Ricorso della Regione Lombardia (c.f.  80050050154),  in  persona
del Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott.  Roberto
Formigoni, rappresentata e difesa,  ai  sensi  della  delibera  della
Giunta regionale n. IX/4177 del 12 ottobre  2012,  giusta  procura  a
margine del presente atto,  dal  Prof.  Avv.  Beniamino  Caravita  di
Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del Foro di Milano, ed elettivamente
domiciliata presso il suo Studio in Roma, Via di Porta Pinciana n.  6
(fax:  06/42001646;  pec  abilitata:  cdta@legalmail.it);  contro  il
Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore. 
    Per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
17, commi 1, 2, 3, 4 e 4-bis, comma 11, nonche' commi  6  e  12,  del
d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7
agosto 2012, n. 135, pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  Serie
generale, 14 agosto 2012, n. 189 - Suppl. Ordinario n.  173,  recante
«Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario»,  per  violazione
degli artt. 1, 2, 3, 5, 71, comma 1, 77, comma 2, 114, 117, 118, 119,
120, comma 2, 123, comma 4, 133 e 138 della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Il  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.   95,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, reca  «Disposizioni
urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei
servizi ai cittadini nonche'  misure  di  rafforzamento  patrimoniale
delle imprese del settore bancario». 
    Scopo primario del provvedimento e'  la  razionalizzazione  della
spesa pubblica attraverso la riduzione delle spese  per  acquisti  di
beni e servizi, nonche' il contenimento e  la  stabilizzazione  della
finanza  pubblica  anche  attraverso   misure   volte   a   garantire
l'efficienza  e   l'economicita'   dell'organizzazione   degli   enti
pubblici. Tuttavia, alcune delle disposizioni recate  dall'intervento
legislativo in parola appaiono di incerta idoneita' rispetto al  fine
programmatico  dell'intervento  normativo  e,  altresi',   gravemente
lesive dell'autonomia regionale. 
    In  quest'ottica,  una  disciplina  manifestamente  lesiva  delle
prerogative regionali si rinviene nell'art. 17,  rubricato  «Riordino
delle province e loro funzioni». A norma di tale articolo, allo scopo
di  conseguire   obiettivi   di   finanza   pubblica   necessari   al
raggiungimento del pareggio di bilancio, viene disposto  il  riordino
di tutte le province delle regioni a statuto  ordinario,  sulla  base
dei criteri delineati dai successivi commi. 
    Il comma 2 dispone che entro 10 giorni dall'entrata in vigore del
d.l. 95/2012, il  Consiglio  dei  Ministri  determini,  con  apposita
deliberazione  -  su  proposta  dei  Ministri  dell'interno  e  della
Pubblica Amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze - il riordino delle province sulla  base  di  requisiti
minimi, individuati nella dimensione territoriale e nella popolazione
residente  in  ciascuna  provincia  (tale  deliberazione   e'   stata
approvata il 20 luglio 2012, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.
171 del 24 luglio 2012). 
    Entro 70 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta  Ufficiale  della
suddetta deliberazione governativa, e dunque entro il 2 ottobre 2012,
il Consiglio delle autonomie locali (o, in mancanza,  analogo  organo
di raccordo tra regione ed enti locali), nel rispetto  del  principio
di continuita' territoriale, deve approvare e  poi  trasmettere  alla
Regione un'ipotesi di riordino relativa alle  province  presenti  nel
territorio regionale.  Entro  20  giorni  dalla  trasmissione  o,  in
mancanza,  entro  92  giorni  dalla  pubblicazione   nella   Gazzetta
Ufficiale della deliberazione governativa (e  quindi  al  piu'  tardi
entro il 24 ottobre), le regioni trasmettono al Governo una  proposta
di  riordino  delle  province  formulata  sulla  base  delle  ipotesi
avanzate dal C.A.L. o dall'analogo organo di raccordo (comma 3). 
    Da ultimo, il comma 4, nel delineare la fase conclusiva dell'iter
descritto, prevede che, entro 60 giorni dall'entrata in vigore  della
legge di conversione del d.l.  95/2012  (vale  a  dire  entro  il  14
ottobre), un «atto legislativo di iniziativa governativa»  perfezioni
il riordino delle  province,  sulla  base  delle  proposte  regionali
pervenute. In caso di mancata trasmissione  di  tali  proposte  entro
tale ultima data, il  provvedimento  legislativo  di  riordino  delle
Province sara' assunto  previo  parere  della  Conferenza  unificata.
Peraltro, appare da  subito  evidente  come  il  termine  a  quo  per
l'esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato  ex  comma  4
(14 ottobre) inizia a decorrere  prima  ancora  che  sia  scaduto  il
termine ad quem (24  ottobre  2012)  per  l'adozione  delle  proposte
regionali ai sensi del comma 3. 
    Il descritto riordino prevede inoltre (comma 4-bis) che il  ruolo
di comune capoluogo delle singole province venga assunto  dal  comune
gia' capoluogo di provincia con maggior popolazione residente,  salvo
il caso di diverso accordo tra i comuni gia'  capoluogo  di  ciascuna
provincia oggetto di riordino. 
    All'art. 17 d.l. 95/2012,  comma  6,  vi  e'  la  previsione  dei
trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative  in  precedenza
conferite alle province e  rientranti  nelle  materie  di  competenza
legislativa esclusiva dello  Stato  ai  sensi  dell'art.  117,  comma
secondo, della Costituzione, in attuazione dell'art.  23,  comma  18,
d.l. n. 201/2011, convertito in l. n. 214/2011. La norma  dispone  il
suddetto trasferimento «fatte salve le funzioni  di  indirizzo  e  di
coordinamento di cui all'art. 23, comma 14» del medesimo decreto.  Il
comma 12, nell'individuare gli organi di governo della Provincia  nel
Consiglio provinciale e nel Presidente  della  Provincia,  fa  salve,
analogamente al comma 6, le previsioni di cui all'art. 23, comma  15,
del citato d.l.  n.  201/2011.  Sia  consentito  rammentare  come  le
suddette disposizioni dell'art. 23 sono  oggetto  di  impugnativa  da
parte della regione Lombardia dinanzi  a  Codesta  Ecc.ma  Corte  con
ricorso n. 24 del 2012, pendente. 
    Il comma 11 del menzionato art. 17, infine, individua le funzioni
spettanti alla Regione  a  seguito  della  conclusione  del  processo
riordino   provinciale,   limitandole   alle   sole    funzioni    di
programmazione e di coordinamento, loro spettanti  nelle  materie  di
cui all'art. 117 cost. e a quelle esercitate ex art. 118 Cost. 
    Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 95 del 2012, come
convertite con legge n. 135 del  2012,  risultano  gravemente  lesive
delle prerogative della  Regione  Lombardia,  in  quanto  viziate  da
manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  17,  commi  da  1  a
4-bis, del d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l.  n.
135/2012, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 5,  71,  comma  1,  77,
comma 2, 114, commi 1 e 2, 117, commi 1, 2, 3 e 4, 118, comma 2, 119,
comma 2, 120, comma 2, 123, comma 4, 133 e 138 Cost. 
    1.1. I commi da 1 a  4-bis  dell'art.  17  del  d.l.  n.  95/2012
risultano    manifestamente    illegittimi    laddove,    descrivendo
compiutamente il procedimento di riordino delle province  attualmente
esistenti, si pongono in stridente contrasto con le previsioni di cui
all'art. 133, comma 1, Cost. 
    Tale disposizione costituzionale prevede che il  mutamento  delle
circoscrizioni  provinciali  e  l'istituzione   di   nuove   province
nell'ambito  delle  regioni  siano  coperti  da  riserva   di   legge
rinforzata, prescrivendo l'approvazione di una legge della Repubblica
su iniziativa dei Comuni interessati, previo parere della Regione. 
