ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  del  decreto   del
 Presidente  della  Repubblica  28  dicembre 1952, n. 4269, promosso con
 l'ordinanza 30 maggio 1956  dal  Tribunale  di  Bari,  pronunciata  nel
 procedimento civile vertente tra Carrano Maria vedova Norante e Norante
 Domenico  e  la  Sezione  speciale  per  la riforma fondiaria dell'Ente
 Puglia e Lucania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica
 n.  240  del  22  settembre  1956  ed  iscritta  al n. 292 del Registro
 ordinanze 1956.
     Vista la dichiarazione di intervento del Presidente  del  Consiglio
 dei Ministri;
     udita  nell'udienza  pubblica  del  27  marzo 1957 la relazione del
 giudice Nicola Jaeger;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agro'.
                           Ritenuto in fatto:
     Il giorno 21 febbraio 1951 si apriva a Campomarino (Campobasso)  la
 successione  ereditaria  di  Norante  Vicenzo,  in  base a testamento a
 favore della moglie superstite, Carrano Maria, e dei figli  Domenico  e
 Anna  Maria per la parte legittima, ed a favore dei nipoti ex filio del
 de cujus, nati e nascituri, per la parte disponibile.
     Con decreto del Presidente della Repubblica 28  dicembre  1952,  n.
 4269 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 del 24
 gennaio 1953), veniva approvato il piano particolareggiato con il quale
 l'Ente  per  lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria
 in Puglia  e  Lucania,  Sezione  speciale  per  la  riforma  fondiaria,
 promuoveva  nei  confronti  degli  eredi  suddetti la espropriazione di
 terreni per complessivi ettari 660.47.36 in agro di  Campomarino,  come
 quota  determinata  in  base  alla intera consistenza indivisa dei beni
 ereditari.
     La signora  Maria  Carrano  vedova  Norante,  in  proprio  e  quale
 rappresentante  della  figlia  minore  Anna  Maria  Norante, e Domenico
 Norante, in proprio e quale rappresentante delle  figlie  minori  Maria
 Cristina  e Maria, convennero l'Ente di riforma davanti al Tribunale di
 Bari   e,  secondo  l'ordinanza  del  Tribunale,  contestarono  in  via
 incidentale la legittimita'  del  decreto  presidenziale  di  scorporo,
 assumendo:
     a)  che, mediante l'avvenuta determinazione della quota di scorporo
 rispetto all'intera consistenza  del  patrimonio  ereditario  indiviso,
 l'Ente  avrebbe violato la norma dell'art. 4, quarto comma, della legge
 21 ottobre 1950, n. 841, la quale imponeva l'applicazione  del  computo
 pro  quota  per  l'espropriazione  dei  terreni trasferiti mortis causa
 anteriormente alla data di entrata in vigore della norma stessa;
     b) che detta data andrebbe determinata non in relazione al  momento
 della  pubblicazione  della  legge  stralcio  (29  ottobre  1950), come
 l'apparente dizione  legislativa  indurrebbe  a  ritenere,  sibbene  in
 relazione  al  successivo  momento  (28 febbraio 1951) della entrata in
 vigore del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951,  n.
 67,  mediante il quale furono determinati i territori ai quali la legge
 era applicabile.
     Con ordinanza 30 maggio 1956  il  Tribunale  di  Bari,  accogliendo
 l'istanza  degli  eredi Norante, sospendeva il processo e rimetteva gli
 atti alla Corte costituzionale, formulando la questione di legittimita'
 costituzionale, nei termini seguenti: "Se il provvedimento di scorporo,
 approvato con decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1952,
 n.  4269,  sia  viziato,  per  eccesso  di   potere   legislativo,   da
 illegittimita'  costituzionale, per avere disposto l'espropriazione dei
 terreni degli eredi Norante siti nell'agro del  Comune  di  Campomarino
 (Campobasso)   mediante   il  computo  della  consistenza  globale  del
 patrimonio anziche' mediante l'applicazione del frazionamento pro quota
 stabilito per i terreni trasferibili a causa di morte ai discendenti in
 linea retta dall'art. 4, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950,  n.
 841,  in  relazione all'art. 1 della stessa legge e dell'art.  1, n. 8,
 del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951, n. 67".
     Tale ordinanza veniva regolarmente notificata e comunicata a  norma
 di  legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 22
 settembre 1956.
     Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  costituiva
 tempestivamente  l'Ente  di  riforma  e  interveniva  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura
 generale dello Stato.
     Questa riproponeva le eccezioni  pregiudiziali  comuni  alle  altre
 cause   in   materia,  concludendo  in  via  principale  perche'  fosse
 dichiarata improponibile  o  comunque  inammissibile  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  sollevata  dal  Tribunale  di  Bari e, in
 subordine,  perche'  essa  fosse  dichiarata  infondata,  in  base   ad
 argomentazioni   che   possono   riassumersi   nel  modo  seguente:  la
 disposizione inserita nella legge  stralcio,  che  fissa  l'entrata  in
 vigore  di essa al 29 ottobre 1950, non avrebbe avuto senso se la legge
 avesse dovuto spiegare tutti i suoi effetti indistintamente  solo  dopo
 la  concreta  determinazione  dei  territori  di  riforma, demandata al
 Governo, mentre quella disposizione si spiega proprio perche' alla data
 del 29 ottobre  1950  vollero  fissarsi  le  condizioni  obbiettive  di
 assoggettabilita' allo scorporo delle persone fisiche e giuridiche.
                         Considerato in diritto:
     Nei riguardi delle eccezioni pregiudiziali proposta dall'Avvocatura
 dello  Stato  ed a sostegno della loro reiezione la Corte non ha che da
 richiamare quanto e' stato chiarito nella precedente sentenza n. 59 del
 13 maggio 1957.
     La   questione    di    legittimita'    costituzionale    sollevata
 nell'ordinanza  del  Tribunale di Bari e' del tutto nuova, in quanto su
 di  essa  non  risultano  precedenti,  ne'  in  giurisprudenza  ne'  in
 dottrina.
     Per  impostarla  correttamente  e' opportuno rilevare che l'art. 26
 della legge stralcio, 21 ottobre 1950, n.  841, dispone:  "La  presente
 legge  entrera'  in  vigore  il  giorno  successivo  a quello della sua
 pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica "(pubblicazione
 avvenuta il 28  ottobre  1950),  derogando  cosi'.  alla  regola  della
 vacatio  di quindici giorni prevista nell'art.  73, ultimo comma, della
 Costituzione.
     L'art. 4, quarto comma, della stessa legge, oggetto della questione
 in esame, e' cosi' formulato: "I terreni trasferiti a  causa  di  morte
 dal 15 novembre 1949 fino all'entrata in vigore della presente legge ai
 discendenti  in  linea retta sono inclusi nel computo del patrimonio di
 detti discendenti". Esso e' stato  dettato  in  sostituzione,  ai  fini
 della  stessa  legge  stralcio, del terzo comma dell'art. 2 della legge
 Sila, 12 maggio 1950, n. 230,  il  quale  dispone:  "Sono  esclusi  dal
 computo  i terreni trasferiti a causa di morte a favore dei discendenti
 in linea retta dal 15 novembre 1949 fino all'entrata  in  vigore  della
 presente  legge",  evidentemente  allo scopo di prolungare nel tempo la
 deroga gia' concessa dalla legge Sila, per i trasferimenti mortis causa
 ai discendenti diretti, al principio generale che  aveva  fissato  alla
 data  del  15  novembre  1949  il  termine  unico  di  riferimento  per
 l'accertamento della consistenza dei patrimoni terrieri.
     Sennonche' la legge stralcio, come  e'  noto,  a  differenza  della
 legge  Sila,  e'  essenzialmente  una legge di delegazione, emanata per
 consentire al Governo di procedere alla applicazione delle norme  della
 legge  Sila, con le modificazioni ad esse apportate, ad altri territori
 suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria (art. 1)  e  la  sua
 entrata  in  vigore  significava  che  dal  29  ottobre 1950 il Governo
 avrebbe potuto esercitare il  potere  ad  esso  conferito.  Di  qui  il
 problema  sollevato  dal Tribunale di Bari: se, quando una disposizione
 della legge si riferisce alla data della sua entrata in vigore (art. 4,
 quarto comma), intende alludere al momento indicato formalmente  (nella
 specie,  il  29  ottobre  1950)  ovvero a quello in cui sono entrati in
 vigore nelle  varie  zone  di  riforma  i  provvedimenti  presidenziali
 emanati in attuazione della legge.
