ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 25  febbraio  1960,  n.  163, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno
 1962 dalla Commissione distrettuale per le imposte dirette e  indirette
 di  Udine  su  ricorso  della  Societa' per azioni Carlo Delser e C. di
 Martignacco contro  l'Ufficio  distrettuale  delle  imposte  di  Udine,
 iscritta  al  n.    105  del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 153 dell'8 giugno 1963.
     Visti  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  gli  atti di costituzione in giudizio dell'Amministrazione
 delle finanze dello Stato e della Societa' Delser;
     udito, nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1963 la  relazione  del
 Giudice Giuseppe Branca;
     uditi  l'avv.    Umberto  Zanfagnini,  per la Societa' Delser, e il
 sostituto  avvocato  generale  dello  Stato  Umberto  Coronas,  per  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri e per l'Amministrazione delle
 finanze dello Stato.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Nel corso d'un giudizio promosso con  ricorso  della  Societa'
 per azioni Carlo Delser e C. di Martignacco la Commissione distrettuale
 per  le  imposte  dirette  e  indirette  di  Udine,  su eccezione della
 ricorrente,  sollevava   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1960, n. 163.
     Nell'ordinanza  di  rinvio si osserva che questo art. 2 della legge
 1960, n. 163, contrasterebbe con l'art. 53 della Costituzione,  secondo
 cui l'obbligo del cittadino di concorrere alle spese pubbliche non puo'
 superare  il limite della c. d. capacita' contributiva: infatti, l'art.
 2 ha efficacia retroattiva poiche' con esso l'ente tassabile in base al
 bilancio 1951-52 e' obbligato a pagare per il primo semestre  del  1952
 un'imposta  di  ricchezza mobile doppia di quella che doveva secondo la
 legge del tempo (art. 2 del D.P.R. 4 novembre 1951,  n.  1582);  ma  le
 norme  tributarie  retroattive,  facendo sorgere debiti d'imposta su un
 reddito che, prodottosi in passato, puo'  essere  stato  consumato  nel
 frattempo,  non  tengono  conto  dell'attuale  concreta possibilita' di
 pagamento del tributo: esse colpiscono il contribuente  senza  guardare
 alla  sua  attuale capacita' contributiva e percio' violerebbero l'art.
 53,  primo  comma,  della  Costituzione;  tanto  piu'  che,  quando  il
 contribuente  e'  una  persona  giuridica  a  base personale, l'imposta
 colpisce (indirettamente) chi ne fa parte ora, mentre non colpisce  chi
 ne  faceva  parte  allorche'  il reddito tassato si e' prodotto: il che
 darebbe luogo a manifesta disparita' di trattamento.
     La difesa  della  parte  privata,  nelle  deduzioni  nella  memoria
 depositate rispettivamente il 3 maggio e il 20 novembre 1963, fa propri
 i   rilievi  contenuti  nell'ordinanza  di  rinvio,  illustrandoli  col
 richiamo agli artt. 41 e 42 della  Costituzione  e  con  esempi  tratti
 dalle  varie vicende delle societa' commerciali: infatti da un canto la
 liberta' dell'iniziativa  economica  privata  e  la  sfera  di  diritto
 patrimoniale del singolo sarebbero perpetuamente insidiate se potessero
 essere  soggetti  ex  post  a  nuovi  prelievi  i  redditi sui quali il
 prelievo sia stato gia'  effettuato  in  conformita'  della  legge  del
 tempo;  dall'altro  la  disparita' di trattamento derivante dalla norma
 impugnata si rivelerebbe specialmente nel caso in cui l'ente soggetto a
 nuovo tributo si sia estinto dopo il 1952 e prima del 1960,  dimodoche'
 non  sarebbe  piu'  possibile  riscuotere l'imposta, o nel caso in cui,
 entro la stessa epoca,  un  azionista  abbia  vendute  le  sue  azioni,
 cosicche'  sull'acquirente  si  scaricherebbe un'obbligo tributario che
 invece dovrebbe colpire l'azionista del 1952.