    In via preliminare, non  sembra  revocabile  in  dubbio  come  la
riserva   di   legge   rinforzata   prevista   dalla   citata   norma
costituzionale   debba   senz'altro   trovare   applicazione    anche
nell'ipotesi - quale e' quella oggetto del presente giudizio -  nella
quale non viene  stabilita  l'istituzione  di  una  nuova  provincia,
ovvero mutamento della circoscrizione di una gia'  esistente,  bensi'
viene disposto un riordino territoriale  di  carattere  generale,  il
quale  deve  quindi  ritenersi  a  fortiori  soggetto  al  richiamato
procedimento legislativo speciale. 
    Peraltro, e' appena il caso di rammentare come possa derogarsi al
procedimento definito dall'art. 133 cost. solo mediante  approvazione
di apposita legge costituzionale,  a  pena  di  violare,  oltre  alla
citata norma costituzionale, altresi' il  procedimento  di  revisione
costituzionale previsto dall'art. 138 Cost. 
    La necessita' del ricorso alla legge costituzionale per  derogare
al procedimento di variazione delle circoscrizioni provinciali, trova
conferma   da   parte   della   giurisprudenza   costituzionale.   In
particolare, con la sentenza n. 230 del 2001,  Codesta  Ecc.ma  Corte
ritenne legittima una legge  della  Regione  Sardegna  istitutiva  di
quattro nuove province, sebbene assunta in difformita' dell'art.  133
Cost., solo in considerazione del fatto che il predetto provvedimento
legislativo regionale  trovava  il  proprio  fondamento  direttamente
nello Statuto speciale della Regione Sardegna, il  quale,  in  quanto
adottato con legge costituzionale, aveva «forza derogatoria» rispetto
alla predetta disposizione costituzionale. 
    Allo stesso modo Codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 2, della
legge 142 del 1990 in base al quale sono state istituite sette  nuove
province con leggi delegate. In  questo  caso,  infatti,  secondo  il
Giudice delle leggi non vi fu deroga rispetto alla procedura disposta
dall'art.  133  Cost.,  in  quanto  quest'ultima  «non  esclude   che
l'istituzione  di  una  nuova  provincia   (o   la   modifica   della
circoscrizione di una provincia esistente) possa  essere  effettuata,
oltre che con legge formale delle Camere, anche mediante  il  ricorso
ad una  delega  legislativa»  e  «non  vi  sono  ostacoli  di  natura
costituzionale  che  impediscano  che  gli  adempimenti   procedurali
destinati   a   "rinforzare"   il   procedimento    (e    consistenti
nell'iniziativa dei  comuni  e  nel  parere  della  regione)  possano
intervenire, oltre che in relazione alla  fase  di  formazione  della
legge  di  delegazione,  anche  successivamente  alla   stessa,   con
riferimento alla fase di  formazione  della  legge  delegata»  (sent.
347/1994). 
    Orbene, nel  caso  di  specie  emerge  chiaramente  il  carattere
derogatorio del procedimento  di  riordino  delle  province  rispetto
all'ordinario procedimento di revisione territoriale delle province. 
    In primo luogo, un elemento in tal senso  deve  essere  rinvenuto
nella mancata previsione di un adeguato ruolo dei Comuni  interessati
dal riordino, che ben  potrebbero  essere  del  tutto  contrari  alle
ipotesi formulate dal  CAL.  Ne',  del  resto,  tali  organi  possono
strutturalmente   essere   ritenuti   rappresentativi   dei    comuni
interessati. 
    Altro elemento di incompatibilita' della disciplina ivi censurata
con  la  disposizione   costituzionale   coincide   con   l'esplicita
esclusione della possibilita' che le proposte regionali  di  riordino
tengano conto delle eventuali iniziative comunali volte a  modificare
le circoscrizioni provinciali deliberate successivamente all'adozione
della deliberazione del Consiglio dei ministri che ha  determinato  i
criteri per il riordino medesimo (deliberazione adottata in  data  20
luglio 2012). Cio' manifesta una grave ed insanabile incoerenza della
procedura «creata» dal  Governo  che,  per  un  verso  disattende  il
dettato costituzionale (art. 133 e art.  138  Cost),  e  sotto  altro
profilo tuttavia «tiene conto» di una eventuale iniziativa  comunale,
circoscrivendola pero' ad un periodo anteriore  a  quello  in  cui  i
comuni interessati hanno avuto cognizione dei  criteri  di  riordino,
certamente non rispettando il principio di leale  collaborazione  tra
istituzioni. 
    Ulteriore dato  da  cui  risulta  desumibile  la  violazione  del
menzionato art. 133, comma 1, Cost., e' senz'altro quello  alla  luce
del  quale  e'  riconosciuto  al  Governo  il  potere  di  provvedere
legislativamente al riordino delle province anche  in  assenza  delle
proposte di riordino formulate dalle regioni sulla base delle ipotesi
trasmesse dall'organo di raccordo tra regione ed enti locali. 
    Gia' dal  rapido  esame  delle  suddette  previsioni,  emerge  in
maniera incontestabile l'assoluta inconciliabilita' del  procedimento
previsto  dall'art.  17  del  d.l.  n.  95/2012  rispetto  a   quello
costituzionale, del quale il legislatore statale sancisce di fatto la
sospensione e temporanea disapplicazione. 
    Inoltre, la  necessita'  di  attenersi  ad  un  procedimento  che
garantisse la piu' ampia forma di partecipazione dal parte dei comuni
nonche' la consultazione delle  popolazioni  interessate,  secondo  i
chiari  principi  espressi  dall'art.  133  Cost.,  trova   ulteriore
conferma nelle previsioni della Carta europea delle autonomie  locali
(European Charter of  Local  Self-Government)  del  15  ottobre  1985
ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439. La  Carta,
tra  le  numerose  disposizioni  poste  a   garanzia   dell'autonomia
politica,  amministrativa  e  finanziaria  delle  comunita'   locali,
prevede altresi' espressamente, all'art. 5, che per ogni modifica dei
limiti locali  territoriali,  le  collettivita'  locali  interessate,
dovranno essere preliminarmente  consultate,  eventualmente  mediante
referendum, qualora cio' sia consentito dalla legge  e,  all'art.  4,
comma 2, che le collettivita' locali hanno, nell'ambito della  legge,
ogni piu' ampia facolta' di prendere iniziative proprie per qualsiasi
questione che non esuli dalla loro  competenza  o  sia  assegnata  ad
un'altra autorita'. 
    Orbene, e' noto che secondo la giurisprudenza di  Codesta  Ecc.ma
Corte gli articoli della  Carta  europea  dell'autonomia  locale  non
hanno contenuto precettivo, ma  sono  prevalentemente  definitori,  e
programmatici  (Corte   cost.   n.   325/2010).   Purtuttavia   essa,
costituendo  atto  di  diritto  internazionale  recepito  con   legge
ordinaria  nell'ordinamento  interno,  ben   puo'   rientrare   nella
previsione costituzionale di cui all'art. 117,  comma  1,  cost.  che
impone  al  legislatore  il  rispetto  dei  vincoli  derivanti  dagli
obblighi internazionali. Ne deriva che la Carta costituisce parametro
idoneo ad orientare l'attivita' del legislatore, che i suoi  principi
deve rispettare. 