     Si  deve  notare  che  la  citata  disposizione  del  quarto  comma
 dell'art. 4 non e' la sola in  cui  si  faccia  riferimento  alla  data
 dell'entrata  in  vigore della legge:   nel sesto comma dell'art. 20 si
 legge pure: "Entro tre  anni  dall'entrata  in  vigore  della  presente
 legge,  gli enti indicati nel comma primo del presente articolo (vale a
 dire,  gli  enti  incaricati  della  attuazione  della  legge)  possono
 impugnare  come  simulati  gli atti a titolo oneroso compiuti dopo il 1
 gennaio 1948". Anche per questa  norma  potrebbe  essere  sollevata  la
 stessa  questione,  e la sua soluzione, che non potrebbe essere diversa
 da quella adottata per il caso dell'art. 4,  implicherebbe  conseguenze
 opposte nei confronti degli interessi rispettivamente appartenenti agli
 espropriandi e agli enti di riforma.
     Ritiene  la  Corte  che la soluzione esatta sia quella adottata dal
 decreto presidenziale impugnato, che mantiene alle parole  della  legge
 il   loro  significato  letterale:  gli  effetti  collegati  alla  data
 dell'entrata in vigore della legge si debbono riferire  al  29  ottobre
 1950.
     Anzitutto  e' da tener presente che il principio generale, al quale
 si e' informata la legislazione  in  materia,  e'  stato  quello,  gia'
 ricordato,  di  fissare la consistenza dei patrimoni terrieri a un dato
 momento, stabilito al 15 novembre 1949, e che pertanto le  disposizioni
 dell'art.  2  della  legge Sila e dell'art. 4 della legge stralcio, che
 hanno spostato la data per i trasferimenti mortis causa agli eredi  sui
 et  necessari,  fanno  eccezione  a  una  regola generale e non debbono
 applicarsi oltre i casi e i tempi in esse considerati (art.   14  delle
 disposizioni sulla legge in generale, premesse al Codice civile).
     La  interpretazione  suggerita  dagli  eredi  Norante, e che appare
 condivisa dal Tribunale,  e'  indubbiamente  sottile  ed  elegante,  ma
 innegabilmente  si  discosta  dalla  lettera  della  legge e la supera,
 quando alla espressione di entrata in vigore attribuisce un significato
 diverso da quello comunemente usato e accettato, e cioe' il significato
 di "momento iniziale della concreta applicazione di  essa  (legge)  nei
 territori   soggetti   a  regime  espropriativo".  E  cio'  non  sembra
 consentito, oltre che  per  le  ragioni  gia'  esposte,  anche  perche'
 altrimenti  la  stessa  espressione  finirebbe  con avere due contenuti
 diversi.
     Infatti, il 29 ottobre 1950 la legge stralcio e' veramente  entrata
 in  vigore,  in quanto da quella data il Governo e' stato investito dei
 poteri conferitegli con l'art. 1 ed ha potuto esercitarli,  e  pertanto
 si sono verificati immediatamente taluni effetti della legge stessa nel
 mondo  giuridico; la ammissione, del tutto ovvia, che per l'avveramento
 di ulteriori effetti sia stato necessario il concorso di altri  eventi,
 non  sembra  sufficiente  a  giustificare la costruzione di un concetto
 nuovo, che potrebbe chiamarsi della entrata in vigore progressiva delle
 leggi, il quale porterebbe ad una confusione fra due tipi di eventi ben
 distinti: la inserzione di  una  norma  o  di  un  complesso  di  norme
 nell'ordinamento giuridico (che e' l'entrata in vigore) e l'avveramento
 dei  presupposti,  di  fatto  e  di  diritto,  al  quale possono essere
 subordinate  la  nascita,  le  modificazioni  e  la  estinzione   delle
 situazioni soggettive attive e passive regolate dalle norme stesse.
     Non  la  necessita' di dare un senso alla disposizione finale della
 legge stralcio, posta in evidenza dall'Avvocatura generale dello Stato,
 ma  la  incongruenza  di  una  soluzione,  che   attribuirebbe   troppi
 significati  ad  una  stessa espressione, in parte conformi ed in parte
 difformi da  quello  noto  generalmente,  convincono  che  il  problema
 proposto dal Tribunale di Bari deve essere risolto negativamente.