IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Il  pretore  di  Napoli,  in  accoglimento  del ricorso di De Sio
Domenico,  Esposito  Paolo,  Lubrino  Giuseppe e Leopardo Michele, ex
dipendenti  della azienda Sofer di Pozzuoli, ha dichiarato il diritto
degli  stessi alla rivalutazione dell'anzianita' contributiva, a fini
pensionistici, mediante l'applicazione del coefficiente dell'1,5% per
il periodo di accertata esposizione all'amianto ai sensi dell'art. 13
comma 8, legge n. 257 del 1992;
    Avverso  detta  sentenza  ha proposto appello l'INPS eccependo la
mancanza  di attestazione di esposizione ultradecennale all'amianto e
affermando  che  i  benefici di cui all'art. 13, comma 8, della legge
n. 257  del  1992  non si applichino ai lavoratori gia' in quiescenza
alla data di entrata in vigore della legge.
    Si sono costituiti gli appellati con propria memoria.
    All'udienza  del 4 luglio 2002 il tribunale assegnava la causa in
decisione.
    Va  innanzitutto  rilevato  che in fatto la difesa dei lavoratori
appellati  ha  prodotto,  fin  dal ricorso introduttivo, attestazione
proveniente dall'INAIL nella quale si da' atto che l'azienda Sofer di
Pozzuoli  ha  svolto  lavorazioni  che  esponevano  ad  inalazioni di
polvere di amianto.
    Secondo  il  dettato normativo di cui all'art. 13, comma 8, della
legge  n. 257  del  1992  "per  i  lavoratori che siano stati esposti
all'amianto  per  un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo
lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali   derivanti   dall'esposizione   all'amianto,   gestita
dall'INAIL,    e'    moltiplicato,    ai   fini   delle   prestazioni
pensionistiche, per il coefficiente di 1,5".
    Secondo  un orientamento della Corte di cassazione, (sez. L sent.
06605  del  7  luglio  1998)  la dizione della norma in esame, con il
riferirsi esclusivamente ai "lavoratori" avrebbe inteso escludere dal
beneficio  in  parola  i soggetti che, alla data di entrata in vigore
della legge esaminata, non prestavano piu' attivita' lavorativa.
    Successivamente   la   mema   Corte  ha  pero'  precisato  questa
interpretazione  nel  senso  che l'esclusione opererebbe soltanto per
quei  lavoratori che, alla data di entrata in vigore della norma sono
titolari  di  pensione  di  vecchiaia,  di  anzianita', o titolari di
pensione di inabilita' ex lege 222/1984, mentre il beneficio previsto
si  applicherebbe  a soggetti titolari di altre categorie di pensione
(sez.  L  sent.  n. 05764  del  19  aprile 2001 "la maggiorazione del
periodo  lavorativo ai fini pensionistici, riconosciuta dall'art. 13,
legge   27   marzo   1992,   n. 257,  come  modificato  dall  art. 1,
decreto-legge  5  giugno  1993,  n. 169, convertito con modificazioni
nella  legge  4  agosto  1993,  n. 271, in favore dei "lavoratori del
settore  dell'amianto  esposti al rischio di malattia per oltre dieci
anni,  mentre  non  puo'  trovare  applicazione  -  atteso  il tenore
letterale e la ratio della previsione normativa - per i soggetti gia'
fruenti  di  pensione di vecchiaia o di anzianita' ovvero titolari di
pensione di inabilita ex legge n. 222 del 1984, e' invece applicabile
ai titolari di pensione o assegno di invalidita' , ai quali si addice
la  qualifica  di lavoratori, dato che il godimento della prestazione
di  invalidita' non preclude lo svolgimento di attivita' lavorativa e
che  anche  per  essi  vi  e' l'esigenza di incrementare l'anzianita'
assicurativa per poter conseguire le prestazioni di vecchiaia.
    Per  la  spettanza del beneficio, poi, non assume rilevanza che i
soggetti svolgessero o meno attivita' lavorativa alla data di entrata
in  vigore  della  citata  legge  n. 257 del 1992, considerato, da un
lato, che, letteralmente, cio' che rileva, come elemento ostativo del
beneficio,  e'  solo  il  fatto che a tale data i lavoratori avessero
gia'  conseguito  la  pensione di vecchiaia o di anzianita' ovvero la
pensione    di   inabilita'   e,   dall'altro,   che   il   requisito
dell'attualita'     lavorativa     comporterebbe    un'ingiustificata
disuguaglianza   fra  i  lavoratori  transitati  in  settori  diversi
dall'amianto  e  i  lavoratori  che,  pur avendo ugualmente contratto
l'asbestosi o comunque essendo rimasti esposti al rischio di malattia
per  oltre  dieci  anni, siano rimasti disoccupati; ne' la necessita'
dell'attualita'  lavorativa  puoessere  dedotta dalle disposizioni di
cui  all'art. 80,  venticinquesimo  comma,  legge  23  dicembre  2000
n. 388").