    Invero, alla luce delle indicazioni chiaramente desumibili  dalla
giurisprudenza costituzionale, una  siffatta  procedura  di  riordino
generale delle circoscrizioni provinciali, imposta dallo  Stato  agli
altri enti  territoriali  come  obbligatoria,  avrebbe  senza  dubbio
dovuto  trovare  nel  piu'  complesso   procedimento   previsto   per
l'approvazione delle leggi costituzionali,  tracciato  dall'art.  138
cost. il suo necessario fondamento, a garanzia e nel rispetto di quel
principio di autonomia che la Costituzione pone a tutela  degli  enti
territoriali nei confronti dello Stato. 
    E del resto, non puo' certo sfuggire come  lo  Stato,  lungi  dal
godere di una  potesta'  legislativa  ordinaria  generale,  ai  sensi
dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., ha competenza  limitatamente
a legislazione elettorale, organi di governo e funzioni  fondamentali
degli enti locali, dalla quale non appare certamente inferibile alcun
titolo competenziale giustificativo in  ordine  alla  modifica  delle
circoscrizioni provinciali oggetto  dell'intervento  legislativo  qui
impugnato. 
    E' evidente, dunque, come le censurate previsioni di cui all'art.
17 risultino palesemente illegittime per violazione degli artt.  133,
comma 1, Cost., nonche' dell'art. 138 Cost. 
    1.2.  Sotto  diverso  profilo,  le  disposizioni  oggetto   della
presente questione  di  legittimita'  costituzionale  si  pongono  in
stridente  contrasto  con  il  ruolo  che  la  Carta   costituzionale
attribuisce alle province. 
    In tal  senso,  sia  consentito  rammentare  come  queste  ultime
vengono delineate quali enti territoriali autonomi, costitutivi della
Repubblica,  dotati  di  statuti,   poteri   e   funzioni   garantiti
direttamente dalla Costituzione. Tali enti istituzionali sono diretta
espressione  del  principio  autonomistico  attraverso  il  quale  le
comunita' locali sono riconosciute quali formazioni sociali ai  sensi
dell'art. 2 Cost., nonche' del principio democratico  attraverso  cui
si esplica la sovranita' popolare. 
    A chiarire in maniere inequivoca il legame tra  il  principio  di
sovranita' di cui all'art. 1, il  principio  autonomistico,  tutelato
all'art. 5 Cost., e la nuova formulazione  dell'art.  114  Cost.,  e'
intervenuta la giurisprudenza di  Codesta  Ecc.ma  Corte  che,  nella
sent. 106 del 2002, ha  affermato  che  «Il  nuovo  Titolo  V  -  con
l'attribuzione alle Regioni della potesta' di determinare la  propria
forma di governo, l'elevazione al rango  costituzionale  del  diritto
degli enti territoriali  minori  di  darsi  un  proprio  statuto,  la
clausola di residualita' a favore delle Regioni, che ne ha potenziato
la  funzione  di  produzione  legislativa,  il  rafforzamento   della
autonomia finanziaria regionale, l'abolizione dei controlli statali -
ha disegnato di certo  un  nuovo  modo  d'essere  del  sistema  delle
autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuita'  nelle
relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal  modo  introdotti
non hanno  intaccato  le  idee  sulla  democrazia,  sulla  sovranita'
popolare e sul principio autonomistico che erano  presenti  e  attive
sin dall'inizio dell'esperienza repubblicana. Semmai  potrebbe  dirsi
che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia  trovato
oggi una positiva eco nella formulazione del  nuovo  art.  114  della
Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati
al fianco dello Stato  come  elementi  costitutivi  della  Repubblica
quasi  a  svelarne,  in  una  formulazione   sintetica,   la   comune
derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare». 
    E' evidente, pertanto, la diretta  incidenza  delle  disposizioni
censurate sui principi fondamentali sanciti dagli  artt.  1,  2  e  5
Cost.,  in  combinato  disposto  con  l'art.  114  Cost.,   i   quali
afferiscono  in  via  diretta  agli  essenziali  valori   democratici
dell'ordinamento e alla separazione verticale dei poteri. 
    Peraltro, le considerazioni appena svolte rilevano anche sotto un
ulteriore profilo. In particolare, se deve essere  riconosciuta  alla
disciplina di cui all'art. 17  l'attitudine  a  gravare  direttamente
sulla piena realizzazione dei predetti valori costituzionali,  e'  di
certo indubitabile che  simili  previsioni  non  possano  trovare  la
propria sedes materiae all'interno dello strumento del decreto-legge.
Nessuna ragione di necessita' e urgenza, infatti,  puo'  giustificare
una deroga ai  richiamati  principi  costituzionali.  Anche  a  voler
ammettere che un simile intervento straordinario rinvenga la  propria
ratio nella finalita' di garantire il conseguimento  degli  obiettivi
di finanza pubblica, finalita' asseritamente sostenuta  dal  comma  1
del  censurato  art.  17,  sia  sufficiente  richiamare,   in   senso
contrario, alcune pregnanti affermazioni, mediante le  quali  Codesta
Ecc.ma  Corte,  proprio  in  riferimento  all'attuale  situazione  di
emergenza finanziaria, ha recentemente  chiarito  che  «il  principio
salus rei pubblicae suprema lex esto non puo' essere invocato al fine
di sospendere le garanzie  costituzionali  di  autonomia  degli  enti
territoriali stabilite dalla Costituzione» (sentt. n. 148  e  n.  151
del 2012). 
    Peraltro, l'esame delle  disposizioni  introdotte  dal  censurato
art. 17 palesa con ogni  evidenza  come  la  disciplina  statale  sia
carente dei requisiti di necessita' ed urgenza ai  quali  l'art.  77,
comma 2, cost. vincola il corretto esercizio del  potere  legislativo
da parte del Governo. 
    Appare chiaro, in tal senso,  che  l'intervento  da  parte  dello
Stato,  lungi  dall'integrare  quei  connotati  di   straordinarieta'
prescritti dalla disposizione  costituzionale,  assume  piuttosto  il
carattere di opera  di  riordino  generale  del  complessivo  sistema
ordinamentale delle Province, come tale inidoneo ad essere perseguito
con lo strumento della decretazione d'urgenza. 
    Ne' tale evidente profilo di  illegittimita'  potrebbe  ritenersi
superato dall'avvenuta conversione del d.l. n. 95/2012 ad opera della
l. n. 135/2012. In tal senso, non pare prestarsi  ad  interpretazioni
difformi il consolidato orientamento sulla  base  del  quale  Codesta
Ecc.ma Corte ritiene che «la legge di conversione  non  ha  efficacia
sanante di eventuali vizi del decreto-legge» (Corte cost.,  sent.  n.
355 del 2010, e le ivi richiamate sentt. n. 171 del 2007 e n. 128 del
2008). 
    Per  tale  ragione  oltre  alle  gia'   richiamate   disposizioni
costituzionali le richiamate norme violano anche l'art. 77, comma  2,
Cost. 
    1.3. Sotto  diverso  profilo,  la  regione  ricorrente  non  puo'
esimersi dal rilevare come il procedimento descritto dall'art. 17 per
il riordino degli enti provinciali, oltre a derogare illegittimamente
alla procedura di  mutamento  delle  circoscrizioni  provinciali,  in
palese contrasto con l'art. 133 Cost., ridonda altresi' in violazione
della disciplina costituzionale posta dall'art. 71 cost.  in  materia
di iniziativa legislativa. 
    In particolare, sia consentito osservare che, ai sensi  dell'art.
17,  il  riordino  delle  province  sia  realizzato   mediante   atto
legislativo di  iniziativa  legislativa,  adottato  alla  luce  delle
proposte  regionali  di  riordino  formulate  in   base   all'ipotesi
approvate dai CAL (o  in  mancanza,  dagli  organi  di  raccordo  tra
regioni ed enti locali). 
