IL TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento penale a carico di B.G., D.N.D., P.  A.  e  Q.S.
per i reati di cui agli artt. 110,113 c.p.,  17  1°  comma  legge  n.
194/1978 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
Premessa. 
    Con decreto di citazione emesso in data 13 dicembre 2010, il P.M.
di Treviso rinviava a giudizio gli  imputati  in  epigrafe  indicati,
tutti medici del reparto di ostetricia  e  ginecologia  dell'Ospedale
Civile di  Oderzo  (TV),  perche':  «...In  concorso  e  comunque  in
cooperazione colposa fra  loro,  avendo  avuto  in  cura,  presso  il
reparto di ostetricia-ginecologia  dell'ospedale  civile  di  Oderzo,
nelle rispettive qualita' di cui sopra, la  sig.ra  B.O.  E.D.  ormai
prossima al  parto,  cagionavano  colposamente  l'interruzione  della
gravidanza e la morte intra-uterina  del  feto.  In  particolare  sia
all'atto del ricovero, sia successivamente, nelle varie fasi  in  cui
ciascuno degli indagati, durante le giornate del  2  e  del  3  marzo
2007,  prendeva  cognizione  dell'andamento  clinico  del  travaglio,
omettevano di considerare ed approfondire gli esami cardiotocografici
anche alla luce dal  complessivo  quadro  anamnestico  indicativi  di
"probabile  sofferenza  fetale"  e  di  conseguentemente  avviare  la
partoriente al parto cesareo, parto che se  tempestivamente  eseguito
con probabilita' prossima alla certezza avrebbe garantito la  nascita
di un neonato vitale. In Oderzo, 2, 3 marzo 2007....». 
    Molto tempo prima della emissione del decreto  di  citazione,  la
persona offesa, con dichiarazione dimessa alla  Stazione  Carabinieri
di Ponte di Piave in data 15 dicembre 2008, aveva rimesso la  querela
presentata nei confronti dei suddetti medici, dichiarando  di  essere
stata integralmente risarcita dei danni da lei subita, ma il processo
aveva ugualmente seguito li suo corso. 
    In sede dibattimentale, dopo l'astensione  per  motivi  personali
del Giudice del Tribunale di Treviso designato, il  fascicolo  veniva
rassegnato  a  questo  Giudice,  che   fissava   la   prima   udienza
dibattimentale avanti a se' in data 28 marzo 2012. 
    A tale udienza, nella fasi degli atti preliminari,  il  difensore
dell'imputato B.G. sollevava questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 17 della legge n. 194/1978, che prevede e punisce il  reato
di aborto colposo contestato in concorso a  tutti  gli  imputati,  in
relazione all'art. 3 Cost, per i motivi di seguito precisati. 
    Evidenziava in sintesi la difesa la disparita' di trattamento dal
punto di vista processuale per l'ipotesi dell'aborto colposo rispetto
all'ipotesi delle lesioni  gravissime  regolate  dal  Codice  Penale;
sosteneva nello specifico:  «...Il  codice  penale  del  1930,  nella
formulazione originaria del 583 che regolava le  lesioni  gravissime,
alla ipotesi numero 5  nell'ultimo  comma  prevedeva  l'aborto  della
persona offesa e quindi la lesione personale era gravissima allorche'
veniva o prodotta la malattia insanabile o prodotta la perdita di  un
senso o prodotta la perdita di un arto e determinata la  deformazione
o lo sfregio del viso e prodotto l'aborto della persona offesa in tal
caso la lesione era gravissima... Poi l'art.  590,  che  regolava  le
lesioni  personali  colpose,  si  riferiva  alle  lesioni  gravissime
dell'art. 583. Quando entra in vigore la Legge  sull'Aborto  nel  '78
viene estrapolata questa ultima ipotesi del  583  e  conseguentemente
