IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Letti gli atti relativi al procedimento per l'eventuale applicazione dell'espulsione ai sensi dell'art. 16 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286/1998 - come modificato dall'art. 15, legge n. 189/2002 - nei confonti di Basha Alketa, nata il 16 maggio 1977, a Tunje Gramsh (Albania), detenuta presso la C.C.le di Forli' in espiazione della pena residua di anni 3, mesi 7, giorni 10 di reclusione di cui alla sentenza 12 ottobre 2001 della Corte d'appello di Bologna per i reati ex art. 73, d.P.R. n. 309/1990, 477, 482, 496 c.p., art. 11, comma 12, legge n. 40/1998; O s s e r v a Nel caso in esame sussistono le condizioni per disporre l'espulsione atteso che la detenuta deve espiare una pena residua inferiore a due anni (fine pena: 8 maggio 2003). Non e' stata condannata per un delitto ex art. 407, comma 2, lettera a), o di cui al testo unico n. 286/1998 punito con pena edittale superiore nel massimo a due anni (nella specie la condanna ha riguardo anche al reato di rientro clandestino a seguito di espulsione amministrativa - contemplato, tuttavia, come contravvenzione). E' compiutamente identificata, non ha valido permesso di soggiorno e non si trova in alcune delle condizioni previste dall'art. 19 T.U. citato (v. informative della questura di Ravenna in atti); Alla conseguente applicazione necessitata dell'istituto nei confronti di Basha Alketa - che a tutt'oggi fruisce correttamente di semiliberta' concessa dal tribunale di sorveglianza il 27 agosto 2002 - osta a parere di questo giudice la dubbia legittimita' costituzionale della norma - art. 16 T.U 286/1998 - ai sensi dell'art. 3 Cost., anche in relazione all'art. 27, terzo comma, Cost. Il legislatore ha, infatti, operato una scelta normativa e politica per determinate finalita' (prevenzione, sicurezza - ordine pubblico, deflazione della popolazione carceraria) che ha inteso perseguire non in toto, ma con riguardo ad una fascia delimitata di soggetti detenuti, irragionevolmente differenziati da altri stranieri - parimenti clandestini - assoggettabili o gia' sottoposti all'esecuzione della pena. I criteri adottati per attuare la cernita dei condannati non cittadini comunitari espellibili appaiono del tutto incongrui essenzialmente ex art. 3 Cost. e gravi si rilevano le conseguenze, non sufficientemente giustificate, derivanti da tale disparita' di disciplina, altresi' in relazione al precetto costituzionale di cui all'art. 27 l.p., interamente pretermesso solo per la categoria di ristretti eletti quali destinatari della «sanzione alternativa alla detenzione». Il carattere afflittivo di quest'ultima e la sua valenza essenzialmente sanzionatoria, espressa anche nel nomen iuris e' obiettivamente rilevabile sia se qualificata quale pena (v. sul punto ordinanze di rimessione atti alla Corte del Magistrato di sorveglianza di Cagliari del 21 gennaio 2003 e di Reggio Emilia del 4 marzo 2003) sia se configurata quale sospensione dell'esecuzione penale (v. sentenza Corte costituzionale n. 62/1994). Anche nella seconda ipotesi (indubitabilmente nella prima concezione) - attesa l'obbligatorieta' del provvedimento sospensivo che prescinde dalla richiesta di parte - si ravvisa una situazione pregiudizievole nei confronti del ristretto che intenda viceversa permanere in Italia per espiare la pena proseguendo nel processo di risocializzazione eventualmente avviato. Nella fattispecie di cui trattasi la Basha ha esplicitamente chiesto la non espulsione per problemi di incolumita' personale nel Paese di origine (non impeditivi dell'espulsione in quanto ai sensi dell'art. 19 T.U. cit. non provati in concreto e, peraltro, anche in generale assai difficilmente provabili). Pacifica e', pertanto, la volonta' della detenuta di rifiutare il «beneficio» del suo immediato allontanamento dal territorio dello Stato, interruttivo del percorso sino ad ora attuato in semiliberta'. A questo riguardo giova richiamare quanto ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 306 dell'8 luglio 1993 per la quale «con la concessione della semiliberta', l'aspettativa del condannato a vedere riconosciuto l'esito positivo del percorso di risocializzazione gia' compiuto si e' trasformata nel diritto ad espiare la pena con modalita' idonee a favorire il completamento di tale processo» ... «la vanificazione con legge successiva di un diritto positivamente riconosciuto da una legge precedente non puo' sottrarsi al necessario scrutinio di ragionevolezza». Dall'osservanza della norma in esame discendono conseguenze giudiziarie connotate da disparita' irrazionale e arbitraria nell'ambito della medesima categoria di stranieri con le stesse condizioni: situazioni indicate nell'art. 13, comma 2, T.U. cit. e pena definitiva residua inferiore ad anni due. A. - si evidenzia, in primo luogo, come i condannati in liberta' in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza in ordine alla loro istanza di benefici alternativi alla pena, nei cui confronti il p.m. competente abbia ordinato la sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 1, comma 5 legge n. 165/1998 (c.d. legge Simeone), si vengono a trovare nella posizione privilegiata di potere - anzi dovere - restare, pur se clandestini, in territorio italiano esenti da vincoli o prescrizioni sino al momento della delibera giudiziaria (spesso non celere) in ordine a quanto richiesto. Viceversa il clandestino detenuto