LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto  al  n.
64781/PC del registro di segreteria depositato  in  data  26  ottobre
2011 dal sig. Salvatore Staro, nato a Capua (CE) il 20 dicembre 1932,
rappresentato  e  difeso,  giusta  mandato  a  margine  del  ricorso,
dall'avv. Luigi Adinolfi e con questi  elettivamente  domiciliato  in
Napoli alla via  Po  n.  1  (Parco  Parva  Domus)  presso  lo  studio
dell'avv. Stefano Sorgente, per  la  riliquidazione  del  trattamento
pensionistico in godimento «nella  sua  interezza  e  con  esclusione
dell'applicazione delle norme del decreto legge 31 maggio 2010 n.  78
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010 n. 122»; 
    Esaminati i documenti e gli atti tutti della causa; 
    Udito alla pubblica udienza del giorno 31  maggio  2012  soltanto
l'avv. Luigi Adinolfi, il quale, depositate copie  dell'ordinanza  n.
89/2012 e della sentenza non definitivo n. 53/2012 del TAR Calabria a
sostegno della prospettazione attorea, ha sinteticamente  richiamato,
altresi', i rilievi operati nel ricorso, insistendo  perche'  venisse
almeno parzialmente accolto e perche',  comunque,  venisse  sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  disposizione   di
riferimento; 
 
                            Premesso che 
 
    Con il ricorso indicato in epigrafe parte attrice, che ha evocato
in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l'INPDAP (Sede
Centrale di Roma e Sede Provinciale di Caserta) provvedendo  altresi'
a riassumere in data 3 febbraio 2012 l'atto introduttivo del giudizio
nei confronti dell'INPS  (subentrato  all'INPDAP  con  decorrenza  1°
gennaio 2012 per effetto dell'art. 21 della legge 22 dicembre 2011 n.
214, «Conversione in legge, con modificazioni,  del  decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la  crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici»),  ha  chiesto  con
ampie e diffuse argomentazioni,  esponendo  preliminarmente  di  esse
stato collocato in quiescenza con decorrenza 21 dicembre 2007 con  la
qualifica  di  Presidente  di  Sezione  della  Corte  dei  conti,  il
riconoscimento del suo diritto, previa  rimessione  degli  atti  alla
Corte  Costituzionale,  a  percepire  il  trattamento   pensionistico
ordinario  nella  sua  interezza   e   senza   l'applicazione   della
decurtazione stabilita dall'art. 18, comma 22-bis,  decreto  legge  6
luglio 2011 n. 98, convertito, Con modificazioni, in legge 15  luglio
2011  n.  111,  con  conseguente   condanna   delle   amministrazioni
resistenti  alla  corresponsione  delle  somme  illegittimamente  non
erogate, con rivalutazione monetaria  ed  interessi,  rilevandone  il
contrasto con varie disposizioni costituzionali. 
    L'INPDAP - D.R. Campania e Molise si e'  costituito  in  giudizio
con nota inviata il 21 ottobre 2011 e reiterata il  16  aprile  2012,
presentando altresi', per il tramite dell'Ufficio Avvocatura  INPDAP,
copie  di  documenti  pensionistici  relativi   alla   posizione   in
controversia, quali la determinazione di pensione  n.  NA012007003747
ed alcuni prospetti contabili. 
    La Presidenza del Consiglio dei Ministri,  che  ha  trasmesso  in
data  21  maggio  2012  gli  atti  liquidativi  del  trattamento   di
quiescenza  del  dott.  Salvatore  Staro  adottati  dal  Segretariato
Generale e inviati a suo tempo all'INPDAP (ora INPS), ha poi prodotto
in data 24 maggio 2012, per il tramite  dell'Avvocatura  Distrettuale
dello Stato di Napoli, comparsa di costituzione e risposta, in cui ha
chiesto il rigetto della domanda attrice,  ritenendola  inammissibile
ed infondata, con l'ausilio di articolate  controdeduzioni  circa  la
manifesta infondatezza dei  rilievi  d'incostituzionalita'  dall'art.
18, comma 22-bis, decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito,  con
modificazioni, in legge 15 luglio 2011  n.  111,  proposti  da  parte
attrice. 