viene anche ridotta per quanto riguarda il 590 la ipotesi dell'aborto
colposo come lesione personale gravissima, pero' la  pena  non  viene
assolutamente modificata e quindi si estrapola questa fattispecie, la
si regola con la medesima pena e ha una sua autonomia  dal  punto  di
vista della collocazione nell'ordinamento giuridico.  Successivamente
interviene la modifica della procedibilita' delle lesioni colpose del
590 che vengono ritenute procedibili a querela di parte. Allorche' si
introduce da  parte  del  legislatore  questo  differente  regime  di
procedibilita' del 590 si omette completamente qualsiasi  riferimento
alla  fattispecie;...  purtroppo  la  (Legge  del  1978)  era   stata
estrapolata dal Codice Penale  e  era  stata  resa  autonoma.  Allora
abbiamo fattispecie analoghe, trattate con la medesima pena,  ma  con
regime  processuale  diverso.  L'aborto  colposo  rimane  procedibile
d'ufficio, le lesioni personali gravissime  diventano  procedibili  a
querela di parte e non se ne parla piu'. Tecnica  legislativa  a  mio
modesto modo di pensare assolutamente non all'altezza del legislatore
che ha emanato il Codice Penale o  il  Codice  di  Procedura  Penale,
tecnica legislativa assolutamente non particolarmente  presente  alle
varie fattispecie. Ultimo argomento che vorrei usare e' il  seguente,
laddove nella modifica del 590 il legislatore ha ritenuto di  rendere
procedibili d'ufficio determinate lesioni gravissime, e lo ha fatto e
lo  ha  detto   allorche'   per   esempio   si   violano   le   norme
antinfortunistiche l'ha espressamente previsto. Allora se legislatore
ha trattato in modo particolare le lesioni gravissime allorche'  c'e'
stata la violazione antinfortunistica o  altre  violazioni  di  altre
norme l'ha detto, ma ha omesso di occuparsi delle  lesioni  personali
gravissime con l'aborto della persona, che purtroppo nel '78 la legge
n. 194 aveva estrapolato.  A  sommesso  avviso  della  Difesa  signor
Giudice qui c'e' una disparita' di trattamento dal punto di vista non
sanzionatorio, ma procedimentale su fattispecie  che  strutturalmente
sono analoghe, che sono sorte insieme e strutturalmente,  strutturate
nel 583 e a mio avviso  questo  viola  il  principio  di  eguaglianza
dell'articolo 3 della Costituzione. La questione non  e'  irrilevante
per la nostra fattispecie perche' abbiamo in atti la querela e quindi
se   fosse   vera,   se   fosse   accoglibile   la   mia   tesi    di
incostituzionalita' sarebbe determinante dal  punto  di  vista  anche
della soluzione della fattispecie concreta...». 
    Alla questione sollevata si associavano i difensori  degli  altri
imputati; la difesa dell'Imputato D.N., nello specifico,  aggiungeva:
«...L'Avvocato Vianelli nell'associarsi  alla  svolta  eccezione  che
reputa non solo interessante da  un  punto  di  vista  giuridico,  ma
reputa fondata o quantomeno signor Giudice  per  la  valutazione  che
Ella dovra' compiere oggi non manifestamente infondata perche' qui al
di la' appunto della condivisione da parte mia della svolta eccezione
sotto profilo della fondatezza oggi ricordo a me stesso, come si  usa
dire, che suo compito sara' quello di valutare se la questione sia  o
meno innanzitutto manifestamente infondata,  ma  non  lo  e'.  A  mio
sommesso modo di vedere e' fondata,  potrebbe  essere  manifestamente
fondata, certamente non e' manifestamente infondata e per  cui  primo
requisito  senz'altro  come  ben  ha  detto  l'Avvocato  Pignata   e'
soddisfatto. Sulla rilevanza gia' bene ha detto  l'Avvocato  Pignata.