    Tuttavia,  tale  previsione  si  pone  in  contrasto  con  quanto
previsto dall'art. 133, comma 1, a  mente  del  quale  il  potere  di
iniziativa spetta ai Comuni interessati, sentita la Regione  nel  cui
territorio  gli  stessi  si  situano.  In  tal  modo,  pertanto,   il
legislatore statale finisce  di  fatto  per  spostare  il  potere  di
necessaria integrazione del formale atto di iniziativa legislativa in
capo a soggetti - CAL o  organi  di  raccordo  -  diversi  da  quelli
previsti dall'art. 133 Cost. 
    A tal fine, e' opportuno precisare che  nei  predetti  organi  di
raccordo - a prescindere da  ogni  altra  considerazione  sulla  loro
natura e sui loro poteri - non e' comunque presente la totalita'  dei
comuni interessati, dal momento che vi  partecipano  invece  soggetti
che sicuramente non sono coinvolti dal riordino in  base  ai  criteri
definiti dal Governo (ad esempio, i sindaci della provincia  nel  cui
territorio si trova il comune capoluogo di regione). 
    La mancanza dell'iniziativa dei comuni interessati,  nonche'  del
parere della regione per l'avvio del procedimento di riordino -  atti
da intendersi entrambi costituzionalmente  obbligatori  -  rende  del
tutto illegittima, a norma degli artt. 133, comma 1, e 71,  comma  1,
Cost., la presentazione della formale iniziativa legislativa da parte
del Governo. 
    In tal senso,  sia  consentito  rammentare  come,  sia  pure  con
riferimento al diverso - ma in ogni caso analogo  -  procedimento  di
revisione territoriale ex art. 132, comma 2,  Cost.,  Codesta  Ecc.ma
Corte abbia avuto modo di precisare che la  legge  ordinaria  dovesse
limitarsi alla esclusiva attuazione dei soli  adempimenti  prescritti
da detta norma costituzionale, rimanendo invece  del  tutto  preclusa
l'introduzione di ulteriori aggravi procedimentali non  previsti,  in
quanto  inidonei  a  perseguire  «la  finalita'  di   consentire   la
complessiva emersione di tutti gli interessi locali  implicati  nella
operazione» (Corte cost., sent. n. 246 del 2010). 
    Orbene, nel caso di specie risulta immediatamente  evidente  come
la trasmissione delle proposte regionali di riordino formulate  sulla
base delle ipotesi dei CAL o degli  organi  di  raccordo  appaia  del
tutto  inidonea  a  realizzare  l'acquisizione  delle  posizioni  dei
singoli comuni interessati, obiettivo invece  chiaramente  perseguito
dall'art. 133, comma 2, Cost. 
    Anche sotto tale profilo,  pertanto,  l'art.  17  deve  ritenersi
manifestamente contrario al dettato costituzionale. 
    1.4.  Peraltro,  il  coinvolgimento  del  CAL  (o,  in  mancanza,
dell'organo  regionale  di  raccordo  tra  regioni  ed  enti  locali)
nell'ambito  del  procedimento  descritto  dalla  disciplina  statale
censurata risulta  altresi'  profondamente  lesivo  delle  competenze
regionali attribuite dagli artt. 123 e 117, comma 4, Cost. 
    E' appena il caso di rammentare come,  in  forza  del  menzionato
art. 123, comma 4, Cost., «in ogni Regione, lo statuto disciplina  il
Consiglio delle autonomie locali, quale organo di  consultazione  fra
la Regione e gli enti locali». 
    Codesta Ecc.ma Corte,  nel  pronunciarsi  proprio  in  ordine  al
Consiglio delle Autonomie locali, ha  osservato  come,  alla  stregua
della richiamata disposizione costituzionale, lo  stesso  costituisca
un «organo costituzionalmente necessario che deve essere disciplinato
dallo statuto». Sulla base  di  tale  presupposto,  interpretando  il
menzionato art. 123,  comma  4,  Cost.,  Codesto  Ecc.mo  Giudice  ha
precisato che  «quest'ultima  disposizione,  imponendo  una  espressa
riserva statutaria, presuppone ovviamente che  la  fonte  regolatrice
sia nella disponibilita' della Regione» (Corte cost.,  sent.  n.  370
del 2006). 
    Dalle suddette riflessioni emerge chiaramente, allora, come  ogni
regolamentazione e specificazione delle funzioni consultive del  CAL,
nonche'  l'eventuale  attribuzione  allo  stesso  di  ogni  ulteriore
compito spetti in via esclusiva all'autonomia  statutaria  regionale,
stante la predetta riserva sancita dalla Carta costituzionale. 
    Orbene, nel caso di specie il legislatore statale, assegnando  al
CAL delle competenze eccedenti le funzioni consultive di tale organo,
ha  illegittimamente  invaso  la  sfera  di  disciplina  strettamente
riservata all'autonomia statutaria delle regioni. 
    Con precipuo riferimento alla  Regione  Lombardia,  il  Consiglio
delle Autonomie locali e' stato istituito  con  DUPCR  n.  3  del  10
gennaio 2011, trovando compiuta disciplina nell'art. 54 dello Statuto
d'Autonomia lombardo, nonche' nella l.r. n.  22/2009.  E'  appena  il
caso  di  rilevare  come,  tra  le  varie  funzioni  che  la  Regione
ricorrente ha attribuito a tale organo, non rientrano di certo quelle
previste  dalle  disposizioni  oggetto  dell'odierna   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    Alla luce di tali considerazioni, pertanto,  l'art.  17  d.l.  n.
95/2012 risulta altresi' in contrasto sia con l'art.  123,  comma  4,
Cost.,  sia  con  la  competenza  legislativa  residuale  (e   quindi
esclusiva) in materia  di  disciplina  della  propria  organizzazione
interna che l'art. 117, comma 4, cost. riconosce alle Regioni. 
    1.5. Un ulteriore profilo di incostituzionalita' della disciplina
statale deve essere rinvenuto nella previsione secondo  la  quale  il
riordino delle province avvenga nell'Osservanza di requisiti  minimi,
la cui individuazione e' rimessa al Consiglio dei Ministri sulla base
dei soli criteri della dimensione territoriale  e  della  popolazione
residente in ciascuna provincia (comma 2). Analoghe  censure  possono
essere  mosse  nei   confronti   della   disciplina   relativa   alla
determinazione  dei  parametri  per   l'individuazione   del   comune
capoluogo delle nuove province risultanti in esito al riordino (comma
4-bis).  In  quest'ultimo  caso,   il   criterio   della   dimensione
demografica o all'accordo tra i Comuni interessati, non  tiene  conto
dell'evidente  necessita'  di  assicurare  al  capoluogo  una   certa
centralita' all'interno del nuovo contesto territoriale. 
    Sia  consentito  evidenziare  come  alla   luce   dei   parametri
individuati dalla Delibera del Consiglio dei ministri del  20  luglio
2012, le province di Sondrio, Mantova, Monza Brianza, Cremona,  Lodi,
Como Lecco Varese, non rispettano i prescritti requisiti  demografici
e territoriali. 
    Ma, soprattutto, la definizione di tali criteri  e'  avvenuta  in
totale  assenza  di  un  idoneo  titolo  competenziale   legittimante
all'interno del dettato costituzionale. Di certo, tale  potesta'  non
puo' essere rinvenuta all'interno dell'art. 117, comma 2,  lett.  p),
Cost., alla stregua del quale la competenza statale deve limitarsi  a
legislazione elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali
degli enti locali. Ne' alcuna attribuzione puo' discendere dal  comma
3 dello stesso articolo costituzionale. 
