IL GIUDICE DI PACE

    Vista  l'ordinanza  della  Corte costituzionale in data 19 giugno
2002,  depositata  in  data  26  giugno  2002,  con la quale e' stata
dichiarata   l'inammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  da questo giudice con ordinanza in data 26
aprile 2001;
    Ritenuto  che  la menzionata ordinanza della Corte costituzionale
non  ha  sciolto  i dubbi di legittimita' costituzionale espressi col
citato  provvedimento del 26 aprile 2001: dal momento che la Corte si
e'  limitata a pronunziarsi sulla motivazione relativa alla rilevanza
dell'eccezione;
        che  la  persistenza  di  tale  obbligo  impone  di rimettere
nuovamente  gli  atti  di  questa  causa al Giudice delle leggi: onde
ottenere  una pronunzia, resa in quella competenza che e' il doveroso
ufficio  del  giudice  medesimo;  e, segnatamente, una pronunzia che,
sciogliendo  il  dubbio  di cui trattasi, consenta la prosecuzione di
questo giudizio;
        che,   in  realta',  la  motivazione  sulla  rilevanza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  era svolta nel punto 12)
della ridetta ordinanza in data 26 aprile 2001;
        che   appare  quindi  opportuno,  ai  fini  di  questa  nuova
rimessione,  meglio esporre i termini della rilevanza della questione
di  legittimita'  di  cui  trattasi; e, in particolare esporre questi
termini   il   piu'   succintamente   possibile:   onde   evitare  le
macchinosita' e le lacune che potrebbero discendere da un'esposizione
troppo  elaborata e/o da una lettura troppo affrettata (macchinosita'
e  lacune  ben possibili in uffici giudiziari chiamati a smaltire una
mole di lavoro spesso ai limiti delle loro forze);
        che, per le stesse ragioni, appare anche opportuno riesporre,
con la maggiore schematicita' e semplicita' possibili, le motivazioni
attinenti  al merito dell'eccezione di legittimita' costituzionale in
questione;  rifacendosi  all'articolato  dell'ordinanza  in  data  26
aprile  2001,  in  modo  da  rendere  evidenti il suo ordine e la sua
logica anche a una lettura fatta per sommi capi;
        che, conseguentemente, si osserva:
A) Sulla rilevanza dell'eccezione.
    Nel  presente  giudizio,  il  locatario  di un immobile chiede la
differenza  tra il canone contrattuale da lui pagato e quanto sarebbe
stato  dovuto, secondo l'"equo canone" di cui alla legge n. 392/1978.
Il contratto di locazione e' cessato, per morosita' del locatario che
si   era  allontanato  dall'Italia  per  un  certo  tempo:  morosita'
manifestatasi  durante tale allontanamento (mentre prima il contratto
sarebbe stato regolarmente adempiuto).
    Il  locatario  agisce  quindi  ai sensi dell'art. 79 della citata
legge  n. 392/1978:  articolo  che  deve  essere percio' applicato in
questo giudizio.
    I  canoni,  per i quali si richiede la restituzione limitatamente
alla  differenza rispetto all'equo canone, si riferiscono in parte al
periodo   anteriore  all'11  luglio  1992;  e  in  parte  al  periodo
posteriore.
    I   dubbi  di  legittimita'  costituzionale  del  citato  art. 19
riguardano  fattispecie,  relativamente  alle  quali il locatario non
evidenzi   e  comunque  non  dimostri  una  situazione  di  impotenza
finanziaria,   quanto  al  pagamento  del  canone  pattizio;  e  sono
diversamente articolati, ma comunque sempre sussistenti [come esposto
al  seguente  punto  ad  B)],  se il conduttore agisca per competenze
anteriori oppure posteriori all'11 luglio 1992.
