SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  635, primo
 comma;  636,  primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e
 quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646 e 647  del  codice  di  procedura
 penale,  e degli artt. 207, terzo comma; 214; 215, secondo comma, n. 1,
 ed ultimo comma; 216; 217; 218; 223, secondo comma; 226,  primo  comma,
 secondo  periodo, e 231, secondo comma, del codice penale, promosso con
 ordinanza emessa il 24 gennaio 1972 dal  giudice  di  sorveglianza  del
 tribunale  di  Pisa  nel procedimento per revoca di misure di sicurezza
 iniziato da Graziani Lorenzo, iscritta al n. 58 del registro  ordinanze
 1972  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del
 12 aprile 1972.
     Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del  20  febbraio  1974  il  Giudice
 relatore Nicola Reale;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio  Azzariti,
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Con  ordinanza  in  data  24  gennaio  1972  il  giudice  di
 sorveglianza presso il tribunale di Pisa ha sollevato,  nel  corso  del
 procedimento  iniziato  con domanda di revoca della misura di sicurezza
 di assegnazione ad una casa di lavoro a  carico  di  Graziani  Lorenzo,
 questione di legittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni:
     a) artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637;
 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646; 647 c.p.p.
 (aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di applicazione delle
 misure   di  sicurezza  da  parte  del  giudice  di  sorveglianza),  in
 riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, sotto il profilo  che
 esse,  prevedendo  in  ordine  al  diritto  di  difesa  delle  garanzie
 processuali minori e diverse rispetto a quelle  che  caratterizzano  il
 processo   penale  ordinario,  opererebbero,  senza  alcuna  plausibile
 giustificazione,  una  disparita'  di   trattamento   tra   l'internato
 assegnato  ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola con sentenza
 e quello  assegnatovi  con  successivo  provvedimento  del  giudice  di
 sorveglianza;
     b) artt. 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, da "a meno che"
 alla fine; 216; 217; 218; 223, secondo comma, da "salvo che" alla fine;
 226,  primo  comma,  secondo  periodo;  231,  secondo comma, esclusa la
 previsione del ricovero del minore in un riformatorio giudiziario,  del
 codice  penale, in riferimento agli artt.  2, 3, 13, 24, secondo comma,
 111, 27, terzo comma,  e  25  della  Costituzione,  aventi  ad  oggetto
 l'intera   normativa   sostanziale   sulla   misura   di  sicurezza  di
 assegnazione ad una colonia agricola  o  ad  una  casa  di  lavoro.  Il
 contrasto   con   le   disposizioni   della   Carta  appena  richiamate
 deriverebbe, secondo quanto si afferma nell'ordinanza di rinvio,  dalla
 circostanza  che  la misura dell'assegnazione ad una colonia agricola o
 ad una casa di lavoro  sarebbe  praticamente  applicata  con  modalita'
 identiche   a   quelle  previste  per  l'espiazione  della  pena  della
 reclusione o dell'arresto;
     c) art. 214 c.p.  (per  il  quale,  nel  caso  in  cui  la  persona
 sottoposta  a  misura  di  sicurezza detentiva, diversa dal ricovero in
 manicomio giudiziario o in una casa di cura e di custodia,  si  sottrae
 volontariamente  all'esecuzione  di  essa,  il periodo minimo di durata
 della misura di sicurezza ricomincia a decorrere dal giorno  in  cui  a
 questa  e' stata data nuovamente esecuzione), in riferimento agli artt.
 2, 3, 13, 24, secondo comma, 25, terzo comma, e 111 della Costituzione,
 in  base all'assunto che il prolungamento quasi automatico della misura
 di  sicurezza  detentiva  contrasterebbe  con   il   fine   rieducativo
 salvaguardato  dagli  artt.  24,  secondo comma, 27, terzo comma, e 25,
 ultimo comma, della Costituzione e con i principi sanciti  dalle  altre
 norme sopra richiamate;
     d)  del  pari  in  contrasto con le disposizioni della Costituzione
 appena citate, oltre che con quelle contenute negli artt.  102  e  110,
 sarebbe  infine  l'art.  207,  ultimo  comma,  del  codice  penale, che
 attribuisce al Ministro di grazia e giustizia il potere di revocare  le
 misure   di   sicurezza   "anche   prima   che  sia  decorso  il  tempo
 corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge". Tale potere -
 infatti  -  andrebbe  al  di  la'  di  quelli  che  l'art.  110   della
 Costituzione  accorda  al  Ministro  di  grazia  e  giustizia, che sono
 circoscritti all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi
 alla giustizia. La norma in esame sarebbe altresi' in contrasto,  oltre
 che con gli artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 111, con l'art. 102, "giacche' una
 Costituzione  che  fa  divieto  di  istituire  giudici  straordinari  e
 speciali non puo' certo tollerare che la funzione giudiziaria, nel  suo
 piu' delicato momento (provvedimenti in materia di liberta' personale),
 venga ad essere incontrollatamente sostituita dal potere esecutivo".
