IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 962 dell'anno 2000 reg. gen., proposto da Baldassarri Maria Rachele e Fabbretti Marida, entrambe rappresentate e difese dall'avv. Ranieri Felici ed elettivamente domiciliate, unitamente al proprio difensore, in Ancona, presso la segreteria del Tribunale amministrativo regionale delle Marche; Contro: il Consiglio di Stato, in persona e del presidente e del segretario generale in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona e legalmente domiciliato in Ancona, presso gli uffici della medesima Avvocatura; la presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri in carica; il Ministero del tesoro, in persona del ministro in carica; per l'accertamento del diritto soggettivo delle ricorrenti alla corresponsione della maggiorazione annuale della retribuzione individuale di anzianita' acquisita ex art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, prorogato sino al 31 dicembre 1993 dall'art. 7, comma primo del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438; e delle competenze arretrate spettanti per legge, maggiorate degli interessi e della rivalutazione monetaria, essendo stato maturato il quinquennio di effettivo servizio utile alla data del 31 dicembre 1992 (l'assunzione in servizio risalendo al 1 agosto 1986). Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato in data 22 agosto 2000; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consiglio di Stato, in persona del presidente protempore, depositato in data 6 novembre 2000; Viste le memorie prodotte dall'amministrazione resistente il 14 novembre 2001 e dalle ricorrenti il 24 novembre 2001 a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 5 dicembre 2001, il consigliere avv. Liana Tacchi; Uditi l'avv. Ranieri Felici per le ricorrenti e l'avvocato dello Stato Gabriele Moneta per il Consiglio di Stato; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o La sig.ra Maria Rachele Baldassarri, assunta alle dipendenze del Tribunale amministrativo regionale delle Marche quale vincitrice del concorso per titoli ed esame ai sensi della legge n. 282/1985, ha iniziato a prestare servizio il 1 agosto 1986 (cfr. il verbale di promessa solenne in pari data e la relazione del segretario generale f.f. del Tribunale amministrativo regionale del 24 gennaio 1987) ed, avendo superato positivamente il periodo di prova, e' stata inquadrata, con decorrenza 1 agosto 1986, nei ruoli organici dell'amministrazione e collocata nel profilo professionale di operatore amministrativo - quinto livello, come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1 settembre 1989, vistato dalla Corte dei conti il 5 ottobre 1989. La sig.ra Marida Fabbretti, anch'ella assunta alle dipendenze del Tribunale amministrativo regionale delle Marche quale vincitrice del concorso per titoli ed esame ai sensi della legge n. 282/1985, ha preso servizio il 1 agosto 1986 (cfr. il verbale di promessa solenne del 1 agosto 1986 e la relazione del segretario generale f.f. del Tribunale amministrativo regionale del 24 gennaio 1987) ed, avendo superato favorevolmente il periodo di prova, e' stata anch'ella inquadrata, con decorrenza dal 1 agosto 1986, nei ruoli organici dell'amministrazione e collocata nel profilo professionale di operatore amministrativo - quinto livello, come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 1 settembre 1989, registrato dalla Corte dei conti il 5 ottobre 1989. Con istanze in data 21 settembre 1996, indirizzate al segretario generale del Consiglio di Stato, le sunnominate dipendenti, avendo premesso d'aver maturato, nel triennio 1991-1993, l'anzianita' di cinque anni di servizio e d'aver pertanto diritto alla maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' (R.I.A.) prevista dall'art. 9 del d.P.R. n. 44/1990, decreto prorogato dall'art. 7 del d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992, hanno richiesto la corresponsione della predetta maggiorazione annuale della R.I.A., nonche' le competenze arretrate spettanti per legge, gli interessi e la rivalutazione monetaria. Non avendo l'amministrazione dato riscontro alle domande in esame, le sigg.re Maria Rachele Baldassarri e Marida Fabbretti hanno promosso il presente ricorso giurisdizionale amministrativo col quale, avendo premesso che la pretesa azionata era configurabile come vero e proprio diritto soggettivo, hanno richiesto che venisse accertato e riconosciuto il diritto stesso alla percezione della maggiorazione annuale della R.I.A., prevista