IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa ex art. 414
c.p.c. promossa da Maurizio Programma con l'avv. O. Savia.
    Contro  Azienda  Trasporti  Milanesi  S.p.a.,  con  gli  avv.  A.
Franchina e A. Paoletti. Il giudice, sciogliendo la riserva di cui al
verbale 5 luglio 2001;

                            O s s e r v a

    Con  ricorso  depositato il giorno 15 marzo 2001 il ricorrente ha
impugnato  il  licenziamento,  rectius  la  destituzione dal servizio
decisa  dal  consiglio  di  disciplina e comunicatagli dalla societa'
convenuta con telegramma del 29 settembre 2000 ai sensi dell'art. 45,
comma 1, nn. 2, 4, 9, 11 e dell'art. 48, comma 1, dell'allegato A del
regio  decreto  8 gennaio  1931,  n. 148,  per  una  serie  di  fatti
addebitatigli disciplinarmente rilevanti e ritenuti incompatibili con
la  sua  permanenza  in  servizio;  ha  rilevato  una  serie  di vizi
procedurali  e di merito ritenuti invalidanti il recesso e ha chiesto
l'applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell'art. 1
della legge n. 108/1990.
    Si e' costituita la societa' convenuta, preliminarmente eccependo
il  difetto di giurisdizione del giudice ordinario (nella specie, del
lavoro)   sulla  base  dell'art. 58  del  regio  decreto  citato  che
attribuisce  la  cognizione  dei  ricorsi avverso i provvedimenti del
consiglio   di   disciplina   al   consiglio   di   Stato   in   sede
giurisdizionale, ora al Tribunale amministrativo regionale.
    Il ricorrente ha ribattuto affermando l'avvenuta abrogazione, nel
nuovo contesto connotato dalla privatizzazione del rapporto di lavoro
dei pubblici dipendenti, della norma ultima citata, evidente retaggio
di  un'epoca ancor recente nella quale il mondo del lavoro era diviso
in due universi ben distinti, l'impiego privato e l'impiego pubblico,
governati  da  regole  e procedure del tutto diverse, tra le quali si
inseriva,  come  tertium  genus  partecipante  dell'uno  e dell'altro
universo,  il  mondo  del  trasporto pubblico in concessione: venendo
meno,  si  afferma,  la  summa  divisio fino a ieri esistente, non ha
alcun  senso  attribuire  al  giudice amministrativo la giurisdizione
soltanto  sulla  materia  disciplinare  dei  dipendenti  - pubblici e
privati  -  addetti  al  pubblico trasporto in concessione, quando la
stessa   materia  disciplinare  dei  dipendenti  dello  Stato,  delle
regioni, delle A.S.L. ecc., per i quali le esigenze (quali che siano)
per  cosi  dire  "pubblicistiche"  sussistono  al  massimo  grado, e'
pacificamente di competenza del giudice del lavoro.
    Lo  scrivente  condivide assolutamente questo punto di vista, ma,
non ritenendo fondato postulare una avvenuta abrogazione dell'art. 58
citato,  intende  con  questo atto riproporre (dopo la sentenza della
Corte  costituzionale  n. 62  dell'8  marzo  1996)  la  questione  di
legittimita' costituzionale della norma ultima citata.
    A  norma  dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale
sono  tre i possibili casi di abrogazione della legge. Ove nessuno di
essi  possa  ritenersi  realizzato,  ne  derivera'  la  rilevanza  in
concreto  della  questione di costituzionalita', che sara' necessario
risolvere  per  definire  il  giudizio  riguardante il ricorrente, il
quale  ha ormai lasciato scadere i termini per ricorrere al Tribunale
amministrativo  regionale  e puo' ottenere tutela soltanto davanti al
giudice del lavoro.
    Va  in  primo luogo esaminata l'ipotesi dell'avvenuta abrogazione
espressa.  Quesa  tesi  si  puo' appoggiare soltanto sull'art. 29 del
d.lgs.  31 marzo  1998, n. 80, che ha sostituito l'art. 68 del d.lgs.
n. 29/1993:  senonche'  a  ben  vedere,  detto  art. 29 ha operato la
devoluzione  della  giurisdizione al giudice ordinario soltanto delle
"controversie  relative  ai  rapporti di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'art. 1,  comma 2 del decreto
n. 80,  ad  eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui
al comma 4..." e dunque non di tutte le controversie prima conosciute
dal   giudice  amministrativo,  ma  soltanto  di  quelle  relative  a
determinate  pubbliche  amministrazioni;  va  rilevato  allora che il
rapporto  di  lavoro  de  quo  agimus  intercorreva prima con un ente
pubblico  economico  ed  oggi  con  una  societa'  per azioni, dunque
privata,  entrambe  categorie  di  soggetti certamente non riguardate
dall'art. 29 esaminato.