     2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,
 con atto del 24 aprile 1972.
     Nelle deduzioni si sostiene che il processo di sicurezza puo' ormai
 svolgersi  nel pieno rispetto del diritto di difesa, tenuto conto delle
 sue peculiari caratteristiche e,  soprattutto,  della  circostanza  che
 esso, tra l'altro, presuppone il previo accertamento in sede penale, ed
 a mezzo di un ordinario processo di cognizione, di un fatto costituente
 reato o quasi reato.  In considerazione di cio', la mancata ripetizione
 non  solo  non dovrebbe essere ritenuta lesiva del diritto di difesa ma
 non potrebbe nemmeno essere considerata priva di razionalita'.  Il  che
 dovrebbe   indurre   a   ritenere   infondate  tutte  le  questioni  di
 costituzionalita' sollevate in relazione alle norme che disciplinano il
 processo di sicurezza.
     Le questioni sub b), aventi ad  oggetto  la  normativa  sostanziale
 relativa alle misure di sicurezza detentive, dovrebbero del pari essere
 ritenute infondate, poiche' sarebbero basate non gia' su un vizio della
 legge ma, bensi', su un vizio di attuazione della medesima.
     Quanto  poi  alla  questione  sub  c),  relativa all'art. 214 c.p.,
 l'Avvocatura si limita a fare presente che questa Corte ha ritenuto con
 numerose pronunce non in contrasto con la Costituzione l'istituto della
 pericolosita' presunta.
     Quanto, infine, all'ultima  questione  sollevata,  che  investe  il
 potere  del  Ministro  di  grazia  e giustizia di revocare le misure di
 sicurezza,   siffatto   potere   rappresenterebbe    -    a    giudizio
 dell'Avvocatura - un adeguato correttivo alla rigidita' del sistema ed,
 in   definitiva,  si  risolverebbe  in  un  beneficio  per  la  persona
 sottoposta a misura di sicurezza.  Esso,  poi,  non  esorbiterebbe  dai
 poteri   attribuiti   al   predetto   Ministro   dall'art.   110  della
 Costituzione, data la sua  natura  sostanzialmente  amministrativa,  in
 considerazione  della  quale  dovrebbe  essere ritenuta infondata anche
 l'ulteriore questione prospettata con riferimento all'art.   102  della
 Costituzione.
     Le  conclusioni  si  precisano  in una richiesta di declaratoria di
 infondatezza di tutte le questioni prospettate.
                         Considerato in diritto:
     1. - Il primo gruppo di questioni  di  legittimita'  costituzionale
 concerne  gli  artt.  635,  primo  comma;  636, primo, secondo e quinto
 comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma;  639;  642;  643;  645;
 646;  647  c.p.p.  (aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di
 applicazione delle misure di sicurezza), in riferimento agli artt. 3  e
 24 della Costituzione, sotto il profilo che essi, prevedendo, in ordine
 al  diritto di difesa, garanzie processuali minori e diverse rispetto a
 quelle che caratterizzano il processo penale ordinario, opererebbero  -
 senza alcuna plausibile giustificazione - una disparita' di trattamento
 tra  l'internato che sia assegnato ad una casa di lavoro con sentenza e
 quello che vi si  trovi  assegnato  con  successivo  provvedimento  del
 giudice di sorveglianza.
     2.  - La Corte osserva in via preliminare che i difetti del sistema
 in ordine alla osservanza dei  principi  del  contraddittorio  e  della
 difesa  furono  messi  in  rilievo  con  la sentenza n. 53 del 1968 che
 dichiaro' parzialmente illegittimi gli articoli 636  e  637  c.p.p.  ed
 affermo'  che,  in attesa di un intervento del legislatore, l'esercizio
 della difesa avrebbe potuto svolgersi sulla base delle norme  stabilite
 per la difesa nella istruttoria sommaria, secondo le estensioni operate
 in  proposito  dalla giurisprudenza della Corte. Con la sentenza n. 168
 del  1972,  successiva  alla  presente  ordinanza  di  rimessione,  nel
 dichiarare infondata un'analoga questione relativa agli artt. 636 e 637
 c.p.p., questa Corte ha poi sottolineato che debbono ritenersi operanti
 nel  procedimento  in  esame,  per  logica  necessaria  estensione,  le
 parallele disposizioni dettate per il processo ordinario, nei limiti in
 cui  le   disposizioni   risultino,   con   prudente   interpretazione,
 compatibili  con  la  peculiare  struttura,  con  l'oggetto  e  con  le
 finalita' dello speciale giudizio per l'applicazione  delle  misure  di
 sicurezza.