 
                           Considerato che 
 
    1. Il ricorrente, Presidente della Corte dei conti in  quiescenza
dal 21  dicembre  2007,  titolare  di  pensione  diretta  di  importo
superiore a € 90.000,00 annui, con il presente ricorso chiede -  come
gia' anticipato nella premessa  in  fatto  -  il  riconoscimento  del
proprio diritto di percepire il trattamento pensionistico  ordinario,
da calcolare senza le decurtazioni  introdotte  dall'art.  18,  comma
22-bis,  decreto  legge  6  luglio  2011  n.  98,   convertito,   con
modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n. 111,  nonche'  la  condanna
dell'Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso  con  ogni
accessorio di legge. 
    A sostegno del ricorso deduce l'illegittimita' costituzionale del
citato art. 18, comma 22-bis, decreto legge  6  luglio  2011  n.  98,
convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011  n.  111,  per
violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100,  101,  108,
111 e 113 Cost. 
    La normativa contestata cosi' dispone: 
        «In  considerazione  della  eccezionalita'  della  situazione
economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a  decorrere  dal
1°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre   2014,   i   trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie, i cui importi  complessivamente  superino  90.000  euro
lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione  pari
al 5 per cento dello parte  eccedente  il  predetto  importo  fino  o
150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento  per  la  parte  eccedente
150.000 euro e al 15 per cento per lo parte eccedente 200.000 euro; a
seguito  della  predetta  riduzione  il   trattamento   pensionistico
complessivo non puo' essere comunque inferiore a  90.000  euro  lordi
annui  ...  La  trattenuta  relativa  al   predetto   contributo   di
perequazione e' applicata, in via preventiva e  salvo  conguaglio,  o
conclusione dell'anno di riferimento, all'allo  della  corresponsione
di ciascun rateo mensile. Ai fini  dell'applicazione  della  predetta
trattenuta  e'  preso  a  riferimento  il  trattamento  pensionistico
complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati
che risultano dal casellario centrale dei pensionati,  istituito  con
decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388,  e
successive modificazioni, e'  tenuto  a  fornire  a  tutti  gli  enti
interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta
del contributo di perequazione, secondo  modalita'  proporzionali  ai
trattamenti erogati. Le somme trattenute dagli enti vengono  versate,
entro il  quindicesimo  giorno  dalla  data  in  cui  e'  erogato  il
trattamento su cui  e'  effettuata  la  trattenuta,  all'entrata  del
bilancio dello Stato».  La  disposizione  dianzi  riportata  prevede,
altresi', che  alla  determinazione  degli  importi  complessivi  dei
trattamenti pensionistici concorrano «i trattamenti erogati da  forme
pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad
integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese
quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996,  n.  563,  al
decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto  legislativo
5 dicembre  2005,  n.  252,  nonche'  i  trattamenti  che  assicurano
prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto  speciale
e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975,  n.  70,  e  successive
modificazioni, ivi compresa la gestione speciale  ad  esaurimento  di
cui all'articolo 75 del decreto del Presidente  della  Repubblica  20
dicembre 1979, n. 761, nonche' le gestioni di previdenza obbligatorie
presso l'INPS per il personale addetto alle imposte di  consumo,  per
il personale dipendente dalle  aziende  private  del  gas  e  per  il
personale gia'  addetto  alle  esattorie  e  alle  ricevitorie  delle
imposte dirette». 
 
                            Ritenuto che 
 
    2. Ritiene, anzitutto, il G.U. che sussiste  la  rilevanza  della
questione di costituzionalita' sollevata nel  presente  giudizio,  in
quanto, non solo il gravame ha «un petitum separato e distinto  dalla
questione di costituzionalita', sul quale il giudice  remittente  sia
legittimamente chiamato,  in  ragione  della  propria  competenza,  a
decidere» (C. Cost., sentenze n. 4 del 2000 e n.  38  del  2009),  ma
soprattutto  il  petitum  medesimo  concerne  il  riconoscimento  del
diritto  del  ricorrente  a   conservare   il   proprio   trattamento
pensionistico senza le decurtazioni disposte dal citato comma  22-bis
dell'art. 18, per cui, trattandosi  di  disposizioni  di  diretta  ed
immediata   applicazione,   sarebbe    impossibile    pervenire    al
riconoscimento di tale diritto,  se  non  attraverso  la  necessitata
rimozione della norma attraverso la via della richiesta  e  correlata
declaratoria di illegittimita' costituzionale  di  tale  disposizione
normativa. 