    Peraltro, il potere statale di determinare tali criteri non trova
nemmeno riscontro nell'art. 133 Cost., il quale, come gia' visto,  si
limita infatti a riservare ai Comuni interessati l'atto di iniziativa
dello speciale procedimento per  il  mutamento  delle  circoscrizioni
provinciali, da realizzarsi con eventuale legge  provvedimento  dello
Stato. Nella richiamata disposizione costituzionale, tuttavia,  alcun
riferimento e' rinvenibile in ordine alla possibile determinazione ex
lege di requisiti minimi delle circoscrizioni medesime. 
    Del resto, i criteri posti dalla Delibera  del  20  luglio  -  in
disparte ogni fondato rilievo sulla  congruita'  e  appropriatezza  -
vengono stabiliti con deliberazione del  Consiglio  dei  Ministri  in
aperta violazione della riserva di legge operante ai sensi  dell'art.
133 Cost. 
    L'art. 17, al comma 2, si limita ad una generica enunciazione dei
criteri della dimensione territoriale e della  popolazione  residente
in ciascuna provincia, senza  definire  alcuna  loro  parametrazione,
neanche di massima, mentre la  loro  effettiva  individuazione  viene
attribuita al Governo. L'Esecutivo risulta cosi' dotato di un  potere
pienamente discrezionale e del tutto arbitrario, in evidente  spregio
della ratio dell'art. 133 Cost., che al contrario  vincola  eventuali
mutamenti delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione  di  nuove
province allo strumento della legge,  posto  a  chiaro  presidio  dei
principi democratici e autonomistici e della  identita'  territoriale
delle Province. 
    Peraltro, non sfugge a codesta Regione come, prima della  riforma
del Titolo V, la revisione  delle  circoscrizioni  provinciali  abbia
trovato la propria disciplina ad opera dell'art. 16  l.  n.  142/1990
(poi rinnovato dall'art. 21 d.lgs. n. 267/2000), il  quale  conteneva
la  fissazione  di  alcuni  criteri  e  indirizzi   per   l'esercizio
dell'iniziativa comunale ex art. 133 Cost.,  relativi,  tra  l'altro,
alla dimensione territoriale e all'ampiezza demografica  di  ciascuna
provincia. 
    Tuttavia, occorre rilevare che detti criteri, oltre a non  essere
rigidi ma solo tendenziali,  trovavano  allora  giustificazione  alla
stregua del previgente testo del Titolo  V,  a  norma  del  quale  le
Province  erano  anche  circoscrizioni  di  decentramento  statale  e
regionale (art. 129 Cost.) e svolgevano funzioni determinate  in  via
generale e attribuite dallo  Stato  o  delegate  dalle  regioni,  per
quanto di rispettiva competenza  (art.  118  v.t.  e  art.  128  v.t.
Cost.). 
    A seguito della l.cost. n.  3/2001,  gli  artt.  5  e  114  cost.
riconoscono ora le Province quali  enti  autonomi  costitutivi  della
Repubblica, dotati di propri statuti, poteri  e  funzioni  secondo  i
principi fissati dalla Costituzione. Nell'ambito  del  nuovo  disegno
costituzionale, e' altresi'  opportuno  rilevare  che  alle  Province
spetta il conferimento di  funzioni  amministrative  sulla  base  dei
principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.  Pertanto
e' ben possibile che le stesse, in virtu' dei predetti canoni,  siano
attributarie di  funzioni  diverse  in  base  alle  diverse  esigenze
rilevanti sul territorio. 
    In altre parole, in  base  ai  nuovi  principi  che  regolano  il
conferimento   delle   funzioni   amministrative,   non    sono    le
caratteristiche territoriali delle autonomie locali  a  dover  essere
adeguate alle funzioni  amministrative  «decentrate»  dallo  Stato  e
dalla Regione, ma le funzioni medesime a  dover  essere  riconosciute
come «proprie» o a  dover  essere  «conferite»  ad  autonomie  locali
costitutive  della   Repubblica   sulla   base   del   principio   di
sussidiarieta' e dunque anche in maniera differenziata tra  provincia
e provincia secondo criteri di adeguatezza funzionale. 
    Venuto  meno  il  precedente  criterio   di   uniformita'   delle
competenze dei vari livelli di autonomia  locale,  non  trova  quindi
alcun possibile fondamento nel nuovo Titolo V della  Costituzione  la
fissazione di criteri  rigidi  per  il  riordino  territoriale  delle
Province. 
    Sotto diverso profilo, la determinazione da parte dello Stato  di
requisiti  minimi,  fondati  sulla  dimensione  territoriale   e   la
popolazione residente, risulta altresi' in contrasto con  i  principi
di ragionevolezza e  proporzionalita',  con  violazione  dell'art.  3
Cost. 
    E'  immediatamente  evidente,  infatti,   come   il   riferimento
esclusivo a parametri dimensionali  ovvero  demografici  finisca  per
svilire  e  non  tenere  nel  benche'  minimo   rilievo   la   natura
storico-identitaria delle autonomie territoriali, sancita dagli artt.
1, 2, 5 e 114 cost. In tal senso, il legislatore  statale  mostra  di
trascurare la necessita' di prendere  in  prioritaria  considerazione
criteri  storici  e  culturali  per  la  delimitazione  dei   confini
provinciali e l'individuazione dei rispettivi capoluoghi. 
    Inoltre, anche a voler concedere che possa costituire  un  titolo
competenziale idoneo quello invocato (ma non meglio qualificato)  dal
legislatore statale «al fine di contribuire  al  conseguimento  degli
obiettivi  di  finanza  pubblica  imposti  dagli   obblighi   europei
necessari al raggiungimento  del  pareggio  di  bilancio»,  i  rigidi
criteri fissati per il riordino delle Province appaiono irragionevoli
e sproporzionati rispetto agli obiettivi  medesimi,  determinando  un
vulnus dei  principi  costituzionali  fondamentali  della  sovranita'
popolare, dell'inviolabilita' dei diritti delle formazioni sociali  e
dell'autonomia locale, i quali non appaiono  adeguatamente  ponderati
nell'ambito di quel ragionevole bilanciamento dei valori che  avrebbe
dovuto  piu'  correttamente  orientare  il  legislatore  statale  nel
legittimo perseguimento delle proprie finalita' di contenimento della
spesa. 
    Alla luce delle considerazioni appena  svolte,  appare  manifesta
l'illegittimita',   nonche'   l'irragionevolezza   delle   previsioni
censurate. 
    Peraltro, tale illegittimita' sussisterebbe anche nella  denegata
e non creduta ipotesi in cui si ritenesse che il predetto  intervento
legislativo   possa   trovare   giustificazione   nell'ambito   della
competenza  legislativa  statale   di   principio   in   materia   di
coordinamento della finanza pubblica. 
    In tal senso, deve infatti osservarsi che la  disciplina  statale
risulta gia' da un primo esame non coerente con le  condizioni  poste
dalla giurisprudenza costituzionale per il legittimo esercizio  della
competenza  medesima.  Secondo  l'orientamento  ormai  consolidato  e
costante di Codesta Ecc.ma Corte, infatti, affinche' le  disposizioni
con cui lo Stato pone dei  vincoli  all'autonomia  regionale  possano
dirsi legittime occorre che le stesse «si limitino a porre  obiettivi
di riequilibrio della  finanza  pubblica,  intesi  nel  senso  di  un
transitorio contenimento complessivo, anche se  non  generale,  della
spesa  corrente  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (in tal senso,
di recente, Corte cost., sentt. n. 148 e n. 193 del 2012). 
