IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 962 dell'anno
2000  reg.  gen.,  proposto  da Baldassarri Maria Rachele e Fabbretti
Marida,  entrambe  rappresentate e difese dall'avv. Ranieri Felici ed
elettivamente   domiciliate,  unitamente  al  proprio  difensore,  in
Ancona,  presso  la segreteria del Tribunale amministrativo regionale
delle Marche;
    Contro:
        il  Consiglio  di  Stato,  in  persona e del presidente e del
segretario generale in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Distrettuale  dello  Stato  di  Ancona  e  legalmente  domiciliato in
Ancona, presso gli uffici della medesima Avvocatura;
        la  presidenza  del  Consiglio  dei  ministri, in persona del
Presidente del Consiglio dei ministri in carica;
        il Ministero del tesoro, in persona del ministro in carica;
per  l'accertamento  del  diritto  soggettivo  delle  ricorrenti alla
corresponsione   della   maggiorazione   annuale  della  retribuzione
individuale  di  anzianita' acquisita ex art. 9 del d.P.R. 17 gennaio
1990,  n. 44,  prorogato  sino al 31 dicembre 1993 dall'art. 7, comma
primo  del  d.l.  19  settembre  1992, n. 384, convertito in legge 14
novembre 1992, n. 438;
    e  delle  competenze  arretrate  spettanti  per legge, maggiorate
degli  interessi  e  della  rivalutazione  monetaria,  essendo  stato
maturato  il quinquennio di effettivo servizio utile alla data del 31
dicembre 1992 (l'assunzione in servizio risalendo al 1 agosto 1986).
    Visto  il  ricorso con i relativi allegati, notificato in data 22
agosto 2000;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio del Consiglio di Stato,
in  persona  del presidente protempore, depositato in data 6 novembre
2000;
    Viste  le  memorie prodotte dall'amministrazione resistente il 14
novembre 2001 e dalle ricorrenti il 24 novembre 2001 a sostegno delle
rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,   alla   pubblica  udienza  del  5  dicembre  2001,  il
consigliere avv. Liana Tacchi;
    Uditi  l'avv. Ranieri Felici per le ricorrenti e l'avvocato dello
Stato Gabriele Moneta per il Consiglio di Stato;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    La  sig.ra Maria Rachele Baldassarri, assunta alle dipendenze del
Tribunale  amministrativo regionale delle Marche quale vincitrice del
concorso  per  titoli  ed  esame ai sensi della legge n. 282/1985, ha
iniziato  a  prestare  servizio  il 1 agosto 1986 (cfr. il verbale di
promessa  solenne in pari data e la relazione del segretario generale
f.f.  del Tribunale amministrativo regionale del 24 gennaio 1987) ed,
avendo   superato   positivamente  il  periodo  di  prova,  e'  stata
inquadrata,   con  decorrenza  1  agosto  1986,  nei  ruoli  organici
dell'amministrazione   e   collocata  nel  profilo  professionale  di
operatore  amministrativo  -  quinto  livello,  come  da  decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri del 1 settembre 1989, vistato
dalla Corte dei conti il 5 ottobre 1989.
    La sig.ra Marida Fabbretti, anch'ella assunta alle dipendenze del
Tribunale  amministrativo regionale delle Marche quale vincitrice del
concorso  per  titoli  ed  esame ai sensi della legge n. 282/1985, ha
preso  servizio il 1 agosto 1986 (cfr. il verbale di promessa solenne
del  1  agosto  1986  e la relazione del segretario generale f.f. del
Tribunale  amministrativo  regionale  del 24 gennaio 1987) ed, avendo
superato  favorevolmente  il  periodo  di  prova,  e' stata anch'ella
inquadrata,  con  decorrenza  dal  1  agosto 1986, nei ruoli organici
dell'amministrazione   e   collocata  nel  profilo  professionale  di
operatore  amministrativo  -  quinto  livello,  come  da  decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in  data 1 settembre 1989,
registrato dalla Corte dei conti il 5 ottobre 1989.