     2. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nell'atto  di
 intervento  e  nella  memoria depositati dall'Avvocatura generale dello
 Stato il 26  febbraio  e  il  21  novembre  1963,  nega  che  le  leggi
 tributarie retroattive siano come tali costituzionalmente illegittime e
 si  richiama alle sentenze della Corte costituzionale n. 118 del 1957 e
 n. 81 del 1958.  Altrettanto sostiene il Ministro delle  finanze  nelle
 deduzioni depositate a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato il 26
 febbraio 1963.
     Quanto  al  preteso  contrasto  con  l'art.  53 della Costituzione,
 l'Avvocatura dello Stato sostiene che di  capacita'  contributiva  puo'
 parlarsi  solo  rispetto  al  periodo  di  tempo  al quale si riferisce
 l'imposta (cioe', in questo caso, al 1951-52) e che percio' essa non ha
 nulla in comune con  la  condizione  finanziaria  del  contribuente  al
 momento della riscossione; che comunque l'art. 53 della Costituzione si
 riferisce,  non alle singole imposte, ma all'intero sistema tributario;
 che inoltre  esso  contiene  un  principio  astratto  inapplicabile  ai
 singoli  tributi,  determinati  spesso  anche da esigenze extrafiscali;
 che, in particolare, non puo' considerarsi disparita'  di  trattamento,
 in   relazione   alla   capacita'  contributiva  dei  soggetti  gravati
 d'imposta, un inconveniente, come quello denunciato, di cui  vengono  a
 soffrire  solo  i vecchi soci dell'ente tassato, cioe' persone estranee
 all'obbligazione tributaria.
     L'Avvocatura dello Stato ricorda anzi che l'art. 2 della legge  del
 1960,  n. 163, ha lo scopo di sanare una situazione patologica creatasi
 con l'art. 2 del D.P.R. 4 novembre 1951, n. 1582:  un  decreto  per  il
 quale,  gli enti, il cui esercizio s'era aperto nel 1951 e s'era chiuso
 nel primo semestre del 1952, erano stati assoggettati  all'imposta  per
 questo  semestre e non anche per il semestre precedente (come invece si
 doveva nel quadro del sistema tributario vigente), mentre gli enti, che
 avevano chiuso il bilancio alla fine del 1951, erano stati  colpiti  in
 una misura superiore a quella consentita dallo stesso sistema.
     Il che e' stato invece negato nella memoria della Societa' Delser e
 C.:  infatti,  gli  enti,  il  cui  esercizio  si  era chiuso nel primo
 semestre del 1952, non dovevano pagare l'imposta anche per  il  secondo
 semestre   dell'anno   precedente,   poiche'   avevano   gia'   assolto
 l'obbligazione tributaria per tutto l'anno  solare  precedente  (1951).
 Comunque la norma impugnata, avendo effetto retroattivo, contrasterebbe
 sempre  col  principio  della capacita' contributiva (che, tra l'altro,
 non puo' essere eluso neanche da pretese finalita'  extrafiscali  delle
 norme  tributarie):  del  resto,  anche se fosse vero che il D.P.R. del
 1951, n. 1582, aveva provocato una  situazione  patologica,  questa,  a
 parere  della  Societa'  Delser  e  C.,  poteva  essere  sanata  da una
 dichiarazione di incostituzionalita' della Corte costituzionale  e  non
 da una legge operante su rapporti giuridici gia' consolidati.
     3.  -  Nella  discussione  orale le parti hanno riaffermato le loro
 tesi.
                         Considerato in diritto:
     1. - Secondo l'ordinanza di rinvio l'art. 2 della legge 25 febbraio
 1960, n. 163, contrasterebbe con l'art. 53 della Costituzione  poiche',
 stabilendo  che  l'imposta  relativa  al  1952 sia nuovamente liquidata
 sulla base del bilancio sociale chiuso in quell'anno,  tassa  gli  enti
 come  se  la loro capacita' contributiva, nel 1960, fosse ancora quella
 accertata a suo tempo per il 1952.
