono costituiti da ambasciatore, ministro plenipotenziario, consigliere di ambasciata, consigliere di legazione, segretario di legazione - la «unitarieta' del ruolo». Il dato normativo, che e', sul punto, di indubbio rilievo, perche' connesso proprio alla modalita' organizzativa del personale dell'Amministrazione degli affari esteri, consente di ritenere che, nell'ambito dell'unicum costituito dal ruolo, il passaggio tra i predetti gradi realizza un vero e proprio sviluppo della carriera, e rende irrilevante la circostanza, segnalata dai ricorrenti, che le successive disposizioni prevedano che l'accesso ai primi tre gradi avviene per «promozione» (artt. 103, 107,108), mentre l'accesso ai due gradi apicali e' disposto per «nomina» (artt. 109 e 109-bis): infatti tali modalita', nel descritto contesto generale, riflettono esclusivamente l'esistenza di un diverso rapporto fiduciario tra il promosso ed il nominato con l'istituzione di appartenenza. Per altro verso, i ricorrenti evidenziano che, per costante giurisprudenza amministrativa, la nomina ai gradi piu' alti della carriera diplomatica (ambasciatore e ministro plenipotenziario) e' espressione di esercizio di elevata discrezionalita' amministrativa. L'argomentazione e' in se e per se condivisibile ma non conduce a quanto auspicato dai ricorrenti. Infatti, non solo non si ravvisa alcun elemento fattuale o giuridico che induce a ritenere che l'esercizio di una elevata discrezionalita' nella scelta dei diplomatici da porre al vertice della carriera si pone come dato antinomico rispetto al concetto di progressione in carriera, ma, vieppiu', tenuto conto che siffatta scelta, indipendentemente dal nomen della procedura a tal fine utilizzata, avviene nell'ambito di una platea di candidati provenienti dai gradi inferiori, l'elemento e' idoneo a segnalare proprio l'opposto, ovvero che la scelta altamente discrezionale di cui si discute costituisce evidente e squisita manifestazione di una modalita' di progressione tipica di una tipologia di carriera, di tipo accentuatamente piramidale. Senza contare, poi, in ogni caso, che l'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate» fa riferimento a qualsiasi tipo di avanzamento di carriera. 3. Escluso, per quanto sopra, che possa convenirsi con i ricorrenti quando affermano che la nomina al grado di ambasciatore non costituirebbe espressione di quella progressione di carriera che il ridetto art. 9, comma 21, d.l. 78/2010 presuppone, e sempre nei esclusivi limiti imposti dalla verifica di rilevanza della questione di costituzionalita', va ora valutato se, come pure sostenuto dai ricorrenti, l'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010, quale norma di carattere generale, non potesse derogare, modificandola, alla disciplina speciale che regola il trattamento economico dei diplomatici, di cui all'artt. 101 e 112 del predetto d.P.R. n. 18 del 1967 ed all'art. 1 e ss. del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206. I ricorrenti introducono infatti tale argomentazione con il secondo mezzo (Violazione degli artt. 101 e 112 del d.P.R. 18/1967 e s.m.i., degli artt. 1 e ss. del d.P.R. 206/2010 e principi generali - Eccesso di potere). In particolare, i ricorrenti segnalano che il personale appartenente alla carriera diplomatica e' retto dal proprio specifico ordinamento, regolato dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, il cui art. 112 - siccome sostituito dal d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 - ha introdotto il sistema della contrattazione, da trasfondere successivamente in un atto regolamentare, emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica. Attualmente, l'atto di recepimento e' rappresentato dal d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206, successivo allo stesso d.l. 78/10, che, recependo l'ipotesi di accordo, ne ha espressamente decretato l'applicazione al personale appartenente alla carriera diplomatica, e, dunque, la relativa disciplina degli aspetti giuridici ed economici, decorrente dalla data della sua entrata in vigore, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale: e tale d.P.R. non menziona mai il comma 21 (ma solo, nel preambolo, il comma 4) dell'art. 9 del d.l. 78/2010. Indi, secondo i ricorrenti, l'art. 112 del d.P.R. 18/67 assegnerebbe al d.P.R 206/10 la funzione di atto regolamentare speciale, che non potrebbe essere eterointegrato da prescrizioni pur contenute in una fonte di grado superiore, ma di carattere generale, che non abbia formalmente recepito. Anche tale percorso motivazionale risulta infondato alla sommaria valutazione finalizzata, come appena detto, al giudizio di rilevanza costituzionale. Invero, la delegificazione di una materia, effettuata mediante un atto avente forza e valore fonte di legge, non esclude che altre norme dello stesso grado possano integrare, con previsioni generali o speciali, la disciplina della materia delegificata: in altre parole, la delegificazione comporta che la materia trovi la sua disciplina ordinaria in una fonte inferiore, non che questa sia l'unica fonte costituzionalmente legittima per la disciplina della materia stessa. Nel caso di specie, non pare revocabile in dubbio che l'art. 9 del d.l. 78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e per la finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera e la ratio delle stesse - si prefigga lo scopo di intervenire su tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte principale che li disciplina. Tant'e' che proprio lo stesso comma 21 in discorso, il cui testo integrale e' stato sopra riportato, dispone, oltre che per il personale pubblico non contrattualizzato di cui di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (in cui rientra il personale della carriera diplomatica), anche per il personale contrattualizzato, disponendo, per quest'ultimo, che le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. E allora risulta chiara la volonta' del legislatore di escludere, per il periodo d'interesse sopra indicato, efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera, a prescindere dalla fonte che regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso. 4. Escluso, quindi, che possa rinvenirsi, anche per gli appena indicati profili, un'erronea applicazione ai ricorrenti, mediante l'atto gravato, dell'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010, acquista rilevanza, ai fini della decisione, la questione, dai medesimi prospettata in via subordinata, di costituzionalita' del ripetuto art. 9, comma 21, del d.l. 78/10, nella parte d'interesse: disposizione che, secondo quanto si e' fin qui visto, trova applicazione alla fattispecie attraverso il d.m. 0856/11 gravato in questa sede, che lede direttamente i ricorrenti, e che potrebbe dunque essere travolto soltanto unitamente alla prima. 