Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale ha il
proprio domicilio in via dei Portoghesi n. 12, Roma;
    Nei  confronti  della  regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
persona  del  presidente della giunta regionale, per la dichiarazione
della  illegittimita' costituzionale della legge regionale 31 maggio,
n. 14,  Disciplina  organica dei lavori pubblici, negli articoli 20 e
24 (B.U.R. - supplemento straordinario - n. 22 del 4 giugno 2002).
                              Art. 20.
    L'art. 20.2  della  legge  regionale,  in caso di affidamento dei
lavori  mediante  procedura  ristretta, tra i criteri per riportare i
candidati  nel  numero  massimo  di trenta, eventualmente fissato nel
bando  di gara ai sensi del primo comma, indica anche la collocazione
operativa  dei  concorrenti.  Questo significa che, una volta che sia
stato  fissato  il  numero  massimo  di  imprese ammesse che non puo'
essere  superiore a trenta, ma che puo' essere ben inferiore, purche'
superiore a dieci, le imprese con collocazione operativa piu' lontana
verrebbero sempre escluse.
    Collocazione operativa e' formula non tra le piu' felici, secondo
la  quale  si  dovrebbe  tenere  conto  o  della sede effettiva delle
imprese  o  della  collocazione  dei cantieri aperti al momento della
presentazione della domanda.
    In  ogni caso sarebbero pregiudicate le imprese con sedi lontane,
in pratica quelle che operano in regioni diverse.
    Ai  sensi  dell'art. 127,  primo  comma,  della  Costituzione  il
Governo  puo'  promuovere la questione di legittimita' costituzionale
di  una legge regionale quando ritenga che ecceda la competenza della
regione.
    L'art. 120  fa  divieto  alle regioni di limitare l'esercizio del
diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
    E' proprio questo l'effetto dell'art. 20.2 in esame.
    Le   imprese   con  sede  o  con  cantieri  fuori  dalla  regione
Friuli-Venezia   Giulia   verrebbero  tagliate  fuori  dagli  appalti
soggetti alla disciplina regionale, in pratica riservati alle imprese
operanti nella regione o in territori vicini.
    E'  palese la violazione anche dell'art. 3 della Costituzione che
da sola giustifica l'impugnativa ai sensi dell'art. 127, primo comma,
Cost.
    La  regione eccede la propria competenza quando con una sua legge
viola  principi costituzionali, con la conseguente legittimazione del
Governo ad impugnarla.
    Sostenendo  il  contrario,  si  dovrebbe poi concludere che nella
competenza  della regione rientra anche la possibilita' di violare la
Costituzione  e  che  sulla  legge non sarebbe possibile una verifica
immediata   di  legittimita'  costituzionale,  ma  solo  un  giudizio
incidentale.
    Attraverso  la  violazione  dell'art. 3  della Costituzione si e'
realizzata  anche una violazione comunitaria, piu' precisamente degli
artt. 12 e, indirettamente, 49 del Trattato CE.
    L'art. 12,  come  noto,  vieta  ogni  forma di discriminazione in
ragione  della  cittadinanza  e  la  Corte di giustizia, da tempo, ha
chiarito  che  il  divieto  e'  espressione del principio generale di
uguaglianza,   che   e'   principio   fondamentale   dell'ordinamento
comunitario  ribadito  nella  Carta  dei  diritti.  Introducendo  una
disciplina  di favore delle imprese che operano nella regione o nelle
zone finitime, si e' realizzata, dunque, una discriminazione in danno
anche   delle  imprese  dei  Paesi  membri,  in  ragione  della  loro
nazionalita'.  Si e' violato, pertanto, l'art. 17, primo comma, della
Costituzione   che   imporre   anche   alle   regioni   il   rispetto
dell'ordinamento comunitario.
    Non vale ad escludere la illegittimita' comunitaria che la norma,
come dispone il suo primo comma, sia applicabile ai lavori di importo
al di sotto della soglia comunitaria.