    Se  il  G.U.,  invero,   non   dubitasse   della   compatibilita'
costituzionale della norma in esame rispetto ai precetti  e  principi
della carta  fondamentale,  la  pretesa  di  parte  attrice  dovrebbe
senz'altro essere dichiarata infondata e respingersi,  in  quanto  le
decurtazioni stipendiali qui censurate sono fissate  direttamente  ed
inderogabilmente dalle  stringenti  ed  inequivoche  disposizioni  di
legge applicate doverosamente dall'amministrazione datrice di lavoro,
senza  alcuna  possibilita'  di   applicazioni   od   interpretazioni
alternative. 
    Ritiene, inoltre,  il  G.U.  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 22-bis,  decreto  legge  6  luglio
2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n.
111 prospettate dal  ricorrente,  e  comunque  rilevabili  d'ufficio,
siano non manifestamente infondate sotto  vari  aspetti,  per  quanto
oltre si dira'. 
    3. Va premesso che il D.L. n. 98/2011  e'  sfato  adottato,  come
espone in premessa, in considerazione della «straordinaria necessita'
ed urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria
e per il contenimento della spesa pubblica, al fine di ottemperare  a
quanto previsto dagli impegni presi in sede comunitario,  nonche'  di
emanare misure di stimolo fiscale  per  favorire  il  rilancio  della
competitivita' economica». 
    Nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento
della speso pubblica ed alla stabilizzazione finanziaria, si colloca,
appunto,   l'art.   18,   relativo   ad   «Interventi   in    materia
previdenziale»,  che  impone  ai  pensionati  pubblici  sacrifici  di
considerevole entita'. In sintesi, le previsioni  sono  le  seguenti;
aumento dell'eta' pensionabile delle  donne  dipendenti  del  settore
privato e delle  lavoratrici  autonome;  blocco  della  rivalutazione
delle pensioni superiori  a  cinque  volte  il  minimo,  che  avranno
diritto ad una perequazione ridotta al 70% solo per la fascia fino  a
tre  volte  il  trattamento  minimo;  contributo  «di  solidarieta'»,
trattenuto dall'Ente erogatore del trattamento pensionistico,  per  i
titolari di pensione superiore ai 90.000 € lordi annui (cd. «pensioni
d'oro»:  comma  22-bis,  disposizione  della  cui   applicazione   di
controverte); anticipo al 2013  dell'aumento  dell'eta'  pensionabile
legato all'aspettativa di vita; posticipo della finestra mobile per i
lavoratori che vanno  in  pensione  di  anzianita'  con  40  anni  di
contribuzione;    riduzione    delle    pensioni    ai    superstiti;
obbligatorieta' delta iscrizione dei pensionati con reddito da lavoro
autonomo   alle   casse   dei   professionisti;   vari   criteri   di
interpretazione autentica che mettono fine al contenzioso  intrapreso
dai pensionati e dai lavoratori. 
    4. Occorre anzitutto osservare che  «una  norma  cosi'  concepita
appare configurarsi come prestazione patrimoniale imposta, ex art. 23
Cost., nonche'  come  prelievo  forzoso  di  natura  tributaria,  che
dovrebbe  essere   rispettoso   dei   principi   di   eguaglianza   e
ragionevolezza  (art.  3  Cost.)  correlati  a  quello  di  capacita'
contributiva (art. 53 Cost.). 
    Infatti,  l'imposizione  di  detti  nuovi   sacrifici   economici
individuali e'  stata  realizzata  attraverso  un  atto  autoritativo
generale  di  carattere  ablatorio  e  la  destinazione  del  gettito
scaturente da tale ablazione concorre al fabbisogno finanziario dello
Stato sotto forma di risparmio di spesa. 