dall'art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, prorogato fino al 31 dicembre 1993 dall'art. 7, comma primo del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438, nonche' alla percezione delle competenze arretrate, degli interessi e della rivalutazione monetaria. A sostegno del gravame le ricorrenti hanno dedotto il seguente motivo di diritto: violazione e falsa applicazione dell'art. 9, commi quarto e quinto del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 in riferimento all'art. 7, comma primo del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 348; violazione dei principi generali in tema di obbligazioni nascenti dal pubblico impiego, aventi consistenza di diritto soggettivo. Gia' il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in una serie di pronunce identiche, aveva affermato che il beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' previsto dall'art. 9, commi quarto e quinto del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 per il personale che alla data del 1 gennaio 1990 aveva acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio o che maturava tale quinquennio nell'arco della vigenza contrattuale, era applicabile, per effetto della proroga al 31 dicembre 1993 contenuta nell'art. 7, comma primo della legge 14 novembre 1992, n. 438 di conversione del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384, al personale che maturava il detto quinquennio nell'arco della nuova vigenza contrattuale, e cioe' fino al 31 dicembre 1993 (Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. I, 28 aprile 1998, nn. 1972-1385). Il Consiglio di Stato ha poi avvalorato tale orientamento, con la precisazione che il quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire il predetto beneficio della maggiorazione della R.I.A. puo' essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990, ma entro il 31 dicembre 1992, per effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabiliti dall'art. 7, comma terzo del d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992 (Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1999, nn. 1856-1866). Alla stregua della normativa surrichiamata, il cui contenuto, la cui portata e la cui applicabilita' sono state esattamente definite dalle citate decisioni del Consiglio di Stato, non vi sono dubbi in merito alla fondatezza della domanda proposta dalle ricorrenti. Esse infatti, essendo state assunte in servizio effettivo dal 1 agosto 1986, hanno maturato il quinquennio utile per l'attribuzione della maggiorazione de qua alla data del settembre 1991, che e' anteriore al 31 dicembre 1992, termine a decorrere dal quale l'art. 7, comma terzo del d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992, vieta l'attribuzione di incrementi retributivi in conseguenza di automatismi stipendiali. Avendo la R.I.A. natura retributiva, consegue inoltre il diritto alla rivalutazione ed agli interessi legali. Il Consiglio di Stato si e' costituito con memoria prodotta il 6 novembre 2000, assumendo l'infondatezza del gravame in relazione alla presentazione alla Camera dei deputati del disegno di legge n. 7328-bis (legge finanziaria 2001); il cui testo contiene una disposizione di carattere interpretativo e, cioe', che l'art. 7, comma primo del d.l. n. 384/1992, convertito in legge n. 438/1992, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al biennio 1 gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita', facendo salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della suddetta legge. Nella successiva memoria prodotta il 14 novembre 2001 l'amministrazione conclude per la reiezione del gravame, in considerazione del fatto che la citata disposizione interpretativa contenuta nel disegno di legge n. 7328-bis e' divenuta legge dello Stato (art. 51, comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388). A loro volta, le ricorrenti, nella memoria depositata il 24 novembre 2002, eccepiscono l'illegittimita' costituzionale della sopravvenuta novella di cui all'art. 51, comma terzo della legge n. 388/2000, argomentando in modo puntuale e diffuso in ordine alle ragioni per cui essa sarebbe in contrasto con gli artt. 24, 3, 100, 101, 103 e 113 della Costituzione e concludendo perche' il Tribunale amministrativo regionale, ritenuta la questione di costituzionalita' rilevante e fondata, rimetta gli atti alla Corte costituzionale. La causa viene discussa alla pubblica udienza del 5 dicembre 2001 ed e' quindi introitata per la decisione. D i r i t t o La dedotta questione d'incostituzionalita' dell'art. 51, comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 appare rilevante e non manifestamente infondata. I. - Quanto alla rilevanza, valgano le considerazioni che seguono. 