    Con  istanze in data 21 settembre 1996, indirizzate al segretario
generale  del  Consiglio  di Stato, le sunnominate dipendenti, avendo
premesso  d'aver  maturato,  nel  triennio 1991-1993, l'anzianita' di
cinque  anni di servizio e d'aver pertanto diritto alla maggiorazione
della   retribuzione  individuale  di  anzianita'  (R.I.A.)  prevista
dall'art. 9  del d.P.R. n. 44/1990, decreto prorogato dall'art. 7 del
d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992, hanno richiesto la
corresponsione  della  predetta  maggiorazione  annuale della R.I.A.,
nonche'  le competenze arretrate spettanti per legge, gli interessi e
la rivalutazione monetaria.
    Non  avendo  l'amministrazione  dato  riscontro  alle  domande in
esame,  le sigg.re Maria Rachele Baldassarri e Marida Fabbretti hanno
promosso  il  presente  ricorso  giurisdizionale  amministrativo  col
quale, avendo premesso che la pretesa azionata era configurabile come
vero  e  proprio  diritto  soggettivo,  hanno  richiesto  che venisse
accertato  e  riconosciuto  il  diritto  stesso alla percezione della
maggiorazione  annuale  della R.I.A., prevista dall'art. 9 del d.P.R.
17   gennaio   1990,  n. 44,  prorogato  fino  al  31  dicembre  1993
dall'art. 7,   comma  primo  del  d.l.  19  settembre  1992,  n. 384,
convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438, nonche' alla percezione
delle  competenze  arretrate,  degli  interessi e della rivalutazione
monetaria.
    A  sostegno  del  gravame le ricorrenti hanno dedotto il seguente
motivo di diritto:
        violazione  e  falsa applicazione dell'art. 9, commi quarto e
quinto  del  d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 in riferimento all'art. 7,
comma  primo  del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge
14 novembre 1992, n. 348;
        violazione  dei  principi  generali  in  tema di obbligazioni
nascenti   dal   pubblico  impiego,  aventi  consistenza  di  diritto
soggettivo.
    Gia'  il  Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio, in una
serie  di  pronunce identiche, aveva affermato che il beneficio della
maggiorazione  della  retribuzione individuale di anzianita' previsto
dall'art. 9,  commi quarto e quinto del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44
per  il  personale  che  alla data del 1 gennaio 1990 aveva acquisito
esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio
o che maturava tale quinquennio nell'arco della vigenza contrattuale,
era  applicabile,  per  effetto  della  proroga  al  31 dicembre 1993
contenuta  nell'art. 7,  comma  primo  della  legge 14 novembre 1992,
n. 438  di  conversione  del  d.-l.  19  settembre  1992,  n. 384, al
personale  che  maturava  il  detto quinquennio nell'arco della nuova
vigenza  contrattuale,  e  cioe'  fino al 31 dicembre 1993 (Tribunale
amministrativo    regionale    Lazio,   sez. I,   28   aprile   1998,
nn. 1972-1385).
    Il Consiglio di Stato ha poi avvalorato tale orientamento, con la
precisazione  che  il  quinquennio  di  effettivo  servizio utile per
conseguire  il  predetto  beneficio  della maggiorazione della R.I.A.
puo' essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990, ma entro il
31   dicembre   1992,   per  effetto  del  blocco  degli  automatismi
stipendiali  stabiliti dall'art. 7, comma terzo del d.l. n. 384/1992,
convertito  in  legge  n. 438/1992  (Cons.  St., sez. IV, 13 dicembre
1999, nn. 1856-1866).
    Alla  stregua della normativa surrichiamata, il cui contenuto, la
cui  portata  e la cui applicabilita' sono state esattamente definite
dalle  citate  decisioni del Consiglio di Stato, non vi sono dubbi in
merito alla fondatezza della domanda proposta dalle ricorrenti.