     La questione e' infondata.
     Il penultimo comma dell'art. 2 della legge 8 giugno 1936, n.  1231,
 aveva  stabilito che gli enti, il cui esercizio sociale non coincidesse
 con  l'anno  solare,  dovessero  l'imposta  di  ricchezza  mobile   sui
 risultati del bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno.
     La norma doveva interpretarsi non nel senso che il tributo gravasse
 sui  redditi  dell'anno  solare,  sia  pure  con  riferimento  a quelli
 risultanti dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno; ma  nel  senso
 che il tributo, benche' riscosso per l'intero anno solare, gravasse sui
 redditi   dell'esercizio   sociale   chiuso   nell'anno.     Nonostante
 l'apparenza, finiva per essere considerato  periodo  d'imposta,  invece
 che l'anno solare, il periodo di tempo che andava dal giorno d'apertura
 al  giorno  di  chiusura  dell'esercizio  sociale, dimodoche' l'imposta
 pagata, ad es., con riferimento all'anno solare 1940,  in  realta'  era
 dovuta, dagli enti suddetti, sull'esercizio sociale 1939-40.
     Che  cio'  fosse,  risulta,  tra  l'altro, dal fatto che, se ad es.
 veniva costituita al principio dell'anno solare  una  societa'  il  cui
 esercizio  si dovesse chiudere annualmente il 30 giugno, essa nell'anno
 di  costituzione  pagava  l'imposta  sul  reddito  del  primo  semestre
 (mentre,  se  periodo  di  imposta  fosse  stato l'anno solare, avrebbe
 dovuto pagarla sul reddito d'un anno, sia pure in base ai risultati  di
 quel  primo  semestre moltiplicati per due).  Risulta inoltre dal fatto
 che, se la societa', il cui esercizio si  chiudeva  il  30  giugno,  si
 fosse  estinta  per  es. il 10 luglio, non s'aveva diritto allo sgravio
 dell'imposta per il secondo semestre di quell'anno: sgravio che  invece
 si  sarebbe  dovuto  concedere  se fosse vero che l'imposta gravava sul
 reddito dell'intero anno solare.
     2. - La legge del 1951, n. 25 (c. d. legge Vanoni),  art.  12,  non
 aveva  mutato sostanzialmente il sistema, ma s'era limitata a stabilire
 che l'imposta si sarebbe dovuta, da allora in poi, non per anno solare,
 ma  per  esercizio  finanziario:  con  il  che  si  intendeva  soltanto
 stabilire  che  all'anno  solare  (1 gennaio-31 dicembre) si sostituiva
 l'anno dell'esercizio finanziario dello  Stato  (1  luglio-30  giugno),
 restando  fermo  come periodo d'imposta, per gli enti tassabili in base
 al bilancio, l'anno del loro esercizio sociale.