1. - Le ricorrenti, assunte in servizio effettivo il 1 agosto 1986 alle dipendenze di un'amministrazione statale (il Tribunale amministrativo regionale delle Marche), avrebbero maturato il quinquennio utile ai fini dell'attribuzione della speciale maggiorazione annuale della retribuzione individuale di anzianita' (L. 400.000 annue lorde per la V qualifica funzionale, dalle stesse rivestite alla data del 1 agosto 1991. Ed infatti l'art. 9, comma quarto del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (il testo regolamentare nel quale era stato trasfuso l'accordo sindacale per il personale del comparto Ministeri del 26 settembre 1989 valevole per il triennio 1 gennaio 1988/31 dicembre 1990) aveva previsto che "al personale che, alla data del 1 gennaio 1990, abbia acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio, o che maturi detto quinquennio nell'arco della vigenza contrattuale, compete dalle date suddette una maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' nelle sottoindicate misure annue lorde: prima, seconda e terza qualifica funzionale: L. 300.000; quarta, quinta e sesta qualifica funzionale: L. 400.000; settima, ottava e nona qualifica funzionale: L. 500.000"; mentre il comma quinto dello stesso art. 9 aveva disposto che: "le misure delle maggiorazioni di cui al comma 4 sono, con le stesse decorrenze stabilite nel medesimo comma 4, raddoppiate e quadruplicate nei confronti del personale che, nell'arco della vigenza contrattuale, abbia o maturi, rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni". Alla scadenza della vigenza del predetto accordo sindacale, non essendo intervenuta una nuova regolamentazione contrattuale, il trattamento economico e gli istituti normativi di carattere economico del personale facente capo al comparto dei ministeri erano stati disciplinati dall'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. Il primo comma del qual art. 7 aveva stabilito che restava ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93 e successive modificazioni ed integrazioni e che i nuovi accordi avrebbero avuto effetto dal 1 gennaio 1994. 2. - Alla stregua di tale ultima disposizione doveva dunque ritenersi che l'intera disciplina dell'accordo contrattuale del 1989 recepito nel d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 fosse stata prorogata fino al 31 dicembre 1993. Da cio' discendeva, per quello che qui interessa, che l'espressione "arco di vigenza contrattuale" contenuta nell'art. 9, commi quarto e quinto del d.P.R. n. 44/1990, entro cui dovevano maturare, rispettivamente, il quinquennio, il decennio ed il ventennio di effettivo servizio utile per conseguire la maggiorazione della R.I.A., doveva essere intesa nel senso che la vigenza stessa durava fino alla nuova data del 31 dicembre 1993, e non che essa terminava con la scadenza originaria dell'accordo, gia' fissata al 31 dicembre 1990 (cfr. Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. I, 28 aprile 1998, nn. 1372-1385). 3. - D'altra parte, come aveva rettamente puntualizzato il Consiglio di Stato proprio al fine di decidere se la maggiorazione de qua spettasse o no anche ai dipendenti che avevano maturato le prescritte anzianita' oltre la data del 31 dicembre 1990, bisognava tener conto anche del disposto di cui al comma terzo del ridetto art. 7 della legge n. 438/1992, il quale aveva stabilito che "per l'anno 1993 non trovano applicazione le norme che comunque comportano incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia dell'attribuzione di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera, corrispondenti a quelli di funzioni superiori, ove queste non siano effettivamente esercitate". Non potendo dubitarsi che il beneficio della maggiorazione annuale della retribuzione individuale di anzianita' comportasse un aumento della retribuzione collegato al mero compimento di un certo tempo e che pertanto esso integrasse gli estremi dell'automatismo stipendiale, i cui effetti erano stati espressamente bloccati per l'anno 1993 dall'art. 7, comma terzo della legge n. 438/1992, doveva ritenersi che, pur nella prorogata vigenza della normativa contrattuale generale di cui al d.P.R. n. 44/1990 fino al 31 dicembre 1993, il quinquennio di effettivo servizio utile ai fini dell'attribuzione della maggiorazione della R.I.A. andava compiuto entro e non oltre il 31 dicembre 1992, proprio in considerazione del fatto che, per l'anno 1993, erano stati bloccati tutti gli automatismi stipendiali (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1856 ed altre). 