    Nel  caso  di  specie,  tuttavia,  nessuna  delle  due   suddette
condizioni risulta rispettata. Da una parte,  infatti,  la  normativa
volta a ridurre  la  spesa  mediante  il  «riordino  delle  province»
intenderebbe  produrre  l'effetto  -  strutturale  e  niente  affatto
transitorio - della soppressione delle Province che non rispondono ai
criteri fissati dallo Stato. Dall'altra, la rigida determinazione  di
tali  criteri  (individuati  come  requisiti  minimi  di   dimensione
territoriale e popolazione residente) risulta demandata  direttamente
dal Governo (con atto non normativo non soggetto al raccordo  con  le
regioni e gli enti locali), senza alcuna possibilita' di  adattamento
alle esigenze del  territorio  degli  obiettivi  di  riduzione  della
spesa. 
    Peraltro,   in   riferimento   alle   perseguite   finalita'   di
contenimento della spesa  pubblica,  e'  bene  precisare  come  dalla
relazione tecnica al disegno di legge  di  conversione  del  d.l.  n.
95/2012  non   sia   dato   evincere   alcun   criterio   di   esatta
quantificazione degli effetti finanziari conseguibili. 
    Le menzionate previsioni, pertanto, risultano del tutto  inidonee
a definire norme di coordinamento della finanza pubblica, derivandone
la violazione degli artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, Cost. 
    1.6.  In  ultimo,  la  disciplina  relativa  al  procedimento  di
riordino delle province risulta altresi' incompatibile con gli  artt.
3, 118, 120 e  133  Cost.,  nella  parte  in  cui  viene  configurata
un'ipotesi di  esercizio  del  potere  sostitutivo  del  Governo  nei
confronti delle Regioni nel caso di mancato invio delle  proposte  di
riordino da parte di queste ultime. 
    In particolare, il comma 4 dell'art. 17 dispone che se  entro  60
giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del d.l.  n.
95/2012 una o piu' proposte di  riordino  non  sono  trasmesse  dalla
Regione al Governo, il provvedimento legislativo  di  riordino  delle
Province e' assunto previo parere della Conferenza unificata. 
    Peraltro, il meccanismo surrogatorio delineato dalla disposizione
sopra descritta non risulta coerente con i  requisiti  e  presupposti
stabiliti dalla costante giurisprudenza costituzionale in  ordine  al
corretto esercizio di  un  intervento  sostitutivo  dello  Stato  nei
confronti degli enti territoriali. Requisiti che, dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione trovano  ora  anche  positivo  fondamento
nell'art. 120, comma 2, cost. e nell'art. 8 l. n.  131/2003,  che  al
primo da' attuazione. 
    In primo luogo, e'  pacifico  l'orientamento  di  Codesta  Ecc.ma
Corte  secondo  cui  la  sostituzione  trova  il  proprio  ontologico
presupposto nel mancato o inesatto adempimento di  atti  o  attivita'
dovuti o necessari, ossia privi di discrezionalita' nell'an  (in  tal
senso, si vedano a titolo  meramente  esemplificativo,  Corte  cost.,
sentt. n. 240 e n. 43 del 2004,  nonche'  sent.  n.  177  del  1988).
Appare chiaro come tali  non  possano  certo  ritenersi  le  proposte
regionali di riordino delle province, le quali vanno intese come atti
di iniziativa del procedimento di revisione ex  art.  133,  comma  1,
Cost., e quindi, con ogni  evidenza,  assolutamente  discrezionali  e
certamente non vincolati. 
    Sotto  diverso  profilo,  non  risulta  nemmeno   rispettato   il
principio  di  leale  collaborazione.  Dall'esame  della   disciplina
censurata emerge come l'eventuale ritardo  nella  trasmissione  della
proposta  di  riordino  comporti  l'automatica   sostituzione   della
volonta' regionale da parte del Governo, senza che sia garantita alla
Regione interessata alcuna interlocuzione,  ne'  «alcuna  limitazione
procedurale, che consenta all'ente inadempiente di  compiere  l'atto»
(Corte cost., sent. n. 165 del 2011).  In  tal  senso,  non  e'  dato
rinvenire all'interno della disciplina censurata nessuna  delle  fasi
procedimentali prescritte dall'art. 8 l. n.  131/2003.  Ne'  il  mero
parere espresso dalla Conferenza unificata in ordine al provvedimento
legislativo di riordino puo' ritenersi  satisfattivo  delle  garanzie
partecipative delle singole Regioni. 
    Peraltro,  la  mancata  predisposizione  di  adeguate  forme   di
collaborazione assume un profilo ancor piu' lesivo  nella  misura  in
cui, attraverso l'esercizio del suddetto intervento  sostitutivo,  lo
Stato diventa l'unico attore di una fattispecie  costituzionale  che,
alla stregua delle chiare indicazioni desumibili dall'art. 133, comma
2, Cost., non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere
unilaterale, che pretermetta del tutto la necessaria  iniziativa  dei
comuni interessati e della consultazione regionale. 
    Ne' si puo' ritenere che l'atto di iniziativa del procedimento di
revisione delle circoscrizioni provinciali  (sul  quale  deve  essere
sentita anche la Regione) possa essere oggetto  di  una  chiamata  in
sussidiarieta'   dello   Stato,   giacche'    in    tal    modo    la
«flessibilizzazione»   di   una   specifica   competenza    assegnata
direttamente dalla Costituzione - e non, in via mediata, dalle  leggi
di conferimento delle funzioni amministrative ai sensi dell'art.  118
cost. - ridonderebbe nella  violazione  del  principio  di  rigidita'
costituzionale ricavabile dall'art. 138 Cost. 
    In ultimo, ad aggravare ulteriormente la lesione del principio di
lealta' istituzionale, la scrivente  difesa  non  puo'  esimersi  dal
rilevare come a norma del comma 4 del censurato art. 17 il termine  a
quo per l'esercizio del potere sostitutivo statale inizia a decorrere
ancor prima della scadenza del termine ad  quem  per  l'adozione  dei
provvedimenti oggetto della surrogazione. 
    In tal senso, il potere sostitutivo e' azionato dallo  Stato  nel
caso di mancato invio delle proposte regionali di riordino  entro  60
giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
d.l. n. 95/2012, ossia il 15 ottobre 2012.  Tuttavia,  il  precedente
comma  3  assegna  alle  Regioni,  come  termine   massimo   per   la
trasmissione di tali proposte, 92 giorni dalla data di  pubblicazione
della deliberazione del Consiglio  dei  Ministri  avente  ad  oggetto
l'individuazione dei  requisiti  minimi  di  riordino  (ossia  il  24
ottobre 2012). 
    Il meccanismo sostitutivo  delineato  dalla  disciplina  statale,
nella parte  in  cui  riconosce  al  Governo  un  potere  sostitutivo
azionabile ancor prima del  decorso  integrale  dei  termine  per  il
compimento   dell'attivita'   oggetto   di   sostituzione,    risulta
manifestamente illegittimo, oltre che per violazione  dell'art.  120,
comma 2, Cost., anche per contrasto  con  l'essenziale  principio  di
razionalita' interna della legge, sancito dall'art. 3 Cost. 
    2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 6 e 12,  del
d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l.  n.  135/2012,
per violazione degli artt. 1, 3, 5, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. 
    2.1. L'art. 17 del d.l. n. 95/2012 risulta  altresi'  illegittimo
nella parte in cui, ai commi 6 e 12,  fa  salve  alcune  disposizioni
dell'art. 23 d.l.  n.  201/2011,  le  quali  sono  state  oggetto  di
precedente impugnazione da parte della Regione  Lombardia  dinanzi  a
Codesta Ecc.ma Corte, anche a  tutela  delle  Province  presenti  sul
proprio territorio (reg.  ric.  n.  24  del  2012,  Udienza  pubblica
fissata al 6 novembre 2012). 
    In particolare, il predetto comma 6, nel dare attuazione all'art.