    In realta', al di la'  del  nomen  (risparmio,  rallentamento  di
dinamiche retributive, contributo, ecc.), si  tratta  di  un  vero  e
proprio  prelievo  forzoso  di  somme  stipendiali  a  copertura   di
fabbisogni   finanziari   indifferenziati   dello   Stato   apparato»
(ordinanza n. 74/2012 TAR Trento). 
    Sussistono, pertanto, a parere del G.U.,  gli  elementi  basilari
per qualificare  quella  in  esame,  quale  disposizione  tributaria,
ovvero l'ablazione di somme trattenute da  parte  dell'erogatore  del
trattamento  e  da  costui  successivamente   versate   nelle   casse
dell'Erario   e   la   destinazione   delle   somme   in    questione
all'apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno  dello  Stato  (C.
Cost., sent. n. 11/1995). Invero -  come  diffusamente  osservato  da
parte ricorrente - le trattenute da  effettuare  autoritativamente  e
senza sinallagmaticita' sui trattamenti pensionistici indicati  dalla
surriportata disposizione nel triennio ivi indicato, sono finalizzate
- come espressamente previsto sia nel preambolo del decreto legge  n.
78/2011 e sia nel comma 22-bis dell'art. 18 -  al  raggiungimento  di
«obiettivi di finanza pubblica» e di  finalita'  di  «stabilizzazione
finanziaria»,  da  realizzarsi  mediante  il   minor   depauperamento
dell'Erario  risultante  dall'erogazione  di  importi   pensionistici
pubblici di inferiore importo. 
    Tuttavia,  i  pesanti  sacrifici  imposti  dallo  legge   gravano
soltanto   su   alcune    categorie    di    pensionati,    lasciando
inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte  le  altre  categorie
dei  settori  previdenziali  privato  ed  autonomo:  categorie  tutte
caratterizzate   dall'unitarieta'    riconducibile    al    principio
costituzionale di tutela dei pensionati, appunto. 
    Invero, nonostante sia ben noto ed ormai acquisito  il  principio
della possibilita'  di  una  disciplina  differenziata  del  rapporto
previdenziale pubblico rispetto a  quello  privato  -  in  quanto  il
processo di omogeneizzazione  dei  due  settori  incontra  il  limite
costituito dalla necessita' di razionalizzare il costo del personale,
anche  sotto  il  profilo  previdenziale,   contenendone   la   spesa
complessiva, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica
- nel caso di specie, tuttavia, non si tratta di misure inerenti  una
diversa  disciplina  dei  soli  trattamenti  previdenziali  pubblici,
attraverso raffreddamento o rideterminazione  in  pejus  dei  livelli
pensionistici, ma di un vero e proprio prelievo fiscale imposto non a
tutti i pensionati, ma esclusivamente a quelli  pubblici,  nonostante
unica ed omogenea sia, sul piano causale ed eziologico, la fonte  del
prelievo. 
    Quindi, il principio  solidaristico  di  cui  all'art.  2  Cost.,
valido per tutte le categorie  di  cittadini,  va  coordinato  con  i
principi  di  eguaglianza,  parita'  di   trattamento   e   capacita'
contributiva (artt.  3  e  53  Cost.).  Quindi,  la  scelta  de  qua,
rientrante senz'altro nella discrezionalita' del legislatore, avrebbe
dovuto essere esercitata entro i limiti fissati dagli artt.  3  e  53
Cost,   in   punto   di   uguaglianza,    ragionevolezza,    equita',
proporzionalita' e rispetto del principio di capacita' contributiva. 