     La   stessa   sentenza   ha   poi   dichiarato   la  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 645, nella parte in cui, nel caso  di  mancata
 notifica  all'interessato  di alcuno degli atti e dei provvedimenti che
 la legge prevede siano a lui comunicati, escludeva che  il  giudice  di
 sorveglianza  fosse  tenuto,  prima  di  dichiarare  la irreperibilita'
 dell'interessato, ad  ordinare  nuove  ricerche  e,  dopo  la  suddetta
 declaratoria,  a  disporre  il  deposito  degli atti o provvedimenti in
 cancelleria con contestuale avviso del  deposito  stesso  al  difensore
 dell'interessato, di fiducia o da nominarsi dall'ufficio.
     3.  - Cio' basta per intendere che gli artt. 636, 637 e 645 c.p.p.,
 nel contenuto risultante dalle sopra  menzionate  pronunzie  di  questa
 Corte, resistono alle attuali censure.
     Ed  in  effetti,  per  cio'  che  concerne l'asserito contrasto con
 l'art.  24  della  Costituzione,  e'  sufficiente  rilevare  che   tali
 disposizioni  comportano ormai che il soggetto passivo del procedimento
 per l'applicazione  delle  misure  di  sicurezza  successivamente  alla
 sentenza  di  condanna o di proscioglimento deve essere tempestivamente
 reso  edotto  sui  fatti  in  merito  ai  quali  e'  chiamato  a   fare
 dichiarazioni  e  sui quali il giudice intende dirigere o ha diretto le
 investigazioni o gli accertamenti, perche'  in  ordine  ad  essi  e  ai
 relativi  risultati venga posto in grado di svolgere le proprie difese,
 sia personalmente sia per mezzo di difensore, con facolta'  di  esserne
 assistito  in tutti gli atti nei quali ne e' ammesso l'intervento dalle
 disposizioni vigenti (sent. n. 168 del 1972).
     Quanto  poi  alla   denunziata   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione   va   considerato  che  l'applicazione  delle  misure  di
 sicurezza da parte del giudice  di  sorveglianza  presuppone,  in  ogni
 caso,  i1  previo accertamento, a mezzo di un ordinario procedimento di
 cognizione, di un fatto costituente reato o quasi reato e che i compiti
 del giudice di sorveglianza sono  circoscritti  all'accertamento  della
 pericolosita'  o  della  persistenza di questa. Dal che discende che la
 mancata previsione di un  secondo  grado  di  procedimento,  articolato
 nella  duplice  fase  istruttoria  e dibattimentale, nei vari gradi del
 giudizio, non solo non puo'  essere  ritenuta  lesiva  del  diritto  di
 difesa, ma nemmeno e' da considerarsi priva di razionalita'.
     Le questioni suddette vanno pertanto ritenute infondate.
     4.  -  Alla  luce  di  tali  considerazioni  non puo' non ritenersi
 infondata anche l'ulteriore questione, sollevata con eguali motivi,  in
 riferimento  alle stesse disposizioni della Costituzione, ed avente per
 oggetto l'art. 635, comma primo, c.p.p., il quale, in correlazione  con
 quanto  stabilito  dall'art.  205,  comma  secondo,  del codice penale,
 attribuisce   al   giudice   di   sorveglianza   la   competenza    per
 l'applicazione,  la  modifica, la sostituzione o la revoca delle misure
 di sicurezza al di fuori dell'istruzione o del giudizio.
     5. - Parimenti infondate sono le  censure  (peraltro  formulate  in
 modo  generico)  riguardanti,  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione, gli artt. 638, primo, secondo e quarto comma; 639  e  643
 codice  procedura  penale.  Di  tali  articoli,  infatti,  i  primi due
 richiedono che i provvedimenti del giudice di sorveglianza siano emessi
 con decreto, previa comunicazione al p.m.   tenuto a  motivare  i  suoi
 pareri  e le sue richieste, siano congruamente motivati e comunicati al
 p.m. e all'interessato (oppure, quando si tratti di infermi di mente  o
 di  minori,  alla persona alla quale era stato diretto l'invito a norma
 del secondo o del terzo capoverso dell'art. 636 c.p.p.) e  a  prevedere
 che  essi possano essere emessi anche su richiesta del p.m., cui spetta
 promuovere l'esecuzione del provvedimento.
