ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  506,  507,
 508,  509  e 510 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza
 emessa il 30 maggio 1962 dal Pretore di Milano nel procedimento  penale
 a  carico  di  Monti  Michele, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze
 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  74  del
 16 marzo 1963.
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
     udita nell'udienza pubblica del 20 novembre 1963 la  relazione  del
 Giudice Michele Fragali;
     udito  il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Un'ordinanza emessa il 30 maggio 1962 dal Pretore  di  Milano,
 pervenuta   a   questa   Corte   il   1   marzo  1963,  ha  prospettato
 l'illegittimita' costituzionale degli artt. 506, 507, 508,  509  e  510
 del  Cod.  proc.,  penale  che  consentono  al  Pretore,  nei  casi ivi
 previsti, di pronunziare la condanna con  decreto  senza  procedere  al
 dibattimento  e  regolano  il  relativo  procedimento.   Ha ritenuto il
 Pretore che, non essendo prescritto  che  si  nomini  il  difensore  al
 denunciato  prima di emettere il decreto, resta violato il diritto alla
 difesa garantito dall'art. 24, comma secondo,  della  Costituzione;  il
 quale  diritto  non  puo'  ritenersi  tutelato  dalla  possibilita'  di
 proporre opposizione, sia perche' questo  atto  istituisce  uno  stadio
 ulteriore   del  procedimento,  diverso  da  quello  che  conduce  alla
 condanna,  sia  perche' i brevissimi termini entro cui l'opposizione e'
 proponibile non creano presupposti di un'idonea difesa allorche' manchi
 la possibilita' che  questa  sia  assunta  da  un  soggetto,  quale  il
 difensore, tecnicamente capace.
     2.  -  L'ordinanza  fu  emessa  nel  dibattimento  e venne pertanto
 notificata solo al Presidente del Consiglio dei Ministri (29  settembre
 1962):  venne  comunicata  ai Presidenti delle Camere del Parlamento in
 data 2 ottobre 1962.
     3. - Nel giudizio cosi' promosso l'imputato non si  e'  costituito,
 ed e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
     Il  quale,  per un verso, ha richiamato la sentenza di questa Corte
 del 22 marzo 1962, n. 29, secondo la quale il diritto  di  difesa  deve
 ritenersi  garantito  ogni  qualvolta  e' assicurata la possibilita' di
 tutelare in giudizio le  proprie  ragioni  e  di  farsi  assistere  dal
 difensore e, per altro verso, ha fatto presente che il procedimento per
 decreto consente alla parte di farsi assistere dal difensore pure nella
 fase  che  precede  la  condanna,  anche  mediante  la presentazione di
 memorie.  Quando la parte non nomina un suo  difensore  per  assisterla
 nel  corso di tale fase, esprime un comportamento non diverso da quello
 che attua ove non comparisca nella fase di opposizione, i  cui  effetti
 legali  sono  stati  dichiarati  legittimi  da questa Corte (sentenza 8
 marzo 1957, n. 46) perche' conseguenti ad una condotta  volontaria  del
 soggetto.    Se,  nella  fase  anteriore alla condanna, non e' previsto
 l'obbligo della nomina di un difensore, cio' accade perche' l'esercizio
 del diritto di proporre opposizione da' all'interessato la possibilita'
 di  chiedere  il  giudizio  con  la  sicurezza  di  tutte  le  garanzie
 processuali;   e   nemmeno   la   brevita'  dei  termini  previsti  per
 l'opposizione incide sulla salvaguardia  del  diritto  di  difesa,  non
 sussistendo,  fra  l'altro,  uno  strumento  di  misura che permetta di
 condurre una indagine di congruenza.