    Il   ricorrente   tenta  di  fondare  l'assunto  dell'abrogazione
espressa anche sull'art. 102 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 e sulla
successiva  legge  della  regione  Lombardia n. 1 del 2000, che hanno
soppresso  le funzioni amministrative relative, tra l'altro, "...alla
nomina dei consigli di disciplina...".
    Il ricorrente porta a proprio sostegno un parere del consiglio di
Stato  rilasciato  in  data 19 aprile 2000, che ha ritenuto l'effetto
abrogativo dell'art. 102 cit. non limitato alla nomina dei membri dei
consigli  di  disciplina,  ma  esteso alla soppressione dei "consigli
medesimi   come   organi   preposti   alla  irrogazione  di  sanzioni
disciplinari, con conseguente abrogazione implicita di tutte le norme
del regio decreto n. 148 che postulino l'attivita' di tali organi.
    La  tesi  e'  in primo luogo debole nell'impianto teorico perche'
una   abrogazione  espressa,  nel  momento  in  cui  la  si  sostiene
implicita,  sfuma  in  quella  per  incompatibilita',  che e' un caso
diverso,  realizzando  quindi  una contraddizione interna; in secondo
luogo per l'evidente salto logico tra la soppressione di una funzione
di  nomina  di membri di un certo organo da parte di un soggetto e la
pretesa  caducazione  di tutta la attivita' dell'organo e dell'organo
stesso,  i  cui  membri  potrebbero  anche  essere  nominati da altri
soggetti; infine per l'evidente sproporzione tra una disposizione che
riguarda  un  dettaglio  organizzativo e la pretesa di farne derivare
l'abrogazione di tutto un corpus di norme, ma anche di strutture e di
procedure  che da tanti anni governano un settore non trascurabile di
lavoratori.
    La  tesi  e'  comunque  infondata, come ha dimostrato la societa'
convenuta.  Il  d.lgs.  n.112  del  31 marzo 1998 non e' altro che il
provvedimento  di  attuazione  del  capo I della legge 15 marzo 1997,
n. 59,   con  cui  e'  stata  conferita  delega  al  governo  per  il
conferimento  di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali,
per  la riforma della pubblica amministrazione per la semplificazione
amministrativa.  Tali  trasferimenti  di  funzioni  sarebbero  dovuti
avvenire   nell'osservanza  e  nel  rispetto  di  specifici  principi
fondamentali  quali  quello  di  sussidiarieta',  di  completezza, di
efficienza  e  di  economicita',  "anche  con  la  soppressione delle
funzioni  e  dei  compiti divenuti superflui" (cfr. art. 4, lett. c),
legge n. 59/1997).
    Nella  logica  del  decentramento  delle funzioni, l'art. 102 del
d.lgs. n. 112 ha soppresso "le funzioni amministrative relative:
        a)   all'approvazione   degli   organici  delle  ferrovie  in
concessione;
        b) all'approvazione degli organici delle gestioni governative
e   dei   bilanci  delle  stesse,  all'approvazione  dei  modelli  di
contratti, alla nomina dei consigli di disciplina...".
    E'   evidente   che   si   tratta  di  soppressione  di  funzioni
amministrative   di  competenza  statale,  nell'ottica  di  una  loro
devoluzione  alle  regioni  ed  agli  enti locali. Questo e' il senso
della  legge  di delegazione e non si puo' leggere il testo normativo
come  avente,  l'intenzione  e  l'effetto di sopprimere tout court le
funzioni   di   nomina  dei  membri  dei  consigli  di  disciplina  e
addirittura  questi  ultimi.  Il fatto che la Regione Lombardia abbia
creduto  di  attuare  la legge citata abolendo la propria funzione di
nomina  dei  membri  dei consigli di disciplina, in ogni caso, non ha
alcun  effetto  sul consiglio di disciplina istituito presso l'ATM di
Milano, gia' nominato in precedenza e tuttora validamente in carica.
