LA CORTE DEI CONTI Visto il ricorso iscritto al n. 71803/PC del registro di segreteria; Uditi - nella pubblica udienza del 22 febbraio 2013 - per i ricorrenti avv. Costantino Greco, e per l'INPS Gestione ex INPDAP l'avv. Andrea Botta, che hanno concluso come in atti; Visti gli atti di causa; Ha pronunciato ordinanza nel giudizio introdotto con il ricorso in premessa, proposto da De Pascalis Tommaso, Greco Costantino, Saviano Giovanni e Verso Filippo, rappresentati e difesi dagli avvocati Costantino Greco e Carlo Greco, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via Baldo degli Ubaldi n. 71, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato con sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12; la Corte dei conti, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato con sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12; l'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP), in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Roma, via Santa Croce in Gerusalemme n. 55 (ora Istituto nazionale di previdenza sociale - INPS) Gestione ex INPDAP, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Roma, via Ciro il Grande n. 21; avverso le note dell'INPDAP, sede provinciale di Roma, recanti comunicazione di accreditamento della pensione dal 16 agosto 2011 e dal 14 ottobre 2011, dalle quali risulta che a decorrere dalla rata di agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 e' applicata una trattenuta come contributo di perequazione pari al 5% dell'importo eccedente i 90.000 di euro e fino a 150.000 di euro e del 10% per gli importi eccedenti i 150.000 euro, ai sensi dell'art. 18, comma 22-bis della legge 15 luglio 2011, n. 111, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. Premesso che Con il ricorso collettivo in epigrafe e successiva memoria pervenuta il 6 febbraio 2013 parti attrici hanno rappresentato e dedotto quanto segue; i ricorrenti, magistrati della Corte dei conti in quiescenza, titolari di pensione ordinaria diretta, hanno ricevuto comunicazione di accreditamento della rata di agosto 2011 della propria pensione da parte dell'INPDAP, all'epoca ente gestore della previdenza competente nei loro riguardi, recante un prospetto analitico dal quale risulta, in particolare, che e' stata applicata una trattenuta come contributo di perequazione, pari a: per il dott. De Pascalis: euro 967,04 (nota INPDAP 00 1 8RS1 10053746001002 01 MI 02); per il dott. Greco: euro 193,08 (nota INPDAP 0020RSI 1000537460010003-01-MI I-MI 02); per il dott. Saviano: euro 320,96 (nota INPDAP 1 RS 1 00538A90010023 01 RMA8); per il dott. Verso: euro 174,47 (nota INPDAP 1 RSII 00537450010001 01 RMA8); nelle stesse note dell'INPDAP viene specificato che la predetta trattenuta decorre dalla rata di agosto 2011 e avra' termine il 31 dicembre 2014, ai sensi dell'art. 18, comma 22-bis della legge 15 luglio 2011, n. 111, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; con note successive l'INPDAP ha comunicato che, a partire dalla rata di ottobre, la trattenuta del contributo era stata riattivata, in quanto il prelievo del mese di settembre 2011 non era stato effettuato a causa della temporanea abrogazione del contributo disposta dall'art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 138/2011; di conseguenza, con la medesima rata e' stato applicato il conguaglio relativo al prelievo del mese di settembre 2011; inoltre, l'Istituto previdenziale ha comunicato che, per il computo del contributo, e' stato preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo, ivi compresa la tredicesima mensilita'; si e' cosi' giunti ad una pronuncia conclusiva sulle modalita' di prelievo del contributo di perequazione da parte dell'INPDAP nella sua qualita' di unico soggetto legittimato ad effettuare le trattenute sulle pensioni dei ricorrenti e versarle all'entrata del bilancio dello Stato, ai sensi dell'art. 18, comma 22-bis, periodi primo e sesto della legge n. 111/2011; si nota che la condotta dell'ente gestore ha natura del tutto vincolata, posto che occorre soltanto individuare i destinatari della norma e prelevare il contributo all'atto della corresponsione di ciascun rateo mensile, in conformita' alle indicazioni fornite dall'art. 18, comma 22-bis, quinto periodo, della legge n. 111/2011 per effettuare le trattenute. Il «contributo di perequazione», previsto dall'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, allo scopo di fronteggiare «l'eccezionale situazione economica internazionale e per esigenze prioritarie di finanza pubblica», non puo' essere ricondotto al concetto di «contributo» secondo la tradizionale tripartizione dei tributi in imposte, contributi e tasse, ma e' assimilabile ad un'imposta sul reddito, in quanto come base imponibile vengono assunti i trattamenti pensionistici corrisposti dagli enti gestori della previdenza; le modalita' del prelievo, inoltre, sono contraddittorie, poiche' gli importi spettanti vengono assoggettati, nel loro importo lordo, ad un primo abbattimento in funzione delle due aliquote stabilite per il «contributo» (5 o 10%), dopo di che, sulla differenza e senza alcun raccordo con le trattenute IRPEF, viene operato il successivo prelievo strutturato nelle cinque aliquote in cui e' distribuita l'IRPEF stessa; sulla base di simile procedimento, risulta alterata l'originaria progressivita' dell'IRPEF con aumento della pressione tributaria complessiva, in danno di una particolare categoria di cittadini nei confronti dei quali occorrerebbe distribuire gli oneri fiscali con la massima equita' possibile; si evidenzia altresi' la sproporzione tra i fini da perseguire (far fronte alla crisi economica internazionale e nazionale) ed i mezzi individuati allo scopo (trattenute sulle pensioni di importo superiore a 90.000 o 150.000 curo annui lordi), mentre manca qualsiasi elemento di valutazione sull'entita' delle somme recuperabili; nel frattempo sono giunti a decisione i giudizi di legittimita' costituzionale promossi da vari tribunali amministrativi regionali sugli articoli 9, commi 2 e 22 e 12, commi 7 e 10 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, nei quali sono state trattate questioni che hanno molti punti di contatto con quelle sollevate con il ricorso in esame: le disposizioni sottoposte al vaglio dalla Corte costituzionale appartengono ad un sistema normativa emanato circa un anno prima di quello considerato nel presente ricorso ed ispirato