    Esse  infatti,  essendo state assunte in servizio effettivo dal 1
agosto  1986,  hanno maturato il quinquennio utile per l'attribuzione
della  maggiorazione  de  qua  alla  data  del settembre 1991, che e'
anteriore  al  31  dicembre  1992,  termine  a  decorrere  dal  quale
l'art. 7,  comma  terzo  del  d.l.  n. 384/1992,  convertito in legge
n. 438/1992,   vieta  l'attribuzione  di  incrementi  retributivi  in
conseguenza di automatismi stipendiali.
    Avendo  la R.I.A. natura retributiva, consegue inoltre il diritto
alla rivalutazione ed agli interessi legali.
    Il  Consiglio di Stato si e' costituito con memoria prodotta il 6
novembre 2000, assumendo l'infondatezza del gravame in relazione alla
presentazione   alla   Camera  dei  deputati  del  disegno  di  legge
n. 7328-bis  (legge  finanziaria  2001);  il  cui  testo contiene una
disposizione  di  carattere  interpretativo  e,  cioe', che l'art. 7,
comma primo del d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992, si
interpreta  nel  senso  che  la  proroga  al  31  dicembre 1993 della
disciplina  emanata  sulla base degli accordi di comparto di cui alla
legge  29  marzo  1983,  n. 93, relativi al biennio 1 gennaio 1988-31
dicembre  1990,  non  modifica  la  data  del  31 dicembre 1990, gia'
stabilita  per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte
ai   fini  delle  maggiorazioni  della  retribuzione  individuale  di
anzianita',  facendo  salva  l'esecuzione  dei giudicati alla data di
entrata in vigore della suddetta legge.
    Nella   successiva   memoria   prodotta   il   14  novembre  2001
l'amministrazione   conclude   per   la  reiezione  del  gravame,  in
considerazione  del  fatto  che la citata disposizione interpretativa
contenuta  nel  disegno  di legge n. 7328-bis e' divenuta legge dello
Stato (art. 51, comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388).
    A  loro  volta,  le  ricorrenti,  nella  memoria depositata il 24
novembre  2002,  eccepiscono  l'illegittimita'  costituzionale  della
sopravvenuta  novella  di  cui  all'art. 51,  comma terzo della legge
n. 388/2000,  argomentando  in modo puntuale e diffuso in ordine alle
ragioni  per  cui essa sarebbe in contrasto con gli artt. 24, 3, 100,
101,  103 e 113 della Costituzione e concludendo perche' il Tribunale
amministrativo  regionale, ritenuta la questione di costituzionalita'
rilevante e fondata, rimetta gli atti alla Corte costituzionale.
    La causa viene discussa alla pubblica udienza del 5 dicembre 2001
ed e' quindi introitata per la decisione.

                            D i r i t t o

    La  dedotta  questione  d'incostituzionalita' dell'art. 51, comma
terzo  della  legge  23  dicembre 2000, n. 388 appare rilevante e non
manifestamente infondata.
    I.  -  Quanto  alla  rilevanza,  valgano  le  considerazioni  che
seguono.
    1.  -  Le  ricorrenti,  assunte in servizio effettivo il 1 agosto
1986  alle  dipendenze  di  un'amministrazione  statale (il Tribunale
amministrativo   regionale   delle  Marche),  avrebbero  maturato  il
quinquennio   utile   ai   fini   dell'attribuzione   della  speciale
maggiorazione  annuale  della  retribuzione individuale di anzianita'
(L. 400.000  annue  lorde per la V qualifica funzionale, dalle stesse
rivestite alla data del 1 agosto 1991.