    Nel  caso  di  cui  trattasi, appare che il locatario si sia reso
inadempiente,  perche'  assente  dall'Italia  (e  quindi  per ragioni
diverse dall'impotenza finanziaria relativamente al canone pattizio);
e  i  canoni,  sui  quali  viene  richiesta  la restituzione ai sensi
dell'art. 79 della legge n. 392/1978, si riferiscono sia a competenze
anteriori all'11 luglio 1992, che a competenze posteriori.
    Di qui la rilevanza dell'eccezione di legittimita' costituzionale
del citato art. 79.
B) Sui   motivi  dell'eccezione  (di  seguito  elencati,  secondo  la
numerazione  dei  paragrafi  in  cui  si  articola l'ordinanza del 26
aprile 2001).
    I) Sospetta violazione degli artt. 2, 3 e 42 cost.; relativamente
all'art.  79,  primo  comma, e, per quanto conseguente, agli art. 79,
secondo comma, e 12, primo comma, della legge n. 392/1978 (punto 11),
I) dell'ordinanza in data 26 aprile 2001).
    alfa)  L'imposizione  per  legge di un prezzo, relativamente a un
contratto  costituente  estrinsecazione  del  diritto  di  proprieta'
(ossia   della  facolta'  del  proprietario  di  godere  un  immobile
abitativo), di per se' contrasta:
        con  i diritti inviolabili dell'uomo (ai quali deve ritenersi
riconducibile la liberta', e segnatamente quella contrattuale);
        col  principio  di  uguaglianza dei cittadini (violato merce'
l'imposizione di un canone parametrato su rigidi criteri predefiniti,
che non tengono quindi conto del diverso valore effettivo di ciascuna
proprieta' immobiliare); e,
        con  la  tutela  della  proprieta'  privata  (compressa nella
facolta' di godere del bene attraverso la sua locazione).
    beta)    L'imposizione    di    cui    trattasi    puo'    quindi
costituzionalmente  giustificarsi, solo se finatizzata alla tutela di
diritti  a  loro  volta  rivestiti  di dignita' costituzionale. Nella
specie, il diritto all'abitazione: riconducibile anch'esso alla sfera
dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  (di  cui  all'art. 2  Cost.); e
astrattamente   attribuibile,   dal  lato  passivo,  ai  proprietari,
nell'adempimento  dei doveri di solidarieta' di cui agli artt. 3 e 42
Cost.  L'"equo canone" di locazione, imposto dalla legge n. 392/1978,
poteva   cosi'  giustificarsi:  in  quanto  finalizzato  a  garantire
un'abitazione  in  una  situazione  di  mercato  caratterizzata dalla
carenza   di   offerta  di  alloggi  e  dalla  conseguente  debolezza
contrattuale dei conduttori. Una situazione tanto eccezionale, da far
ragionevolmente  ritenere  che  il  diritto  in questione non potesse
trovare   adeguata   rispondenza   nel   libero  mercato  (altrimenti
costituente  il suo naturale sbocco). Cosi', per es., Corte cost. nn.
132/1994 e 1028/1988; e anche Cass., III, 3650/1985.
    La  tutela del diritto all'abitazione, ora delineata, puo' essere
perseguita:
        A)  con norme rivolte direttamente alla protezione di ciascun
locatario, quale parte di ogni singolo contratto di locazione;
        B)   con   norme   rivolte   alla  protezione  dei  locatari,
genericamente  considerati  come  una  delle  due  parti  del mercato
locatizio.
    ad A)   La   prima   forma   di   tutela  (specifica)  puo'  dare
legittimazione  costituzionale  alle  imposizioni  di  cui alla legge
n. 392/1978, solo in presenza di un inquilino che manifesti impotenza
finanziaria   nel  pagamento  del  canone.  Questo  caso  non  sembra
ricorrere  nel  presente  giudizio:  nel  quale  il  locatario non ha
mostrato  segni  di  debolezza  finanziaria,  e non si e' reso quindi
meritevole   di  una  protezione  tanto  spinta  da  giustificare  la
compressione di diritti del locatore costituzionalmente rilevanti.