5. Nel determinare se la questione sia o meno manifestamente infondata, il Collegio Ritiene di dover partire da quello che e' il concreto effetto della parte di disposizione di interesse nella controversia («le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»), consistente in cio', che, per il triennio in questione, ai ricorrenti vengono versate non le somme corrispondenti agli emolumenti, al netto d'imposta, stabiliti per la posizione attuale - ambasciatore - bensi' gli importi corrispondenti alla loro precedente qualifica di appartenenza, da cui sono cessati. In altre parole, per effetto della disposizione de qua, i dipendenti, pur svolgendo un lavoro presuntivamente di maggiore complessita' ed impegno, continuano a percepire un corrispettivo equivalente al precedente trattamento economico, che si deve presumere adeguato invece ad una prestazione meno onerosa. Al riguardo, il Collegio, anche d'ufficio, rinviene distinti profili di potenziale incostituzionalita', non configgenti, bensi' subordinati tra loro: nel rispetto, dunque, del principio, affermato dalla Corte costituzionale, che considera inammissibili le questioni di costituzionalita' della stessa disposizioni di legge, poste tra loro in forma alternativa ed incompatibile. 5.1. L'art. 9, comma 21, del d.l. 78/10, nella parte d'interesse, determina anzitutto, in violazione dell'art. 2 Cost., un'irragionevole disparita' di trattamento all'interno del personale della carriera diplomatica. Infatti, a parita' di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti, con incarichi complessi e responsabilita' di uffici apicali, come previsto per gli ambasciatori, essi percepiscono o meno lo stesso trattamento economico (in disparte le maggiorazioni per la diversa anzianita' nella qualifica stessa), in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall'anno in cui la qualifica e' stata attribuita, che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. 5.2. D'altro canto, ex art. 36 Cost., il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro: e si deve presumere che, in specie, tale sia la retribuzione tabellare assegnata agli ambasciatori, stabilita per effetto di una specifica trattativa con la parte datoriale pubblica, e poi recepita nel decreto presidenziale piu' volte richiamato. Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta ai colleghi promossi prima del 2011, e' invece negata agli odierni ricorrenti e cio' per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad oltre trentasei mensilita': l'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010 si pone dunque in espresso contrasto con la norma costituzionale teste' citata. Senza contare, vieppiu', che la disposizione non regola la posizione di coloro tra essi che, nominati ambasciatori nel considerato triennio 2011/2013, saranno, nell'arco dello stesso periodo, collocati a riposo per raggiunti limiti di eta'. 5.3. Non vi e' dubbio che il legislatore con l'art. 9, comma 21, del d.l. 7872010 persegua la riduzione del passivo del bilancio statale. Ma parimenti non puo' esservi dubbio che tale obiettivo va perseguito con criteri di proporzionalita' e ragionevolezza, e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex artt. 2 e 3 Cost., e conformemente agli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall'art. 36 Cost.. Questo non si verifica, invece, nella specie: l'eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrasta con il principio di proporzionalita' teste' richiamato, che il legislatore, pur nella sua discrezionalita', e' tenuto a rispettare. 5.4. Per altro verso, poi, la situazione cosi' descritta, dove il trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni e le conseguenti responsabilita', ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica e' stata conferita, non puo' non ritenersi suscettibile di interferire negativamente anche nei rapporti tra gli stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, riverberandosi indi sull'organizzazione degli uffici e incidendo negativamente sul loro buon andamento, in violazione dell'art. 97 Cost. 5.5. Sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, si deve constatare come l'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010, sebbene prescriva letteralmente di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l'Erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti impone a quegli stessi dipendenti quella che e' una vera e propria prestazione patrimoniale, poiche' trattiene una parte dei compensi maturati con la nomina e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari grado. 5.6. L'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010 impone cioe' agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituisce un tributo anomalo, il quale contrasta con i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. 5.7. E' infatti anzitutto violato il principio di capacita' contributiva, poiche' il sacrificio e' richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza, bensi' in ragione del dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica e' stata acquisita, e senza alcuna considerazione del principio di progressivita'. Si aggiunga che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parita' capacita' contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi. 5.8. In altre parole, a fronte del limite espresso all'azione impositiva di far corrispondere a uguali situazioni uguali tributi, e viceversa, il sacrificio patrimoniale, il quale incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi) indenni, o comunque colpendoli piu' leggermente, a parita' di' capacita' reddituale, e' arbitrario ed irragionevole, e viola il principio di uguaglianza ex art. 3 cost. ed il principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost. 6. In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per la parte in cui stabilisce che «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione. Restano riservati all'esito del giudizio incidentale le determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul merito e sulle spese.