a finalita' analoghe: il decreto-legge n. 78/2010 reca infatti misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica e ai fini del presente giudizio, assume particolare rilievo il disposto dei commi 2 e 22 dell'art. 9, concernenti la riduzione dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici il blocco dell'adeguamento delle retribuzioni dei magistrati, nonche' la decurtazione dell'indennita' giudiziaria prevista per i magistrati stessi dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981; la Corte e' pervenuta alla conclusione che il blocco dell'adeguamento delle retribuzioni dei magistrati, in quanto copre potenzialmente un arco di tempo superiore alle individuate esigenze di bilancio e si aggiunge a pregresse misure di riduzione dell'adeguamento maturato, eccede i limiti del «raffreddamento» delle dinamiche retributive, in danno di una sola categoria di pubblici dipendenti ed ha pertanto dichiarato l'illegittimita' dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge n. 78/2010; di altri due casi, nonostante la formulazione letterale delle relative disposizioni, che si riferiscono ad una «riduzione» e ad un «contenimento delle spese» sono stati ricondotti ad una problematica di natura tributaria, comportando una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a sovvenire le pubbliche spese; su queste premesse, la Corte ha ritenuto che nei due casi su indicati sono presenti tutti gli elementi della fattispecie tributaria; pertanto, la relativa disciplina di legge deve essere esaminata alla luce dei principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione e con la giurisprudenza che si e' formata al riguardo, secondo la quale la tassazione esige un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza (sentenza n. 341 del 2000), percio' il legislatore deve fare un uso ragionevole dei propri poteri discrezionali in materia tributaria, dando coerenza interna alla struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure evitando l'arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione (sentenza n. 111 del 1997); al termine della sua indagine, con la sentenza n. 223 dell'8 ottobre 2012 la Corte ha tra le altre dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme esaminate: la prima (art. 9, comma 2 del decreto-legge n. 78/2010), perche' il prelievo e' limitato ai soli dipendenti pubblici la seconda (art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78/2010), perche' il tributo incide su una voce di reddito di lavoro (l'indennita' giudiziaria), che e' parte di un reddito lavorativo complessivo gia' sottoposto ad imposta in condizioni di parita' con tutti gli altri percettori di reddito di lavoro, per modo che risulta colpita piu' gravemente, a parita' di capacita' contributiva per redditi di lavoro, esclusivamente la categoria dei magistrati. Quanto al contributo di perequazione posto carico delle pensioni dall'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge n. 98/2011 e relativa legge di conversione, risulta evidente che, applicando i criteri di cui alla ripetuta sentenza n. 223/2011 della Corte costituzionale, la sua struttura non e' rispettosa del principio dell'uguaglianza, in quanto sui trattamenti pensionistici vengono applicate delle trattenute che alterano l'originaria progressivita' dell'IRPEF e, di conseguenza, il rapporto con gli altri percettori di reddito di pari importo, determinando un ingiustificato aumento della pressione tributaria complessiva in danno di una particolare categoria di cittadini; nel pervenire al giudizio di illegittimita' dell'art. 9, comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010 sulla riduzione dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici, la Corte costituzionale ha preso altresi' in considerazione il disposto dell'art. 2, comma 2 del decreto-legge 14 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, in base al quale e' dovuto un contributo di «solidarieta'» del 3% sulla parte di reddito eccedente l'importo di 300.000 euro annui lordi; nell'affermare la natura indubbiamente tributaria di questo contributo, la Corte ha evidenziato anche la finalita' del decreto-legge n. 138/2011, che e' ancora quella di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo; poiche' la stessa finalita' sorregge il decreto-legge n. 78 del 2010, la Corte si e' indotta ad esprimere un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del trattamento riservato ai pubblici dipendenti a causa della diversita' degli interventi «di solidarieta'» in concreto adottati, dalla quale deriva un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, se il legislatore avesse rispettato i principi di uguaglianza dei cittadini e di solidarieta' economica, anche modulando diversamente un «universale» intervento impositivo; anche nel ricorso in esame, viene richiamato il disposto dell'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, sul contributo di solidarieta', del quale sono messe in luce la natura tributaria, la minore durata (1° gennaio 2011-dicembre 2013) rispetto a quella del contributo di perequazione (agosto 2011-dicembre 2014) e l'incongruita' dell'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di prorogare eventualmente il prelievo fino al raggiungimento del pareggio di bilancio; quanto precede rende manifesto, ad avviso dei ricorrenti, l'uso irragionevole dei propri poteri in materia tributaria da parte del legislatore, come la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 223 del 2012, ha ritenuto nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010, in quanto limita ingiustificatamente il prelievo ai soli dipendenti pubblici; e per pervenire a questa conclusione la Corte, come sopra detto, ha messo a raffronto quest'ultima disposizione proprio con il disposto dell'art. 2, comma 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 e relativa legge di conversione, che almeno non pone il contributo soltanto a carico dei pensionati, pur determinando anch'esso inammissibili disparita' di trattamento (il contributo di solidarieta' ha durata minore rispetto a quella del contributo di perequazione ed e' deducibile, diversamente da quest'ultimo, dal reddito complessivo); oltre ad evidenziare l'identita' di «ratio» delle varie leggi aventi finalita' di stabilizzazione finanziaria, sulla cui base sarebbe stato «ragionevole» evitare l'adozione di differenti interventi «di