Io mi permetto soltanto di rafforzare quello che ha gia' appunto  ben
detto l'Avvocato Pignata sotto il profilo  della  incidenza  e  della
rilevanza sotto un profilo concreto e pratico  perche'  vi  e'  stata
remissione di querela, ma anche appunto sotto il profilo del  diritto
penale sostanziale. E' verissimo che vi sia una  incidenza  sotto  il
profilo processuale, ma ricordo sempre a  me  stesso  che  l'Istituto
della querela e della remissione di querela e' contenuto innanzitutto
nel Codice Penale sostanziale  e  questa  disparita'  di  trattamento
cosi' bene illustrata e invocata dall'Avvocato Pignata trova  appunto
collocazione nel Codice Penale sostanziale come  a  dire  che  vi  e'
quindi  una  violazione  di  casi  simili  e  quindi  violazione  del
principio di uguaglianza, come detto. Se posso aggiungere  credo  che
si possa trovare violazione, ma questo ad  abuntandiam  perche'  gia'
sarebbe sufficiente la violazione del parametro costituzionale di cui
all'art. 3 della Costituzione per rimettere appunto la  questione  da
parte sua alla  Consulta,  alla  Corte  costituzionale,  ma  si  puo'
intravedere comunque un vulnus dell'articolo 24 sotto il  profilo...,
vulnus del concreto esercizio del diritto di difesa. E come ulteriore
profilo che Ella potra' vedere se rispettato o viceversa  se  violato
nella fattispecie quello dell'articolo  111  della  Costituzione  del
Giusto Processo,  che  rileva  soprattutto  per  quelli  che  sono  i
processi  cosi'  bene  esposti  e  bene  evidenziati  in   precedenza
dall'Avvocato Pignata sotto il profilo marcatamente  processuale  che
pero' va, come dire, a riverberarsi  necessariamente  sulla  sostanza
della questione.  E  quindi  mi  associo,  credo  infine  che  questa
discrasia e che questa tecnica legislativa, anche di  un  legislatore
che forse era meno, come dire, maldestro  di  quello  attuale,  possa
essere, possa riflettere anche lo spirito dei  tempi,  ma  certamente
con una lettura costituzionalmente orientata e usando una parola  che
a me non piace, ma tant'e' che si usa del "diritto vivente' e  di  un
diritto sempre costituzionalmente orientato,  perche'  questa  e'  la
chiave di lettura, io credo che non si possa non vedere il vulnus del
detto Costituzionale. i tempi sono cambiati, Ella signor Giudice deve
anche sotto questo profilo secondo me  riguardare  la  fattispecie  e
quindi  io  insisto  nell'associarmi  alle   parole   e   all'istanza
dell'Avvocato Pignata per raccoglimento appunto  della  questione  in
presenza, lo ribadisco e concludo, di una remissione, la  piu'  ampia
possibile di querela, cosi' come prodotta in atti...». 
    In merito alla sollevata  eccezione,  il  Pubblico  Ministero  si
rimetteva alla decisione del Giudice. 
La normativa oggetto del ricorso. 
    Il codice penale, prima della riforma introdotta con la legge  n.
194/78, non contemplava espressamente l'aborto colposo, che puniva in
quanto  lesione   personale   colposa   gravissima,   mentre   puniva
l'acceleramento del parto come lesione grave.  La  legge  in  oggetto
prevede ora l'interruzione colposa della gravidanza nelle  due  forme
seguenti (art. 17): 
        a) chiunque cagiona ad una  donna  per  colpa  l'interruzione
della gravidanza e' punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni; 
        b) chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro
e' punito con la pena sopra prevista, diminuita fino alla meta'. 
    La prima ipotesi (c.d. aborto colposo) si ha quando il  colpevole
provoca l'interruzione della gravidanza in qualunque  epoca  del  suo
decorso, cagionando la perdita del prodotto di concepimento.  Qualora
risulti dimostrato il rapporto causale  tra  la  condotta  colposa  e
l'interruzione della gravidanza, non ha  rilievo  che  la  morte  del
prodotto sia avvenuta dentro l'utero, oppure sia successiva alla  sua
espulsione. La distinzione tra  aborto  interno  (con  ritenzione)  e
aborto esterno (con espulsione) e' del tutto contingente ai fini  del
diritto penale. 
    La seconda ipotesi (c.d. parto  prematuro  colposo)  ricorre  nel
caso in cui il colpevole provoca l'interruzione della  gravidanza  in
fase avanzata, dopo il 6°  mese,  quando  il  feto  ha  raggiunto  la
maturita'. L'anticipazione del parto rispetto  all'epoca  normale  va
qui intesa nel significato ostetrico di parto  prematuro  o  precoce,
alla  condizione  che  il  feto  sopravviva  (altrimenti  si  avrebbe
l'aborto), rappresentando la prematura espulsione un fatto che  mette
in pericolo la vita del feto. 
    L'interruzione colposa della gravidanza e' la conseguenza di  una
condotta illecita che abbia i caratteri della colpa e da cui  derivi,
come  evento  non  voluto  ma  prevedibile  ed   evitabile   con   un
comportamento diverso, l'aborto o il parto prematuro. Per l'esistenza
del reato e' indifferente che la gravidanza sia conosciuta o ignorata
dal  colpevole.  Le  cause  che  possono  determinare  l'interruzione
colposa della  gravidanza  sono  rappresentate,  in  particolare,  da
incidenti stradali, infortuni sul lavoro o malattie professionali. Ne
risponde  anche  il  medico  per  errori  commessi   nel   corso   di
accertamenti diagnostici prenatali o  per  trattamenti  medicamentosi
incongrui  somministrati  alla   gestante.   Circostanza   aggravante
speciale si ha quando  l'interruzione  colposa  della  gravidanza  e'
commessa con violazione delle norme poste a tutela del lavoro. 