    Come giustamente ricordato  dal  TAR-Trento  nella  surrichiamata
ordinanza n. 74/2012, «analoga questione e' gia' stata  posta,  negli
stessi termini, con riferimento ad altra nota e storica  "manovra  di
bilancio" del nostro Paese, approntata nel 1992 con il  decreto-legge
n.  384  di  quell'anno  per  far  fronte  ad   un'altra   situazione
emergenziale altrettanto grave quanto la attuale. Tale questione  era
stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte  Costituzionale
con l'ordinanza 14 luglio 1999 n. 299, nel rilievo che «questa  Corte
ha gia' affermato che il decreto-legge  n.  384  del  1992  e'  stato
emanato   in   un   momento    assai    delicato    per    la    vita
economico-finanziaria del Paese, caratterizzato dalla  necessita'  di
recuperare l'equilibrio  di  bilancio  ...  che  per  esigenze  cosi'
stringenti il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche  onerosi
(sentenza n. 245 del  1997)  e  che  norme  di  tale  natura  possono
ritenersi  non  lesive  del  principio  di  cui  all'art.   3   della
Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia  al
principio  di  uguaglianza  sostanziale,  sia  a  quello  della   non
irragionevolezza)». Tuttavia, la stessa Corte ha precisato - in  quel
frangente ed anche in altri, definiti con l'ordinanza n.  341/2000  e
con la sentenza n. 92/1963 richiamate da parte ricorrente  -  che  il
sacrificio economico richiesto  dal  provvedimento  legislativo  deve
avere carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo
allo scopo prefisso,  cioe',  non  solo  dev'essere  limitato  ad  un
ristretto periodo  di  tempo,  ma  anche  deve  essere  razionalmente
ripartito fra categorie  diverse  di  cittadini,  giacche',  in  caso
contrario,  ne  resterebbe  violato  il  principio,  desumibile   dal
combinato disposto degli artt. 3 e 53  Cost.,  dell'obbligo  generale
dei cittadini, improntato al principio di uguaglianza, di  concorrere
alle  spese  pubbliche   in   ragione   della   specifica   capacita'
contributiva. 
    Nel caso all'esame, invece,  risultano  violati,  ad  avviso  del
G.U.,  i  parametri  costituzionali  (artt.  3,   36   e   53   della
Costituzione) sotto il profilo  della  disparita'  di  trattamento  e
della sproporzione ed irrazionalita' della misura, non essendo  state
colpite le altre  categorie  di  pensionati,  pur  se  percettori  di
elevati trattamenti, e tanto meno i contribuenti in generale titolari
degli stessi redditi. 
    In  altri  termini:  imponendo  l'esaminato  prelievo   ai   soli
pensionati pubblici percipienti trattamenti di importi  superiori  ai
90.000/150.000/200.000 €, con immotivato  ed  irrazionale  esclusione
delle pensioni di analogo ammontare ma relative ai settori privato ed
autonomo  e  -  comunque  -  di  quelle  di  diverso  ammontare,   la
disposizione in esame non appare idonea a garantire risparmi di spesa
o introiti  tali  da  realizzare  significativamente  l'obiettivo  di
stabilizzazione   della   finanza    pubblica    che    la    manovra
complessivamente si propone, bensi' si presenta come una  irrazionale
ed immotivata, ma  soprattutto  discriminatoria,  imposizione  di  un
sacrificio economico ad una  ben  precisa  e  limitata  categoria  di
soggetti, anziche' alla collettivita' nel suo insieme, beninteso  nel
rispetto del principio di proporzionalita', con la conseguenza che ne
risultano  lesi  i  principi  solidaristico,  di  uguaglianza  e   di
assoggettamento al prelievo fiscale  in  proporzione  alla  capacita'
retributiva (artt. 2, 3 e 53 Cost.). 
    Parte ricorrente lamenta, altresi' -  secondo  orientamento  gia'
fatto proprio dal TAR Calabria - Sez. Reggio Calabria  nell'ordinanza
n. 89/2012 - che la lesione dei principi in parola emerge evidente in
ragione del fatto che viene sottoposta a prelievo  una  categoria  di
sicura «tassabilita'» per via  della  garanzia  della  ritenuta  alla
fonte e che, al di la'  di  ogni  altra  giustificazione  ravvisabile
nella ratio dell'istituto, il ricorso al prelievo fiscale e'  indotto
dall'incapacita'  (tecnica  o  politica)  di  perseguire   l'evasione
fiscale, con conseguente vantaggio  di  fatto  per  le  pensioni  non
derivanti  da  lavoro  dipendente  nel  settore  pubblico.   Anziche'
impegnarsi nella predisposizione di strumenti fiscali efficaci  nella
prevenzione di tale fenomeno, il Legislatore avrebbe inspiegabilmente
ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri, trascurando del tutto
di colpire le  ricchezze  evase  al  fisco  e  persino  gli  introiti
derivanti da rendite ben conosciute (quali  le  rendite  catastali  e
finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di pensionati,
colpevoli unicamente di appartenere al settore pubblico  e  di  avere
redditi   facilmente   accertabili   ed   ancora   piu'    facilmente
«attaccabili». 