solidarieta'», la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 223, ha chiaramente ribadito che non e' consentito derogare ai principi fondamentali dell'ordinamento, fra quali assume rilievo assoluto quello dell'uguaglianza, anche nelle attuali difficili ed eccezionali condizioni in cui si trova la situazione economica del Paese; in concreto, i soggetti chiamati a far fronte alla crisi in cui versa il Paese sono soltanto i pensionati, mediante il contributo di perequazione posto a loro carico dall'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge n. 98 del 2011 e relativa legge di conversione ed i pochi possessori di redditi superiori ai 300.000 euro annui lordi, tenuti al contributo di solidarieta' di cui all'art. 2, comma 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 e relativa legge di conversione; anche prima che la Corte costituzionale pervenisse infine ad accertare l'ingiusta situazione su descritta, il sistema di riduzione delle spese pubbliche previsto dal decreto-legge n. 98 del 2011 e relativa legge di conversione appariva del tutto squilibrato, perche' il contributo di perequazione a carico dei pensionati e' stato reso immediatamente operativo (dal 1° agosto 2011), mentre altre importantissime misure, quali il livellamento remunerativo Italia-Europa e la riduzione del 10% del finanziamento dei partiti politici, sarebbero divenute operative, rispettivamente, dalle prossime elezioni, nomine, o rinnovi e dal primo rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla data di entrata in vigore della legge (art. 1, commi 1, 2 e 6; art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011), in palese contraddizione con le urgenti finalita' di stabilizzazione finanziaria e di contenimento della spesa pubblica richiamate nelle premesse del decreto-legge n. 98/2011; ai fini della concreta operativita' del livellamento remunerativo si sarebbe dovuta individuare una media degli analoghi trattamenti percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche ed incarichi negli altri sei principali Stati dell'area euro e di tale indagine comparativa e' stata incaricata, ai sensi dell'art. 1, comma 3, un'apposita commissione; detta commissione, dopo essersi riunita cinque volte nel corso dell'anno 2011, non ha potuto completare l'incarico affidatole entro il termine stabilito (31 dicembre 2011) e, in tal modo, e' venuto a mancare il presupposto essenziale cui e' subordinata l'efficacia delle disposizioni sul livellamento remunerativo, peraltro rinviata, come detto, alle prossime elezioni, nomine o rinnovi; e' invece nel frattempo mutata la disciplina del finanziamento pubblico dei partiti politici e dei movimenti politici, contenuta oggi nella legge 6 luglio 2012, n. 96, ma anche sotto il vigore delle nuove norme, che pur dispongono una riduzione del predetto finanziamento, la condizione dei pensionati sembra ingiustamente deteriore rispetto ai soggetti che svolgono l'attivita' politica; gia' nello stabilire l'entita' complessiva dei contributi pubblici da destinare al rimborso delle spese elettorali e al contributo/cofinanziamento per l'attivita' politica (all'art. 1, comma 1: 91 milioni di euro annui) la legge n. 96/2012 appare in contrasto con il principio dell'uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto detto importo, ad avviso dei ricorrenti, risulta eccessivo rispetto alle gravi privazioni richieste a tutti i cittadini mediante l'inasprimento dell'imposizione diretta ed indiretta attuato dal legislatore nel corso degli anni 2011 e 2012: ma vi e' una circostanza che rende manifesta la violazione dell'art. 3 della Costituzione anche da parte della legge n. 96/2012 e cioe' la decorrenza della riduzione dei contributi, che secondo l'art. 1, comma 5, e' ancora rinviata al primo rinnovo del Senato della Repubblica. della Camera dei deputati, dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, dei consigli regionali e dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano successivo alla data in entrata in vigore della stessa legge; oltre a rappresentare un ingiusto privilegio rispetto alla generalita' dei cittadini chiamati a sopportare subito tutto il peso della sfavorevole congiuntura, simile disposizione, in ambito piu' ristretto, ripropone la stessa sperequazione nei confronti dei pensionati determinata dalle analoghe, abrogate disposizioni di cui all'art. 6, commi 1 e 3 del decreto-legge n. 98/2011 e relativa legge di conversione, la cui operativita' era rinviata al primo rinnovo degli organismi ivi considerati successivo alla sua entrata in vigore, mentre il contributo di perequazione e' entrato immediatamente in vigore 1° agosto 2011; la sproporzione tra i sacrifici imposti, da un lato ai pensionati e, dall'altro lato, ai partiti politici e' dunque diversa solo perche' cambiano i riferimenti normativi, in quanto la legge n. 96/2012 si muove, quanto alla decorrenza della riduzione dei contributi ai partiti, nella stessa direzione del decreto-legge n. 98/2011 e relativa legge di conversione; continua invece immutata la questione della disparita' di trattamento tra i pensionati stessi e i soggetti titolari delle cariche e degli incarichi di cui all'art. 1, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 98/2011, non essendo stato adottato alcun provvedimento volto a sanare la mancata elaborazione affidata alla commissione ai sensi del comma 3 di quest'ultimo articolo; ne consegue la richiesta di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per una pronuncia sulla legittimita' delle seguenti disposizioni, alla luce di quanto risulta dalla sentenza della stessa Corte n. 223 dell'8 ottobre 2012 e delle richiamate modifiche legislative intervenute, per contrasto con gli articoli 3, 53, 95 e 97 della Costituzione, delle seguenti disposizioni di legge; art. 18, comma 22-bis e art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111 (sul contributo di perequazione); art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge 13 luglio 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 (sul contributo di solidarieta'); art. 1, commi 1 e 5 della legge 6 luglio 2012, n. 96 (sulla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici); sul presupposto della dichiarazione di incostituzionalita' delle norme sopra richiamate, si chiede che venga dichiarata la illegittimita' degli atti di prelievo sull'ammontare delle pensioni, il cui importo complessivo quindi deve essere determinato secondo i criteri applicati fino al luglio 2011; con accoglimento del ricorso. Con memoria di costituzione e difesa il resistente INPS, quale successore ex lege dell'INPDAP, ai sensi dell'art. 21, comma l del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011, ha controdedotto come segue. I. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore della Commissione tributaria provinciale di Roma sulla domanda inerente il contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; in via pregiudiziale si eccepisce il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore della Commissione tributaria provinciale di Roma con riferimento alla domanda relativa al contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; cio' in quanto il petitum sostanziale della pretesa avversa non e' costituto dall'an o dal quantum della pensione ma dalla contestazione della legittimita' di una maggiorazione dell'imposta sul reddito e sulla richiesta di restituzione di quanto versato all'erario, pertanto, la controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei conti rientrando tra le materie soggette alla giurisdizione tributaria, ai sensi dell'art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, secondo cui «Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto, i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonche' le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio ...»; in tal senso si sono piu' volte pronunciate le Sezioni unite della cassazione che hanno affermato il principio secondo cui: «E' devoluta alla giurisdizione del giudice tributario la controversia promossa dal sostituito d'imposta nei confronti del sostituto ai fini delle imposte dirette, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta: si tratta, infatti, di un'indagine sulla legittimita' di detta ritenuta integrante non una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta una causa tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario anche dell'amministrazione finanziaria» (Cass. [ord.] Sez. Un. 24-10-2007 n. 22279; idem Cass. Sez. Un. 24-10-9007 n. 22266.)»; e la natura tributaria del contributo in questione e' stata affermata e riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 241 del 24 ottobre 2012; la giurisdizione della Corte dei conti, al di fuori della contabilita' pubblica, e' strettamente limitata alle sole materie specificate dalla legge; nel caso della materia pensionistica, l'ambito di competenza del giudice contabile e' circoscritto ai ricorsi relativi alla sussistenza e alla misura del diritto a pensione a carico totale o parziale dello Stato (art. 62, primo comma, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214), ovvero a tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, attribuiti da leggi speciali alla Corte dei conti (art. 62, secondo comma, regio decreto citato), come, ad esempio l'art. 60 del regio decreto 3 marzo 1938, n. 680, che ha riguardo alle pensioni dei dipendenti degli enti locali. II. Litisconsorzio necessario e necessita di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'Agenzia delle entrate; la riconosciuta natura tributaria del contributo contestato, a prescindere dalla sollevata carenza di giurisdizione della Corte dei conti, impone altresi' un approfondimento sulla sussistenza della legittimazione passiva dell'INPS nel giudizio atteso che l'Istituto previdenziale resistenza agisce nel caso che de quo quale mero sostituto di imposta ex articoli 23 e 64, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600; la contestazione sulla legittimita' della norma (norma su cui si fonda l'atto impositivo contestato) determina la necessaria partecipazione dell'Agenzia delle entrate, parte necessaria del procedimento cosi' come ritenuto dalla Corte di cassazione sezioni unite, nella sentenza 18 gennaio 2007, n. 1052, secondo cui «Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria (oggi Agenzia delle entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicita' della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralita' di soggetti, e il ricorso proposto da uno o piu' degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario». III. Infondatezza della domanda nel merito e manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata; in ogni caso la domanda dei ricorrenti risulta infondata nel merito avendo l'INPS (ex INPDAP) agito in base a norme di legge tuttora vigenti ossia l'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; invero i ricorrenti, assumono l'illegittimita' costituzionale della norma in questione con il proposito di ottenere una rimessione alla Corte costituzionale. I dubbi di costituzionalita' della norma, ad avviso della difesa dell'INPS, sono tuttavia da ritenersi privi di fondamento. Si tratta di un prelievo fiscale straordinario temporaneo e straordinario gravante sulla quota eccedente delle pensioni di importo elevato che e' stato definito «perequativo» in senso atecnico, intendendo il legislatore per perequazione non gia' la rivalutazione del trattamento di pensione ma la «riconduzione ad equita'» delle cosiddette pensioni d'oro in rapporto all'intera platea dei pensionati che ha pesantemente colpito per effetto della crisi finanziaria in atto; a differenza dell'analogo contributo sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici introdotto dall'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, gia' dichiarato incostituzionale con la recente sentenza n. 223/2012, il contributo di perequazione in questione vede come destinatari l'intera platea dei titolari di trattamenti, pensionistici, anche integrativi e pertanto non sono fondati i rilievi di illegittimita' della norma con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal momento che le uniche prestazioni pensionistiche escluse dal contributo risultano essere le prestazioni assistenziali (rispetto alle quali d'altronde, risulterebbe difficile ipotizzare il superamento degli importi previsti dal comma 22-bis, ratione mensurae), gli assegni straordinari di sostegno al reddito, le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e le rendite delI'INAIL; risulta altresi' infondata, a parere dell'INPS, anche l'ulteriore obiezione riferita al presunto vulnus del principio di uguaglianza in relazione alla capacita' contributiva di cui all'art. 53 Cost. per essere i titolari di elevate pensioni discriminati rispetto alla generalita' dei