    Ed  infatti  l'art. 9,  comma  quarto del d.P.R. 17 gennaio 1990,
n. 44  (il testo regolamentare nel quale era stato trasfuso l'accordo
sindacale  per  il  personale del comparto Ministeri del 26 settembre
1989  valevole per il triennio 1 gennaio 1988/31 dicembre 1990) aveva
previsto  che  "al personale che, alla data del 1 gennaio 1990, abbia
acquisito   esperienza   professionale  con  almeno  cinque  anni  di
effettivo  servizio,  o  che maturi detto quinquennio nell'arco della
vigenza  contrattuale,  compete dalle date suddette una maggiorazione
della  retribuzione  individuale  di  anzianita'  nelle sottoindicate
misure  annue  lorde:  prima,  seconda  e terza qualifica funzionale:
L. 300.000;  quarta, quinta e sesta qualifica funzionale: L. 400.000;
settima,  ottava  e nona qualifica funzionale: L. 500.000"; mentre il
comma quinto dello stesso art. 9 aveva disposto che: "le misure delle
maggiorazioni  di  cui  al  comma  4  sono,  con le stesse decorrenze
stabilite  nel  medesimo  comma  4,  raddoppiate  e quadruplicate nei
confronti  del  personale  che, nell'arco della vigenza contrattuale,
abbia  o  maturi,  rispettivamente,  dieci  o venti anni di servizio,
previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni".
    Alla  scadenza  della vigenza del predetto accordo sindacale, non
essendo  intervenuta  una  nuova  regolamentazione  contrattuale,  il
trattamento economico e gli istituti normativi di carattere economico
del  personale  facente  capo  al  comparto dei ministeri erano stati
disciplinati dall'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.
    Il  primo comma del qual art. 7 aveva stabilito che restava ferma
sino  al  31  dicembre  1993 la vigente disciplina emanata sulla base
degli  accordi  di  comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93 e
successive  modificazioni  ed  integrazioni  e  che  i  nuovi accordi
avrebbero avuto effetto dal 1 gennaio 1994.
    2.  -  Alla  stregua  di  tale  ultima disposizione doveva dunque
ritenersi  che l'intera disciplina dell'accordo contrattuale del 1989
recepito nel d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 fosse stata prorogata fino
al 31 dicembre 1993.
    Da   cio'   discendeva,   per   quello  che  qui  interessa,  che
l'espressione  "arco  di vigenza contrattuale" contenuta nell'art. 9,
commi  quarto  e  quinto  del  d.P.R.  n. 44/1990, entro cui dovevano
maturare,   rispettivamente,   il  quinquennio,  il  decennio  ed  il
ventennio di effettivo servizio utile per conseguire la maggiorazione
della  R.I.A.,  doveva  essere intesa nel senso che la vigenza stessa
durava  fino  alla  nuova  data  del 31 dicembre 1993, e non che essa
terminava con la scadenza originaria dell'accordo, gia' fissata al 31
dicembre 1990 (cfr. Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. I,
28 aprile 1998, nn. 1372-1385).
    3.  -  D'altra  parte,  come  aveva  rettamente  puntualizzato il
Consiglio di Stato proprio al fine di decidere se la maggiorazione de
qua  spettasse  o  no  anche  ai  dipendenti  che avevano maturato le
prescritte  anzianita'  oltre la data del 31 dicembre 1990, bisognava
tener  conto  anche  del  disposto  di cui al comma terzo del ridetto
art. 7  della  legge  n. 438/1992,  il quale aveva stabilito che "per
l'anno 1993 non trovano applicazione le norme che comunque comportano
incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali,
sia  dell'attribuzione  di  trattamenti  economici,  per progressione
automatica   di   carriera,   corrispondenti  a  quelli  di  funzioni
superiori, ove queste non siano effettivamente esercitate".