    Deve ritenersi che l'aborto e il parto prematuro colposi, essendo
ora previsti come reati autonomi, possano concorrere col  delitto  di
lesione  personale  colposa,  come,  ad  esempio,  nel  caso  di   un
automobilista che provochi un incidente stradale a seguito del  quale
venga investita  una  gestante  che  abortisca  e  riporti  anche  la
frattura del bacino o di una gamba. Il delitto di aborto o  di  parto
prematuro colposo e' sempre procedibile d'ufficio, percio' il referto
o il rapporto e' in ogni caso obbligatorio. 
    Come evidenziato in premessa, la norma oggetto dell'eccezione  di
costituzionalita' sollevata in questa sede  e'  quella  prevista  dal
comma 1° dell'art. 17 della legge citata (aborto colposo). 
Motivi della decisione. 
    Sulla materia oggetto del ricorso alla  Corte,  che  non  risulta
essere mai stata prospettato nei termini di cui in premessa,  non  si
rinviene giurisprudenza di merito o di  legittima  significativa,  se
non  una  (relativamente  «vecchia»)   pronuncia   della   Corte   di
cassazione, la quale ha statuito che: «In virtu' dell'art.  17  della
legge 22 maggio 1978 n. 194, l'aborto colposo, che in precedenza  era
considerato  una  circostanza  aggravante  delle   lesioni   colpose,
costituisce una distinta ed autonoma figura  di  reato,  perseguibile
d'ufficio e non  a  querela  di  parte,  stante  l'assoluto  silenzio
legislativo in materia. Ne consegue che l'aborto colposo non  rientra
nella previsione dell'art. 92 della legge 24  novembre  1981  n.  689
(modifiche al sistema penale). (1) 
    Tale  pronuncia,  che  in  ogni  caso   sembra   gia'   rimarcare
l'attenzione sull'assoluto silenzio legislativo  in  materia,  appare
comunque  «dare  una   giustificazione»   del   diverso   trattamento
procedurale dell'aborto colposo, rispetto alle generiche  fattispecie
di lesioni personali gravi o gravissime di  cui  all'art.  583  c.p.,
considerandolo appunto una distinta  ed  autonoma  figura  di  reato,
circostanza che di per se' (interpretando quindi  in  tale  senso  la
volonta' del legislatore)  spiegherebbe  il  diverso  trattamento  in
termini di perseguibilita' d'ufficio e quindi di inefficacia  di  una
eventuale remissione della querela da parte della persona offesa. 
    E' evidente tuttavia che  tale  soluzione  appare  eccessivamente
semplicistica, non ponendosi essa in termini diretti il problema  del
diverso trattamento riservato al reato di lesioni, conseguenti ad  un
aborto  «procurato  colposamente»  da  un  comportamento  negligente,
imprudente od imperito del  medico  curante,  rispetto  a  quello  di
lesioni gravi o gravissime di diverso genere, ma conseguenti sempre a
colpa professionale medica. 
    Come evidenziato dalla difesa nel caso  di  specie,  la  modifica
intervenuta  all'ultimo  comma   dell'art.   590   c.p.   (successiva
all'introduzione del reato di aborto colposo di cui all'art. 17 della
legge n. 194/78) ed introdotta  dall'art.  92  legge  n.  689/81,  ha
previsto la perseguibilita' di  ufficio  delle  sole  fattispecie  di
lesioni personali gravi  o  gravissime  conseguenti  alla  violazione
delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro  o  relative
all'igiene  del  lavoro  o  che  abbiano  determinato  una   malattia
professionale,  escludendo  quindi  volutamente   da   tale   riforma
«procedurale», sia le  lesioni  (gravi  o  gravissime)  derivanti  da
violazione delle norme sulla disciplina della  circolazione  stradale
che,  in  genere,  quelle  derivanti  da  c.d.  «colpa  professionale
medica», entrambe rimaste dunque perseguibili a querela di parte. 