consociati; considerato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la formulazione dell'art. 53 Cost.: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva», impone che il principio dell'universalita' dell'imposizione debba essere valutato in termini non assoluti ma relativi, in necessario coordinamento con il principio solidaristico e di uguaglianza di cui agli articoli 2 e 3 Cost.; sicche' il legislatore, con il limite della ragionevolezza e dei criteri di progressivita' e proporzionalita', puo' ben introdurre per singole categorie di contribuenti specifici tributi, non risultando un obbligo di indistinta ed uniforme imposizione. IV. Sussistenza di analoga questione di legittimita' costituzionale gia' pendente innanzi alle Corte costituzionale richiesta di sospensione pregiudiziale del giudizio; l'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, e' stato sottoposto al vaglio di costituzionalita' da parte della Corte dei conti sezione giurisdizionale per la regione Campania, la quale con ordinanza di rimessione del 20 luglio 2012 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 14 novembre 2002 resa nell'ambito del giudizio proposto da Staro Salvatore contro INPDAP ed altri, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale della suddetta norma con riferimento agli articoli 2, 3, 53 e 97 della Costituzione, per motivi del tutto analoghi a quelli qui prospettati; pertanto, ove la adita sezione giurisdizionale dovesse condividere i dubbi manifestati dai ricorrenti, potra' ordinare la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata. In conclusione, si chiede che questa Corte voglia: in via pregiudiziale, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore della Commissione tributaria provinciale di Roma; sempre in via pregiudiziale e nel rito, accertare la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. nei confronti dell'Agenzia delle entrate, quale parte necessaria nelle controversie inerenti la sussistenza l'ammontare di imposte e i tributi, con conseguente integrazione del contraddittorio nei confronti della suddetta Agenzia; nel merito, respingere in ogni caso le domande attoree perche' infondate in fatto e diritto per i motivi sopra evidenziati, con declaratoria della correttezza dell'operato dell'INPS nell'applicazione delle norme richiamate in premessa; in via subordinata disporre la sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sull'ordinanza di rimessione della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la regione Campania del 20 luglio 2012 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 14 novembre 2002; con il favore delle spese. Considerato che I ricorrenti, magistrati della Corte dei conti in pensione, chiedono il riconoscimento del diritto a percepire il trattamento pensionistico senza le decurtazioni derivanti dall'applicazione del contributo di perequazione di cui all'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata ribadita dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Quanto sopra, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni di costituzionalita', per contrasto con gli articoli 3, 53, 95 e 97 della Costituzione: A) dell'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; e dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111; B) dell'art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge 13 luglio 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 (sul contributo di solidarieta'); C) dell'art. 1, commi 1 e 5 della legge 6 luglio 2012, n. 96 (sulla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici). Quanto alle dedotte questioni di legittimita' costituzionale di cui al punto B) che precede, basti rilevare che il comma 1 dell'art. 2, del decreto-legge 13 luglio 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 ha, senza nulla innovare, solo ribadito la vigenza (per quel che qui occupa) dell'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (cfr. sentenza costituzionale n. 241 del 2012): circostanza che ne rende gia' in astratto ultronea la autonoma rimessione al giudizio di legittimita' della Corte costituzionale insieme alla disposizione ribadita; quanto poi al comma 2 dell'art. 2 del decreto-legge 13 luglio 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha previsto che «... a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013, sul reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo ...», e' evidente nel caso di specie il difetto della condizione della rilevanza posta all'autorita' giurisdizionale dall'art. 23, secondo comma della legge n. 87 del 1953 per poter sollevare questione di legittimita' costituzionale, ovvero dell'impossibilita' di poter definire il giudizio in esame «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale» della normativa coinvolta, trattandosi invero di disposizione di legge che pacificamente non ha trovato applicazione con riferimento al trattamento pensionistico dei ricorrenti. Quanto alle dedotte questione di legittimita' costituzionale: di cui al punto A) che precede, nella parte relativa all'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 ed all'art. 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111; ed al punto C) che precede, relativa all'art. 1, corrimi 1 e 5 della legge 6 luglio 2012, n. 96 (sulla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici), si osserva quanto segue. Le suddette disposizioni, recanti rispettivamente previsioni per la riduzione dei costi della politica e sulla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici vengono censurate sotto il profilo di una assedia disparita' di trattamento rispetto al trattamento riservato ai titolari di pensioni dal comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111; la quale circostanza postula che, nell'individuazione dei tertia comparationis del controllo di eguaglianza da sottoporre al giudice costituzionale, si richiamino ipotesi normative vigenti caratterizzate da omogeneita' di contenuti con la normativa oggetto di censura, tali pertanto da renderla sindacabile dal giudice costituzionale per un eventuale irrazionale regime differenziato di ipotesi che avrebbero invece richiesto una eguale disciplina; potendosi invero proporre un controllo di coerenza delle leggi solo allorche', stante l'essenza di giudizio di relazione che connota il sindacato della Corte costituzionale secondo il parametro dell'eguaglianza, le situazioni poste a confronto siano assimilabili