    Nel caso de quo, come risulta dalla dichiarazione del procuratore
dell'appellato,  il  lavoratore  De  Sio  Antonio gode di pensione di
vecchiaia,  il  lavoratore  Esposito Paolo e' titolare di pensione di
anzianita',  mentre  i lavoratori Lubrino Giuseppe e Leopardo Michele
sono titolari di assegno di invalidita'.
    Pertanto, secondo Iinterpretazione sopra riferita il beneficio di
cui  all'art. 13  ottavo comma non sarebbe applicabile agli appellati
De Sio Antonio ed Esposito Paolo.
    Innanzitutto  va premesso che scopo della legge e' principalmente
quello  di  incrementare,  con  l'aumento  figurativo  del periodo di
contribuzione,  le  prestazioni  pensionistiche,  e  di attribuire un
beneficio  a  coloro  che,  loro  malgrado,  siano  stati  sottoposti
all'azione  di  materiale  che  poi  la  evoluzione  successiva delle
scienza ha accertato essere pericoloso per la salute.
    Questa  ratio  va  certamente  considerata  prevalente rispetto a
quella,  pur  esistente,  evidenziata  dalla  Corte di cassazione, di
agevolare   l'esodo   da   industrie   che   effettuano   lavorazioni
potenzialmente  lesive  tramite  la  riconversione dei lavoratori ivi
impiegati nello smantellamento delle attivita' predette.
    Lo   scopo   primario,  perseguito  dal  legislatore,  come  gia'
affermato    incidentalmente    dalla    Corte   costituzionale   con
argomentazione fatta propria da questo tribunale, e' quello di tutela
nei  confronti di situazioni morbigene (Corte costituzionale n. 5 del
12 gennaio  2000  secondo  cui  "scopo  della disposizione censurata,
secondo quanto si evince dalla accennata ricostruzione della relativa
vicenda  normativa,  va  rinvenuto  nella  finalita'  di  offrire, ai
lavoratori  esposti  all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo
(almeno  10  anni),  un  beneficio correlato alla possibile incidenza
invalidante   di   lavorazioni   che,  in  qualche  modo,  presentano
potenzialita' morbigene").
    A   questa   conclusione   il  collegio  ritiene  di  aderire  in
considerazione  dell'esame  complessivo  della normativa in questione
che prevede:
        l'accesso,   per   i   lavoratori  occupati  in  imprese  che
utilizzano   o   estraggono   amianto,   impegnate   in  processi  di
ristrutturazione   e   riconversione   produttiva,  al  pensionamento
anticipato   in   costanza  di  determinati  requisiti  contributivi,
beneficiando  di  una  maggiorazione  dell'anzianita'  assicurativa e
contributiva (comma 2);
        la rivalutazione, ai fini del conseguimento delle prestazioni
pensionistiche  da  parte  dei  lavoratori  delle  miniere  e cave di
amianto,   del   numero   di   settimane   coperto  da  contribuzione
obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa (comma 6);
la rivalutazione per il periodo di provata esposizione all'amianto in
favore  dei  lavoratori  che  abbiano  contratto,  a  causa  di detta
esposizione, malattie professionali documentate dall'INAIL (comma 7).
    In  secondo  luogo  a conferma dell'interpretazione condivisa dal
collegio  sta l'iter legislativo relativo alla modifica dell'art. 13,
comma 8, legge 257/1992.
    L'art. 1,  comma 1 del d.l. 5 giugno 1993 n. 169, in sostituzione
dell'art. 13, comma 8, legge 257 del 1992, aveva stabilito che "per i
lavoratori   dipendenti   dalle  imprese  che  estraggono  amianto  o
utilizzano   amianto  come  materia  prima,  anche  se  in  corso  di
dismissione  o  sottoposte  a  procedure  fallimentari  o  fallite  o
dismesse"  l'esposizione  ultradecennale all'amianto era moltiplicata
per  il  coefficiente di 1,5. In sede di conversione la legge 271 del
1993  ha  soppresso l'inciso "dipendenti dalle imprese che estraggono
amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di
dismissione  o  sottoposte  a  procedure  fallimentari  a  fallite  o
dismesse".  Pertanto  e' agevole ricavare come il legislatore, con la
nuova   formulazione   dell'art. 13,   comma  8,  abbia  inteso  dare
centralita'  alla lavorazione ultradecennale ai fini dell'ottenimento
del  beneficio  in  questione, svincolando la sua concessione da ogni
relazione  con  la  tipologia dell'attivita' produttiva del datore di
lavoro.
    Ebbene  la  esegesi dell'articolo in discussione effettuato dalla
Corte  di  cassazione  viola  il  principio  di  uguaglianza previsto
dall'art. 3  della  Costituzione in relazione a lavoratori che godono
di  pensione  a  titoli  diversi.  Questa  norma,  infatti,  sancisce
l'uguaglianza  dei cittadini di fronte alla legge. Mentre, attribuire
un beneficio di ordine economico ad un pensionato piuttosto che ad un
altro  solo  perche'  il  primo al momento di entrata in vigore della
norma  era  titolare di pensione di invalidita' e non di anzianita' o
di  vecchiaia  comporta  una  sostanziale violazione del principio di
uguaglianza  riferito  alla  tutela del bene della salute, che per la
sua assolutezza merita incondizionata tutela per ciascun individuo.