    C'e' da evidenziare, in questo senso, che,  prima  della  riforma
introdotta con la  legge  n.  194/78,  l'aborto,  nel  codice  penale
vigente (art. 583 2° comma n. 5) era considerato invece alla  stregua
delle lesioni personali gravissime individuate nello stesso  articolo
(perseguibile  quindi  a  querela  di  parte);   con   l'introduzione
dell'autonoma fattispecie di reato di aborto  colposo  la  disciplina
procedurale   (o   procedimentale)   e'   mutata;   peraltro,    come
trasparirebbe dalla massima della Suprema Corte innanzi  citata,  non
per una precisa scelta del legislatore, ma solo perche' nell'art.  17
nulla si dice in merito al regime procedurale e dunque  il  reato  e'
automaticamente da intendersi come perseguibile d'ufficio. 
    Tuttavia, poiche' la norma di cui all'art. 17,  1°  comma  appare
prevedere e punire solamente le  fattispecie  di  interruzione  della
gravidanza  per  colpa  generica,  ma  soprattutto  (proprio  perche'
inserita in una legge che su tale materia ha introdotto  una  riforma
«epocale»), quando  conseguente  a  pratiche  mediche  e  quindi  per
negligenza, imprudenza ed imperizia  del  medico  curante  (tutte  le
altre ipotesi, infatti, sono contemplate dai successivi  commi  dello
stesso articolo e dagli artt. 18 e 19  -  nello  specifico,  l'aborto
conseguente a violazione delle norme a tutela  del  lavoro,  l'aborto
non  consenziente,  l'aborto  come  conseguenza  di   altre   lesioni
volontarie e l'aborto procurato senza  l'osservanza  delle  modalita'
imposte  per  l'interruzione  della  gravidanza),  la  diversita'  di
trattamento rispetto agli altri tipi di lesioni conseguenti a  «colpa
professionale medica» non appare giustificato. 
    L'unico elemento da cui potrebbe ricavarsi  una  spiegazione  del
diverso trattamento e' dato dal fatto che l'aborto - per  definizione
- non provoca solo lesioni gravi o gravissime, seppure in gran  parte
reversibili, alla donna, ma provoca soprattutto la morte del  feto  e
quindi, in un'ottica relativa  alla  nuova  dimensione  della  tutela
accordata al feto e alla  maternita';  introdotta  con  la  legge  n.
194/78, rispetto  alla  precedente  normativa  penale  (che  peraltro
contemplava l'aborto nel titolo X del libro II  sotto  il  titolo  di
«Delitti  contro  l'integrita'  e  la  sanita'  della  stirpe»),   il
legislatore  potrebbe  aver  voluto  introdurre  una  diversita'   di
trattamento e di «controllo legale» dei casi  di  interruzione  della
gravidanza dovuta a comportamenti di terzi, non riservato  alla  sola
volonta' della persona offesa, che poteva in ogni  caso  ed  in  ogni
tempo rimettere la querela. 
    Tale spiegazione, tuttavia, non convince  del  tutto,  in  quanto
(senza  ovviamente  volere  addentrarsi  nell'eterna  diatriba  sullo
status di «persona» o  meno  del  feto  anche  nei  primi  giorni  di
gravidanza, che peraltro condurrebbe fatalmente alla «trasformazione»
dell'aborto da lesione personale colposa ad omicidio colposo), da  un
lato, la legge n. 194 del 1978 ha introdotto di fatto la  «legalita'»
dell'aborto,  dall'altro  ha  invece,  proprio  con  l'art.   17   in
questione,  «aggravato»  la  posizione  del  medico   rispetto   alle
conseguenze della sua condotta negligente,  imperita  od  imprudente,
oltretutto solo con riferimento all'esito infausto di una  gravidanza
in corso, determinato da cure errate od insufficienti  prestate  alla
paziente, e quindi anche  indipendentemente  dalle  pratiche  mediche
adottate e  regolate  dalla  stessa  legge  per  le  interruzioni  di
gravidanza volontarie. 
    In altre parole, laddove, come nel caso  di  specie,  l'aborto  e
quindi la morte del feto conseguano ad errori medici commessi non  in
esecuzione  di  pratiche  e  modalita'  indirizzate  alla  volontaria
interruzione della gravidanza (che ovviamente, di fatto, discriminano
la morte del feto), ma  nel  corso  di  normali  cure  prestate  alla
gestante (di qualsiasi tipo, giacche'  la  morte  del  feto  potrebbe
essere effetto di qualsiasi errore medico, non solo del  ginecologo),
il medico curante e' perseguibile d'ufficio (e  dunque  la  eventuale
remissione della querela da parte della persona offesa non  ha  alcun
effetto procedurale), a differenza  invece  del  medico  curante  che
abbia provocato per colpa (anche di grado piu' elevato)  al  paziente
altro  tipo  di  lesioni  anche  gravissime   (basta   esaminare   le
definizioni che l'art. 583 ai numeri 1), 2), 3)  e  4)  riserva  alle
conseguenze  delle  lesioni  stesse),  per  il   quale   e'   rimasto
immodificato il precedente regime procedurale. 