     L'art. 643, poi, non fa che richiamare, per  cio'  che  concerne  i
 termini  per  proporre  impugnazione, le disposizioni dell'articolo 199
 c.p.p. la cui conformita' al dettato costituzionale e' stata di recente
 affermata da questa Corte (sent. n. 136 del  1971)  con  argomenti  che
 conservano tutto il loro valore. Per quanto concerne poi l'inizio della
 decorrenza  del  termine  in  caso di irreperibilita', deve ora tenersi
 conto della parziale  dichiarazione  di  illegittimita'  dell'art.  645
 c.p.p.  contenuta nella gia' richiamata sentenza n. 168 del 1972.
     6.  -  Le  censure  di  incostituzionalita'  investono,  sempre con
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche gli artt.  642,
 646 e 647 del codice di procedura penale.
     Quanto all'art. 642 (il cui secondo comma stabilisce che il ricorso
 del p.m. contro il decreto del giudice di sorveglianza ovvero contro il
 decreto  della  Corte  d'appello  ha  effetto  sospensivo mentre quello
 proposto dal privato non sospende l'esecuzione, a meno che vi  consenta
 il  p.m.),  la  questione  sollevata  risulta  inammissibile per palese
 difetto  di  rilevanza,  essendo  attinente  a   fasi   ulteriori   del
 procedimento   e  condizionata  a  specifiche  situazioni,  allo  stato
 meramente ipotizzabili e, quindi,  non  attuali  (sentenza  n.  19  del
 1974).  Alle  stesse  conclusioni  deve  giungersi per le questioni che
 hanno  riferimento agli artt. 646 e 647, il primo dei quali prevede che
 l'efficacia del decreto resti sospesa fino a che non sia  trascorso  il
 termine stabilito per il ricorso del p.m. ed il secondo che attribuisce
 solo  al  p.m.  il  potere  di  ricorrere per motivi di merito contro i
 decreti pronunciati dal giudice di  sorveglianza  in  tema  di  riesame
 dello  stato  di pericolosita'. Anche in questo caso, infatti, trattasi
 di questioni  che  potrebbero  assumere  rilevanza  solo  in  una  fase
 successiva   del  procedimento,  se  ed  in  quanto  si  realizzino  le
 fattispecie rispettivamente indicate nella normativa in esame.
     7. - Il secondo gruppo di questioni investe  la  intera  disciplina
 sostanziale  relativa alla misura di sicurezza dell'assegnazione ad una
 colonia agricola o ad una casa di lavoro (e precisamente gli artt. 215,
 secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, da "a meno che" alla  fine;  216,
 217,  218,  223,  secondo  comma,  da "salvo che" alla fine; 226, primo
 comma, secondo periodo; 231, secondo comma (esclusa la  previsione  del
 ricovero  di  un  minore in un riformatorio giudiziario), cod. pen., in
 riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24,  secondo  comma,  111,  27,  terzo
 comma,  e  25,  ultimo comma, della Costituzione. Il contrasto non tali
 disposizioni deriverebbe, secondo quanto si  assume  nell'ordinanza  di
 rimessione,  dalla  circostanza  che la misura dell'assegnazione ad una
 casa di lavoro o ad una colonia agricola sarebbe praticamente applicata
 - in ispecie nello stabilimento indicato nell'ordinanza - con modalita'
 identiche  a  quelle  previste  per  l'espiazione  della   pena   della
 reclusione o dell'arresto.
     Ma  a  questa asserita situazione di fatto e ad altre eventualmente
 consimili come supposte dal giudice  a  quo,  derivanti  da  ritardi  e
 carenze   nell'applicazione  della  particolare  normativa  vigente  in
 materia di misure di sicurezza detentive - che peraltro  non  e'  stata
 oggetto  di  specifiche  censure  circa  il  suo contenuto da parte del
 giudice suddetto - non puo' riconoscersi alcuna influenza nel  giudizio
 di costituzionalita' (v. le sentenze nn. 40 del 1970 e 167 del 1973).
     Chiara e' quindi l'infondatezza delle questioni sollevate.