    In   conclusione,  non  puo'  parlarsi  di  abrogazione  espressa
dell'art. 58 del regio decreto n. 148 /1931;
    Quanto  alle  altre  due ipotesi possibili di abrogazione, quella
per  incompatibilita'  della  nuova  legge con la precedente e quella
dell'avvenuta  nuova  regolazione  per  intero della materia, si deve
rilevare che:
        a)  nessuna  norma  specifica nella materia che interessa (la
materia disciplinare per gli autoferrotranvieri) e' stata dettata dal
legislatore;
        b)  non  e' intervenuta alcuna nuova legge che abbia regolato
per  intero  la  materia,  intesa  sia  nel  senso restrittivo appena
specificato  sia  nel  senso  piu' ampio del settore del trasporto in
concessione.
    Non  sussiste alcuna coincidenza delle aree riguardate da un lato
dalle  grandi  novita'  legislative in materia di privatizzazione del
lavoro  pubblico  e,  dall'altro,  dal  regio decreto n. 148/1931. Le
prime  riguardano  i  rapporti di pubblico impiego, mentre il secondo
riguarda  i  rapporti  di  lavoro  dei  dipendenti  delle  imprese di
trasporto  in concessione, che siano pubbliche o private o rientranti
nell'art. 2093  cod.  civ.. Le ultime due categorie di soggetti hanno
sempre  intrattenuto  con  i  loro  dipendenti  un rapporto di lavoro
privatistico,  ex  art. 2093 c.c, appunto, e cio' non ha impedito che
si  ravvisassero  esigenze e interessi pubblici tali da strutturare e
mantenere  come  differenziata la materia disciplinare e devolvere la
sua cognizione in sede giurisdizionale al giudice amministrativo.
    Dunque  nessuna novita' la legge n. 29/1993 e successive hanno di
per  se' apportato alla normativa riguardante gli autoferrotranvieri.
Inoltre  le  grandi  riforme del rapporto di lavoro ex pubblico hanno
avuto  senza  dubbio  carattere  generale,  il  che,  secondo il noto
brocardo,  consentirebbe comunque, di per se', la sopravvivenza della
normativa  speciale  preesistente dettata per gli autoferrotranvieri,
non  riguardata  dalle  norme  abrogatrici  di cui all'art. 74 d.lgs.
n. 29/1993  e  all'art. 43  d.lgs.  n. 80/1998. La differenza tra gli
ambiti  di  riferimento impedisce di ravvisare ipotesi di abrogazione
diversi da quella espressa, gia' esclusa.
    Si  puo'  aggiungere,  come  ha rilevato, trib. Milano 6 dicembre
2000,  n. 3225, che, ove si postulasse che il d.lgs. n. 29/1993, come
modificato  dal  d.lgs.  n. 80/1998,  avesse  effettivamente abrogato
l'art. 58 regio decreto n. 148 (naturalmente solo per i dipendenti ex
pubblici),  "si  arriverebbe  al  paradosso  per  cui i provvedimenti
disciplinari  adottati da imprese di trasporto pubblico esercitate da
privati  continuerebbero  a rientrare nella giurisdizione del giudice
amministrativo   mentre  quelli  adottati  da  imprese  di  trasporto
pubblico   gestite  da  enti  pubblici  territoriali  o  da  consorzi
rientrerebbero nella giurisdizione del giudice ordinario".
    Ritiene  lo  scrivente  che  la  situazione normativa attuale sia
comunque    paradossale,    perche'    resta   il   fatto   che   gli
autoferrotranvieri,  pubblici e perfino privati, hanno un giudice, in
materia  disciplinare, diverso da quello che hanno i dipendenti dello
Stato, delle regioni, province, comuni, A.S.L., ecc.