    ad B)  La  seconda  forma di tutela (generica) da' legittimazione
costituzionale all'imposizione dell'equo canone, in quanto sia intesa
alla  creazione  e  alla  preservazione  di un mercato calmierato. In
quest'ottica,   le   norme   cogenti   della   legge  n. 392/1978  si
giustificano   costituzionalmente,  perche'  intese  a  dissuadere  i
locatori  dal  presentarsi  e  dal  ricercare  sul mercato condizioni
diverse  (ossia piu' alte) rispetto a quelle di legge. Questo intento
dissuasorio,  proprio  per la sua genericita', puo' dirsi sussistente
anche in presenza di singoli locatari finanziariamente non impotenti:
che  possono  quindi  profittare delle reazioni stabilite dalla legge
per  il  caso  di  violazione  delle  norme  sull'equo  canone (e, in
particolare, profittare dell'art. 79 della legge n. 392/1978. E cfr.,
sull'idoneita'  degli scopi dissuasori a giustificare la legittimita'
costituzionale   di  norme  della  legge  n. 392/1978,  nella  specie
l'art. 59,  Corte cost., n. 1028/1988; principio ribadito anche dalla
successiva n. 132/1994).
    L'intento  dissuasorio  in questione, segnatamente, sussiste e si
giustifica,  come  tale,  in  relazione  allo  svolgimento futuro del
contratto  al  quale sia predicabile; e in relazione a tutti i futuri
contratti di locazione che fossero stipulati. Venendo meno l'esigenza
di  calmierare  il mercato locatizio, e quindi l'esigenza di incidere
sul  futuro svolgimento dei contratti di locazione, cesserebbe quindi
anche  la  ragione  giustificatrice  delle  norme  dissuasorie di cui
trattasi:  le  quali  si  troverebbero  percio'  senza legittimazione
costituzionale,  a  fronte delle lesioni a diritti costituzionalmente
garantiti, discendenti dall'imposizione dell'equo canone.
    Ora,   la  necessita'  di  calmierare  il  mercato  locatizio  e'
transitoria:   in   quanto   soluzione   tecnica   di  saldatura  tra
legislazione  vincolistica  e  nuova  legge organica sulle locazioni,
destinata   a  fungere  da  ponte  tra  i  due  contrapposti  sistemi
(vincolistico  e  libero); attesa l'esigenza di regolare gradualmente
il  passaggio  della  grande massa dei contratti in corso nell'ambito
delle nuove regole ordinarie (cosi' Corte cost. nn. 32/1980, 281/1981
e 1028/1988).
    Di  fatto,  lo  stesso legislatore aveva cominciato a abbandonare
l'equo  canone  gia'  con  effetto  dall'11  luglio  1992, in seguito
all'art.  11  del  decreto-legge  n. 333/1992,  convertito  con legge
n. 359/1992:  un  primo  passo,  nella  formulazione di queste "nuove
regole ordinarie".
    In  quel  momento  (quando  il contratto di locazione dedotto nel
presente giudizio era ancora in corso) le norme dissuasorie contenute
dalla  legge  sull'equo  canone  potrebbero  avere  cessato  di avere
legittimazione costituzionale.
    Il  sospetto  di  illegittimita'  costituzionale  di cui trattasi
riguarda quindi l'art. 79 della legge n. 392/1978, relativamente alle
differenze  tra  canoni  equi  e  pattizi,  aventi competenza dall'11
luglio  1992;  o  aventi competenza da quel diverso momento in cui il
Giudice   delle   leggi   ritenesse   di   collocare   la  cessazione
dell'esigenza di calmierare il mercato locatizio.