     Questa legge non  con  teneva  norme  di  transizione  dal  vecchio
 sistema  ad anno solare al nuovo sistema ad anno finanziario, ma a cio'
 provvide il Governo col  D.P.R.  4  novembre  1951,  n.  1582.  Poiche'
 l'imposta  per  il  1951 doveva essere pagata col vecchio sistema (anno
 solare 1951), mentre a datare dall'anno successivo, nel quale andava in
 vigore la legge Vanoni, si sarebbe  dovuta  pagare  col  nuovo  sistema
 (anno finanziario 1 luglio 1952-30 giugno 1953), sembro' al Governo che
 restasse scoperto il primo semestre 1951 (1 gennaio-30 giugno): percio'
 l'art.    2  del citato D.P.R. stabili' che per quel semestre tutti gli
 enti pagassero la meta' dell'imposta relativa ad un anno.   Con  questa
 norma  si  credette  di interpretare esattamente i principi del sistema
 tributario consacrato  nella  legge  Vanoni  del  195l;  ma  invece  si
 confuse,  per  errore,  il  periodo di imposta (che corrispondeva, come
 s'e' precisato, all'esercizio  sociale  degli  enti)  coll'anno  solare
 (sistema  1936)  e  coll'esercizio finanziario (sistema 1951).   Non ci
 s'avvide che, facendo pagare agli enti, il cui esercizio  s'era  chiuso
 il  30  giugno 1952, soltanto l'imposta per il primo semestre del 1952,
 li si esonerava dal pagamento  del  tributo  sui  redditi  del  secondo
 semestre  1951:  infatti  l'imposta  dovuta  da  questi enti per l'anno
 solare 1951  riguardava  il  periodo  1  luglio  1950-30  giugno  1951,
 lasciando  scoperto  quel periodo 1 luglio-31 dicembre 1951 che neanche
 il predetto D.P.R. si  preoccupava  di  coprire;  viceversa  lo  stesso
 obbligo   di  imposta,  che,  limitato  al  primo  semestre  del  1952,
 avvantaggiava gli  enti  ricordati,  per  analoghi  ma  opposti  motivi
 danneggiava  gli  enti  il  cui bilancio coincidesse con l'anno solare:
 infatti, poiche' per questi enti  il  periodo  d'imposta  continuava  a
 coincidere con l'anno solare, essi, nell'esercizio finanziario 1952-53,
 avrebbero  dovuto  essere  soggetti all'imposta sul reddito di non piu'
 d'un anno solare, cioe' del 1952, e non, come ha sancito il D.P.R.  del
 1951,  n. 1582, sul reddito d'un anno e mezzo, cioe' del primo semestre
 del 1952 e dell'intero 1952.
     3. - Tutto cio' fu avvertito piu' tardi, sia dalle associazioni dei
 contribuenti, che ne interessarono l'amministrazione  finanziaria,  sia
 dal  Governo,  specialmente  dopo  l'emanazione  del  nuovo  T.U. delle
 imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, con il quale si chiari' che il
 periodo d'imposta e' costituito, per gli  enti  tassabili  in  base  al
 bilancio,  dall'esercizio sociale (art. 3, comma terzo).  Fu cosi' che,
 al fine di correggere una manifesta ingiustizia, venne emanata la legge
 25 febbraio 1960, n. 163.
     Essa contiene appunto un art. 2 (cioe' la norma impugnata)  il  cui
 significato,  riguardo agli enti con bilancio chiuso nel primo semestre
 del 1952, e' solo quello di obbligarli a pagare il  semestre  d'imposta
 (esercizio  1951-52)  al  quale,  pur  essendo  tenuti per legge, erano
 sfuggiti in virtu' del D.P.R. del 1951, n. 1582.  La legge  disciplina,
 in  verita', situazioni passate; ma le disciplina come sarebbe avvenuto
 secondo il sistema tributario dell'epoca se  non  si  fosse  emesso  il
 D.P.R.   del   1951,   n.  1582.     Essa  ha  lo  scopo  di  eliminare
 dall'ordinamento una norma, l'art. 2 del D.P.R.   del  1951,  n.  1582,
 contrastante  con  quel principio di giustizia distributiva, che emerge
 dall'art.  3  e  dallo  stesso art. 53 della Costituzione, e percio' e'
 stata  sostanzialmente  emanata  nello  spirito  dell'art.  30,   comma
 secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
     In  conclusione, l'art. 2 della predetta legge 25 febbraio 1960, n.
 163, non ha introdotto per il passato nuove imposte o  nuove  aliquote,
 in  confronto  delle  quali  si  possa avanzare il dubbio che risultino
 sproporzionate  alla  capacita'  contributiva  degli  enti  soggetti  a
 tassazione, e pertanto non viola l'art. 53 della Costituzione.