ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del  regio
 decreto  8 gennaio 1931, n. 148, modificato dalla legge 24 luglio 1957,
 n. 633, recante "coordinamento delle norme sulla  disciplina  giuridica
 dei   rapporti   collettivi   di  lavoro  con  quelle  sul  trattamento
 giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie  e  linee  di
 navigazione  interna  in regime di concessione", promosso con ordinanza
 emessa il 17 marzo 1967  dal  tribunale  di  Palermo  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Aiello  Giovanni  ed  altri,  la  ditta  ITACO e
 l'Azienda siciliana  trasporti,  iscritta  al  n.    109  del  Registro
 ordinanze  1967  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 170 dell'8 luglio 1967.
     Visti gli atti di costituzione di Aiello Giovanni ed  altri,  della
 ditta ITACO e dell'Azienda siciliana trasporti;
     udita  nell'udienza  pubblica  del 29 gennaio 1969 la relazione del
 Giudice Ercole Rocchetti;
     uditi l'avv. Francesco Santoro Passarelli,  per  Aiello  ed  altri,
 l'avv.  Raffaele Oriani, per la ditta ITACO, e l'avv.  Santi Cacopardo,
 per l'Azienda siciliana trasporti.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con decreto 1 febbraio  1965,  n.  2200,  l'Assessore  per  il
 turismo,  le  comunicazioni  ed  i  trasporti  della  Regione siciliana
 dichiaro' la ditta ITACO decaduta dalle concessioni di autolinee di cui
 era titolare  ed  accordo'  la  concessione  provvisoria  delle  stesse
 autolinee  alla Azienda siciliana trasporti, con l'onere di rilevare il
 personale gia' dipendente dalla ITACO.
     Con atto di citazione, notificato in data 16  luglio  1965,  Aiello
 Giovanni  ed  altri  lavoratori  convenivano  dinanzi  al  tribunale di
 Palermo la ditta ITACO, in persona del suo  titolare  Cecala  Luigi,  e
 l'Azienda  siciliana  trasporti chiedendo che la ITACO fosse condannata
 al pagamento di alcune differenze di retribuzione  ad  essi  dovute  in
 forza del contratto collettivo nazionale di lavoro 6 maggio 1964, e che
 l'Azienda  siciliana  trasporti  fosse  condannata al pagamento in loro
 favore delle differenze di retribuzione dipendenti  dal  riconoscimento
 delle  qualifiche e della anzianita' conseguite presso la ITACO sino al
 6 febbraio 1965, previo accertamento del loro diritto al riconoscimento
 delle anzidette qualifiche ed anzianita'.
     Costituitasi in giudizio, la ditta ITACO contestava nel  merito  le
 domande  proposte  dagli  attori  ed eccepiva preliminarmente, ai sensi
 dell'art. 10 del R.D. 8 genaio 1931, n. 148 (esteso al personale  delle
 autolinee   extraurbane  dalla  legge  22  settembre  1960,  n.  1054),
 l'improponibilita' di quelle domande  proposte  dagli  attori  che  non
 avevano   formato   oggetto   del  ricorso  in  via  amministrativa,  e
 l'improponibilita' di tutte le domande proposte dagli attori  Filiberto
 Rosalia,  Davi'  Antonina,  Tralongo Mariano che non avevano presentato
 alcun reclamo.
     Anche l'Azienda siciliana trasporti,  costituitasi  ritualmente  in
 giudizio, oltre a chiedere nel merito il rigetto delle domande proposte
 nei  suoi  confronti,  eccepiva,  la  improcedibilita' e proponibilita'
 delle domande proposte da Filippone  Liborio  e  Davi'  Antonietta  per
 inosservanza del disposto di cui all'art. 10 del R.D. n.  148 del 1931.
     La  difesa  degli  attori  contestava  in  linea  di  fatto  che il
 Filippone e il Tralongo noh avessero proposto  reclamo  e  deduceva  la
 illegittimita'  costituzionale dell'art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n.
 148 e  successive  modificazioni  con  riferimento  all'art.  36  della
 Costituzione.