23, comma 18, d.l. n. 201/2011, dispone il  trasferimento  ai  comuni
delle funzioni precedentemente  conferite  alle  province  con  legge
statale nelle materie di competenza esclusiva ex art. 117,  comma  2,
Cost., fatte salve le funzioni di indirizzo e coordinamento di cui al
comma 14 del menzionato art. 23. 
    Il successivo comma 12 dell'art. 17, invece, fa salvo l'art.  23,
comma 15, d.l. n.  201/2011  (anch'esso  gia'  oggetto  di  ricorso),
confermando la limitazione degli organi della provincia solamente  al
Consiglio provinciale e al Presidente della Provincia. 
    Le norme oggi censurate, nel richiamare  le  suddette  previsioni
dell'art.   23,   risultano   viziate   dagli   stessi   profili   di
illegittimita' gia' dedotti dalla Regione Lombardia dinanzi a Codesta
Ecc.ma Corte nei confronti di tale ultimo articolo. 
    A tal fine, sia consentito richiamare le censure  avanzate  dalla
ricorrente   nell'ambito   del    giudizio    di    costituzionalita'
precedentemente instaurato. 
    In tale sede, e' stato in  primo  luogo  posto  in  rilievo  come
l'art. 23, commi da 14 a 20, del  d.l.  n.  201/2011  sia  gravemente
viziato  da  irragionevolezza,   arbitrarieta',   incongruita',   non
pertinenza, ridondanti in una grave illegittimita' per contrasto  con
il principio di ragionevolezza, nonche' in riferimento agli artt. 1 e
5 Cost. 
    Tale articolo opera invero un radicale intervento che colpisce in
profondita' funzioni, organi e caratteristiche rappresentative  delle
Province, alterando completamente la  fisionomia  del  sistema  delle
Autonomie locali. 
    L'intervento normativo incide in modo diretto sul  livello  della
rappresentanza  politica  e  sulle  funzioni.  Viene  determinata  la
drastica riduzione degli amministratori, e'  disposta  l'eliminazione
delle  elezioni  provinciali   dirette,   si   realizza   sostanziale
svuotamento delle  funzioni,  fatte  salve  imprecisate  e  generiche
funzioni  di  «indirizzo  e  di  coordinamento»,   che   all'evidenza
necessitano  di  ulteriori  strumenti   di   chiarificazione   e   di
definizione. 
    In particolare, si  espongono  a  gravi  e  fondate  critiche  di
legittimita' le disposizioni che prevedono: 
        a) la limitazione delle funzioni provinciali esclusivamente a
quelle «di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle
materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale,  secondo
le rispettive competenze» (comma 14); 
        b) l'obbligo imposto alle Regioni di provvedere (entro il  31
dicembre 2012) al trasferimento ai Comuni (salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni,  sulla
base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza)
delle funzioni provinciali, con previsione, in caso di inadempimento,
di esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 131
del 2003 (comma 18); 
        c) l'obbligo imposto alle Regioni di provvedere  altresi'  al
trasferimento delle risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per
l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito  delle
medesime  risorse  il   necessario   supporto   di   segreteria   per
l'operativita' degli organi della provincia (comma 19). 
    Le impugnate disposizioni rendono necessaria la riallocazione  di
funzioni, personale, risorse e strutture  sia  verso  i  Comuni,  sia
verso la Regione. L'intervento denota una grave carenza valutativa in
termini di compatibilita' costituzionale, dimensione effettiva  della
trasformazione e funzionalita' rispetto agli obiettivi da perseguire.
E' tanto piu' irragionevole perche'  operata  mediante  lo  strumento
d'urgenza del decreto-legge. 
    Produce inoltre una serie di paradossi che si oppongono, in  modo
assai deciso, al  conseguimento  degli  obiettivi  attesi  dalla  sua
attuazione.  Ed  infatti,  nonostante  la  perentoria   proclamazione
dell'intestazione dell'articolo, il risultato  dell'attuazione  della
norma non si traduce in immediati e rilevanti risparmi di  spesa,  la
quale spesa semplicemente viene spostata verso il nuovo  destinatario
delle funzioni amministrative precedentemente provinciali. 
    Senza contare, poi, che il sistema risultante dalle  disposizioni
di  cui  all'art.  23  non  esclude,  ma  anzi  presuppone  e  quindi
autorizza, una proliferazione di apparati amministrativi  di  livello
regionale e sovracomunale (con particolare riguardo  agli  organi  di
raccordo previsti dal comma  21)  e  provinciale  (le  strutture  che
forniranno il supporto di segreteria per l'operativita' degli  organi
della provincia di cui al comma 19). 
    In ultimo,  non  e'  peregrino  ritenere  che  la  portata  della
trasformazione determinata dal d.l. n. 201/2011 implichi un  processo
lungo, conflittuale e con costi difficilmente quantificabili. 
    L'insorgenza certa di  tali  criticita',  connessa  all'immediata
operativita'   della   norme   impugnate,   certamente    contraddice
frontalmente la ratio ispiratrice dell'art. 23. 
    Gravissime appaiono le ripercussioni delle norme in questione  in
ordine alla gestione delle cd. «aree vaste». In tal senso, le  misure
di rimodellazione della rappresentanza politica della Provincia e  di
riallocazione forzata delle funzioni sono state assunte in assenza di
qualsivoglia  indicatore  di  segno   negativo   che   contraddicesse
l'appropriatezza delle Province quale  ambito  territoriale  ottimale
per la gestione delle funzioni relative ad aree vaste. 
    Dovendosi  escludere  che  tutte  le  funzioni   provinciali   da
riallocare, in base ai  principi  di  sussidiarieta',  adeguatezza  e
differenziazione, possano essere assunte direttamente dalla  Regione,
e' da ritenere che - fino a una futura razionalizzazione dell'assetto
organizzativo degli enti locali regionali - si verifichera', con ogni
probabilita', un aumento dei costi, determinato  dall'istituzione  di
nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal  venir  meno  delle
economie di scala su base provinciale e, comunque,  dalla  necessita'
di far fronte ad una fase di riorganizzazione certamente complessa  e
conflittuale. 
    In aggiunta, deve  porsi  in  rilievo  come  la  riforma  attuata
dall'art. 23 colpisca le province solo quali  enti  autonomi,  ovvero
enti di gestione di funzioni amministrative regionali,  e  non  anche
quali ambiti di articolazione periferica  dello  Stato.  L'ambito  di
decentramento  statale  di  livello  provinciale,  con   riguardo   a
numerosissime funzioni, continua ad  essere  pienamente  operativo  e
assolutamente non inciso (si pensi al ruolo degli uffici territoriali
del   Governo-prefetture,   dei   provveditori   scolastici,    delle
soprintendenze per i beni culturali). 
    Non e' possibile, infine, tacere che le norme qui  impugnate  non
introducono nessun elemento di adattamento  a  contesti  territoriali
che  presentano  caratteristiche  di  profonda  differenziazione  sul
territorio nazionale. 
    I  gravi  e  numerosi  problemi  rendono  palese  l'incongruita',
l'inadeguatezza e la piena insufficienza delle disposizioni di cui ai
commi  dal  14  al  20,  dell'art.  23  rispetto   al   conseguimento
dell'obiettivo di snellimento, semplificazione e riduzione dei  costi
del sistema. 
    Sotto  diverso   profilo,   appare   evidente   come   l'impianto
complessivo disegnato dall'art. 23, e in particolare dai commi 15, 16
e 20, si ponga in chiaro contrasto con l'autonomia costituzionalmente
garantita delle Province, in aperta violazione dell'art. 114 Cost. 