    Non  potendo  dubitarsi  che  il  beneficio  della  maggiorazione
annuale  della  retribuzione individuale di anzianita' comportasse un
aumento  della  retribuzione collegato al mero compimento di un certo
tempo  e  che  pertanto  esso integrasse gli estremi dell'automatismo
stipendiale,  i  cui  effetti  erano stati espressamente bloccati per
l'anno  1993 dall'art. 7, comma terzo della legge n. 438/1992, doveva
ritenersi   che,   pur   nella   prorogata  vigenza  della  normativa
contrattuale generale di cui al d.P.R. n. 44/1990 fino al 31 dicembre
1993,   il   quinquennio   di   effettivo   servizio  utile  ai  fini
dell'attribuzione  della  maggiorazione  della R.I.A. andava compiuto
entro  e non oltre il 31 dicembre 1992, proprio in considerazione del
fatto   che,   per  l'anno  1993,  erano  stati  bloccati  tutti  gli
automatismi  stipendiali  (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1999,
n. 1856 ed altre).
    4. - In conclusione, era assodato che il quinquennio di effettivo
servizio  utile  per l'attribuzione del beneficio della maggiorazione
della  retribuzione individuale di anzianita' previsto dai commi 4o e
5o  dell'art. 9  del  d.P.R.  17  gennaio  1990,  n. 44 poteva essere
utilmente  maturato  oltre  il  31  dicembre  1990 (per effetto della
proroga  sancita  dal  comma  primo dell'art. 7 del d.l. 19 settembre
1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438), ma entro
il  31  dicembre  1992  (per  effetto  del  blocco  degli automatismi
stipendiali posto dall'art. 7 medesimo al terzo comma).
    5.  -  Tale  essendo  la posizione di tutte e due le ricorrenti -
che,  come  s'e'  visto, assunte il 1 agosto 1986, avevano compiuto i
cinque  anni  di  servizio  effettivo il 1 agosto 1991 - esse avevano
conseguito il diritto alla maggiorazione in parola.
    6. - Senonche' la legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000,
n. 388),  all'art. 51, comma terzo ha poi introdotto la disposizione,
di   ordine   interpretativo  e  percio'  retroattiva,  secondo  cui:
"l'art. 7,  comma  1  del  decreto-legge  19  settembre 1992, n. 384,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438,
si  interpreta  nel  senso  che  la proroga al 31 dicembre 1993 della
disciplina  emanata  sulla base degli accordi di comparto di cui alla
legge  29  marzo  1983, n. 93, relativi al triennio 1 gennaio 1988-31
dicembre  1990,  non  modifica  la  data  del  31 dicembre 1990, gia'
stabilita  per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte
ai   fini  delle  maggiorazioni  della  retribuzione  individuale  di
anzianita'.  E'  fatta  salva l'esecuzione dei giudicati alla data di
entrata in vigore della presente legge".
    Cosicche',  in  applicazione di tale ultimo precetto legislativo,
poiche'  entrambe  le ricorrenti, alla data del 31 dicembre 1990, non
avevano  maturato  i  cinque anni necessari ai fini dell'attribuzione
della maggiorazione della R.I.A., il presente ricorso dovrebbe essere
respinto o, al piu', essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta
carenza d'interesse.
    7.   -   Di   qui  la  rilevanza  della  sollevata  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 51, comma terzo della legge 23
dicembre    2000,    n. 388;   che',   se   esso   fosse   dichiarato
costituzionalmente  illegittimo,  il  ricorso stesso dovrebbe trovare
invece pieno accoglimento.
    II. - Quanto alla non manifesta infondatezza, essa parimenti deve
essere  affermata, considerato che il solo profilarsi di un dubbio di
incostituzionalita' impone al giudice di provocare l'intervento della
Corte (art. 23 della legge n. 87/1953).
    1. - Appare evidente, a parere del Collegio, che l'art. 51, comma
terzo    della    legge    n. 388/2000,    lungi    dallo   stabilire
l'interpretazione   autentica   di   una   disposizione   legislativa
obiettivamente  oscura,  di  incerta  lettura  e/o  fatta  oggetto di
oscillazioni  e  contrasti  giurisprudenziali,  ha,  nella  sostanza,
introdotto  una  vera  e  propria  modifica  del  precedente  dettato
legislativo  (l'art. 7,  comma  primo  del  d.l.  19  settembre 1992,
n. 384,  convertito  in legge 14 novembre 1992, n. 438), avente forza
retroattiva,  allo  scopo  di far conseguire un risparmio al bilancio
dello Stato.