     Il  tribunale di Palermo, con ordinanza del 17 marzo 1967, riteneva
 rilevante e non manifestamente infondata la questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  10  del  regio  decreto citato, in relazione
 all'art. 36 della Costituzione e, sospendendo  il  giudizio  in  corso,
 ordinava  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la
 risoluzione della questione di legittimita'.
     2. - Sotto il profilo della rilevanza il tribunale osserva  che  la
 dedotta  questione  di  legittimita'  e'  determinante  ai  fini  della
 decisione della causa, non solo per coloro che hanno totalmente  omesso
 il  reclamo,  ma  anche  per  gli  altri  che, pur avendo presentato un
 reclamo, nello stesso non hanno fatto menzione di tutte le  domande  di
 poi proposte con l'atto introduttivo del giudizio.
     In  ordine alla manifesta infondatezza, il giudice a quo, dopo aver
 richiamato le  argomentazioni  contenute  nella  sentenza  della  Corte
 costituzionale  10  giugno  1966  n. 63 (con cui e' stata dichiarata la
 incostituzionalita' degli artt.  2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n.  1  del
 Codice  civile,  limitatamente  alla  parte  in  cui  consentono che la
 prescrizione del diritto alla retribuzione decorre durante il  rapporto
 di  lavoro),  rileva  che  "lo  stato  di  disagio  in  cui si trova il
 lavoratore di fronte al proprio datore di lavoro e per  il  quale  sono
 state ritenute incostituzionali le norme sulla prescrizione (nei limiti
 sopra  precisati)  ricorre  anche  per  il  lavoratore  che  ometta  di
 presentare il reclamo di cui al  citato  art.  10,  entro  il  previsto
 termine di giorni 60".
     "In  sostanza, afferma l'ordinanza in esame, come si ritiene che il
 lavoratore  possa  rinunciare,   durante   il   rapporto   di   lavoro,
 all'esercizio  dei  diritti  soggetti  a  prescrizione,  cosi' non puo'
 escludersi che lo stesso lavoratore possa rinunciare alla presentazione
 del reclamo nei termini di cui al citato art.  10,  in  costanza  dello
 stesso  rapporto,  poiche' tale situazione si risolverebbe in ogni caso
 nella rinuncia del diritto alla giusta retribuzione".
     L'ordinanza   e'   stata   regolarmente  notificata,  comunicata  e
 pubblicata sulla Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  dell'8  luglio
 1967, n. 170.
     3.  -  Dinanzi  alla  Corte  si  sono  costituite soltanto le parti
 private. L'Azienda siciliana trasporti, rappresentata  e  difesa  dagli
 avvocati  Santi Cacopardo e Massimo Annesi, con deduzioni depositate in
 cancelleria  il  20  maggio  1967,  rileva  che  il  tribunale  non  ha
 esattamente  valutato  i  limiti della pronuncia di incostituzionalita'
 alla quale ha fatto riferimento e la normativa della legge denunciata.
     In  ordine  al  primo  profilo,  essa  osserva  che  il  necessario
 esperimento  di  un  ricorso  in  via gerarchica, quale presupposto per
 l'ammissibilita'   dell'azione   giudiziaria,   non   incide   su   una
 ipotizzabile  situazione  psicologica  di  disagio  del  lavoratore che
 potrebbe temere di essere licenziato: difatti, i lavoratori che  citano
 il  proprio  datore  di  lavoro,  come  e'  avvenuto nella controversia
 sottoposta all'esame del tribunale di Palermo,  dimostrano  chiaramente
 di  non  essere  soggetti  ad  alcun  timore, nei confronti del proprio
 datore di lavoro; essi quindi avrebbero potuto  benissimo  proporre  un
 reclamo in via amministrativa.