4. - In conclusione, era assodato che il quinquennio di effettivo servizio utile per l'attribuzione del beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' previsto dai commi 4o e 5o dell'art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 poteva essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990 (per effetto della proroga sancita dal comma primo dell'art. 7 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438), ma entro il 31 dicembre 1992 (per effetto del blocco degli automatismi stipendiali posto dall'art. 7 medesimo al terzo comma). 5. - Tale essendo la posizione di tutte e due le ricorrenti - che, come s'e' visto, assunte il 1 agosto 1986, avevano compiuto i cinque anni di servizio effettivo il 1 agosto 1991 - esse avevano conseguito il diritto alla maggiorazione in parola. 6. - Senonche' la legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388), all'art. 51, comma terzo ha poi introdotto la disposizione, di ordine interpretativo e percio' retroattiva, secondo cui: "l'art. 7, comma 1 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1 gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge". Cosicche', in applicazione di tale ultimo precetto legislativo, poiche' entrambe le ricorrenti, alla data del 31 dicembre 1990, non avevano maturato i cinque anni necessari ai fini dell'attribuzione della maggiorazione della R.I.A., il presente ricorso dovrebbe essere respinto o, al piu', essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse. 7. - Di qui la rilevanza della sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388; che', se esso fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo, il ricorso stesso dovrebbe trovare invece pieno accoglimento. II. - Quanto alla non manifesta infondatezza, essa parimenti deve essere affermata, considerato che il solo profilarsi di un dubbio di incostituzionalita' impone al giudice di provocare l'intervento della Corte (art. 23 della legge n. 87/1953). 1. - Appare evidente, a parere del Collegio, che l'art. 51, comma terzo della legge n. 388/2000, lungi dallo stabilire l'interpretazione autentica di una disposizione legislativa obiettivamente oscura, di incerta lettura e/o fatta oggetto di oscillazioni e contrasti giurisprudenziali, ha, nella sostanza, introdotto una vera e propria modifica del precedente dettato legislativo (l'art. 7, comma primo del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438), avente forza retroattiva, allo scopo di far conseguire un risparmio al bilancio dello Stato. In altre parole, sotto l'apparenza di una legge interpretativa ed, in quanto tale, retroattiva; e' stata formulata una legge innovativa avente valenza retroattiva. La precisazione e' doverosa, anche se, sul piano del giudizio di costituzionalita', diventa poi irrilevante verificare se una norma abbia carattere interpretativo ovvero abbia portata innovativa con efficacia retroattiva, poiche', in entrambi i casi, la legge e' pur sempre soggetta al controllo di conformita' al canone generale della ragionevolezza, controllo particolarmente stringente in quanto riferito alla certezza di rapporti preferiti ed al legittimo affidamento dei soggetti interessati (Corte cost., 23 dicembre 1997, n. 432); nonche' al controllo di conformita' a tutti gli altri canoni costituzionali. 2. - La Costituzione italiana pone il divieto espresso della retroattivita' solo per le leggi penali piu' sfavorevoli (art. 25, comma secondo). Cionondimeno, come si e' anticipato, non tutte le leggi retroattive che non rientrano nella specie delle leggi penali sfavorevoli, sono da ritenere, di percio' solo, costituzionalmente legittime. Sicuramente non lo sono quelle che, proprio attraverso il meccanismo della retroattivita', vulnerano altre norme e principi costituzionali. Tra questi vi sono quello stabilito dall'art. 24, comma primo (che assicura a tutti la piena tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi) e quello affermato dall'art. 3 (che sancisce l'uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini). Allorche' una legge avente natura sostanzialmente modificativa, ma autodefinentesi interpretativa e percio' retroattiva, ed, in ogni caso, allorche' qualunque legge retroattiva ponga uno jus superveniens il quale sacrifichi posizioni di diritto gia' maturate, impedendo che esse vengano riconosciute in giudizio, quantunque in passato, su posizioni identiche, si sia formata una serie di pronunce giurisprudenziali concordi, le leggi stesse, interpretative o comunque retroattive che siano, violano il valore costituzionale del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, in modo del tutto arbitrario ed irrazionale, ledendo il diritto di azione e di difesa (art. 24); e violano inoltre il principio di eguaglianza (art. 3), poiche' creano disparita' ingiustificata di trattamento tra coloro che hanno conseguito sentenze passate in giudicato e gli altri i cui giudizi sono ancora pendenti. 3. - Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, al legislatore che opera in via interpretativa e/o retroattiva e' consentito, al piu', di limitare un diritto o un beneficio, non di sopprimerlo radicalmente; che', se il legislatore voglia impedire la realizzazione di pretese basate su una legge e sull'interpretazione concorde della legge, e' evidente il vulnus all'art. 24 della costituzione, poiche', in tal modo, esso opera una sostanziale vanifi-cazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto (Corte cost., 31 marzo 1995, n. 103). Al legislatore e' consentito, ove cio' sia giustificato da effettive esigenze di bilancio e quindi la scelta abbia una sua concludenza razionale sul piano della congruita', al piu', di limitare un diritto, nel caso in cui questo sia sorto per effetto di una pronuncia della Corte costituzionale, ma la misura del quale la stessa Corte abbia rimesso all'attivita' discrezionale del legislatore (Corte cost., sentenza n. 103/1995 citata). 4. - In definitiva, anche alla stregua dell'insegnamento piu' recente della Corte costituzionale, il legislatore ordinario, nell'emanazione di norme retroattive - la qual potesta' in se' e per se' ed in via generale non gli e' preclusa -, incontra il limite che esse siano adeguatamente giustificate sul piano della ragionevolezza e che non siano in contrasto con singoli valori ed interessi costituzionalmente protetti, cosi' da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (Corte cost., 23 dicembre 1997, n. 432). E, per quanto riguarda le norme propriamente interpretative, queste sono legittimamente adottate quando vi siano obiettiva incertezza e contrasti giurisprudenziali nella loro applicazione ed altresi' quando, pur in presenza di un indirizzo omegeneo dei giudici superiori, la scelta imposta dalla legge rientri comunque tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' rendendo vincolante un significato pur sempre ascrivibile alla norma anteriore. Per contro, la portata retroattiva delle norme interpretative incontra pur sempre limiti attinenti alla salvaguardia di norme costituzionali, quali quelle sui principi di ragionevolezza e di uguaglianza, sulla tutela dell'affidamento legittimamente posto in ordine alla certezza dell'ordinamento giuridico e sul rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, per il che e' vietato di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub judice (Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525). 5. - Appare allora evidente che la disposizione di cui all'art. 51, comma terzo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 non si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale in quanto, per finalita' di ordine esclusivamente finanziario quali quelle di far conseguire un futuro risparmio all'erario, toglie ai pubblici dipendenti statali, che pure l'avevano utilmente maturato, un diritto stipendiale oramai entrato a far parte del loro patrimonio; con cio' dando luogo ad un'irragionevole ed ingiustificabile disparita' di trattamento rispetto alle identiche posizioni sostanziali di quei pubblici dipendenti nei cui confronti il diritto stesso era stato soddisfatto ovvero era stato accertato in forza di sentenze passate in giudicato, pregiudicando l'affidamento legittimamente posto nella certezza della legge esistente, frustrando il diritto costituzionalmente garantito a far valere in giudizio le proprie pretese ed, altresi', violando il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate agli organi del potere giudiziario. Sotto quest'ultimo profilo la norma de qua si pone in contrasto anche con gli artt. 100, 101, 103 e 113 della costituzione. III. - Per tutte le considerazioni qui sopra esposte ai paragrafi I e II il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 comma primo, 100, 101, 103 e 113 della costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma terzo, della legge 23 dicembre 2000, n. 388; e rimette l'esame della questione stessa alla Corte costituzionale.