    Tutto cio'  nel  contesto  di  una  legge  che  ha  introdotto  e
regolato, appunto, la (parziale) legalita' delle pratiche abortive. 
    Il contrasto e' quanto meno stridente, soprattutto se confrontato
con l'analoga disciplina attualmente prevista per le lesioni gravi  o
gravissime, in generale e nello specifico, allorche' dovute  a  colpa
professionale  medica  e,  proprio  per  questo  motivo,  il  diverso
trattamento «procedurale» delle diverse fattispecie di  reato  appare
configgere con il principio di uguaglianza di cui all'art.  3  Cost.,
non risultando determinato da  una  precisa  e  motivata  scelta  del
legislatore,  in  quanto,  come  evidenziato  anche  dalla  Corte  di
cassazione, lo stesso legislatore, in materia, ha tenuto un «assoluto
silenzio». 
    Appare pertanto opportuno che sul  punto  si  pronunci  la  Corte
costituzionale, non ritenendosi manifestamente infondata la questione
sollevata, in particolare dovendosi chiarire l'aspetto relativo  alla
attuale configurazione dell'aborto colposo  (inteso  come  morte  del
feto determinato da fatti illeciti  altrui,  ai  sensi  dell'art.  17
legge n. 194/78) ancora come «lesione personale  gravissima»,  ovvero
come  quid  aliud  e  quindi  giustificandosi,  in  quanto  non  solo
fattispecie  autonoma  di  reato,  ma  reato  avente  un'oggettivita'
giuridica del tutto diversa e che  contempla  un'offesa  ad  un  bene
giuridico  diverso  rispetto  alle  lesioni  personali,  il   diverso
trattamento procedurale. 
    Sotto quest'ultimo profilo, riguardante la  diversa  oggettivita'
giuridica del reato di aborto colposo rispetto alle (altre) forme  di
lesioni  gravissime,  che  appare  l'aspetto  piu'  rilevante   della
sollevata questione di legittimita', si rinviene  un'altra  pronuncia
della Suprema Corte, che  non  aveva  affrontato  il  problema  della
diversita'  di  trattamento  procedurale  rispetto  alla   precedente
normativa, ma che evidenziava appunto come, dopo la riforma, il reato
di aborto colposo non fosse piu' da considerare alla  stregua  di  un
reato di lesioni e nella quale si legge che: «la disposizione di  cui
all'art. 583, n. 5 cod. pen., abrogata dalla legge 22 maggio 1978, n.
194, configurava l'aborto quale circostanza aggravante del  reato  di
lesioni, mentre l'art.  18  della  citata  legge  abrogativa  prevede
l'interruzione    della    gravidanza    quale     reato     autonomo
indipendentemente dal verificarsi  delle  lesioni.  Infatti,  per  il
secondo  comma  di  quest'ultima  disposizione,  e'  sufficiente  che
l'interruzione della gravidanza sia realizzata con azioni  dirette  a
provocare lesioni alla donna, anche se tali azioni, nel loro concreto
svolgimento, non abbiano realizzato  il  reato  di  lesioni,  nemmeno
nella  Forma  del  tentativo.  (fattispecie  in  tema   di   ritenuta
sussistenza del delitto di calunnia per  essere  stato  accertato  il
reato di lesioni anziche' quello falsamente denunciato di aborto)...»
(2) . 
    Anche tale pronuncia, tuttavia (riguardando peraltro  la  diversa
fattispecie di cui all'art. 18 della legge n. 194/78 - c.d. procurato
aborto),  non  sembra  fornire  elementi  precisi  e   decisivi   per
identificare correttamente  la  diversa  oggettivita'  giuridica  del
reato  di  aborto  colposo,  sia  rispetto  alle  lesioni   personali
gravissime, sia rispetto all'omicidio colposo. 