     8.  - Sono altresi' infondate le censure mosse, in riferimento alle
 sovraindicate disposizioni costituzionali, all'art. 214,  primo  comma,
 del codice penale, il quale, ove la persona sottoposta ad una misura di
 sicurezza  detentiva  si  sottragga  volontariamente  all'esecuzione di
 essa, dispone che il periodo minimo di  durata  stabilito  dalla  legge
 ricominci  a  decorrere  dal giorno in cui alla misura medesima e' data
 nuovamente esecuzione.
     Detta norma - come emerge  dai  lavori  preparatori  -  poggia  sul
 presupposto  che  l'inosservanza  delle misure di sicurezza costituisca
 sicura  manifestazione  della  pericolosita'  che  abbia   dato   luogo
 all'applicazione   delle   medesime.   Essa   va  pertanto  ricollegata
 all'istituto della pericolosita' presunta che non e' stato ritenuto  in
 contrasto  con  la  Costituzione quando la presunzione di pericolosita'
 risulti conforme all'id quod plerumque accidit (v. sentenza n. 106  del
 1972).
     Il  che  ragionevolmente  puo'  affermarsi  rispetto  alla norma in
 esame, in quanto e' da  ritenersi  che  la  sottrazione  all'esecuzione
 della  misura  di  sicurezza che sia volontaria (e quindi riconducibile
 alla  consapevole  volonta'   dell'agente   anziche'   conseguente   ad
 impellenti   avverse   contingenze)   costituisca,  quanto  meno  nella
 generalita'  dei  casi,  espressione  della  persistente  pericolosita'
 dell'internato.
     9.  -  Nell'ordinanza di rimessione si prospetta, infine, il dubbio
 circa la compatibilita' - con i principi di cui agli artt.  2,  3,  13,
 25, 111, 102, 110 della Costituzione - dell'articolo 207, ultimo comma,
 cod.  pen. (che attribuisce al Ministro di grazia e giustizia il potere
 di revocare le misure di sicurezza "anche  prima  che  sia  decorso  il
 tempo   corrispondente   alla  durata  minima  fissata  dalla  legge"),
 affermandosi che tale potere andrebbe al di la' di quelli accordati  al
 Ministro  dall'art.    110,  ed integrerebbe una indebita ingerenza del
 potere esecutivo nell'esercizio della funzione giurisdizionale, onde la
 norma sarebbe viziata di irrazionalita' e si porrebbe in contrasto  con
 i valori "ineliminabili" della persona e della liberta' umane.
     La questione e' fondata.
     Anzitutto  lo  e' in riferimento all'art. 13 della Costituzione, la
 cui violazione deriva dal fatto che il potere di far cessare la  misura
 limitativa  della  liberta'  personale  e'  attribuito  (e per un certo
 periodo di tempo in via esclusiva) ad un organo non giurisdizionale che
 puo' provvedere  insindacabilmente,  e  sia  a  favore  che  a  sfavore
 dell'interessato, senza obbligo di attenersi ai criteri cui deve invece
 adeguarsi l'autorita' giudiziaria.
     Ma  ancora  piu'  evidente  e'  il  contrasto  con l'art. 102 della
 Costituzione.
     In effetti, con l'esercizio del potere di revoca il Ministro  viene
 ad  interferire  nello  svolgimento  di funzioni giurisdizionali, quali
 sono indubbiamente quelle disciplinate dagli articoli  634  e  seguenti
 del  codice di procedura penale. Il che rende evidente che detto potere
 non puo' nemmeno esser fatto rientrare fra quelli che l'art. 110  della
 Costituzione affida al Ministro di grazia e giustizia e che, per quanto
 largamente   considerati,   non   possono   certo   estendersi  sino  a
 ricomprendere attribuzioni comportanti una  cosi'  sensibile  ingerenza
 nella funzione sopradetta.
     Va  quindi dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo
 207, comma terzo, c.p., nella parte in cui attribuisce al  Ministro  di
 grazia  e  giustizia, anziche' al giudice di sorveglianza, il potere di
 revocare le misure di sicurezza personali anche prima che  sia  decorso
 il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.
     La   declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
 impugnata si estende - ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953
 - per necessaria conseguenzialita' - a  quella  contenuta  nel  secondo
 comma  dello  stesso articolo che pone il divieto di revocare la misura
 di sicurezza prima che sia decorso il tempo corrispondente alla  durata
 minima stabilita dalla legge.
     Ne deriva che spetta al giudice il potere di revoca delle misure di
 sicurezza   -   ove   sia   accertata  la  cessazione  dello  stato  di
 pericolosita' (art. 207, comma primo,  c.p.)  -  anche  prima  che  sia
 decorso  il  tempo  corrispondente  alla  durata minima stabilita dalla
 legge.