    La   Corte   costituzionale   ha   sempre  letto  l'art. 3  della
Costituzione   come   norma  che  impone  il  trattamento  uguale  di
situazioni uguali e, per converso, legittima quello differenziato per
situazioni  diverse,  norma  quindi  che  incorpora  un  principio di
ragionevolezza,  di razionalita' nella considerazione degli interessi
oggetto  della  normazione.  Nella sentenza n. 62 del 4-8 marzo 1996,
emessa  proprio  sulla  materia che ci occupa, decidendo sulla stessa
questione  sollevata in riferimento alla privatizzazione del rapporto
di  lavoro  dei  ferrovieri,  la  Corte ha individuato la ragione del
diverso  trattamento  (sopravvissuto anche alla "delegificazione" del
rapporto  di lavoro degli autoferrotranvieri) nella "specialita'" del
loro  rapporto  di lavoro, che il legislatore avrebbe ragionevolmente
considerato   per  tutelare  "l'interesse  collettivo  -  e  pertanto
ritenuto  dal  legislatore  preminente  -  al  buon funzionamento del
servizio  pubblico del trasporto ferrotranviario, avuto riguardo alle
variegate  e  multiformi (anche per dimensioni) tipologie di gestione
da parte di aziende autonome o da parte di soggetti privati, tutti in
regime  di  concessione  e  con  poteri  derivanti  dal  rapporto  di
concessione in ordine anche alla sicurezza e polizia dei trasporti.".
    La "preminenza" dell'interesse collettivo al buon funzionamento e
alla  sicurezza  dei trasporti e' dunque la peculiarita' che e' stata
ritenuta   giustificante   il   diverso   trattamento  disegnato  dal
legislatore.
    Detta   "preminenza"  avrebbe  legittimato  l'attribuzione  della
giurisdizione   al  giudice  amministrativo,  evidentemente  ritenuto
miglior   custode  degli  interessi  pubblici.  Una  tale  scelta  si
giustificava, si ritiene, quando era lo stesso giudice amministrativo
a conoscere del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, quelli il
cui   operato   coinvolge  immediatamente  interessi  direttamente  e
tipicamente  pubblici:  sotto  questo  profilo  si  trattava  di  una
sostanziale  assimilazione  - solo parziale - dell'autoferrotranviere
all'impiegato pubblico, il che aveva una logica riconoscibile.
    Ci  si  deve pero' domandare quale logica sia riconoscibile ora -
dopo  la  avvenuta  privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico -
nella  particolarissima  competenza  giurisdizionale in questione. In
base  al  diritto vigente il tranviere, anche dipendente privato, che
e' stato ritenuto colpevole di aver falsificato il proprio cartellino
orario  (niente  a  che  vedere con la sicurezza dei trasporti: e' il
nostro   caso)  deve  adire  il  giudice  amministrativo,  mentre  il
cancelliere  del tribunale che nasconde un fascicolo o fa inutilmente
perdere  tempo  agli  utenti  del suo ufficio, oppure un medico della
A.S.L.  che  viene  meno  ai  suoi  doveri  d'ufficio, se sanzionati,
adiscono  il  giudice  del  lavoro.  Se  una  gerarchia  di rilevanza
(implicata  dal  concetto  di  "preminenza") si puo' stabilire tra le
situazioni,  non  sembrano  esservi  dubbi  nel senso che l'interesse
pubblico  e'  assai  piu'  pregnante  nella  seconda  e  nella  terza
situazione che non nella prima (dove, anzi, proprio non si vede).
    Non  si  intende  affermare  qui  che  la  tutela  ai diritti del
lavoratore  data  dal  giudice  amministrativo sia inferiore a quella
offerta  dal  giudice  ordinario.  Le due tutele hanno alcuni aspetti
piu' favorevoli, altri meno favorevoli l'una rispetto all'altra e non
e' possibile stabilire una graduazione al riguardo.
    Resta  la domanda sul perche' di questa differenziazione, che non
sembra  rispondere  ad alcuna logica riconoscibile: non la preminenza
dell'interesse pubblico, non la sicurezza dei trasporti, che entra in
gioco solo in ipotesi limitate. Ne' si vuole credere che possa essere
ritenuta  permanente  una  esigenza certo presente al legislatore del
1931,  cioe'  il controllo assoluto dei trasporti e del movimento sul
territorio  per  ragioni  di  sicurezza  nazionale  sotto  il profilo
bellico  (contro il nemico esterno) e di polizia (contro l'oppositore
interno), per evidenti ragioni che non e' il caso di esplicitare.
    Quali, allora, le ragioni del trattamento differenziato, oggi che
il  mondo  del  lavoro  e'  stato unificato, sotto il profilo del suo
regime  normativo,  con  le limitatissime eccezioni di cui al comma 4
dell'art. 29  del  d.lgs.  n. 80/1998? E' quanto si attende di sapere
dalla  Corte  costituzionale,  cui  si  rimette  la  questione  della
legittimita'  costituzionale dell'art. 58 del regio decreto 8 gennaio
1931, n. 148, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto
rilevante e non manifestamente infondata.