    E'   pertanto  irragionevole  e  non  conforme  al  principio  di
uguaglianza sostanziale sostenere innanzitutto che di detto beneficio
debbano  godere  coloro  che erano lavoratori alla data di entrata in
vigore  della  legge.  E  successivamente  specificando  che,  tra  i
lavoratori  non piu' in servizio alla data di entrata in vigore della
legge  soltanto  alcune  categorie di pensionati, quali i titolari di
pensione  o assegno di invalidita' possano godere di detto benefi-cio
e  non  i  soggetti  gia'  fruenti  di  pensione  di  vecchiaia  o di
anzianita'.  Anche  per questi vi e' stata una esposizione al rischio
amianto per piu' di 10 anni, rischio cosi' rilevante per i lavoratori
che il legislatore si e' preoccupato di stabilire i criteri di soglia
massima   di  esposizione  con  il  d.lgs.  n. 277  del  1991;  senza
considerare  che,  sempre  dal punto di vista sostanziale, sono stati
proprio  coloro  che  al momento di entrata in vigore della legge non
lavoravano  piu'  ad  essere stati sottoposti in misura maggiore (per
tutta  la  durata  della  loro  vita lavorativa) al rischio derivante
dall'esposizione all'amianto.
    La  norma  in esame, inoltre, viola anche gli artt. 32 e 38 della
Costituzione.
    Se  ai sensi dell'art. 32 della Costituzione la Repubblica tutela
la  salute  come  fondamentale  diritto dell'individuo, una norma che
riconosce  l'esistenza  di un rischio connesso ad una certa attivita'
produttiva  ma che non riconosce (o comunque riconosce solo ad alcuni
soggetti)  un  indennizzo  che  compensa l'esposizione della salute a
rischio  di  lesione,  viola  il precetto teste' menzionato di tutela
della salute.
    L'orientamento  restrittivo  della Corte di cassazione e' infatti
in  contrasto  con  le  piu' moderne risultanze della scienza medica,
secondo  cui  la  comparsa  dell'asbestosi  (e  dei tumori polmonari)
nell'arco  di  10  anni  richiede una esposizione non inferiore a 2,5
fibre/cm3  sulla  media ponderata delle otto ore giornaliere e quindi
una   concentrazione  25  volte  superiore  alla  soglia  individuata
nell'art. 24 d.lgs. 277/1991.
    Quanto  all'art. 38  della Carta costituzionale, il comma secondo
afferma  che  "i  lavoratori  hanno  diritto  che siano provveduti ed
assicurati  mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di vita in caso di
infortunio,   malattia,   invalidita'   e  vecchiaia,  disoccupazione
involontaria".  Al  riguardo,  come si e' in precedenza accennato, il
Collegio  e'  certo  che  la  norma in esame, lungi dal considerare i
destinatari  del  beneficio  come  "lavoratori  ancora in attivita'",
ricomprende  nel  suo ambito tutti i lavoratori, sia in servizio, ma,
per   esempio,  divenuti  parzialmente  invalidi,  sia  non  piu'  in
servizio.
    Se  allora scopo della norma costituzionale e' la tutela di tutti
i  lavoratori  sia  in  servizio  sia  che  abbiano cessato attivita'
lavorativa,  in  caso  di infortunio o invalidita', l'interpretazione
restrittiva  dell'art. 13,  comma 8, della legge 257 del 1992 attuata
dalla  Corte  di  cassazione  e'  in  contrasto  con  la norma appena
cennata.
    Ne'  le argomentazioni sopra riportate possono ritenersi superate
dall'art. 80,  comma  25,  legge  388/2000  secondo  cui  "in caso di
rinuncia  all'azione  giudiziaria  promossa  da  parte dei lavoratori
esposti  all'amianto  aventi  i  requisiti di cui alla legge 27 marzo
1992,  n. 257,  e  cessati dall'attivita' lavorativa antecedentemente
all'entrata in vigore della predetta legge, la causa si estingue e le
spese   e   gli   onorari   relativi   alle   attivita'   antecedenti
all'estinzione  sono  compensati. Non si da' luogo da parte dell'INPS
al  recupero  dei relativi importi oggetto di ripetizione di indebito
nei confronti dei titolari di pensione interessati".
    Da  un  punto  di  vista  concreto,  nella  presente procedura la
rinunzia di cui alla norma in esame non e' stata proposta.
    Dall'altro  lato, la qualificazione delle somme versate dall'INPS
ai  sensi  dell'art. 13,  comma 8, come "indebito" lascia intravedere
profili  di  violazione  del dettato costituzionale analoghi a quelli
denunciati  con  la  presente  ordinanza,  sebbene, come si e' detto,
l'art. 80, comma 25, non sia oggetto del presente giudizio e pertanto
la relativa questione si presenta non rilevante.