ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 1 e 8,
 quarto comma, della legge 4 aprile 1956, n. 212, contenente  norme  per
 la  disciplina  della  propaganda  elettorale,  promosso  con ordinanza
 emessa il 15 ottobre 1963 dal Pretore di Lipari nel procedimento penale
 a carico di Fusco Francesco e Scibilia Raffaello, iscritta  al  n.  202
 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica, n. 312 del 30 novembre 1963.
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
     udita nell'udienza pubblica del 29 aprile  1964  la  relazione  del
 Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
     udito  il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel corso di un procedimento penale pendente innanzi  alla  Pretura
 di  Lipari  a  carico dei signori Francesco Fusco e Raffaello Scibilia,
 imputati di aver affisso, in concorso fra loro, manifesti di propaganda
 elettorale fuori degli appositi spazi fissati dalla Giunta comunale, la
 difesa ha eccepito la illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e  8,
 comma  quarto, della legge 4 aprile 1956, n. 212, contenente "norme per
 la disciplina della propaganda elettorale",  perche'  contrastanti  con
 l'art.  21, primo e secondo comma, della Costituzione. Con ordinanza 15
 ottobre 1963 il Pretore, dopo aver osservato che con gli articoli della
 legge  citata  viene  temporaneamente  ed  eccezionalmente  limitata in
 periodo elettorale la liberta' di affiggere manifesti  -  liberta'  che
 sussiste  piena  ed  incondizionata  in periodo extraelettorale - e che
 pertanto appare menomato  il  diritto  di  manifestare  liberamente  il
 proprio  pensiero  con  ogni  mezzo  di diffusione, ha rimesso a questa
 Corte  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  delle  indicate
 disposizioni.
     L'ordinanza,   emessa   nell'udienza   di  dibattimento,  e'  stata
 notificata all'imputato contumace  Francesco  Fusco  (atto  19  ottobre
 1963)  ed  al  Presidente  del  Consiglio dei Ministri (atto 21 ottobre
 1963), comunicata ai Presidenti delle due Camere (atto 15 ottobre 1963)
 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 312 del 30 novembre 1963.
     Nel presente giudizio e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri,  rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato. Nel
 relativo atto, depositato il  10  novembre  1963,  si  osserva  che  il
 riconoscimento  di  un diritto da parte della Costituzione non vieta al
 legislatore di disciplinarne l'esercizio,  purche'  non  ne  riduca  il
 contenuto fino al punto da determinarne l'offesa in termini evidenti; e
 si  rileva  che  la  legge  4  aprile  1956,  n.  212, si e' limitata a
 disciplinare l'esercizio del  diritto  di  manifestare  liberamente  il
 proprio  pensiero,  e  cio'  al  fine  di  evitare  abusi  destinati ad
 offendere altri  beni  parimenti  tutelati  dalla  Costituzione  e,  in
 particolare,  il  diritto  di proprieta' che certamente sarebbe leso da
 inconsulte ed incontrollate affissioni. L'Avvocatura  ha  concluso,  in
 conseguenza,  chiedendo  che la Corte dichiari non fondata la sollevata
 questione di legittimita' costituzionale.
     Le parti private non si sono costituite.
     All'udienza  pubblica  l'Avvocatura  dello  Stato  ha  ribadito  le
 osservazioni   svolte   nell'atto   di   costituzione   e  le  relative
 conclusioni.
                         Considerato in diritto:
     1. - L'art. 1 della legge 4 aprile 1956,  n.  212,  stabilisce  che
 durante  la  campagna  elettorale l'affissione di stampati, di giornali
 murali od altri e di manifesti di propaganda (commi primo e  terzo)  e'
 consentita  soltanto  negli  spazi  a  cio'  destinati  in ogni Comune,
 distinti secondo che l'utilizzazione avvenga  da  parte  di  candidati,
 partiti  e  gruppi  politici  partecipanti  alle elezioni o da parte di
 chiunque altro (comma secondo), e proibisce le iscrizioni murali  o  su
 fondi  stradali,  rupi,  argini, palizzate e recinzioni (ultimo comma);
 l'art. 8, comma quarto, determina, fra l'altro, le  sanzioni  penali  a
 carico di chi contravvenga alle predette disposizioni.
     La  Corte  e'  chiamata  a  decidere,  in  relazione alla questione
 sollevata nell'ordinanza di rimessione, se le statuizioni  dell'art.  1
 e,  conseguentemente,  la  norma  penale  contenuta  nell'art. 8, comma
 quarto, costituiscano violazione del diritto di manifestare liberamente
 il proprio pensiero con le parole, lo scritto ed ogni  altro  mezzo  di
 diffusione  (art. 21, comma primo, della Costituzione) e del divieto di
 sottoporre la stampa  ad  autorizzazione  o  censura  (art.  21,  comma
 secondo).
     La questione appare infondata sotto entrambi gli aspetti.
     2.  -  L'art.  21, comma primo, della Costituzione riconosce sia il
 diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sia  quello  del
 libero uso dei mezzi di divulgazione, e gia' nella prima sentenza del 5
 giugno  1956  la Corte affermo' che l'uno e l'altro godono della stessa
 garanzia  costituzionale: il nesso di indispensabile strumentalita' del
 secondo  rispetto  al  primo  esclude,  sotto   questo   profilo,   una
 distinzione che l'art. 21 in nessun modo consente.