     4. - Alla pubblica udienza del 20 novembre 1963 il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri ha insistito nelle osservazioni proposte.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  E'  infondato  che il procedimento penale per decreto, cosi'
 com'e' regolato negli  articoli  denunciati,  menomi  il  diritto  alla
 difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
     L'opposizione  prevista  nell'art.  507, secondo e terzo comma, del
 Codice di procedura penale, rende esperibile quel diritto nella  stessa
 sede dibattimentale di primo grado in cui si sarebbe esercitato ove non
 fosse  stato  emesso il decreto di condanna, e con la medesima ampiezza
 che avrebbe potuto assumere nel  procedimento  ordinario;  e  non  vale
 percio' obiettare che la difesa, per regola costituzionale, deve essere
 possibile in ogni grado del processo.  Mediante l'opposizione, la parte
 e'  anzi  in  grado  di  svolgere le sue ragioni nella conoscenza della
 valutazione  data  dal  giudice  alle  risultanze  processuali,  e  non
 soltanto  sulla  base della contestazione o della notizia di un'accusa;
 il che e' di agevolazione anziche' di pregiudizio.
     Nemmeno ha pregio rilevare che  non  e'  garantito  il  diritto  di
 difesa  nella  fase  anteriore  al decreto di condanna.  Ove il Pretore
 decida di emettere questo decreto, la  parte  ha  notizia  formale  del
 procedimento  soltanto  quando riceve la notifica della pronunzia; solo
 da quel momento la legge percio' deve apprestare un modo, di difesa,  e
 ben si spiega allora come l'opposizione al decreto sia il mezzo formale
 di  far  valere  le proprie ragioni.   Peraltro la legge ne' vieta alla
 parte che in qualsiasi modo abbia avuto, conoscenza del procedimento di
 presentare  al Pretore le sue difese, ne' vieta al Pretore di escuterle
 e, prima di emettere il decreto, di sentire la parte e di prenderne  in
 considerazione le istanze.
     Questa  Corte ha deciso (sentenza 8 marzo 1957, n. 46) non solo che
 il diritto alla  difesa  va  inteso  esclusivamente  come  possibilita'
 effettiva  del  suo  esperimento, ma altresi' che non lo ferisce ne' lo
 pregiudica la legge che  ne  adegua  le  modalita'  di  esercizio  alle
 speciali caratteristiche di struttura del singolo procedimento, essendo
 sufficiente che della difesa vengano realizzati lo scopo e la funzione:
 per  quanto  si  e'  detto,  a  codesti criteri, risponde pienamente il
 sistema del procedimento penale per decreto, e deve  percio'  ritenersi
 che  esso non violi in nessun modo il principio invocato dal Pretore di
 Milano.
     2. - Qualora non venga  proposta  opposizione,  il  decreto  penale
 diviene   esecutivo,  non  perche'  l'ordinamento  da'  valore  ad  una
 pronunzia emessa senza che si sia dato modo alla parte  di  dedurre  le
 proprie ragioni, ma perche' la parte, non opponendosi alla condanna, ha
 ritenuto di non avere motivi da far valere contro l'apprezzamento delle
 risultanze  processuali espresso dal giudice e la qualificazione che ne
 ha dato; cosi' come essa riconosce di non avere interesse  a  rimuovere
 gli  effetti  del  decreto,  quando,  proposta opposizione, non compaia
 all'udienza fissata per il dibattimento senza giustificato motivo.
     Con riguardo a questa seconda ipotesi, in cui  l'inattivita'  della
 parte  e' semplicemente parziale, questa Corte, nella citata sentenza 8
 marzo 1957, n. 46, ha  deciso  che  legittimamente  l'art.  510,  primo
 comma,  del  Codice  di  procedura  penale,  in vista del comportamento
 dell'opponente, fa obbligo di  disporre  l'esecuzione  del  decreto  di
 condanna ed esclude, quindi, che il diritto di difesa possa esercitarsi
 ai  fini di un riesame del merito.  A fortiori deve ritenersi legittimo
 prescrivere, come fa l'art.  507, terzo comma, del Cod.  proc.  penale,
 che,  decorso  inutilmente  il  termine  stabilito  per la proposizione
 dell'opposizione, il decreto di condanna diviene esecutivo:  in  questo
 caso  l'inerzia della parte e' assoluta e percio', piu' chiaramente che
 nell'altro, essa riconosce di non aver alcun interesse alla difesa.
     Non deve percio' opinarsi che resti leso questo diritto quando esso
 non puo' svolgersi perche' la legge ragionevolmente ritiene  o  presume
 che la parte, con il proprio contegno processuale, ha dimostrato di non
 avere  ragioni da far valere o si sia preclusa la possibilita' di farne
 valere.