     Relativamente  poi  alla  disciplina  del  rapporti  di  lavoro dei
 dipendenti delle aziende esercenti trasporti in concessione, la  difesa
 dell'Azienda   siciliana   trasporti   osserva  che  quel  rapporto  e'
 caratterizzato da un notevole grado di stabilita' che risulta da  tutta
 la disciplina legislativa contenuta nel regio decreto n. 148 del 1931 e
 nell'annesso  regolamento:  in  relazione  a  questa  disciplina, si e'
 parlato,  di  "semistabilita'"  e  di  "stabilita'  condizionata",  per
 distinguere  il  rapporto in esame, da un lato dal rapporto di pubblico
 impiego, caratterizzato da una  piena  stabilita',  e  dall'altro,  dal
 rapporto  di  lavoro  di  diritto  comune,  nel  quale e' consentito il
 licenziamento ad nutum. Piu'  precisamente,  la  forza  di  rapporto  a
 stabilita'  condizionata  e'  subordinata  soltanto  al perdurare delle
 condizioni di esercizio dell'azienda, nel  senso  che  il  rapporto  di
 lavoro  puo'  avere  termine nei casi di limitazione, semplificazione e
 soppressione  dei  servizi,  debitamente   autorizzati   dall'autorita'
 governativa.
     In  una  memoria depositata il 16 gennaio 1969, l'Azienda siciliana
 trasporti,  premessa  una  esegesi  storica  del  sistema   legislativo
 relativo  al trattamento del personale addetto ai servizi di trasporto,
 osserva  che  la  progressiva   generalizzazione   delle   disposizioni
 contenute  nel R.D. n.  148 del 1931, con le leggi n. 628 del 1952 e n.
 1054 del 1960, costituisce una inversione della  tendenza  di  lasciare
 una   sfera  d'azione  sempre  piu'  ampia  all'iniziativa  privata,  e
 rappresenta un momento piu' avanzato  della  posizione  del  lavoratore
 nell'azienda,  in  applicazione  delle leggi dell'equo trattamento, nel
 cui ambito  si  colloca  perfettamente  la  norma  impugnata,  dopo  le
 modifiche apportate dalla legge 24 luglio 1957, n. 634.
     L'Azienda  siciliana  trasporti,  pertanto,  conclude  chiedendo il
 rigetto della questione di legittimita' dell'art.  10 del regio decreto
 citato.
     4. - Anche gli attori rappresentati e difesi dagli avvocati Eduardo
 Pitucco e Lorenzo Gorgone Querini si sono costituiti dinanzi alla Corte
 con deduzioni del 22 maggio 1968, deducendo il contrasto tra  la  norma
 denunciata  e  l'art.  36  della Costituzione: difatti, alla stregua di
 principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 63  del
 1966,  dovrebbe  ritenersi  costituzionalmente illegittima la norma che
 consente  la  perdita  dei  diritti  del  lavoratore per semplice breve
 inazione nel corso del rapporto di lavoro e cioe' mentre il  lavoratore
 si  trova  in  condizioni  di  inferiorita'  e  di  subordinazione  nei
 confronti del datore di lavoro.
     Ma, secondo  la  difesa  degli  attori,  la  norma  incriminata  si
 presenta  incostituzionale  anche  con  riferimento all'art.   24 della
 Costituzione, in quanto consente una tacita rinuncia del lavoratore  ad
 un altro diritto costituzionalmente garantito, quale e' quello di agire
 in giudizio per la tutela dei propri diritti.
     Per  gli  attori, sono state inoltre prodotte due distinte memorie,
 depositate in cancelleria il 10 e 16  gennaio  1969  e  rispettivamente
 redatte  dall'avv.  Lorenzo  Gorgone  Querini  e dagli avvocati Eduardo
 Pitucco e Francesco Santoro Passarelli.
     Gli attori, richiamandosi alla sentenza n. 63  del  1966  osservano
 che se la Corte, nella motivazione, ha fatto richiamo alla eventualita'
 del  licenziamento,  lo  ha  fatto  solo  per  menzionare  la  forma di
 rappresaglia piu'  grave,  non  certo  per  limitare  la  pronunzia  di
 incostituzionalita'  soltanto ai rapporti che prevedano la possibilita'
 del recesso ad nutum da parte del datore di lavoro.
     Osservano inoltre gli attori, che le  garanzie  di  stabilita'  dei
 lavoratori  delle aziende di trasporto in concessione non sono maggiori
 di quelle che godono tutti i dipendenti di aziende che occupano piu' di
 trentacinque persone, ai sensi della legge 15 luglio 1966, n. 604.