    Lo stesso sospetto di illegittimita' potrebbe estendersi anche ai
canoni,  aventi  competenza  anteriore  alla  data o al momento sopra
indicati: perche' gli obblighi restitutori, discendenti dal precitato
art. 79,  dovrebbero  comunque  essere  adempiuti  adesso.  Solo ora,
quindi,   si   perfezionerebbe   il   perseguimento   di   un intento
dissuasorio,   che   ha   ormai   da   tempo  perso  la  sua  ragione
giustificatrice.  In  particolare: le ragioni, sulle quali si fondava
l'anti-giuridicita'  dei  pagamenti a suo tempo eseguiti oltre l'equo
canone,  sono ora cessate: la nullita' di quei pagamenti in qualunque
momento  eseguiti,  non  puo'  piu'  oggi predicarsi a alcuna attuale
esigenza   di   ordine  pubblico  di  protezione.  Il  che  priva  di
giustificazione,  "ora  e  per  allora",  la  sanzione di nullita' in
questione:  in  quanto  questa  era  appunto  basata sulla tutela del
"futuro"  svolgimento del mercato locatizio, con riguardo ai "futuri"
comportamenti contrattuali del locatore.
    La  nullita'  medesima,  in seguito all'eventuale declaratoria di
illegittimita' costituzionale dell'art. 79, legge n. 392/1978 e delle
norme   collegate,  potrebbe  quindi  ricollegarsi  alla  fattispecie
prevista  dall'art. 2034  del  codice  civile: perche' adempimento di
obbligazione  naturale il pagamento di un debito eventualmente nullo,
ma  tuttavia  discendente  da una libera pattuizione del pagatore non
ormai  piu'  illecita  (essendo  in  ipotesi  venute  meno, ora o per
allora,  le  cogenti ragioni di ordine pubblico dalle quali dipendeva
quell'illiceita).
    L'eventuale  non  debenza  dei  rimborsi  stabiliti dall'art. 79,
legge  n. 392/1978,  se  dichiarato incostituzionale, potrebbe quindi
estendersi  anche ai canoni aventi competenza anteriore all'11 luglio
1992:  come  potra'  meglio  escutersi nel prosieguo del giudizio, in
essere  dinanzi  a  questo  giudice  rimettente.  Di qui la rilevanza
dell'eccezione  di legittimita' costituzionale, anche con riferimento
a   questi   canoni:  come  meglio  esposto  al  punto  12),  ad  B),
dell'ordinanza del 26 aprile 2001.
    II)  Sospetta violazione dell'art. 3 cost., con riguardo all'art.
53  Cost.,  e  con  riferimento  all'art. 2 Cost.; relativamente agli
artt.  79, primo e secondo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23, 24 e 25 della legge n. 392/1978.
    La  compressione  dei  diritti  dei  locatori  costituzionalmente
rilevanti,  attinenti alla liberta' contrattuale, alle diseguaglianze
create  dall'imposizione  di  condizioni rigidamente predeterminate e
alla  pienezza  del  diritto  dominicale,  potrebbe giustificarsi col
richiamo al principio di solidarieta'.
    Il   dovere  di  solidarieta',  pero',  grava  anzi  tutto  sulla
collettivita'   (cfr.   art. 53  Cost.).  Farlo  gravare  su  singole
categorie  di  persone contraddirebbe quindi all'art. 3 Cost.; a meno
che   queste   categorie   non   siano   inscindibilmente   collegate
all'adempimento dei doveri medesimi.
    Questo  collegamento  inscindibile potrebbe ravvisarsi in capo ai
proprietari  immobiliari, se il dovere di solidarieta' dovesse essere
adempiuto  in  natura:  ossia  con la dazione del bene (nella specie,
casa),  che  ne  fosse  oggetto. Il che poteva accadere nella vigenza
delle leggi sul blocco delle locazioni: leggi, sulla base delle quali
ai  proprietari  veniva  imposto  di (continuare a) dare "la casa" ai
locatari.
    Con  l'equo canone, invece, si impone ai locatori una limitazione
patrimoniale  in  numerario:  rispetto  alle maggiori prestazioni che
avrebbero   potuto   spuntare,   in  situazione  di  libero  mercato.
Limitazione  patrimoniale  in  numerario  che, come tale, potrebbe, e
percio' dovrebbe, far carico all'intera collettivita'.