e comparabili, tanto da postulare - in esito al controllo sul corretto uso del potere normativo da parte del legislatore - un armonico trattamento dei destinatari. Nel caso di specie non si ravvisa ictu oculi detta assimibilita' e comparabilita' delle situazioni cosi' regolamentate, trattandosi di termini di raffronto attinenti normative di settore eterogenee (riduzione dei costi della politica, riduzione dei rimborsi ai movimenti o partiti politici) rispetto al settore pensionistico; a fortiori trattandosi di richiami a previsioni intrinsecamente articolate e complesse (id est prive della necessaria precisione ed univocita') ai fini del richiesto confronto di costituzionalita', com'e' dato di inferire dalla lettura delle medesime; legge 6 luglio 2012, n. 96, art. 1, comma 1; «I contributi pubblici per le spese sostenute dai partiti e dai movimenti politici sono ridotti a euro 91.000.000 annui, il 70 per cento dei quali, pari a euro 63.700.000, e' corrisposto come rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e quale contributo per l'attivita' politica. Il restante 30 per cento, pari a euro 27.300.000, e' erogato, a titolo di cofinanziamento, ai sensi dell'art. 2. Gli importi di cui al presente comma sono da considerare come limiti massimi.», art. 1. comma 5: «Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3 si applicano a decorrere dal primo rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, dei consigli regionali e dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.»; art. 1, commi 1, 2, 3, 4 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111: «1. Il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto, in funzione della carica ricoperta o dell'incarico svolto, ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, di cui all'allegato A, non puo' superare la media ponderata rispetto al PIL degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri sei principali Stati dell'area euro. Fermo il principio costituzionale di autonomia, per i componenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati il costo relativo al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica ricoperta non puo' superare la media ponderata rispetto al PIL del costo relativo ai componenti dei Parlamenti nazionali. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica, oltre che alle cariche e agli incarichi negli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, di cui all'allegato A del medesimo comma, anche ai segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti di prima fascia, ai direttori generali degli enti e ai titolari degli uffici a questi equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato. Ai fini del presente comma per trattamento economico onnicomprensivo si intende il complesso delle retribuzioni e delle indennita' a carico delle pubbliche finanze percepiti dal titolare delle predette cariche, ivi compresi quelli erogati dalle amministrazioni di appartenenza. 3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e' istituita una commissione, presieduta dal Presidente dell'ISTAT e composta da quattro esperti di chiara fama, tra cui un rappresentante di Eurostat, che durano in carica quattro anni, la quale entro il 1° luglio di ogni anno e con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, provvede alla ricognizione e all'individuazione della media dei trattamenti economici di cui al comma 1 riferiti all'anno precedente ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza. La partecipazione alla commissione e' a titolo gratuito. In sede di prima applicazione, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al primo periodo e' adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; tenuto conto dei tempi necessari a stabilire la metodologia di calcolo e a raccogliere le informazioni rilevanti, la ricognizione e la individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro marzo 2012. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 costituiscono, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica. Le regioni adeguano, entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la propria legislazione alle previsioni di cui ai medesimi commi. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Tremo e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni stesse, secondo i rispettivi statuti e relative norme di attuazione.», e art. 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui, nella parte attualmente vigente: «comma 2. All'art. 1 della legge 3 giugno 1999, n. 157, il terzo e quarto periodo del comma 6 sono sostituiti dai seguenti: «In caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi e' interrotto. In tale caso i movimenti o partiti politici hanno diritto esclusivamente al versamento delle quote dei rimborsi per un numero di anni pari alla durata della legislatura dei rispettivi organi.». Normative, pienamente riconducibili, per quel che qui occupa, alla sfera di autonoma determinazione politica e nel potere discrezionale del legislatore (cfr. art. 28 della legge n. 87 del 1953), dalle quali non e' ragionevolmente inferibile una univoca analogia (id est; omogeneita' delle situazioni) da porre a raffronto per il richiesto sindacato della Corte costituzionale sulla normativa pensionistica oggetto di censure; con cio' conseguendone in parte qua la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', stante la rilevata inidoneita' degli evocati tertia comparationis a fondale la pretesa violazione del principio di eguaglianza. Quanto invece alla prima questione di legittimita' costituzionale di cui al punto A) che precede - relativa all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111 - appare evidente nella specie la sussistenza della condizione della rilevanza posta all'autorita' giurisdizionale dall'art. 23, secondo comma della legge n. 87 del 1953 per poter sollevare questione di legittimita' costituzionale, ovvero dell'impossibilita' di poter definire il giudizio in esame «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale» della normativa coinvolta, trattandosi di disposizione di legge (comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), pacificamente applicabile ed, invero, autoritativamente applicata al trattamento pensionistico dei ricorrenti, stante l'univoco e cogente tenore letterale che la connota; con la conseguente necessaria influenza (sub specie di stretta pregiudizialita') di un'eventuale