    In  altre  parole,  sotto l'apparenza di una legge interpretativa
ed,  in  quanto  tale,  retroattiva;  e'  stata  formulata  una legge
innovativa  avente  valenza retroattiva. La precisazione e' doverosa,
anche  se,  sul  piano del giudizio di costituzionalita', diventa poi
irrilevante  verificare  se  una norma abbia carattere interpretativo
ovvero  abbia  portata innovativa con efficacia retroattiva, poiche',
in  entrambi  i casi, la legge e' pur sempre soggetta al controllo di
conformita'   al  canone  generale  della  ragionevolezza,  controllo
particolarmente  stringente  in  quanto  riferito  alla  certezza  di
rapporti   preferiti   ed   al  legittimo  affidamento  dei  soggetti
interessati  (Corte  cost.,  23  dicembre  1997,  n. 432); nonche' al
controllo di conformita' a tutti gli altri canoni costituzionali.
    2.  -  La  Costituzione  italiana  pone il divieto espresso della
retroattivita'  solo  per  le leggi penali piu' sfavorevoli (art. 25,
comma secondo).
    Cionondimeno,   come   si  e'  anticipato,  non  tutte  le  leggi
retroattive  che  non  rientrano  nella  specie  delle  leggi  penali
sfavorevoli,  sono  da  ritenere, di percio' solo, costituzionalmente
legittime.
    Sicuramente  non  lo  sono  quelle  che,  proprio  attraverso  il
meccanismo  della  retroattivita',  vulnerano  altre norme e principi
costituzionali.
    Tra  questi  vi  sono  quello stabilito dall'art. 24, comma primo
(che  assicura  a  tutti  la  piena tutela giurisdizionale dei propri
diritti  ed  interessi legittimi) e quello affermato dall'art. 3 (che
sancisce l'uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini).
    Allorche'  una  legge avente natura sostanzialmente modificativa,
ma  autodefinentesi interpretativa e percio' retroattiva, ed, in ogni
caso,   allorche'   qualunque   legge   retroattiva   ponga  uno  jus
superveniens  il quale sacrifichi posizioni di diritto gia' maturate,
impedendo  che  esse  vengano riconosciute in giudizio, quantunque in
passato, su posizioni identiche, si sia formata una serie di pronunce
giurisprudenziali   concordi,   le  leggi  stesse,  interpretative  o
comunque  retroattive che siano, violano il valore costituzionale del
diritto  di  agire  in  giudizio  per la tutela dei propri diritti ed
interessi  legittimi,  in  modo  del tutto arbitrario ed irrazionale,
ledendo il diritto di azione e di difesa (art. 24); e violano inoltre
il  principio  di  eguaglianza  (art. 3),  poiche'  creano disparita'
ingiustificata   di  trattamento  tra  coloro  che  hanno  conseguito
sentenze  passate  in giudicato e gli altri i cui giudizi sono ancora
pendenti.
    3.  -  Secondo  la  giurisprudenza della Corte costituzionale, al
legislatore  che  opera  in  via  interpretativa  e/o  retroattiva e'
consentito,  al  piu',  di limitare un diritto o un beneficio, non di
sopprimerlo  radicalmente; che', se il legislatore voglia impedire la
realizzazione  di  pretese basate su una legge e sull'interpretazione
concorde  della  legge,  e'  evidente  il  vulnus  all'art. 24  della
costituzione,  poiche',  in  tal  modo,  esso  opera  una sostanziale
vanifi-cazione  della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine
dell'attuazione  di  un  preesistente  diritto (Corte cost., 31 marzo
1995, n. 103).
