SENTENZA
     nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 108 della
 legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), e dell'art. 74 della
 legge 17 luglio 1942, n.   907 (Monopolio dei  sali  e  dei  tabacchi),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  26  giugno  1973 dal tribunale di
 Ferrara nel procedimento penale a  carico  di  Gaeti  Mario  ed  altro,
 iscritta  al  n.  294  del  registro  ordinanze 1973 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  223 del 29 agosto 1973.
     Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica del 3 aprile 1974 il Giudice relatore
 Luigi Oggioni;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio  Azzariti,
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Con  ordinanza  emessa il 26 giugno 1973 il tribunale di Ferrara ha
 sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  108
 della  legge  doganale 25 settembre 1940, n. 1424, secondo cui, "per il
 tentativo di contrabbando si applica la stessa pena  stabilita  per  il
 reato consumato", e 74 della legge 17 luglio 1942, n.  907, che enuncia
 lo stesso principio per il contrabbando di generi di monopolio.
     Si   afferma   nell'ordinanza   che,  a  norma  dell'art.  3  della
 Costituzione, ogni disparita' di trattamento deve trovare un fondamento
 ragionevole  nella  intrinseca  struttura  delle  situazioni  poste   a
 confronto.   Tale  esigenza,  peraltro,  sarebbe  violata  dalle  norme
 impugnate, le quali, in deroga al principio generale di cui all'art. 56
 c.p., secondo cui il tentativo deve essere punito in misura inferiore a
 quella prevista per il  reato  consumato,  equiparerebbero  le  ipotesi
 predette, unificandole nella figura di reati a consumazione anticipata,
 senza  che  cio' sia giustificato da ragionevoli motivi. Invero se pure
 il legislatore, in alcuni casi, ha operato analoghe  equiparazioni  del
 tentativo   e  del  reato  consumato  prevedendo  la  figura  criminosa
 dell'attentato di cui agli artt. 241, 244, 289, 432 e  433  c.p.,  cio'
 avrebbe  fatto  di  fronte  ad  ipotesi  straordinarie per l'importanza
 vitale degli interessi tutelati, attinenti ai valori fondamentali dello
 Stato ed alle  necessita'  piu'  urgenti  della  collettivita',  mentre
 questi  elementi  non  ricorrerebbero affatto nelle norme impugnate, le
 quali,  anzi,  sembrerebbero  corrispondere  ad  una  inammissibile   e
 superata concezione dello Stato come ente patrimoniale.
     L'ordinanza  e'  stata notificata, comunicata e pubblicata come per
 legge nella Gazzetta Ufficiale n.  223 del 29 agosto i973.
     Avanti alla Corte e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
 che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.
     L'Avvocatura osserva, anzitutto, che  la  denunziata  equiparazione
 fra  delitto  di  contrabbando  tentato  e  consumato,  fu  voluta  dal
 legislatore per difesa contro una  forma  di  delinquenza  di  notevole
 pericolosita', e troverebbe riscontro in altre norme della stessa legge
 che,  sulla  base  della  natura  di reato di pericolo del contrabbando
 stesso, incriminano come  reato  consumato  fatti  anche  anteriori  al
 momento  in  cui  puo'  attuarsi l'effettiva sottrazione delle merci ai
 diritti di confine (artt. 98, lett. b, 99, lett. a, c, e, f,  e  ultimo
 comma, 100, secondo comma, 101).
     Simili  considerazioni  dovrebbero  poi farsi in ordine all'art. 74
 della legge n. 907 del  1942,  in  quanto  attinente  alla  figura  del
 delitto  di  contrabbando  di  generi  di monopolio, in tutto analoga a
 quella del contrabbando doganale.
     Comunque, premesso che il caso in esame, giusta la dizione espressa
 dalla legge, costituirebbe una  mera  equiparazione  quoad  poenam  del
 delitto  tentato  al  delitto  consumato,  senza con cio' derogare alla
 differenziazione di principio fra le due  distinte  ipotesi  criminose,
 parallelamente  a  quanto  avverrebbe nelle ipotesi di attentato cui si
 riferisce l'ordinanza, l'Avvocatura rileva che non  potrebbe,  in  ogni
 caso,  ravvisarsi  il vizio denunziato nella equiparazione suddetta. Si
 tratterebbe  invero,  anche  qui,  di  un  mero  problema  di  politica
 criminale,  dato che la regola della minore pena per il tentativo posta
 dall'art.  56  c.p.  non  costituirebbe  applicazione  necessaria   del
 principio di eguaglianza.
     E   cio'   sarebbe   confermato   dalle   numerose   deroghe  poste
 dall'ordinamento alla minore penalizzazione  del  tentativo  anche  nei
 casi   in   cui  non  sarebbe  ravvisabile  un  interesse  tutelato  di
 particolarissima importanza o attinente ai  valori  fondamentali  dello
 Stato,  come  appunto accadrebbe nelle ipotesi previste dagli artt. 434
 (crolli o disastri dolosi), 501 (aggiotaggio), 517 (vendita di prodotti
 industriali  con  segni  mendaci),  552   (procurata   impotenza   alla
 procreazione),   565   (attentato   alla   moralita'   familiare),  642
 (mutilazione fraudolenta della propria persona) del codice penale.