     Questa situazione determinerebbe una ingiustificata  disparita'  di
 trattamento,  contrastante  con  l'art.  3  della  Costituzione,  se si
 ammettesse che i lavoratori addetti ai  servizi  di  trasporto  debbano
 sottostare,  per  l'esercizio giudiziale dei loro diritti, a un termine
 di decadenza che decorra anche in costanza del rapporto di lavoro.
     D'altra parte, il fatto che le richieste degli  attori  dinanzi  al
 tribunale  di Palermo non fossero di natura meramente patrimoniale, non
 escluderebbe il richiamo all'art. 36 della Costituzione, in quanto, nel
 disposto costituzionale, l'irrinunziabilita'  deve  essere  intesa  nel
 senso  piu'  lato, con riferimento al trattamento economico e normativo
 previsto dalla legge e dai contratti collettivi.
     5. - Con deduzioni depositate in cancelleria il 28 luglio  1967  si
 e',  infine,  costituita  col patrocinio dell'avv.   Raffaele Oriani la
 ditta ITACO, la quale, con argomentazioni analoghe a quelle prospettate
 dalla difesa della Azienda siciliana trasporti,  chiede  che  la  Corte
 dichiari  non  fondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148.
     6. - Nella discussione orale le difese delle parti hanno illustrato
 le tesi gia' proposte negli scritti difensivi e  insistito  nelle  gia'
 prese conclusioni.
                         Considerato in diritto:
     Per  la  risoluzione  delle  controversie  individuali  relative ai
 rapporti di lavoro fra gli agenti dipendenti e i privati  concessionari
 di  trasporti  in  concessione,  l'art. 10 del decreto n. 148 del 1931,
 modificato dalla legge n. 633 del 1957, stabilisce che l'azione  avanti
 l'autorita'  giudiziaria  non possa essere iniziata dagli agenti se non
 sia   stato   previamente   esperito    un    complesso    procedimento
 amministrativo,   che   si  articola  nel  seguente  modo.  La  domanda
 giudiziale non puo' essere, in ogni caso, proposta  se  non  sia  stato
 prima  presentato  un  reclamo  in  via  gerarchica all'amministrazione
 dell'ente concessionario e non  siano  trascorsi  trenta  giorni  dalla
 presentazione  di  esso. Inoltre, mentre per le controversie aventi per
 oggetto  competenze  arretrate   ed   altre   prestazioni   di   natura
 esclusivamente  patrimoniale (comma quarto dell'art. 10) il termine per
 l'inizio dell'azione, nonche' - deve intendersi - per la  presentazione
 del   reclamo,   e'  quello  stesso  della  prescrizione  previsto  nei
 richiamati  artt.  2948,  2955  e  2956  del  Codice  civile;  per   le
 controversie,  invece,  aventi  ad  oggetto diritti non patrimoniali o,
 comunque,  non  esclusivamente  patrimoniali  (diritti  relativi   alla
 carriera, alla qualifica, ecc.) sono stabiliti, ed a pena di decadenza,
 altri  termini  (commi secondo e terzo dell'art. 10) di sessanta giorni
 dalla comunicazione del provvedimento contro cui  si  ricorre,  per  la
 presentazione  del  reclamo,  e  di  sessanta  giorni, decorrenti dalla
 scadenza dei trenta dopo la presentazione del  reclamo  anzidetto,  per
 l'inizio dell'azione giudiziaria.
     Il tribunale di Palermo, nel giudizio come sopra proposto da agenti
 dipendenti  contro  enti  concessionari  per il pagamento di indennita'
 arretrate e il riconoscimento di qualifiche,  ha  ritenuto,  oltre  che
 rilevante, non manifestamente infondata l'impugnativa di illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  10 di cui si e' detto, proposta dagli attori
 in ordine al sistema del  preventivo  obbligatorio  esperimento  di  un
 procedimento  amministrativo  nel  quale  sono  contemplati  termini di
 decadenza  per  la  proposizione  dell'azione   giudiziaria.   E   tale
 impugnativa  ha  collegato al rispetto dell'art. 36 della Costituzione,
 il cui disposto ha ritenuto possa considerarsi nel caso violato per  le
 stesse  ragioni per le quali la Corte ritenne, nella sentenza n. 63 del
 1966,  illegittimi  gli  articoli  del  Codice  civile  in  materia  di
 prescrizione, nella parte in cui consentivano la decorrenza di essa nel
 corso di un rapporto di lavoro subordinato.