    Quella  che  si  intende  far valere e' la violazione delle norme
comunitarie  in  materia  di  appalti  di  lavori pubblici non in via
diretta,  ma  attraverso la violazione dell'art. 3 della Costituzione
e, di conseguenza, la violazione dell'artt. 117, primo comma, Cost.
    E'  evidente,  infatti,  il  contrasto  della  norma in esame con
l'art. 12  del  Trattato  che vieta qualsiasi discriminazione fondata
sulla   nazionalita',   discriminazione  cosi'  incisiva  da  rendere
impossibile   ad   una  impresa  di  un  Paese  membro  di  risultare
aggiudicataria. Ma e' violato anche, per le stesse ragioni ed in modo
palese, l'art. 49.
                              Art. 24.
    Come ulteriori criteri di affidamento, nel caso di aggiudicazione
in   favore   dell'offerta   economicamente  piu'  vantaggiosa,  sono
previsti:  avere l'impresa la sede legale nella regione da almeno tre
anni  alla  data  di  bando di gara; avere eseguito in regione lavori
similari a quelli in gara negli ultimi tre anni.
    Una  volta  che  sia superata la fase dell'ammissione, dunque, si
ripete  la  posizione  di  favore  per  le  imprese che operano nella
regione ai fini dell'aggiudicazione.
    Va rilevato che questi sono definiti come criteri di priorita'.
    Stando  alla  formulazione  della  norma, dovrebbero avere valore
prevalente sugli altri.
    Non   c'e'   alcun  riferimento  alla  soglia  comunitaria,  come
nell'art. 20.   La   violazione   della  Direttiva  14  giugno  1993,
n. 93/37/CEE  e',  dunque, palese ne' sembra il caso di richiamare la
giurisprudenza della Corte di giustizia.
    La  norma  non dovrebbe trovare applicazione secondo principi ben
noti dell'ordinamento comunitario.
    Ma  gia'  la  sua esistenza determina una infrazione comunitaria,
perseguibile  nelle  forme  di  cui  all'art.  226 del Trattato, e la
illegittimita'  costituzionale  ai  sensi dell'art. 117, primo comma,
Cost.
    Ed   e'  sotto  questo  profilo  che  la  norma  viene  impugnata
cosicche', una volta dichiarata costituzionalmente illegittima, venga
meno  anche  la  infrazione  comunitaria prima del parere motivato ai
sensi  dell'art. 226  richiamato,  che  esporrebbe  lo  Stato  ad una
responsabilita' diretta.
    Ma viene violato anche l'art. 3 Cost.
    Non   sembra  necessario  illustrare  come  una  posizione  cosi'
sfavorevole per le imprese che non operano nella regione e nelle zone
vicine  non  abbia  nessuna  base  di ragionevolezza, fondata come e'
sulla volonta' di favorire le imprese locali.
    Entrambe  le  norme  violano, peraltro, anche l'art. 117, secondo
comma, lett. e) Cost.
    I criteri fissati creano per le imprese con sede o operanti nella
regione  o  in  territori  vicini una situazione di favore, del tutto
svincolata dalla loro efficienza e dalle loro capacita' operative, in
violazione dei principi che reggono il mercato concorrenziale.
    Attraverso   l'applicazione   di   quei   criteri   puo'   essere
neutralizzato  il  vantaggio  concorrenziale  della impresa capace di
offrire  il prezzo minore per il fatto che ha la sua sede o ha svolto
la sua attivita' fuori della regione.
    Il  contrasto  con i principi del mercato concorrenziale e' tanto
evidente da non richiedere dimostrazione.
    Senonche'  la  disciplina  della  concorrenza,  e quindi anche le
deroghe  ai suoi principi, rientra nella legislazione esclusiva dello
Stato.
    Da  qui  un  ulteriore motivo di illegittimita' costituzionale di
entrambe le norme.