     La   Corte,  nel  confermare  questo  precedente,  ritiene  che  le
 disposizioni impugnate, che  non  toccano  minimamente  il  diritto  di
 manifestare  liberamente  il  proprio  pensiero, non comportino neppure
 violazione del diritto di usare liberamente dei mezzi che ne realizzano
 la  diffusione  giacche',  in  quanto  si  limitano   a   disciplinarne
 l'esercizio, esse appaiono estrinsecazione di un potere del legislatore
 ordinario  del quale la Corte, in riferimento a varie fattispecie e con
 ripetute e costanti pronunzie, ha riconosciuto  la  piena  legittimita'
 sempre che il diritto attribuito dalla Costituzione non venga ad essere
 snaturato.  E  va  ricordato  che,  proprio  in  applicazione di questo
 principio allora per la prima volta affermato, la  Corte  nella  citata
 sentenza  del  1956  ritenne  che  non fosse in contrasto con l'art. 21
 della Costituzione il comma quinto dell'art. 113 del T.U.  delle  leggi
 di  p. s. (R.D.  18 giugno 1931, n. 773), nel quale e' disposto che "le
 affissioni non possono farsi fuori dei luoghi destinati  dall'autorita'
 competente".
     L'ordinanza  di  rimessione  afferma che la legge 4 aprile 1956, n.
 212, limita "temporaneamente ed eccezionalmente",  in  occasione  delle
 elezioni,  la  liberta'  di  affissione  che,  invece, e' illimitata in
 periodo extraelettorale, e da cio' fa discendere il  dubbio  sulla  sua
 legittimita'   costituzionale.  Ora,  a  parte  la  considerazione  che
 l'affissione in genere incontra anche  in  altre  leggi  una  serie  di
 divieti  e  di  limitazioni  a  tutela  di  pubblici  interessi,  e' da
 osservare che proprio durante la campagna elettorale la concomitante  e
 piu'  intensa  partecipazione di partiti e di cittadini alla propaganda
 politica determina  una  situazione  che  giustifica  l'intervento  del
 legislatore  ordinario  diretto  a  regolarne  il  concorso. La legge 4
 aprile 1956 ha dettato una disciplina contenuta  entro  questi  limiti,
 con  norme  che  non  sono  ispirate,  come sostiene l'Avvocatura dello
 Stato, alla tutela della proprieta' (e basta in proposito rilevare  che
 neppure  col  consenso  del  proprietario del muro, dell'edificio, ecc.
 sarebbe lecito procedere all'affissione fuori degli appositi spazi), ma
 tendono a porre tutti in condizione di parita': ad  assicurare,  cioe',
 che  in  uno  dei  momenti  essenziali  per  lo  svolgimento della vita
 democratica,  questa  non  sia  di  fatto  ostacolata   da   situazioni
 economiche di Svantaggio o politiche di minoranza.
     Alla luce di queste considerazioni le norme impugnate, in quanto si
 limitano  a  regolare  l'esercizio  del diritto attribuito dall'art. 21
 della Costituzione e cio' fanno senza violarlo, ma anzi nel particolare
 settore oggetto della loro disciplina - garantendone  la  effettivita',
 sono costituzionalmente legittime.
     3.  -  La  questione  e'  infondata anche in riferimento al secondo
 comma dell'art. 21 della Costituzione.
     E'  di  tutta  evidenza,  infatti,  che  le  norme  denunziate  non
 instaurano,  ne'  direttamente  ne'  indirettamente,  alcuna  forma  di
 censura sulla stampa elettorale; ed e' del pari certo che nessun potere
 di autorizzazione esse conferiscono alla pubblica autorita'. La  legge,
 infatti, determina direttamente le misure (art. 1, comma secondo) ed il
 numero (art. 2, comma secondo) degli spazi da riservare all'affissione;
 fissa   i   termini   entro   i  quali  occorre  provvedere  alla  loro
 individuazione  (art.  2,  comma  primo) e ripartizione (artt. 4, comma
 primo,  e  5,   comma   secondo);   indica   i   soggetti   legittimati
 all'affissione  (art. 1, commi primo e secondo) e prescrive, in genere,
 tutte le modalita' di applicazione  della  disposta  disciplina,  senza
 lasciare alla Giunta comunale il minimo potere discrezionale. E cio' e'
 a dirsi anche per la concreta assegnazione degli spazi, giacche' questa
 avviene,  per  quanto  riguarda  i  partiti,  i  gruppi  politici  e  i
 candidati,  secondo  l'ordine  di  ammissione  delle  liste   o   delle
 candidature  (art.  4,  comma  terzo)  e, per quanto riguarda gli altri
 soggetti che non partecipano direttamente alla campagna elettorale,  in
 base a semplice domanda, che non ha altra funzione che quella di render
 noto il proposito di procedere all'affissione e che determina ipso iure
 l'obbligo dell'Amministrazione di assegnare gli spazi secondo modalita'
 anch'esse  rigidamente  stabilite  dalla  legge (art. 3, commi quarto e
 quinto).