    Si  e'  anche  piu'  volte  evidenziato  che,  con  la  normativa
introdotta dalla legge n. 194, anche al nascituro, pur non volendogli
riconoscere la qualita' di persona, viene accordata una qualche forma
di tutela,  essendo  l'interesse  ad  esistere  insito  nella  stessa
esigenza di protezione dell'essere umano. 
    Sotto tale diverso profilo, si e' sostenuto  che  l'aborto  debba
intendersi  come  l'interruzione  intenzionale  e/o  violenta   della
gravidanza, con conseguente morte o  soppressione  del  prodotto  del
concepimento, che si consuma nell'arco temporale che  intercorre  tra
l'inizio della gravidanza e quello del parto; in tal  senso,  dunque,
la Suprema Corte ha ritenuto che: «... in tema di delitti  contro  la
persona, l'elemento distintivo delle fattispecie di soppressione  del
prodotto del concepimento e' costituito  anche  dal  momento  in  cui
avviene l'azione criminosa. Le condotte che  caratterizzano  "delitti
di aborto" si realizzano in un momento  precedente  il  distacco  del
feto dall'utero materno. Di conseguenza, qualora la condotta  diretta
a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il
distacco, naturale o indotto, del feto dall'utero materno,  il  fatto
potra' configurare le ipotesi di abbandono materiale e  morale  della
madre, previsto dall'art. 578 c.p., o di omicidio volontario  di  cui
agli artt. 575 e 577 n. 1 c.p....» (3) 
    In  questo  caso  (che  peraltro  di  nuovo   non   si   occupava
direttamente del reato di cui all'art. 17)  si  evidenziano  tuttavia
elementi piu' interessanti e rilevanti, volti ad identificare appunto
nel c.d. «prodotto del concepimento» l'oggetto della tutela giuridica
della nuova normativa  penale:  in  tal  senso,  la  morte  del  feto
conseguente ad un aborto colposo non dovrebbe essere intesa ne'  come
lesione gravissima procurata alla  madre  gestante,  come  era  nella
precedente formulazione dell'art. 583 n. 5 c.p.,  ne'  come  omicidio
colposo, in quanto il nascituro, fino al «distacco» dalla  madre,  o,
meglio ancora, fino all'inizio del travaglio, non dovrebbe  ritenersi
«essere vivente»; si veda al proposito  una  piu'  recente  pronuncia
della Cassazione, concernente un fatto analogo a quello in esame, ove
si legge: «...le deduzioni con le quali si dubita della vitalita' del
feto sarebbero state, semmai, giustificate  nell'ambito  dell'ipotesi
delittuosa originariamente contestata di omicidio  colposo,  ma  sono
non conferenti in relazione a quella -  ritenuta  sulla  base  di  un
orientamento che individua  le  linea  di  demarcazione  tra  le  due
fattispecie con l'inizio del travaglio - dell'art. 17  legge  n.  194
del 1978. Ed essa indubitabilmente presuppone la violazione di regole
cautelari volte a prevenire lo specifico evento  ivi  considerato,  a
prescindere  dalla  vitalita'  (dall'attitudine  cioe'  del  nato  al
proseguimento della vita autonoma) del  prodotto  del  concepimento».
(4) 
    Tutti questi elementi e queste pronunce forniscono dunque  spunti
«interessanti» circa la soluzione relativa all'eccezione formulata in
questa  sede,  ma  pur  sempre  «incidentali»,  non  avendo,  ne'  il
legislatore prima, ne' la giurisprudenza poi, fornito  convincenti  e
decisive  risposte  in  relazione  alla  legittimita'   del   diverso
trattamento procedurale del reato  contestato  in  questa  sede  agli
imputati,  necessariamente  legata  ad  una  pronuncia  della   Corte
costituzionale in merito  alla  diversa  oggettivita'  giuridica  del
reato di aborto colposo ed in genere  dei  reati  previsti  e  puniti
dalla normativa introdotta con la legge n. 194/78. 

(1) Sez. 4, Sentenza n. 7656 del 1° luglio 1985 Ud. (dep.  20  agosto
    1985) Rv.170248. 

(2) Sez. 6, Sentenza n. 10699 del 2 luglio 1985 Ud. (dep. 15 novembre
    1985) Rv. 171080 

(3) Sez. 1, Sentenza n.  46945  del  18  ottobre  2004  Ud.  (dep.  2
    dicembre 2004) Rv. 229255. 

(4) Cass. Pen. sez. 5, n. 44155/2008.