pronuncia di accoglimento da parte della Corte costituzionale sulla decisione del presente giudizio; impossibilita' di poter definire il giudizio in esame «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale» che postula logicamente la giurisdizione di questa Corte dei conti nella materia oggetto di ricorso giurisdizionale, da ritenersi nella specie sussistente sul rilievo che il petitum sostanziale, da identificare in funzione della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (causa petendi) dai ricorrenti - ovvero l'oggetto della domanda sulla cui base va determinata, a norma dell'art. 386 codice procedura civile la giurisdizione - attiene, per quel che qui occupa, al preteso riconoscimento del diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico senza le decurtazioni patrimoniali definitive previste dal comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; ovvero al mantenimento del trattamento pensionistico fruito anteriormente al 1° agosto 2011; con cio' risultando evidente che il tema su cui si controverte attiene alla determinazione dell'ammontare del trattamento pensionistico, rimesso alla giurisdizione esclusiva sulla Corte dei conti. Invero, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni fai sensi degli articoli 13 e 62 del regio decreto n. 1214 del 1933) ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, onde in essa sono comprese tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale, ovvero sia comunque in questione la misura della prestazione previdenziale (Cass. civ. Sez. unite. sentenza n. 8324 del 2010). La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto da una norma «certamente di natura tributaria» (sentenza Corte costituzionale n. 241 del 2012), non trasforma il rapporto tra enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, il quale implica - diversamente dal caso di specie un soggetto investito di potestas impositiva ed un provvedimento espressione di tale potere (sentenza Cass. n. 15031/2009). Nella fattispecie, il rapporto tra INPDAP/INPS e pensionati percettori - al quale e' estranea l'amministrazione finanziaria, coerentemente non evocata in questo giudizio - non contiene, quale petitum sostanziale, una contestazione diretta della debenza all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione (come tale rimesso alla competenza esclusiva del giudice tributario: cfr. Cass. civ. Sez. unite, ordinanza n. 22381 del 2011, ma attiene ad un rapporto pensionistico, atteso che - siccome affermato, mutatis mutandis, dalla sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 2064 del 2011 - «le controversie relative all'indebito pagamento dei tributi seguono la regola della devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti dal decreto legislativo n. 546 del 1992, art. 19 e, di conseguenza, il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10, decreto legislativo n. 546 dei 1992. Quando la controversia si svolga tra due soggetti privati in assenza di un provvedimento che sia impugnabile soltanto dinanzi al giudice tributario, il giudice ordinario si riappropria della giurisdizione e non rileva che la composizione della lite debba passare attraverso la interpretazione di una norma tributaria.». Si ritiene altresi' che la questione sollevata non sia manifestamente infondata, ai sensi dello stesso art. 23, secondo comma della legge n. 87 del 1953, per i motivi e con riferimento ai parametri costituzionale che seguono. Invero, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 241 del 2012, il «contributo di perequazione» di cui al comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e' successive modificazioni ed integrazioni» e' previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici ... ,nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la ... sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria e' stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario ...», ovvero, indipendentemente dal nomen juris attribuitole dal legislatore, quelli di un prelievo coattivo finalizzato al concorso delle pubbliche spese, posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva che deve esprimere l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria. Da quanto precede consegue che - richiamando principi riaffermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 2012 secondo cui «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (articoli 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Pertanto, il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., consiste in un «giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).» - occorre verificare se il contributo di perequazione, quale norma di natura tributaria, si ponga in contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione; mentre inconferenti si appalesano ictu oculi i richiami attorei all'art. 95 della Costituzione, relativo ai poteri ed alle responsabilita' del Governo, all'ordinamento della Presidenza del Consiglio ed alle attribuzioni ed organizzazione dei Ministeri; ed all'art. 97 della Costituzione, parametro invero atto a sindacare la ragionevolezza di leggi che disciplinano l'organizzazione e, di riflesso, l'attivita' amministrativa. Ritiene questo giudice che la disposizione di cui al comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e successive modificazioni ed integrazioni, recante l'introduzione di un'imposta speciale, ancorche' transitoria («a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014») ed eccezionale («In considerazione della eccezionalita' della situazione economica ...»), a carico dei soli «trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria», si ponga in contrasto con il principio di parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante, siccome postulato dai richiamati articoli 3 e 53 della Costituzione. Ed invero, da un lato, a parita' di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o privati), il prelievo e' ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, tenuto conto che, se l'eccezionalita' della situazione economica che lo Stato deve affrontare consente al legislatore di intervenire con strumenti eccezionali, nondimeno e' compito dello Stato garantire il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ed, in particolare, del principio di uguaglianza su cui si fonda l'ordinamento costituzionale; principio di uguaglianza (quale specificato nell'art. 53 della Costituzione) in