che si e' attivato proficuamente nel percorso trattamentale intra ed extramurario (in semiliberta', come nel caso di specie o quale lavorante esterno ex art. 21 l.p.) con la sospensione coattiva dell'esecuzione della pena vedra' l'annullamento dei propri sforzi riabilitativi e la preclusione della possibilita' di una espiazione della pena secondo principi costituzionalmente garantiti ad altri extracomunitari. Destino differenziato oltremodo incomprensibile in quanto comportante una pretesa realizzazione della finalita' di prevenzione comunque modesta rispetto al numero complessivo di condannati definitivi senza permesso di soggiorno della sfera microcriminale e sproporzionatamente penalizzante senza giustificazione solo alcuni soggetti, spesso concretamente adoperatisi in un iter rieducativo. Ne' tale condizione discriminata, questa isola nel contesto dell'applicazione dei diritti accordati dalla legislazione penitenziaria, puo' essere ritenuta congrua solo sulla base di una volonta' legislativa di deflazione di una parte della popolazione carceraria. In situazioni soggettive e oggettive identiche non pare accettabile e ragionevolmente condivisibile che l'unico elemento diversificatore, implicante conseguenze sostanziali opposte nell'applicazione della pena, venga ad essere la mera accidentalita' del trovarsi o meno in un istituto penitenziario in quel determinato momento. Va, tra l'altro, sottolineato come frequentemente l'ingresso in carcere da parte dello straniero consegua alla mancata comprensione dell'atto del p.m. (specie quando non tradotto) contenente l'importante condizione per la sospensione dell'ordine di carcerazione della necessita' di inoltro della domanda di misura alternativa entro i 30 giorni. Nondimeno stridente e' la disciplina differenziata per i condannati aventi il medesimo status di detenuti non comunitari clandestini. B. - qualora gli stessi abbiano da scontare ugualmente una pena residua non superiore a due anni ai fini dell'applicabilita' dell'espulsione si dovra' distinguere a seconda che siano o meno autori di reati ricompresi nel disposto dell'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. o di delitti previsti nel testo unico in oggetto. Il criterio distintivo adottato - pur se giuridico e non piu' semplicemente fattuale come l'elemento della carcerazione considerato in precedenza - non si sottrae, tuttavia, alla censura in punto di ragionevolezza. Il motivo dell'eccezione legislativa della non espulsione per gli autori di reati ostativi e' presumibilmente correlabile a principi di prevenzione/sicurezza e non di deflazione. Finalita', tuttavia, che non impediscono la possibilita' per questi ristretti di ottenere la scarcerazione in forza di misure alternative con previo riconoscimento del diritto alla opzione sulla domanda di benefici da avanzare e al vaglio giurisdizionale in ordine alle modalita' dell'esecuzione della pena. La loro presunta pericolosita' in astratto, legittimante a parere del legislatore l'esenzione dalla «sanzione alternativa», puo', pertanto, all'esito degli accertamenti giudiziali previsti risolversi in una non pericolosita' in concreto. A tal punto diventa ancora piu' arduo individuare con parametri logici la ragione della non equivalenza della disciplina normativa a pregiudizio dei condannati per reati aventi natura meno grave. C. - lo stesso trattamento normativo discriminatorio si giustifica poco, tanto piu' quando l'elemento impeditivo all'epulsione sia non il tipo di reato, ma l'entita' della pena. Se la pena e' superiore ai due anni il condannato - a differenza del detenuto a pena inferiore - potra' avere integre le sue possibilita' di richiedere al magistrato e al tribunale di sorveglianza tutti i benefici penitenziari e, quindi, eventualmente di rimanere nel territorio nazionale ad espiare la pena anche in condizione extramuraria. Non si intende nella specie quale ratio possa avere una norma che ponga in questo contesto un limite di pena con le conseguenze precitate, particolarmente inspiegabili quando la quantita' di pena sia ontologicamente poco differenziabile perche', ad esempio, superiore ai due anni solo di qualche mese. D. - rispetto a posizioni identiche di detenuti stranieri clandestini con pena residua non superiore ai due anni il legislatore ha scelto di non imporre la «sanzione alternativa» a coloro che non vengano identificati compiutamente. Anche in questa ipotesi incongruamente si viene a penalizzare - per i motivi gia' detti - chi viceversa ha fornito dati non mendaci. In conclusione le disparita' di trattamento sopra evidenziate in violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma della Costituzione sono - a parere di questo giudice remittente - attribuibili a limiti irragionevoli previsti dal legislatore come condizioni automatiche, di natura per lo piu' amministrativa, arbitrari di per se' e in quanto non suscettibili di effettiva valutazione giurisdizionale nel contesto di un'applicazione lesivamente coattiva dell'espulsione per una categoria residuale di condannati stranieri, privati ex auctoritate delle possibilita' trattamentali di esecuzione della pena, viceversa riservate ad altri condannati di nazionalita' non europea in condizioni sostanzialmente paritetiche o grandemente assimilabili. Conseguentemente gli atti devono essere inviati alla Corte costituzionale e il procedimento deve essere sospeso in attesa delle determinazioni della Corte.