     L'Avvocatura  pertanto,  dopo  avere  ricordato  che,  secondo   la
 giurisprudenza  della  Corte, la determinazione della pena rientrerebbe
 nell'ambito  della  discrezionalita'  che  spetta  al  legislatore  nel
 valutare  la  pericolosita' dei singoli reati e di graduare le pene per
 ciascuno di essi, afferma  che,  nel  caso  in  esame,  la  scelta  del
 legislatore  apparirebbe giustificata per la eguale natura dei reati di
 contrabbando  tentato  e  consumato,   ed   in   particolare   per   le
 caratteristiche   proprie  del  reato  stesso,  onde  il  momento  piu'
 favorevole   per  la  scoperta  dei  fatti  delittuosi  piu'  gravi  ed
 allarmanti coinciderebbe con la fase di esecuzione  del  reato,  mentre
 dopo la consumazione le indagini sarebbero estremamente difficoltose.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  L'ordinanza  del  tribunale  di  Ferrara  di cui in epigrafe
 lamenta che l'equiparazione della sanzione da infliggere a chi si rende
 responsabile del delitto di tentato contrabbando a quella irrogabile  a
 chi  invece  il  delitto  ha  condotto  a  consumazione (art. 108 legge
 doganale n. 1424 del 1940), costituirebbe  una  palese  violazione  del
 principio   di  eguaglianza  (art.  3  Cost.),  il  quale,  secondo  la
 giurisprudenza di questa Corte, escluderebbe parita' di trattamento per
 situazioni obiettivamente diverse, come quelle in esame.
     La questione non e' fondata.
     2. - Al riguardo e' utile premettere che il delitto di contrabbando
 previsto dalla legge doganale, ed a cui si riferisce  l'impugnato  art.
 108  della legge stessa, ribadito senza alcuna modificazione con l'art.
 293 del recente testo unico 23 gennaio 1973, n. 43, lede gli  interessi
 finanziari  dello  Stato  mediante  l'evasione  tributaria che l'agente
 procura con il passaggio clandestino o fraudolento della linea doganale
 delle merci soggette a diritti di confine.
     Questa attivita' criminosa si concreta in  un  comportamento  dalle
 peculiari  caratteristiche,  il cui dinamismo si delinea attraverso una
 sequenza piu'  o  meno  complessa  di  insidie  e  manovre  tendenti  a
 realizzare quei movimenti della merce che ne consentono l'inoltro al di
 la' della linea di confine, in spregio agli obblighi fiscali.
     E'  ben  vero  che  solo  con  questo  passaggio  si  perfeziona la
 consumazione del reato ma, a parte che tale momento, per sua natura, e'
 di difficile accertamento ex post, non lasciando normalmente  obiettivi
 elementi  di  prova,  e',  comunque,  altrettanto  vero  che  la natura
 particolare dell'iter fraudolento del procedimento  di  esecuzione  del
 reato  offre  indubbi  motivi  ad  una valutazione specialmente severa,
 anche in vista dell'importanza degli  interessi  tutelati,  che  e'  di
 tutta  evidenza,  data  l'insostituibilita'  del  mezzo finanziario per
 conseguire una pluralita' di fini fondamentali dello Stato. Orbene,  la
 disciplina   in   esame,   tende   appunto   a   fornire  una  garanzia
 particolarmente  efficace  in  relazione  alle  caratteristiche   della
 fattispecie criminosa contemplata, adeguando la sanzione alle descritte
 peculiari  modalita'  di  esecuzione  e consumazione del reato, e trova
 fondamento nella valutazione di politica  criminale  secondo  cui,  nel
 tentativo  di  contrabbando  e  nel  contrabbando  consumato, risiedono
 elementi di pericolosita' sociale che richiedono eguali  sanzioni.  Con
 cio',  il  legislatore  non  ha  derogato  dai  criteri che la Corte ha
 ripetutamente enunciato al riguardo, affermando che  nel  rigore  della
 sanzione  deve  scorgersi  il  riflesso della discrezionale valutazione
 politica del legislatore circa la gravita' del reato (sent. n.  45  del
 1970)  salvo  il  limite  della  ragionevolezza (sent. n. 64 del 1971),
 tanto che rientra  specificamente  nell'ambito  della  discrezionalita'
 stessa  l'equiparazione  quoad  poenam  di  ipotesi  criminose di egual
 natura, sebbene non egualmente gravi (sent. n. 122 del 1973).
     Tutto cio' vale indipendentemente dalla questione se  nella  specie
 trattisi  di  mera  equiparazione  della pena nelle due diverse ipotesi
 criminose considerate, come ritiene la prevalente giurisprudenza, o  se
 invece  trattisi  di una vera e propria inversione del titolo del reato
 di contrabbando tentato, che verrebbe a configurarsi come un delitto di
 attentato,  cioe'  a consumazione anticipata.  L'una o l'altra ipotesi,
 invero, in relazione alla censura mossa, si risolvono  nella  lamentata
 unicita' della sanzione per una diversita' di comportamenti che invece,
 come si e' detto, non contrasta con la norma costituzionale invocata.
     3.  -  Quanto  sopra  si  e' detto, e' poi riferibile, oltre che al
 contrabbando doganale, inteso in senso lato, anche al  contrabbando  di
 generi  di monopolio di cui alla legge n.  907 del 1942, cui appartiene
 l'art. 74, pure impugnato, che riproduce la norma dell'art.  108  della
 legge doganale. L'evasione dei diritti di confine, costituisce, invero,
 caratteristica  comune  alle  due  forme  di  reato e conferisce, sotto
 questo profilo, unitarieta' alle due ipotesi,  rendendo  cosi'  valide,
 anche  per  il  contrabbando  di generi di monopolio, le considerazioni
 gia' svolte riguardo ai motivi che giustificano l'impugnata  disciplina
 nei confronti del contrabbando doganale.