    Cio' appare chiaro nella misura in  cui  legislatore  statale  ha
inteso  trasformare  radicalmente  l'ente,  sopprimendo   le   giunte
provinciali e mantenendo quali unici organi di governo  il  Consiglio
provinciale e il  Presidente  della  Provincia  (comma  15),  nonche'
prefigurando una rappresentanza di secondo grado dei futuri  Consigli
provinciali (comma 16) e la conseguente  decadenza  degli  organi  in
carica delle Province (comma 20). 
    La soppressione dell'organo esecutivo provinciale appare  inoltre
in stridente contrasto con l'attribuzione ad opera del DL 95/2012  di
un fascio di funzioni di grande rilievo e  complessita',  individuate
dai legislatore statale come proprie e indefettibili dell'ente. 
    In tal modo, la disciplina statale ha di fatto disconosciuto alla
Provincia la natura di ente autonomo costitutivo della Repubblica cui
spetta una sfera incomprimibile di poteri, funzioni e competenze. 
    In questo senso, il comma  19,  stabilendo  che  io  Stato  e  le
Regioni,   secondo   le   rispettive   competenze,   provvedono    al
trasferimento delle risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per
l'esercizio  delle  funzioni  trasferite,  si  pone  palesemente   in
contrasto   con   l'autonomia   statutaria,   organizzativa   nonche'
finanziaria delle Province e con la riserva di  potere  regolamentare
di cui all'art. 117, comma 6. 
    Anche a voler concedere che il  predetto  intervento  legislativo
possa  trovare  la  propria  giustificazione   nell'esercizio   della
competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, comma 2,  lett.
p), Cost., in materia di legislazione elettorale ed organi di governo
di Comuni e Province, non puo' certo  revocarsi  in  dubbio  come  lo
Stato non possa tuttavia incidere sul carattere democratico dell'ente
territoriale, implicato dal principio autonomistico di cui agli artt.
5 e 114 Cost. 
    Ulteriore ragione di illegittimita' dell'art. 23 deve essere  poi
rinvenuta nell'obbligo per  le  Regioni  di  riallocare  le  funzioni
conferite alle Province dalla vigente  legislazione  regionale.  Tale
imposizione  appare   tanto   piu'   arbitraria,   ingiustificata   e
illegittima ove si pensi che l'art. 23 non determina la  soppressione
assoluta  dei  predetti  enti,  i  quali,   ancorche'   depotenziati,
continuano comunque ad essere presenti nell'ordinamento. Ben possono,
quindi, essere scelti discrezionalmente dalle Regioni quali  soggetti
istituzionali destinatari delle funzioni regionali,  cosi'  come  del
resto stabilito dallo stesso art. 118 Cost. 
    Di contro, a nulla varrebbe per lo Stato invocare  il  menzionato
art. 117, comma 2, lett. p), cost. Codesta Ecc.ma Corte ha,  infatti,
chiaramente affermato che «quale che debba ritenersi il rapporto  fra
le "funzioni fondamentali" degli enti locali  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto art.
118, secondo comma, sta di fatto che sara' sempre la legge, statale o
regionale, in relazione al riparto delle  competenze  legislative,  a
operare la concreta collocazione delle funzioni»(Corte  cost.,  sent.
n. 43 del 2004). 
    Orbene, l'obbligo di  riallocazione  delle  funzioni  imposto  al
legislatore  regionale  determina  un'illegittima   invasione   delle
attribuzioni delle Regioni, nella misura in cui viene a  limitare  la
loro autonomia in merito alla determinazione del livello territoriale
di governo piu' idoneo all'esercizio di funzioni di loro  competenza.
Invasione tanto piu' grave e manifesta  ove  solo  si  consideri  che
l'art. 23 prevede espressamente l'esercizio di un potere  sostitutivo
statale - per giunta di carattere legislativo - in  caso  di  mancato
adempimento. 
    Alla luce delle censure sopra Osservate, non pare  revocabile  in
dubbio come i commi 6 e 12 dell'art. 17 d.l.  n.  95/2012,  nel  fare
salve, ovvero dare attuazione alle previsioni recate  dal  menzionato
art. 23 d.l. n. 201/2011, finiscono  per  ripetere  e  confermare  il
grave vulnus arrecato dalle stesse a danno della sfera di  competenze
regionali. Ne deriva la loro manifesta illegittimita' costituzionale. 
    3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 11, del d.l.
n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla  l.  n.  135/2012  per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. 
    Infine, un'ultima ragione di illegittimita' del  menzionato  art.
17 d.l. n.  95/2012  si  rinviene  nella  parte  in  cui,  dopo  aver
individuato le funzioni di area  vasta  quali  funzioni  fondamentali
delle province (comma 10), al  successivo  comma  11  riconosce  alle
Regioni le  sole  funzioni  di  programmazione  e  di  coordinamento,
spettanti nelle materie di cui all'art. 117,  commi  3  e  4,  Cost.,
nonche' quelle esercitate ai sensi dell'art. 118 Cost. 
    In altre  parole,  la  norma  suddetta,  qualora  dovesse  essere
interpretata nel senso di limitare il ruolo  regionale  all'esclusivo
svolgimento dei compiti sopra individuati, sottrarrebbe di fatto alle
Regioni tutte le funzioni non espressamente richiamate,  malgrado  le
stesse siano pacificamente spettanti ai  sensi  del  chiaro  disposto
degli artt. 117 e 118 cost. E', infatti, fuori  di  dubbio  che  alla
stregua del dettato costituzionale il novero dei poteri regionali  in
materia  di  esercizio  delle  funzioni  amministrative   non   possa
ritenersi esaurito - a differenza di quanto sembra  invece  affermare
la norma statale  -  dalle  sole  attribuzioni  di  programmazione  e
coordinamento. 
    In tal senso, non sfugge certo alla scrivente difesa  che  l'art.
118, comma 1, Cost., nella formulazione successiva alla  riforma  del
Titolo V, ha enunciato il principio  della  competenza  generale  dei
Comuni come enti istituzionali attributari in via preferenziale delle
funzioni amministrative. Tuttavia, non  puo'  certo  trascurarsi  che
tale norma costituzionale reca invero  un  criterio  direttivo  e  di
orientamento nei confronti del legislatore regionale. 
    Del resto, tale conclusione trova espressa conferma  anche  nella
giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte. In  particolare,  «quale  che
debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti
locali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p, e le  "funzioni
proprie" di cui a detto art. 118, secondo comma,  sta  di  fatto  che
sara' sempre la legge, statale o regionale, in relazione  al  riparto
delle competenze legislative,  a  operare  la  concreta  collocazione
delle funzioni» (Corte cost., sent. n. 43 del 2004). 
    Appare, pertanto, evidente che, dal momento che l'attribuzione in
concreto delle funzioni amministrative necessita pur  sempre  di  una
legge statale o regionale di conferimento, non v'e' dubbio alcuno che
la Regione ben potra' disporre di un ampio  novero  di  funzioni  che
potra' delegare, tra gli altri, anche alle Province  sulla  base  dei
principi di differenziazione, adeguatezza e sussidiarieta'. 
    Tale configurazione non  esclude,  pertanto,  che  nella  propria
opera  di  concreta  destinazione   delle   funzioni   amministrative
rientranti nelle materie di propria competenza ex art. 117, commi 3 e
4, Cost., la Regione possa riservare a  se'  l'esercizio  di  compiti
diversi  ed  ulteriori  rispetto  a  quelli   di   programmazione   e
coordinamento. 
    Limitando invece il ruolo regionale allo svolgimento esclusivo di
tali  ultimi  compiti,  la  disposizione  censurata  illegittimamente
ridimensiona in maniera sensibile il potere della Regione  di  optare
per un diverso sistema di riparto delle funzioni amministrative. Cio'
in palese violazione delle previsioni  costituzionali  sancite  dagli
artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost.