SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 224, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1969 dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni di Genova nel procedimento per il ricovero in riformatorio giudiziario del minore Pallanca Michele, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969. Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: Il tribunale per i minorenni di Genova, in data 3 luglio 1968, dichiarava non doversi promuovere l'azione penale, per difetto di eta', nei confronti di Michele Pallanca, di anni otto, che, in uno scatto d'ira, trovandosi in mano un coltellino, aveva inferto alla madre un colpo alla regione inguinale, dal quale era derivata la di lei morte. Nel corso del procedimento per il ricovero del non imputabile in un riformatorio giudiziario, ai sensi dell'art. 224, secondo comma, del codice penale, il giudice di sorveglianza presso quel tribunale, con ordinanza del 28 febbraio 1969, riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale della citata disposizione, sotto il duplice profilo dell'automatismo della misura di sicurezza e della mancata previsione di un'eta' minima per la sua applicazione, facendo, nella motivazione (e non nel dispositivo), riferimento agli artt. 27, 30 e 31 della Costituzione. Nell'ordinanza si fa presente che il minore, tuttora ricoverato in un istituto di osservazione - dove pur denotando elementi di immaturita' in soggetto di intelligenza normale, aveva tenuto ottima condotta e dimostrato valida capacita' di adattamento - era stato sottoposto ad approfonditi esami psico-diagnostici, che sconsigliavano l'adozione di misure di tipo punitivo e suggerivano, invece, il collocamento in un collegio a normale organizzazione e l'affidamento al servizio sociale, anche perche' era apparso che il disadattamento intrafamiliare e la conseguente reattivita' fossero il risultato di una erronea impostazione educativa. Cio' premesso, per quanto concerne l'automatismo di applicazione della misura, pur prendendosi atto della sentenza n. 19 del 1966, con la quale questa Corte ebbe a dichiarare non fondata analoga questione in riferimento all'art. 13 della Costituzione, si pongono tra l'altro in luce i profili differenti che il caso attuale presenta. Al riguardo, si sottolinea il pregiudizio che, in un riformatorio giudiziario, subirebbe un bambino di cosi' tenera eta', pur se protagonista inconsapevole di tanto grave delitto. Si osserva che questo istituto, per quanto - lato sensu - destinato ad educare, e' divenuto ricetto degli irriducibili e dei non altrimenti ricuperabili, a seguito delle innovazioni contenute nella legge n. 1404 del 1934 sul funzionamento del tribunale per i minorenni, a sua volta modificata dalla successiva legge n. 888 del 1956, le quali hanno messo a disposizione del giudice una gamma di istituti graduati per il recupero del minore disadattato o traviato. Ad avviso del giudice di sorveglianza, l'assegnazione ad un riformatorio giudiziario di un minore dell'eta' del Pallanca si risolverebbe in una misura restrittiva assimilabile alla pena, che, avulsa dalle altre misure che tendono effettivamente alla rieducazione, contrasterebbe - per il suo indiscriminato automatismo e per il fatto di dover essere applicata, in ispregio ad ogni nozione di psicologia evolutiva -, in particolare, con l'obbligo dello Stato di sostituirsi positivamente alla famiglia in caso di incapacita' dei genitori, nell'esplicazione dei suoi compiti di protezione dell'infanzia e della gioventu'. Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi e' stata costituzione di parte privata. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto con atto depositato il 10 giugno 1969, nel quale chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Afferma l'Avvocatura che gli argomenti dell'ordinanza intesi a porre la questione dell'automatismo della misura denunziata su un piano diverso da quello considerato dalla sentenza n. 19 del 1966 di questa Corte, non sembrano decisivi, sia perche' si verterebbe in un caso particolare di mero fatto, sia perche' varrebbero, comunque, per essa i principi gia' affermati dalla Corte. Cio' premesso, l'Avvocatura, limitando le sue argomentazioni ai precetti costituzionali espressamente menzionati nella motivazione dell'ordinanza, sostiene che la disposizione denunziata non avrebbe alcun rapporto ne' con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto tale precetto riguarda le pene e non le misure di sicurezza, a quelle non assimilabili, ne' con gli artt. 30 e 31, dappoiche', anzi, proprio al fine di sostituirsi positivamente alla famiglia, la legge ha previsto centri di rieducazione per i minorenni, e tra questi i riformatori giudiziari, con speciali sezioni per i minori non imputabili. Circa la mancanza di un limite minimo di eta' per l'applicazione dell'anzidetta misura, l'Avvocatura deduce che tratterebbesi, tutt'al piu', di un difetto della norma, al quale potra' supplire la sensibilita' del magistrato, e, comunque, non tale da rendere illegittima la disposizione, quanto meno in rapporto ai precetti costituzionali esplicitamente indicati dal giudice a quo, le cui considerazioni potrebbero soltanto valere nell'ambito di un'auspicabile scelta legislativa, per il perfezionamento del sistema ora vigente. Considerato in diritto: 1. - Con l'ordinanza di rinvio, il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte la seguente questione: se sia costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 27 (finalita' rieducative della pena), 30 (obbligo dello Stato di sostituirsi alla famiglia in caso di incapacita' dei genitori) e 31 della Costituzione (protezione dell'infanzia e della gioventu') - l'art. 224, secondo comma, del codice penale, in quanto contempla la presunzione di pericolosita' e dispone il ricovero obbligatorio del minore di anni quattordici in riformatorio giudiziario, allorche' il delitto (non colposo) - per il quale egli non e' imputabile - sia astrattamente punibile con "l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni", e cio' con riferimento sia alla conseguenzialita' automatica dell'obbligo, sia alla mancata previsione di una eta' minima del minore cui e' applicabile la misura di sicurezza. 2. - Sebbene l'ordinanza, come si e' premesso, invochi espressamente gli artt. 27, 30 e 31 della Costituzione, tuttavia dalle diffuse argomentazioni in essa contenute emerge piu' volte la doglianza di irragionevolezza: il che risulta pure, in maniera specifica, sia dalla seguente frase della motivazione: "La questione appare non manifestamente infondata anche con riferimento allo spirito tutto, ai principi informatori della Costituzione per quanto concerne la tutela della personalita'"; sia dal dispositivo che, mentre non menziona gli artt. 27, 30 e 31, si attaglia, cosi' come e' formulato, proprio all'art. 3 della Costituzione. 3. - Non e' a parlarsi di violazione dell'art. 27 della Costituzione, il quale, per giurisprudenza costante e anche recente di questa Corte, attiene soltanto alle pene (vedi, per le misure di prevenzione della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, le sentenze n. 23 del 1964 e n. 76 del 1970). E', del resto, da ricordare che, con le sentenze n. 19 del 1966 e n. 68 del 1967, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204, secondo comma, del codice penale - che comprende l'ipotesi dell'art. 224, secondo comma -, ritenendo che non siano violate le disposizioni costituzionali degli artt. 13, 24, 27 e 32 e ravvisando una sufficiente garanzia nella motivazione del provvedimento e nella previsione della revoca della misura di sicurezza, dopo la trascorrenza di un determinato lasso di tempo, giustificato dalla necessita' di un controllo sulle condizioni psichiche e sanitarie del soggetto (art. 207 cod. pen., il quale statuisce, inoltre, che la revoca della misura di sicurezza possa essere anticipata con decreto del ministro della giustizia). Tali precedenti la Corte non ha ragione di smentire, per cio' che attiene al principio generale e complessivo della pericolosita' presunta, entro i confini della pregressa prospettazione, che, in parte, corrisponde alla prospettazione attuale; non senza avvertire che, allora, non veniva direttamente in considerazione l'art. 224, secondo comma, cod. pen. Invero, il principio dell'applicazione obbligatoria di misure di sicurezza (detentive e non detentive: art. 215 cod. pen.) investe (o puo' investire) - oltreche' l'eta' minore degli anni quattordici - altre svariate situazioni (eta' tra gli anni quattordici e i diciotto; abitualita', professionalita' e tendenza a delinquere; infermita' psichica, cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti e sordomutismo; ubriachezza abituale e uso abituale di sostanze stupefacenti, ecc.). 4. - Circa gli artt. 30 e 31, e' stato obiettato che, proprio al fine di sostituire lo Stato alla famiglia e di conferirgli la funzione educativa che i genitori non abbiano esplicato o non esplichino, la legge ha istituito centri di rieducazione per i minorenni, tra cui sono, appunto, i riformatori giudiziari. L'inidoneita' di questi centri (e di questi riformatori) - a causa della loro struttura e dell'ormai superato indirizzo pedagogico -, allo scopo per il quale sono stati predisposti riguarda la concreta organizzazzione funzionale degli stessi ad opera della pubblica amministrazione e, in ultima analisi, postula l'intervento del legislatore. 5. - L'art. 3 della Costituzione appare, invece, per piu' versi vulnerato. In primo luogo, situazioni diverse sono riguardate in modo identico: ed e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'art. 3 risulta violato non soltanto quando situazioni identiche vengono disciplinate in modo difforme dalla legge, bensi' anche quando situazioni difformi vengono disciplinate in modo eguale (sentenze n. 53 del 1958 e n. 22 del 1966). Non puo' negarsi davvero che diverso sia l'atteggiamento psichico, rispetto a una condotta qualsiasi (lecita o illecita o, piu' pertinentemente, rilevante dal punto di vista giuridico-penale), allorche' si tratti di un minore che si avvicini ai quattordici anni di eta' (cioe' sia in eta' matrimoniale: art. 84, secondo comma, cod. civ.) e allorche' si tratti di un infante o di un bimbo in tenera eta'. Con la disposizione impugnata, al limite, anche l'infante dovrebbe essere ristretto in riformatorio giudiziario, per pericolosita' presunta (il che, talvolta, e' avvenuto): conseguenza, questa, tanto palesemente contraria a qualunque criterio di ragionevolezza, da costituire di per se' una condanna della norma da cui deriva. 6. - Non v'e' dubbio che la severa misura di sicurezza sia obbligatoriamente comminata nel presupposto della pericolosita' sociale del minore. Senonche', la presunzione di pericolosita', che negli altri casi previsti dal codice si basa sull'id quod plerumque accidit, non ha fondamento allorche' si tratti della non imputabilita' del minore di anni quattordici: che', al contrario, puo' ben dirsi che qui, data la giovanissima eta' del soggetto, la pericolosita' rappresenti l'eccezione, per cui l'obbligatorieta' ed automaticita' del ricovero in riformatorio giudiziario non ha giustificazione alcuna. Da tale premessa muove la relazione ministeriale al recente disegno di legge che sopprime la norma denunciata (Atti del Senato, V Leg., doc. n. 351). 7. - La disposizione, dunque, va dichiarata illegittima per quanto concerne i minori degli anni quattordici. Superfluo ricordare che l'art. 224, secondo comma, e' applicabile anche a chi ha compiuto gli anni quattordici ma non ancora i diciotto, se egli sia riconosciuto non imputabile (terzo comma), e continuera' ad essere applicato pur dopo la presente pronunzia di illegittimita' costituzionale: la questione relativa, essendo estranea al giudizio a quo, non e' stata sollevata, ne' poteva esserlo, in questa sede.