    Al  legislatore  e'  consentito,  ove  cio'  sia  giustificato da
effettive  esigenze  di  bilancio  e  quindi  la scelta abbia una sua
concludenza  razionale  sul  piano  della  congruita',  al  piu',  di
limitare  un diritto, nel caso in cui questo sia sorto per effetto di
una  pronuncia  della Corte costituzionale, ma la misura del quale la
stessa   Corte   abbia   rimesso   all'attivita'   discrezionale  del
legislatore (Corte cost., sentenza n. 103/1995 citata).
    4.  -  In  definitiva,  anche alla stregua dell'insegnamento piu'
recente   della   Corte  costituzionale,  il  legislatore  ordinario,
nell'emanazione  di norme retroattive - la qual potesta' in se' e per
se'  ed in via generale non gli e' preclusa -, incontra il limite che
esse  siano adeguatamente giustificate sul piano della ragionevolezza
e  che  non  siano  in  contrasto  con  singoli  valori  ed interessi
costituzionalmente  protetti,  cosi'  da non incidere arbitrariamente
sulle  situazioni  sostanziali  poste  in  essere da leggi precedenti
(Corte cost., 23 dicembre 1997, n. 432).
    E,  per  quanto  riguarda  le  norme propriamente interpretative,
queste   sono  legittimamente  adottate  quando  vi  siano  obiettiva
incertezza  e  contrasti giurisprudenziali nella loro applicazione ed
altresi' quando, pur in presenza di un indirizzo omegeneo dei giudici
superiori,  la  scelta  imposta  dalla  legge rientri comunque tra le
possibili  varianti  di senso del testo originario, con cio' rendendo
vincolante   un   significato   pur  sempre  ascrivibile  alla  norma
anteriore.
    Per  contro,  la  portata  retroattiva delle norme interpretative
incontra  pur  sempre  limiti  attinenti  alla  salvaguardia di norme
costituzionali,  quali  quelle  sui  principi  di ragionevolezza e di
uguaglianza,  sulla  tutela  dell'affidamento legittimamente posto in
ordine  alla certezza dell'ordinamento giuridico e sul rispetto delle
funzioni  costituzionalmente  riservate al potere giudiziario, per il
che e' vietato di intervenire per annullare gli effetti del giudicato
o  di  incidere  intenzionalmente  su concrete fattispecie sub judice
(Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525).
    5.   -   Appare  allora  evidente  che  la  disposizione  di  cui
all'art. 51,  comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 non si
sottrae  al  sospetto di illegittimita' costituzionale in quanto, per
finalita'  di  ordine  esclusivamente finanziario quali quelle di far
conseguire   un  futuro  risparmio  all'erario,  toglie  ai  pubblici
dipendenti statali, che pure l'avevano utilmente maturato, un diritto
stipendiale  oramai entrato a far parte del loro patrimonio; con cio'
dando  luogo  ad  un'irragionevole  ed ingiustificabile disparita' di
trattamento  rispetto  alle  identiche  posizioni sostanziali di quei
pubblici  dipendenti  nei  cui  confronti il diritto stesso era stato
soddisfatto  ovvero  era stato accertato in forza di sentenze passate
in  giudicato, pregiudicando l'affidamento legittimamente posto nella
certezza    della    legge    esistente,    frustrando   il   diritto
costituzionalmente  garantito  a  far  valere  in giudizio le proprie
pretese   ed,   altresi',   violando   il   rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate agli organi del potere giudiziario.
    Sotto  quest'ultimo  profilo la norma de qua si pone in contrasto
anche con gli artt. 100, 101, 103 e 113 della costituzione.
    III. - Per tutte le considerazioni qui sopra esposte ai paragrafi
I  e II il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata,
in  relazione agli artt. 3, 24 comma primo, 100, 101, 103 e 113 della
costituzione,    la    questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 51,  comma  terzo,  della legge 23 dicembre 2000, n. 388; e
rimette l'esame della questione stessa alla Corte costituzionale.