     Anche  la  norma  impugnata  nel  detto  art.  10, si legge infatti
 nell'ordinanza  del  tribunale  di  Palermo,   "importerebbe   che   il
 lavoratore,  per  semplice breve inazione che, nell'ambito del rapporto
 di lavoro equivale a una tacita  rinunzia,  possa  perdere  il  proprio
 diritto a quella giusta retribuzione costituzionalmente garantita".
     Nel  corso  del  giudizio  avanti  la Corte, le difese degli agenti
 interessati hanno asserito che la norma impugnata violerebbe, oltre che
 l'art. 36, anche gli artt. 3  e  24  della  Costituzione.  Ma  di  tali
 deduzioni  non  puo'  tenersi  alcun  conto, dovendo il giudizio essere
 circoscritto alla questione di legittimita' nei termini  dell'ordinanza
 di rimessione.
     Ora,  nessuna  parte dell'art. 10 in esame puo' ritenersi contrasti
 col principio della giusta retribuzione  tutelato  dall'art.  36  della
 Costituzione.  Ne'  la  parte  di cui al quarto comma dell'art. 10, nel
 quale il richiamo agli artt. 2948, 2955 e 2956 del  Codice  civile  (da
 intendersi   ormai  fatto  al  contenuto  che  essi  hanno  assunto  in
 conseguenza della sentenza della Corte n. 63 del  1966,  escludente  la
 decorrenza della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro) elimina
 ogni  temuto  elemento  di coartazione della volonta' del lavoratore; e
 nemmeno la parte di cui ai commi terzo e quarto dello stesso  art.  10,
 cosi'  come  essi risultano modificati dalla legge n. 633 del 1957 che,
 con l'aggiunta del quarto comma, ha ristretto il campo di  applicazione
 dei  due commi precedenti. I commi secondo e terzo, che prima coprivano
 l'intera  area  di  tutte  le  possibili  controversie  tra  agenti   e
 concessionari,  ora  interferiscono,  secondo  quanto si e' gia' detto,
 soltanto in tema di  problemi  attinenti  ai  rapporti  di  natura  non
 esclusivamente patrimoniale.
     E'  pero'  da escludersi che l'art. 36 della Costituzione, oltre ad
 assicurare il diritto ad una retribuzione proporzionata alla  quantita'
 e qualita' del lavoro prestato, tuteli anche i diritti di cui trattasi,
 benche'  da  essi  possano conseguenzialmente derivare, in via mediata,
 degli effetti di ordine patrimoniale. Tali diritti, fra i quali il piu'
 saliente appare quello del riconoscimento di  una  qualifica  maggiore,
 sono  volti, in genere, ad attribuire al lavoratore, con l'acquisizione
 di una nuova posizione nell'azienda, aumenti di retribuzione e non gia'
 ad  assicurargli  soltanto  la  corresponsione  di   una   retribuzione
 proporzionata  al lavoro effettivamente da lui prestato e che il citato
 articolo della Costituzione si limita a garantirgli.
     Va infine considerato che, nella visione  globale  del  regime  del
 cosi'  detto  equo  trattamento, disciplinato dal R.D. n. 148 del 1931,
 non manca in favore degli agenti un complesso di  vantaggi  (stabilita'
 condizionata  del  rapporto di lavoro, art. 27 allegato A; tutela degli
 avanzamenti art.  15; disciplina affidata a una Commissione con  membri
 nominati dall'autorita' amministrativa, le cui decisioni possono essere
 impugnate  in  Consiglio  di  Stato artt. 54 e 58) i quali mentre da un
 lato attenuano gli svantaggi delle modalita' e dei termini previsti per
 la  disciplina  della  risoluzione  delle   controversie   di   lavoro,
 dall'altro eliminano, o almeno riducono di molto, quei pericoli che gli
 attori  in  giudizio avanti il tribunale di Palermo dicono di ravvisare
 in quella disciplina.