    5. Per quanto sin  qui  osservato,  la  norma  all'esame  risulta
lesiva anche dei principi contenuti nell'art. 42,  comma  3°,  e  97,
comma  1°,  Cost.,   cioe',   rispettivamente,   del   principio   di
espropriabilita' della proprieta' privata  -  che  nel  caso  che  si
esamina ha ad oggetto il bene fungibile costituito dal denaro  -  per
ragioni d'interesse generale ma ad opera di provvedimenti della  P.A.
e nel rispetto di norme di  legge  e  di  regole  di  buon  andamento
dell'azione  amministrativa,  nonche'  -  e  di  conseguenza  -   del
principio di  imparzialita'  della  medesima  azione  amministrativa.
Invero, l'art. 18, comma 22-bis, decreto legge n.  78/2011  colpisce,
con  intervento  ablatorio  legislativo  e  non  amministrativo,  una
determinata categoria di soggetti, in assenza di previa  valutazione,
mediante adeguata istruttoria, degli interessi coinvolti e senza  che
sia  prevista  la  corresponsione  di  un'indennita'  di  ristoro   -
ovviamente  non  di  tipo  economico  -  in  favore  di  chi  subisce
l'imperativa sottrazione, laddove l'accurato esame degli interessi in
gioco e la ponderata decisione della misura  e  delle  modalita'  del
sacrificio secondo il  principio  costituzionale  di  buon  andamento
(art.   97   Cost.)   non   puo'   non   valere    anche    per    il
legislatore-amministratore. 
    6. Va, peraltro, rilevato - come gia' condivisibilmente  statuito
nell'ordinanza n. 89/2012 del TAR Calabria Sez. Reggio Calabria - che
non si ritiene di poter condividere il motivo di censura secondo cui,
in violazione  degli  artt.  41  e  97  Cost.,  la  disposizione  qui
esaminata introduce effetti distorsivi della concorrenza perche',  in
virtu' delle differenze  di  trattamento  piu'  volte  enunciate  tra
settore pubblico e settore privato,  rende  maggiormente  appetibile,
rispetto a primo, quest'ultimo, con conseguente depauperamento  delle
risorse pubbliche (a seguito dell'emigrazione di  professionalita'  o
della necessita' di aumentare le retribuzioni  sotto  altri  profili,
per difenderne la competitivita'). 
    «La censura e' prospettata  con  genericita',  in  via  meramente
ipotetica e trascuro  di  porre  adeguatamente  in  rilievo  tutti  i
termini di comparazione tra le due grandezze  di  riferimento,  nelle
quali confluiscono anche valori diversi dalla mera retribuzione, come
il  senso  di   servizio   verso   le   Istituzioni,   il   prestigio
dell'attivita', la sicurezza nell'impiego» (ordinanza n. 89/2012  del
TAR Calabria Sez. Reggio Calabria). 
    7. Infine,  il  G.U.  ritiene  di  non  poter  neppure  procedere
all'esame della domanda, formulata dal difensore del  ricorrente  nel
corso dell'odierna udienza, di parziale accoglimento del gravame,  in
quanto tale istanza e' stata avanzata in  modo  del  tutto  generico,
senza, cioe', che ne venissero specificati petitum e  causa  petendi,
elementi fondamentali affinche' si possa effettuare l'esame  in  sede
giurisdizionale  di  qualsivoglia  istanza,  domanda,   eccezione   o
deduzione. 
    8. Tanto premesso, in applicazione dell'art. 23 della legge cost.
n. 87/1953, riservata ogni altra  decisione  all'esito  del  giudizio
innanzi alla Corte costituzionale, il  G.U.  solleva  l'incidente  di
costituzionalita' dell'art. 18, comma 22-bis, decreto legge 6  luglio
2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n.
111 con riferimento agli artt. 2, 3, 53, 42 e 97 Cost. per le ragioni
che precedono, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.