ossequio al quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2010, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, ravvisando un'ingiustificata limitazione ai soli dipendenti pubblici dell'imposta speciale ivi prevista, determinativa di un irragionevole effetto discriminatorio; indicando viceversa, in positivo, la compatibilita' costituzionale di misure che, in un'ottica di solidarieta' economica correlata ad eccezionali finalita' di carattere finanziario, si caratterizzino per una modulazione universale dell'intervento impositivo a parita' di presupposti economici; compatibilita' costituzionale che, con specifico riferimento ai parametri costituzionali di cui al combinato disposto degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione non puo' essere postulata nei confronti di disposizioni che - come quella oggetto della presente rimessione - conducono irragionevolmente nella fattispecie oggetto di scrutinio ad un prelievo «di solidarieta'» nei confronti dei soli magistrati in pensione, pretermettendo, per l'effetto indotto dal decisum costituzionale di cui alla sentenza n. 223 del 2012, i magistrati in servizio, pur in una ottica emergenziale complessiva caratterizzata da identicita' di ratio, con il risultato, peraltro gia' sanzionato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 119, del 1981, sub specie della vulnerazione del principio di eguaglianza in relazione alla capacita' contributiva sancito dagli articoli 3 e 53 della Costituzione, che la suddetta categoria di pensionati e' stata cosi' colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, piu' specificamente, di redditi da lavoro dipendente. Dall'altro lato, ulteriore motivo di censura puo' essere individuato nella stessa entita' del contributo di perequazione che invero, non si correla con un altro prelievo speciale di indubbia natura tributaria (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 223 del 2012), ovvero il contributo di solidarieta' previsto dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011, secondo cui «In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarieta' non si applica sui redditi di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta' e' deducibile dal reddito complessivo. ...». Con la conseguenza irragionevole ed ingiustificata che - con riferimento a interventi «di solidarieta' connotati da sostanziale identita' di ratio - i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, sono tenuti al versamento di un contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici e fermo restando che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli gia' assoggettati al contributo di perequazione; mentre i contribuenti assoggettati al contributo di perequazione, ovvero i ricorrenti, versano (per far fronte alla medesima eccezionale situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall'art. 22-bis del decreto-legge n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, subendo in particolare un prelievo del 15% sui redditi superiori ad euro 200.000; quanto sopra - in disparte la circostanza comunque sintomatica, ancorche' non rilevante ai fini del presente giudizio, che oltre la soglia di reddito di 300.000 euro lordi annui, a parita' di reddito, si avra' per l'una categoria (tendenzialmente universale l'imposizione del 3%, per l'altra (circoscritta ai soli pensionati titolari di trattamenti di quiescenza corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria) l'imposizione del 15% - in patente violazione dei canoni costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza stabiliti dall'art. 3, nonche' del canone della capacita' contributiva e del criterio di progressivita' delle imposte sanciti dall'art. 53; noto essendo che i parametri posti dagli articoli 3 e 53 della Costituzione postulano, nell'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, quale presupposto di un ragionevole esercizio della discrezionalita' legislativa in materia, un raccordo dell'imposizione tributaria con la capacita' contributiva nell'ambito: di un sistema informato a criteri di progressivita' declinati quale specificazione nel contesto tributario del principio di uguaglianza; parametri che appaiono pretermessi nella circostanza dal legislatore con la disposizione in esame. Disposizione che, quale corollario delle censure che precedono, qualora non venisse espunta dal sistema giuridico, ridonderebbe in ulteriore profilo di irrazionalita' complessiva del sistema delle imposte speciali cosi' delineate (tutte, come visto, connotate da analoga ratio e finalita'), con correlato irragionevole effetto discriminatorio derivato (sub specie della coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico), tenuto conto che lo stesso contributo di solidarieta' di cui citato art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011, non si applica sui redditi di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; determinando percio' - in esito alla intervenuta declaratoria di incostituzionalita' del disposto di cui all'art. 9, comma 2 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recata dalla richiamata sentenza costituzionale n. 223 del 2012 - un irragionevole ed arbitrario disallineamento normativo derivante dall'asimmetricita', nel meccanismo impositivo del contributo di solidarieta', dei presupposti reddituali di esclusione: atteso che il contributo di solidarieta' si applica solo per la parte di reddito complessivo, eccedente i 300.000 euro, che trova capienza in redditi di categoria diversa da quelli di lavoro dipendente dove rientrano retribuzioni e pensioni proprio in quanto rispettivamente gia' assoggettati a riduzione (non piu' attuale in esito alla sentenza costituzionale n. 113 del 2012) ovvero al contributo di perequazione (oggetto della presente ordinanza di rimessione); meccanismo che, nel contesto di bilanciamento tra i valori costituzionali dell'interesse fiscale e della capacita' contributiva, si connota per un intrinseco difetto di coerenza interna e di razionalita' dell'assestamento normativo cosi' venutosi a delineare, come tale - alla luce dei parametri costituzionali ripetutamente evocati - sindacabile alla luce del criterio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento riservato ai ricorrenti dalla norma qui oggetto di censura. Per quanto suesposto, ai sensi dell'art. 23 secondo comma della legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione.