SENTENZA
     nei giudizi riuniti  sull'ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  75
 secondo   comma  della  Costituzione,  delle  richieste  di  referendum
 popolare per l'abrogazione:
     1. - dell'art. 1  del  regio  decreto  20  febbraio  1941,  n.  303
 ("Codici  penali  militari  di  pace  e  di guerra") limitatamente alle
 parole "il testo del codice militare di pace " (n. 3 reg. ref.);
     2. - del regio decreto 9 settembre 1941,  n.  1022:    "Ordinamento
 giudiziario militare" (n. 4 reg. ref.);
     3.  -  della legge 2 maggio 1974, n. 195 "Contributo dello Stato al
 finanziamento dei partiti politici" (n.5 reg. ref.);
     4.  -  dell'art.  1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, che dispone
 "l'esecuzione  del  Trattato,  dei  quattro  allegati  annessi  e   del
 Concordato,  sottoscritti  in  Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11
 febbraio 1929" limitatamente al contenuto degli artt. 1, 10,  17  e  23
 dell'allegato  Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato
 (n. 6 reg. ref.);
     5. - degli artt. 1, 2, 3, 3-bis della legge 14  febbraio  1904,  n.
 36:   "Disposizioni   sui  manicomi  e  sugli  alienati"  e  successive
 modificazioni (n. 7 reg. ref.);
     6. - degli artt. 17 primo comma,  limitatamente  alle  parole:  "2)
 l'ergastolo";  53 primo comma, limitatamente alle parole: "o di vincere
 una resistenza all'autorita'"; 57,  57-bis,  203,  204  secondo  comma,
 limitatamente  alle  parole:  "nei  casi  espressamente determinati, la
 qualita' di persona socialmente pericolosa e'  presunta  dalla  legge";
 205  primo  comma,  limitatamente alle parole: "o di proscioglimento" e
 secondo comma (possono essere ordinate con provvedimento successivo: 1)
 nel caso di condanna, durante la esecuzione della  pena  o  durante  il
 tempo  in  cui  il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione
 della pena; 2) nel caso di  proscioglimento,  qualora  la  qualita'  di
 persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo
 corrispondente  alla  durata minima della relativa misura di sicurezza;
 3) in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge); 206, 222, 223,  224,
 225,  226,  229, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 256, 261, 262, 265, 266,
 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 278, 279, 290,  290-bis,  291,  292,
 292-bis,  293,  297,  299, 302, 303, 304, 305, 312, 327, 330, 332, 333,
 340, 341, 342, 343, 344, 352, 402, 403, 404, 405, 406, 414 terzo  comma
 (Alla  pena  stabilita'  nel  n.  1 soggiace anche chi pubblicamente fa
 l'apologia di uno o piu' delitti); 415, 503, 504, 505, 506,  507,  508,
 510,  511,  512,  527,  528, 529, 565, 571 secondo comma, limitatamente
 alle parole: "ridotte ad un terzo; se ne deriva la morte, si applica la
 reclusione da tre a otto  anni";  578,  587,  592,  596-bis,  603,  633
 secondo  comma  (Le  pene  si applicano congiuntamente, e si procede di
 ufficio, se il fatto e' commesso da piu' di cinque persone, di cui  una
 almeno palesemente armata, ovvero da piu' di dieci persone, anche senza
 armi); 654, 655, 656, 657, 661, 662, 663, 663-bis, 666, 668, 724, 725 e
 726  del  codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n.
 1398, e successive modificazioni (n. 8 reg. ref.);
     7. - della legge 22 maggio 1975, n. 152,  recante  "Disposizioni  a
 tutela  dell'ordine  pubblico",  ad  eccezione  dell'art. 5 (sostituito
 dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n.  533) (n. 9 reg. ref.);
     8. - degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente
 alle parole: "alla Commissione inquirente  o";  12  limitatamente  alle
 parole: "il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente";
 13,   14  primo  comma,  limitatamente  alle  parole:  "la  Commissione
 inquirente  o";  16  primo  comma,  limitatamente  alle   parole:   "la
 Commissione  inquirente  o"  della legge 25 gennaio 1962, n. 20: "Norme
 sui procedimenti e giudizi di accusa" (n. 10 reg. ref.).
     Uditi nella camera di consiglio del 17 gennaio 1978 l'avv.    Mauro
 Mellini,  per  i  Comitati  promotori  dei  referendum,  e il sostituto
 avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
     udito il Giudice relatore Livio Paladin.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con ordinanze del 6 dicembre 1977, pervenute a questa Corte il
 9  dicembre, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
 Corte  di  cassazione,  ha  dichiarato  legittime  otto  richieste   di
 referendum popolare abrogativo.
     La  prima  e la seconda richiesta, presentate il 30 giugno 1977 dai
 signori Calderisi  Giuseppe,  Capuzzo  Francesca  Romana,  Galli  Maria
 Luisa,  Mellini  Mauro,  Aglietta  Maria Adelaide, Cristofanelli Laura,
 Pietrolucci Giuseppe, Pallicca Davide, Spadaccia Gianfranco, riguardano
 - rispettivamente - l'art. 1 del r.d. 20 febbraio 1941, n. 303 ("Codici
 penali militari di pace e di guerra"), limitatamente  alle  parole  "il
 testo  del  codice militare di pace", e l'intero r.d. 9 settembre 1941,
 n.  1022 ("Ordinamento giudiziario militare").
     La terza richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori  Bises
 Andrea,  Calderisi  Giuseppe,  Cristofanelli  Laura,  Pallicca  Davide,
 Vigevano Paolo, Spadaccia  Gianfranco,  Pietrolucci  Giuseppe,  attiene
 all'intera  legge  2  maggio  1974,  n. 195 ("Contributo dello Stato al
 finanziamento dei partiti politici").
     La quarta richiesta, presentata  il  30  giugno  1977  dai  signori
 Calderisi  Giuseppe,  Galli  Maria  Luisa,  Pietroletti Glauco, Mellini
 Mauro,  Pallicca  Davide,  Capuzzo  Francesca  Romana,  Bises   Andrea,
 concerne  l'art.  1  della  legge 27 maggio 1929, n.   810, che dispone
 "l'esecuzione  del  Trattato,  dei  quattro  allegati  annessi  e   del
 Concordato,  sottoscritti  in  Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11
 febbraio 1929", limitatamente al contenuto degli artt. 1, 10, 17  e  23
 dell'allegato Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato.
     La  quinta  richiesta,  presentata  il  30  giugno 1977 dai signori
 Pietroletti  Glauco,  Capuzzo  Francesca   Romana,   Pallicca   Davide,
 Calderisi   Giuseppe,  Zeno  Zencovich  Vincenzo,  Vigevano  Paolo,  si
 riferisce agli artt. 1, 2, 3 e 3-his della legge 14 febbraio  1904,  n.
 36  ("Disposizioni  sui  manicomi  e  sugli  alienati"),  e  successive
 modificazioni.
     La sesta richiesta,  presentata  il  30  giugno  1977  dai  signori
 Pietroletti   Glauco,   Capuzzo   Francesca  Romana,  Pallicca  Davide,
 Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo,  Vigevano  Paolo,  ha  per
 oggetto  l'abrogazione  - totale o parziale - di 97 articoli del codice
 penale, approvato con r.d. 19  ottobre  1930,  n.  1398,  e  successive
 modificazioni.  Sono  infatti coinvolti gli artt. 17 primo comma (nella
 parte riguardante la pena dell'ergastolo),  53  primo  comma  (sull'uso
 legittimo  delle armi per "vincere una resistenza all'autorita'"), 57 e
 57-bis (sui reati commessi col  mezzo  della  stampa  periodica  e  non
 periodica),  203,  204  secondo  comma, 205 e 206 (sulla "pericolosita'
 sociale", sulle relative misure di sicurezza e sui provvedimenti che il
 giudice puo' adottare in questi casi), 222 e 223 (sul  ricovero  in  un
 manicomio  o  in  un  riformatorio  giudiziario),  224,  225 e 226 (sul
 trattamento  dei  minori  non   imputabili,   imputabili,   delinquenti
 abituali,  professionali  o  per  tendenza), 229, 230, 231 e 232 (sulle
 varie ipotesi di "liberta' vigilata"), 233 (sul divieto di soggiorno in
 determinate zone), 234 (sul divieto di frequentare pubblici  spacci  di
 bevande  alcoliche),  235  (in  tema  di espulsione dello straniero dal
 territorio dello Stato). Ancora,  la  stessa  richiesta  riguarda  vari
 delitti  contro  la  personalita' dello Stato: rispettivamente previsti
 dagli artt. 256 ("procacciamento di notizie  concernenti  la  sicurezza
 dello  Stato"),  261  e  262  ("rivelazione  di  segreti di Stato" e di
 "notizie di cui sia stata vietata la divulgazione"), 265  ("disfattismo
 politico"),  266  ("istigazione di militari a disobbedire alle leggi"),
 269 ("attivita' antinazionale del cittadino  all'estero"),  270  e  271
 ("associazioni  sovversive"  ed  "antinazionali"),  272 ("propaganda ed
 apologia  sovversiva  o   antinazionale"),   273   e   274   ("illocita
 costituzione   di   associazioni  aventi  carattere  internazionale"  e
 relativa  "partecipazione"),  275  ("accettazione  di  onorificenze   o
 utilita' da uno Stato nemico"), 278, 279 e 290-bis ("offesa all'onore o
 al   prestigio"   e   "lesa  prerogativa  della  irresponsabilita'  del
 Presidente della Repubblica" o di chi ne fa le veci),  290,  291,  292,
 292-bis   e   293   (vilipendio  della  Repubblica,  delle  istituzioni
 costituzionali, delle  forze  armate,  della  nazione  italiana,  della
 bandiera  o  di  altro emblema dello Stato, con le relative circostanze
 aggravanti), 297 e 299 ("offesa all'onore dei Capi di Stati  esteri"  e
 delle bandiere od emblemi degli Stati stessi), 302 e 303 (istigazione a
 commettere  delitti  contro  la  personalita' internazionale ed interna
 dello Stato ed apologia dei delitti medesimi), 304 e 305 ("cospirazione
 politica mediante accordo" o "mediante associazione"), 312  (espulsione
 dello  straniero  condannato per i delitti in questione). Inoltre, sono
 messi in gioco  alcuni  delitti  contro  la  pubblica  amministrazione,
 considerati  dagli  artt.  327  ("eccitamento al dispregio e vilipendio
 delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'autorita'"), 330,  332
 e  333  (sull'abbandono  collettivo  ed individuale di pubblici uffici,
 impieghi, servizi o lavori, nonche' sulla corrispondente  omissione  di
 doveri  di  ufficio),  340  ("interruzione  di  un  ufficio  o servizio
 pubblico" o "di pubblica necessita'"), 341, 342, 343 e 344 (oltraggio a
 pubblico  ufficiale  ed  a  pubblico  impiegato,  a   corpi   politici,
 amministrativi o giudiziari, a magistrati in udienza), 352 ("vendita di
 stampati  dei  quali  e'  stato  ordinato il sequestro"); l'insieme dei
 delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, di cui  agli
 artt.    402-406;  i  delitti  contro l'ordine pubblico, previsti dagli
 artt.  414 terzo comma (apologia di  delitti)  e  415  ("istigazione  a
 disobbedire  alle leggi"); i delitti contro l'economia pubblica, di cui
 agli artt. 503, 504, 505 e 506 (reati di serrata e  di  sciopero),  507
 ("boicottaggio"),  508  (arbitraria invasione, occupazione e sabotaggio
 di  aziende),  510,  511  e  512  (quanto  alle  relative   circostanze
 aggravanti,  alle  pene  per  i capi, promotori ed organizzatori e alle
 pene accessorie). Cosi' pure, vengono in questione - relativamente alle
 offese al pudore e all'onore sessuale - gli artt. 527, 528 e 529 (atti,
 pubblicazioni, spettacoli ed oggetti osceni); relativamente ai  delitti
 contro  la  famiglia,  gli artt. 565 ("attentati alla morale famigliare
 commessi col mezzo della stampa periodica"), e 571 secondo comma (sulle
 particolari pene previste per le varie ipotesi di abuso  dei  mezzi  di
 correzione  o  di  disciplina);  relativamente  ai  delitti  contro  la
 persona, gli artt. 578, 587  e  592  (infanticidio,  omicidio,  lesioni
 personali  ed  abbandono  di  neonato  per  causa  di  onore),  596-bis
 ("diffamazione col mezzo della stampa") e 603 ("plagio"); relativamente
 ai  delitti  contro   il   patrimonio,   l'art.   633   secondo   comma
 (sull'invasione  di  terreni  o  edifici,  commessa  da  piu' persone).
 Finalmente, in tema di contravvenzioni  di  polizia,  la  richiesta  in
 esame  si estende agli artt. 654 e 655 (grida, manifestazioni, radunate
 sediziose), 656 e 657 ("pubblicazione o diffusione  di  notizie  false,
 esagerate  o  tendenziose,  atte a turbare l'ordine pubblico", "grida o
 notizie atte a turbare  la  tranquillita'  pubblica  o  privata"),  661
 ("abuso  della credulita' popolare"), 662 ("esercizio abusivo dell'arte
 tipografica"), 663 ("vendita, distribuzione  o  affissione  abusiva  di
 scritti  o  disegni"),  663-bis ("divulgazione di stampa clandestina"),
 666  e  668  ("spettacoli  o  trattenimenti  pubblici  senza licenza" e
 "rappresentazioni   teatrali   o   cinematografiche   abusive"),    724
 ("bestemmia  e  manifestazioni oltraggiose verso i defunti"), 725 e 726
 ("commercio di scritti, disegni od altri oggetti", "atti contrari  alla
 pubblica decenza" e "turpiloquio").
     La  settima  richiesta,  presentata  il  30 giugno 1977 dai signori
 Pietroletti  Glauco,  Capuzzo  Francesca   Romana,   Pallicca   Davide,
 Calderisi  Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, interessa
 l'intera  legge  22  maggio  1975,  n.  152  ("Disposizioni  a   tutela
 dell'ordine pubblico").
     Infine l'ottava richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
 Calderisi  Giuseppe, Bises Andrea, Cristofanelli Laura, Vigevano Paolo,
 Pietroletti Glauco, intende sottoporre a referendum gli artt. 3, 4,  5,
 6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente alle parole "alla Commissione
 inquirente  o",  12  limitatamente  alle  parole  "il  quale ne informa
 immediatamente  la  Commissione  inquirente",  13,  14   primo   comma,
 limitatamente  alle  parole  "la  Commissione  inquirente  o", 16 primo
 comma, limitatamente alle parole "la Commissione inquirente  o",  della
 legge  25  gennaio  1962,  n.  20 ("Norme sui procedimenti e giudizi di
 accusa").
     2. - In tutti questi casi l'Ufficio centrale per il  referendum  ha
 verificato  che il numero delle firme valide prese in esame superava il
 minimo di 500.000,  fissato  dall'art.  75  primo  comma  Cost.;  e  ha
 constatato  che  le  richieste  erano  state  regolarmente presentate e
 concernevano leggi od atti normativi aventi forza di legge, riguardo ai
 quali non erano intervenute abrogazioni  legislative  ne'  sentenze  di
 annullamento della Corte costituzionale.
     Per  altro,  l'ordinanza  relativa  al referendum per l'abrogazione
 della legge 22 maggio 1975, n. 152, ha  rilevato  che  l'art.  5  della
 legge stessa era stato integralmente sostituito dall'art. 2 della legge
 8  agosto  1977,  n.  533; e quindi ne ha dedotto - in base all'art. 39
 della legge 25 maggio 1970, n.  352  -  che  sotto  questo  profilo  la
 proposta  di referendum non poteva avere piu' corso, con la conseguenza
 che la formula di  proposizione  doveva  venir  modificata  eccettuando
 espressamente la disposizione dell'art. 5.
     L'Ufficio  centrale  ha  inoltre  preso atto che questa Corte aveva
 adottato  varie  sentenze  di   accoglimento   parziale,   dichiarative
 dell'illegittimita'    costituzionale   di   norme   desumibili   dalle
 disposizioni sulle quali era stato richiesto referendum abrogativo:  in
 particolar modo, nei riguardi degli artt. 224 secondo comma (sent. n. 1
 del 1971), 330 primo e secondo comma (sent. n. 31 del 1969), 415 (sent.
 n.  108  del  1974), 503 (sent. n. 290 del 1974), 506 (sent. n. 222 del
 1975), 507 (sent.  n. 84 del 1969), 666 del codice penale (sent. n.  56
 del  1970);  come  pure  nei  riguardi  del  secondo  e del terzo comma
 dell'art. 2 della legge 14 febbraio 1904, n. 36 (sent. n. 74 del 1968 e
 n.  223 del 1976). Ma in tutti questi casi l'Ufficio  ha  rilevato  che
 "dette  pronunce  non  hanno toccato la portata testuale e lessicale di
 tali disposizioni", con  la  conseguenza  che  "esse  vanno  ugualmente
 sottoposte  a  referendum".  Unicamente  in  rapporto all'art. 272 cod.
 pen.,  il  cui  secondo  comma  era  stato   dichiarato   integralmente
 illegittimo  dalla  sent.  87 del 1976, l'Ufficio stesso ha seguito una
 diversa linea di ragionamento: concludendo pur sempre, pero',  che  "la
 rispettiva proposta di referendum devesi ritenere riferibile e riferita
 allo stesso articolo 272 nella sua formulazione ridotta".
     Rispondendo  implicitamente alle deduzioni di un atto di intervento
 depositato  dall'Avvocatura  dello   Stato,   in   rappresentanza   del
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  l'ordinanza  concernente la
 richiesta di referendum per l'abrogazione del codice penale militare di
 pace ha infine precisato "che e' demandato... alla Corte costituzionale
 il giudizio sull'ammissibilita'  del  referendum  ratione  materiae,  e
 correlativamente l'individuazione dei limiti di questo giudizio e della
 sua eventuale estensibilita', oltre le testuali previsioni dell'art. 75
 comma   secondo   Cost.,   rispetto   alle   leggi   costituzionalmente
 obbligatorie, ovvero essenziali per il  funzionamento  dell'ordinamento
 democratico".  Analoghe precisazioni risultano, d'altronde, anche dalle
 ordinanze che hanno dichiarato la legittimita' delle richieste relative
 all'ordinamento giudiziario  militare  ed  a  97  articoli  del  codice
 penale.
     3.  -  Ricevuta  comunicazione  delle  ordinanze,  il Presidente di
 questa Corte ha fissato per le conseguenti deliberazioni il  giorno  17
 gennaio  1978,  dandone a sua volta comunicazione ai presentatori delle
 richieste ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  ai  sensi
 dell'art.  33  secondo  comma  della  legge  n.  352  del 1970. Tanto i
 presentatori quanto l'Avvocatura dello  Stato,  in  rappresentanza  del
 Presidente  del  Consiglio dei ministri, si sono avvalsi della facolta'
 di depositare memorie, di cui all'art.  33 terzo comma legge citata.
     La memoria dell'Avvocatura dello Stato, depositata il  28  dicembre
 1977,  assume  in via preliminare che l'elencazione contenuta nell'art.
 75  secondo  comma  Cost.,  quanto  alle   categorie   di   leggi   non
 assoggettabili  ad  abrogazione  per  referendum,  non  sarebbe affatto
 tassativa. Con queste premesse, tutte le richieste  in  esame  -  fatta
 eccezione   per   quella   concernente   alcuni  articoli  della  legge
 manicomiale 14 febbraio 1904, n.  36  -  dovrebbero  essere  dichiarate
 inammissibili:  o  perche'  attinenti a materie difformi ed eterogenee,
 come nei casi dei referendum  per  l'abrogazione  di  97  articoli  del
 codice   penale   e  della  legge  22  maggio  1975,  n.  152  (recante
 "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico"); o  perche'  interessanti
 leggi  "costituzionalmente  necessarie",  emanate per dare attuazione a
 specifiche norme costituzionali, come nei casi  dei  referendum  aventi
 per  oggetto alcuni articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20 ("Norme
 sui procedimenti e giudizi di accusa"), il codice  penale  militare  di
 pace e l'ordinamento giudiziario militare, nonche' l'art. 1 della legge
 27  maggio  1929, n. 810 (sull'esecuzione del Trattato e del Concordato
 fra  la  Santa  Sede  e  l'Italia);   oppure   perche'   la   richiesta
 riguarderebbe  una "legge finanziaria connessa alla legge di bilancio",
 quale sarebbe la l.  2 maggio 1974, n. 195 (sul finanziamento  pubblico
 dei partiti).
     Per  contro,  le  memorie  dei comitati promotori dei referendum in
 esame, rispettivamente depositate il 5 e il 13 gennaio 1978, sostengono
 l'ammissibilita'  di  tutte  le  richieste.  Le  memorie  in  questione
 richiamano  anzitutto le precedenti decisioni della Corte (sentt. n. 10
 del 1972 e n. 251 del 1975), per  dedurne  che  i  giudizi  concernenti
 l'ammissibilita'  dei  referendum  abrogativi  dovrebbero basarsi sulle
 sole   testuali   previsioni   dell'art.   75   secondo   comma   Cost.
 Conseguentemente,  non  avrebbe  fondamento la tesi che ulteriori cause
 d'inammissibilita' siano desumibili  dal  carattere  costituzionalmente
 necessario  o  dal  particolare  rilievo  sociale  di determinate leggi
 ordinarie. Ne' si potrebbe affermare  che  siano  ammissibili  le  sole
 richieste  attinenti  a questioni omogenee od analoghe, dal momento che
 la Costituzione avrebbe individuato i limiti delle richieste stesse con
 criteri  strettamente  formali,  indipendenti  da  qualsiasi   giudizio
 sull'opportunita' politica della formulazione dei relativi quesiti.
     Quanto  al  referendum  sulla  legge  esecutiva  del Trattato e del
 Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, il comitato promotore  precisa
 che  non potrebbero venire sottoposte ad un voto popolare abrogativo le
 leggi formalmente costituzionali.  Ma  la  legge  esecutiva  dei  Patti
 lateranensi  non sarebbe stata costituzionalizzata, ne' condizionerebbe
 l'attuazione dei Patti nell'ordinamento italiano  (comunque  garantita,
 almeno  per  quanto riguarda il Concordato, dalle leggi n. 847 e n. 848
 del  1929);  e  non  andrebbe  nemmeno  confusa   con   le   leggi   di
 autorizzazione  alla  ratifica  dei  trattati  internazionali,  cui  si
 riferisce l'art. 75 secondo comma Cost.
     4. - Ad integrazione  del  contraddittorio  espressamente  previsto
 dall'art.  33  terzo comma della legge n. 352 del 1970, nella camera di
 consiglio del  17  gennaio  1978  sono  stati  uditi  l'avvocato  Mauro
 Mellini,  per  i  comitati  promotori  dei  referendum, ed il sostituto
 avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Le  varie  questioni  che la Corte e' tenuta a proporsi, per
 accertare l'ammissibilita' delle otto richieste  in  discussione,  sono
 tanto  interferenti  che  le  relative  soluzioni  si  connettono  e si
 condizionano a vicenda, venendo tutte a dipendere  da  comuni  premesse
 concernenti  la definizione dell'istituto del referendum abrogativo, ai
 sensi dell'art. 75 Cost. Pertanto gli  otto  giudizi  vanno  riuniti  e
 decisi con un'unica sentenza.
     2.  -  La  novita'  e  la vastita' dei problemi, che nella presente
 occasione si prospettano alla Corte, impongono anzitutto di considerare
 e di determinare - in via preventiva e generale  -  i  fondamenti,  gli
 scopi,  i  criteri  del  giudizio  riguardante  l'ammissibilita'  delle
 richieste di referendum: al fine di tracciare  un  quadro  unitario  di
 riferimento,  entro  il  quale  si  possano coerentemente effettuare le
 singole valutazioni che la Corte stessa deve in questa sede svolgere.
     Rimane ferma, anche nell'attuale prospettiva, la sistemazione  gia'
 operata   dalla   sentenza   n.   251   del  1975,  quanto  ai  compiti
 rispettivamente attribuiti - nel procedimento instaurato dalla legge 25
 maggio 1970, n. 352 - a questa Corte ed  all'Ufficio  centrale  per  il
 referendum, costituito presso la Corte di cassazione. Conseguentemente,
 va  riaffermato  che  spetta  all'Ufficio  centrale  "accertare  che la
 richiesta di referendum sia conforme alle norme di legge, rilevando con
 ordinanza  le  eventuali  irregolarita'  e  decidendo,  con   ordinanza
 definitiva,  sulla  legittimita'  della  richiesta  medesima"; mentre a
 questa Corte e' conferita la sola "cognizione  dell'ammissibilita'  del
 referendum",   secondo   i   disposti   degli   artt.   2  della  legge
 costituzionale n. 1 del  1953,  32  secondo  comma  e  33  della  legge
 ordinaria  n.  352  del  1970.  E va ribadito che tale competenza si e'
 aggiunta a quelle previste dall'art. 134 Cost.; atteggiandosi dunque  -
 come  precisava  la  sentenza  teste'  ricordata - "con caratteristiche
 specifiche ed autonome nei confronti degli altri  giudizi  riservati  a
 questa  Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie
 relative alla legittimita' costituzionale  delle  leggi  e  degli  atti
 aventi forza di legge".
     Cio'  non  toglie, pero', che si dimostra troppo restrittiva quella
 configurazione del giudizio di ammissibilita', per cui sarebbe affidato
 alla Corte il solo compito di verificare se le richieste di  referendum
 abrogativo  riguardino  materie  che  l'art.    75  secondo comma Cost.
 esclude dalla votazione popolare: con espresso  ed  esclusivo  riguardo
 alle  "leggi  tributarie  e  di  bilancio, di amnistia e di indulto, di
 autorizzazione   a   ratificare    trattati    internazionali".    Tale
 interpretazione  non  ha  nessuna  altra  base, in effetti, al di fuori
 dell'assunto  -  postulato  piu'  che  dimostrato  -  che  la  testuale
 indicazione  delle  cause  d'inammissibilita',  contenuta nel capoverso
 dell'art. 75,  sia  rigorosamente  tassativa;  laddove  e'  altrettanto
 sostenibile  -  in  ipotesi  -  che  essa presuppone una serie di cause
 inespresse,    previamente    ricavabili    dall'intero     ordinamento
 costituzionale del referendum abrogativo.
     Vero e' che questa Corte giudica dell'ammissibilita' dei referendum
 -  stando  alle concordi previsioni della legge costituzionale n. 1 del
 1953 e della legge ordinaria n. 352 del 1970 - "ai  sensi  del  secondo
 comma  dell'art.  75  della  Costituzione".  Ma  non per questo si puo'
 sostenere che il secondo comma debba essere isolato, ignorando i  nessi
 che  lo  ricollegano alle altre componenti la disciplina costituzionale
 del referendum abrogativo. Il  processo  interpretativo  deve  muoversi
 invece  nella  direzione  opposta.  Occorre  cioe'  stabilire,  in  via
 preliminare,  se  non  s'impongano  altre  ragioni,  costituzionalmente
 rilevanti,  in  nome  delle quali si renda indispensabile precludere il
 ricorso al corpo elettorale,  ad  integrazione  delle  ipotesi  che  la
 Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa. Diversamente,
 infatti, si determinerebbe la contraddizione consistente nel ritenere -
 da un lato - che siano presenti, nel nostro ordinamento costituzionale,
 ipotesi  implicite  d'inammissibilita',  inerenti  alle caratteristiche
 essenziali e necessarie dell'istituto del referendum abrogativo; e  che
 questa Corte non possa - d'altro lato - ricavarne conseguenze di sorta,
 solo perche' il testo dell'art. 75 secondo comma Cost. non le considera
 specificamente.
     Del  resto,  una  testuale conferma di cio' deriva per l'appunto da
 quell'art. 2 primo comma della legge cost. 11 marzo 1953, n.    1,  per
 cui  "spetta  alla  Corte  costituzionale  giudicare se le richieste di
 referendum  abrogativo  presentate  a  norma  dell'art.      75   della
 Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo
 stesso". Chiarendo che deve comunque trattarsi di richieste "presentate
 a  norma  dell'articolo  75", tale disposizione riconosce alla Corte il
 potere-dovere  di  valutare  l'ammissibilita'  dei  referendum  in  via
 sistematica; per verificare in particolar modo, sulla base dell'art. 75
 primo  comma,  se  le  richieste  medesime  siano realmente destinate a
 concretare un "referendum popolare"  e  se  gli  atti  che  ne  formano
 l'oggetto rientrino fra i tipi di leggi costituzionalmente suscettibili
 di essere abrogate dal corpo elettorale.
     3.   -   Salve  le  ulteriori  indicazioni  contenute  nel  seguito
 dell'attuale sentenza, ai fini dei singoli giudizi  di  ammissibilita',
 questa   Corte  ritiene  che  esistono  in  effetti  valori  di  ordine
 costituzionale, riferibili alle strutture od ai  temi  delle  richieste
 referendarie,  da  tutelare  escludendo i relativi referendum, al di la
 della lettera dell'art. 75 secondo comma Cost.  E  di  qui  conseguono,
 precisamente,   non  uno  ma  quattro  distinti  complessi  di  ragioni
 d'inammissibilita'.
     In  primo  luogo,  cioe',  sono  inammissibili  le  richieste cosi'
 formulate, che  ciascun  quesito  da  sottoporre  al  corpo  elettorale
 contenga  una  tale  pluralita'  di  domande eterogenee, carenti di una
 matrice razionalmente unitaria, da non  poter  venire  ricondotto  alla
 logica   dell'art.   75  Cost.;  discostandosi  in  modo  manifesto  ed
 arbitrario dagli scopi in vista dei  quali  l'istituto  del  referendum
 abrogativo  e'  stato  introdotto nella Costituzione, come strumento di
 genuina manifestazione della sovranita' popolare.
     In  secondo  luogo,  sono  inammissibili  le  richieste   che   non
 riguardino  atti  legislativi  dello  Stato aventi la forza delle leggi
 ordinarie, ma tendano ad  abrogare  -  del  tutto  od  in  parte  -  la
 Costituzione,  le  leggi  di  revisione costituzionale, le "altre leggi
 costituzionali" considerate dall'art. 138 Cost.,  come  pure  gli  atti
 legislativi   dotati   di   una   forza  passiva  peculiare  (e  dunque
 insuscettibili  di  essere  validamente  abrogati  da  leggi  ordinarie
 successive).
     In  terzo  luogo,  vanno  del pari preclusi i referendum aventi per
 oggetto    disposizioni    legislative    ordinarie     a     contenuto
 costituzionalmente  vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire
 alterato o  privato  di  efficacia,  senza  che  ne  risultino  lesi  i
 corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre
 leggi costituzionali).
     In   quarto  luogo,  valgono  infine  le  cause  d'inammissibilita'
 testualmente descritte nell'art. 75 cpv., che diversamente dalle  altre
 sono   state  esplicitate  dalla  Costituzione,  proprio  perche'  esse
 rispondevano  e   rispondono   a   particolari   scelte   di   politica
 istituzionale,  anziche'  inerire  alla  stessa natura dell'istituto in
 questione. Ma, anche in tal campo, resta inteso  che  l'interpretazione
 letterale  deve  essere integrata - ove occorra - da un'interpretazione
 logico-sistematica,  per  cui  vanno   sottratte   al   referendum   le
 disposizioni  produttive  di  effetti  collegati  in modo cosi' stretto
 all'ambito di operativita' delle leggi espressamente indicate dall'art.
 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa.
     4. - Cio' premesso, la questione che giova affrontare per  prima  -
 indipendentemente  dall'ordine  in  cui  le  otto  richieste sono state
 presentate e poi  prese  in  esame  dall'Ufficio  centrale  -  concerne
 l'ammissibilita' del referendum sull'art. 1 della legge 27 maggio 1929,
 n. 810, nelle parti interessanti l'intero Concordato, nonche' gli artt.
 1,  10,  17  e  23  del  Trattato  fra  la  Santa  Sede  e l'Italia. Le
 peculiarita' di posizione e di funzione,  caratterizzanti  questo  atto
 nel  sistema  delle  fonti  normative,  stanno  infatti alla base di un
 duplice ordine di eccezioni d'inammissibilita' -  gia'  prospettate  in
 dottrina  e  quindi  riproposte  dall'Avvocatura  dello Stato - che non
 trova riscontro nei riguardi  delle  altre  richieste  in  discussione.
 Precisamente, si afferma da un lato che l'art. 1 della legge n. 810, in
 quanto  destinato  ad  assicurare  la  "piena ed intera esecuzione" dei
 Patti  lateranensi,  verrebbe  ad  integrarsi  con  la   corrispondente
 disposizione  dell'art.  7  secondo  comma Cost., sulla quale finirebbe
 allora per incidere il voto popolare; mentre il  referendum  abrogativo
 non  potrebbe  riferirsi  alle  norme costituzionali, ne' ad altri atti
 legislativi   comunque   dotati    di    una    specifica    resistenza
 all'abrogazione.  E  d'altro  lato  si  osserva  che  la  legge  n. 810
 assolverebbe anche una funzione esecutiva  di  accordi  internazionali,
 quali  il  Trattato  e  il Concordato dell'11 febbraio 1929; sicche' la
 relativa  richiesta di referendum dovrebbe venire respinta, allo stesso
 titolo per cui l'art. 75  secondo  comma  Cost.  esclude  l'abrogazione
 popolare   delle   leggi   "di  autorizzazione  a  ratificare  trattati
 internazionali".
     Sotto  entrambi  i  profili,  la  richiesta  dev'esser   dichiarata
 inammissibile.
     Al  di la' del previo giudizio di legittimita', nel corso del quale
 l'Ufficio centrale accerta solamente se la richiesta verta  su  di  una
 qualsiasi   legge   in   senso   tecnico   (ovvero   su   di   un  atto
 costituzionalmente equiparato), con lo scopo di escludere il referendum
 riferito ad atti non legislativi, spetta invece a questa Corte  di  non
 dare  adito  all'abrogazione di quelle specie di leggi - riguardate non
 gia' per la materia che esse disciplinano, ma dal punto di vista  della
 loro forza o del loro procedimento formativo - che debbano considerarsi
 sottratte  alla sfera di operativita' dei voti popolari in esame; senza
 di che si potrebbero verificare, attraverso  il  consenso  e  l'apporto
 della   Corte   stessa,  effetti  abrogativi  che  la  Costituzione  ha
 implicitamente ma sicuramente voluto riservare ad organi ed a procedure
 ben diversi dal corpo elettorale e dal referendum regolato nell'art. 75
 Cost. (con esiti analoghi a quelli che si avrebbero ammettendo che  una
 disposizione   di   legge   ordinaria   potesse  abrogare  -  sia  pure
 illegittimamente - un articolo della Costituzione).
     Se infatti il referendum abrogativo assumesse ad oggetto  qualunque
 tipo   di   legge   in   senso   tecnico,  ordinaria  o  costituzionale
 indifferentemente, la conseguenza sarebbe ben difficilmente compatibile
 con l'attuale  regime  di  Costituzione  rigida.  Accanto  all'apposito
 procedimento   di   revisione   e  di  formazione  delle  "altre  leggi
 costituzionali", disciplinato dall'art. 138 Cost., si verrebbe cioe' ad
 inserire un procedimento destinato alla sola  abrogazione  delle  leggi
 costituzionali nonche' - coerentemente - della Costituzione stessa, che
 in  nessun  modo potrebbe venire armonizzato con il primo di questi due
 istituti. Per colmare le lacune dell'iter configurato  dall'art.    138
 (ad  esempio,  in tema di iniziativa delle leggi, di promulgazione e di
 pubblicazione), e' possibile ed anzi necessario  ricorrere  alle  norme
 dettate  dagli  artt.  71  e seguenti della Costituzione, relativamente
 alla funzione legislativa ordinaria. Ma la  disciplina  del  referendum
 abrogativo  non attiene affatto all'esercizio di tale funzione da parte
 delle Camere, e non e' comunque utilizzabile per colmare nessuna  delle
 lacune  predette.  Al  contrario, la stessa previsione di uno specifico
 referendum approvativo, contenuta nel secondo comma dell'articolo  138,
 contribuisce  ad  escludere  che in tema di revisione e di legislazione
 costituzionale vi sia posto per  un  ulteriore  referendum  abrogativo,
 nelle medesime forme previste per le leggi ordinarie.
     Con  cio' non si vuol certo sostenere che i Patti lateranensi siano
 stati costituzionalizzati ad ogni  possibile  effetto,  in  virtu'  del
 richiamo  contenuto nell'art. 7 Cost. Al contrario, dal capoverso dello
 stesso art. 7 risulta testualmente che  "le  modificazioni  dei  Patti,
 accettate  dalle  due  parti,  non richiedono procedimento di revisione
 costituzionale"  (ma  sono  apportabili,  dunque,  nelle  forme   della
 legislazione  ordinaria). E resta fermo, d'altronde, quanto la Corte ha
 dichiarato e ribadito piu' volte (nelle sentenze n.  30  e  n.  31  del
 1971,  n.  12  e  n. 195 del 1972, n. 175 del 1973): ossia che l'art. 7
 secondo comma Cost. "non preclude  il  controllo  di  costituzionalita'
 delle leggi che immisero nell'ordinamento interno le clausole dei Patti
 lateranensi",  per  cio'  che  riguarda  la  conformita' delle clausole
 stesse rispetto ai "principi  supremi  dell'ordinamento  costituzionale
 dello Stato".
     Ma  tutto  questo  non  toglie  che l'art. 7 contenga una norma "di
 accoglimento del principio concordatario, nei  termini  risultanti  dai
 Patti   lateranensi",   attribuendo  loro  una  precisa  "rilevanza"  o
 "copertura  costituzionale"  (come   questa   Corte   ha   ritenuto   -
 rispettivamente - nelle sentenze n. 12 del 1972, n. 175 del 1973 e n. 1
 del  1977).  La  circostanza che i Patti non abbiano la forza attiva di
 "negare i  principi  supremi  dell'ordinamento"  non  esclude  affatto,
 quindi,  che  sotto  il  profilo della forza passiva o della resistenza
 all'abrogazione tali fonti  normative  siano  assimilabili  alle  norme
 costituzionali;   tanto   e'   vero   che   esse   non  possono  venire
 legittimamente contraddette od alterate se non con lo  strumento  delle
 leggi  di revisione costituzionale, la' dove si tratti di modificazioni
 unilateralmente decise dallo Stato italiano.
     Effettivamente, Trattato e Concordato del 1929 non vanno equiparati
 ad una qualsiasi di quelle tante  leggi  cui  la  Carta  costituzionale
 opera  generici richiami o rinvii, allo scopo di specificare le proprie
 disposizioni o di consentirne l'attuazione e la materiale applicazione;
 ma  sono  quei  due  atti  normativi,  storicamente  e   giuridicamente
 individuati,  ai  quali  l'art. 7 allude in maniera diretta e puntuale,
 attraverso il congiunto riferimento ai Patti lateranensi.  Ed  un  tale
 dato  basta  per  concludere  che  il  referendum previsto dall'art. 75
 Cost., non potendo avere la forza necessaria per produrre l'abrogazione
 dei Patti, non puo' essere nemmeno ammissibile in quanto li  assuma  ad
 oggetto, sia pure parzialmente e non nella loro interezza.
     Ne'  vale  obiettare  che  altro  sono i Patti per se' considerati,
 altro la legge ordinaria che li ha immessi nel nostro ordinamento:  con
 la  conseguenza  che  soltanto  i  primi,  e  non la seconda, sarebbero
 sottratti al referendum. Distinzioni del genere non sono  fondate,  dal
 momento  che  il  richiamo  costituzionale  non ha per tema esclusivo i
 Patti   lateranensi   come   fonti   del   diritto   internazionale   o
 concordatario, ma si riferisce ad essi - anche e soprattutto - per cio'
 che  interessa  alla  Costituzione  di  uno  Stato,  ossia  per la loro
 incidenza  sull'ordinamento  interno  del  nostro  Paese.   La   stessa
 previsione  -  implicitamente  operata  dall'art. 7 - che i Patti siano
 modificati per volonta' unilaterale dell'Italia, ma nella  forma  d'una
 legge di revisione costituzionale, sarebbe priva di senso se l'articolo
 stesso  non  avesse diretto riguardo a quello che i Patti rappresentano
 nell'ambito del diritto italiano. E dunque ne  discende  -  secondo  la
 prospettiva  che  la  Corte  ha  fatto espressamente propria gia' nella
 sentenza n. 1 del 1977  -  che  la  "copertura  costituzionale  fornita
 dall'art.  7  comma  secondo  Cost." garantisce al tempo stesso i Patti
 lateranensi e quell'art. 1 della legge n. 810 del  1929,  che  ha  dato
 loro una "piena ed intera esecuzione".
     D'altronde,   la   richiesta   in   esame  si  dimostra  egualmente
 inammissibile, per chi la consideri dal punto di vista del collegamento
 riscontrabile fra l'autorizzazione alla ratifica e  l'esecuzione  degli
 accordi  di  diritto  internazionale (o comunque stipulati fra soggetti
 "indipendenti e sovrani"), ivi compresi i Patti lateranensi  del  1929.
 La  ragion d'essere dell'esplicita esclusione costituzionale, quanto ai
 referendum  incidenti  sulla  ratifica  dei   trattati   internazionali
 indicati dall'art. 80 Cost., non si risolve nell'intento di evitare che
 il  corpo  elettorale  interferisca nel processo formativo dei trattati
 stessi (tanto piu' che il  lunghissimo  procedimento  prescritto  dalla
 legge  n.  352  del  1970  non  offrirebbe  nemmeno  -  di  regola - la
 possibilita' materiale che il voto popolare preceda  la  stipulazione).
 Ben  piu'  largamente  la  Costituzione  ha  voluto impedire, una volta
 perfezionatosi il trattato, che esso venga privato  dell'indispensabile
 fondamento   costituzionale   (ai   sensi   dell'art.      80   Cost.),
 determinandone la disapplicazione e rendendo in tal  modo  responsabile
 lo Stato italiano verso gli altri contraenti.
     Ma  l'esclusione  dev'essere  quindi  riferita  -  secondo  la tesi
 dominante in dottrina - non solo al  momento  dell'autorizzazione  alla
 ratifica, ma anche al momento dell'esecuzione strettamente intesa. Ed a
 questa  stregua  poco  importa  che  l'ordine di esecuzione rappresenti
 l'oggetto  di  un  apposito  atto  legislativo   (com'era   inevitabile
 nell'ordinamento  statutario,  date  le norme costituzionali che allora
 regolavano  la  formazione  dei  trattati)  o   sia   contemporaneo   e
 contestuale  all'autorizzazione,  venendo inserito nella medesima legge
 che consente la ratifica.
     In  entrambe  le  ipotesi,   infatti,   l'interpretazione   logico-
 sistematica  dell'art.  75  secondo  comma  Cost.  impone  che  vengano
 respinte le richieste di referendum abrogativo.
     5. - Per contestare la legittimita' della richiesta  di  referendum
 vertente  su 97 articoli del codice penale, l'Avvocatura dello Stato ha
 depositato presso l'Ufficio centrale un atto di intervento, in  cui  si
 deduceva   l'improponibilita'  di  quesiti  referendari  congiuntamente
 riferiti ad un'eterogenea pluralita' di  disposizioni  legislative.  Ma
 l'Ufficio   centrale   non   ha   accolto   ne'  ha  preso  in  formale
 considerazione la tesi dell'Avvocatura, limitandosi invece ad osservare
 che  "il  principio  dell'omogeneita'  della  normativa  sottoposta   a
 referendum  non  comporta  la  corrispondenza in senso assoluto di ogni
 singolo referendum ad ogni singolo atto normativo,  ma  deve  ritenersi
 rispettato  anche  quando  gli  atti,  pur nella loro pluralita', siano
 sistematicamente incorporati in un testo legislativo avente  unita'  di
 oggetto".
     Nella   memoria   successivamente   presentata   a   questa  Corte,
 l'Avvocatura dello Stato insiste  pero'  nell'assunto,  sostenendo  che
 richieste  del  genere  sarebbero  comunque  inammissibili. Di fronte a
 domande  formulate  in  termini  cosi'  complessi,  gli  elettori   non
 potrebbero  esprimere  risposte  consapevoli  ed  univoche; sicche' del
 referendum si farebbe un uso  abnorme,  contrastante  con  i  caratteri
 essenziali di questo istituto.
     Ora  la  Corte  deve  anzitutto  constatare  che,  sotto  i profili
 indicati  dall'Avvocatura  dello  Stato,  l'attuale   ordinamento   del
 referendum  abrogativo  e'  contraddistinto da gravi insufficienze e da
 profonde antinomie.
     Da una parte,  corrisponde  alla  naturale  funzione  dell'istituto
 (aderendo  ad  alcune  importanti  indicazioni  ricavabili  dagli  atti
 dell'Assemblea Costituente) l'esigenza che il  quesito  da  porre  agli
 elettori  venga formulato in termini semplici e chiari, con riferimento
 a problemi affini e ben individuati; e che, nel caso  contrario,  siano
 previste  la  scissione  od anche l'integrale reiezione delle richieste
 non corrispondenti ad un tale modello.  In coerenza con  questi  scopi,
 la  legislazione  attuativa  dell'art.    75  Cost.  doveva  e dovrebbe
 prevedere, dunque, appositi  controlli  delle  singole  iniziative,  da
 effettuare  -  preferibilmente  -  prima  ancora che vengano apposte le
 firme occorrenti a sostenere ciascuna richiesta; affinche'  gli  stessi
 sottoscrittori  siano  messi  preventivamente  in grado d'intendere con
 precisione  il  valore  e  la  portata  delle  loro  manifestazioni  di
 volonta'.
     D'altra  parte,  bisogna viceversa riconoscere che la legge n.  352
 del 1970 non ha preordinato per nulla i rimedi necessari in tal  senso.
 L'art.  27 primo comma, pur prescrivendo l'indicazione dei "termini del
 quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare",  si  limita
 in  sostanza a prevedere che la formula "volete che sia abrogata..." (o
 "volete voi l'abrogazione...") sia completata richiamando  gli  estremi
 della  legge  in  discussione,  citando il numero dell'articolo o degli
 articoli specificamente interessati, nonche' trascrivendo i soli  testi
 dei  commi  o  dei  frammenti  eventualmente messi in gioco (ma non gli
 integrali disposti degli articoli stessi).  Cio'  che  piu'  conta,  la
 legge  attuativa  non  chiarisce  in  nessun modo con quali criteri, da
 parte di quali organi, in quali momenti, ne' con quali effetti dovrebbe
 esercitarsi il controllo sull'omogeneita'  delle  richieste:    con  la
 conseguenza   che   l'introduzione   delle   necessarie   garanzie   di
 semplicita', di univocita', di completezza dei  quesiti,  presentemente
 trascurate  od  ignorate dal legislatore, rimane affidata ad una futura
 riforma.
     Ma il sindacato della Corte non si puo' arrestare  di  fronte  alla
 constatazione delle carenze o delle lacune della legge n. 352 del 1970.
 Diversamente dall'Ufficio centrale, tenuto ad accertare la legittimita'
 delle  richieste  alla  stregua di quella legislazione ordinaria che ha
 determinato "le modalita' di attuazione del referendum",  questa  Corte
 deve  infatti  giudicare sull'ammissibilita' delle richieste stesse, in
 diretta  applicazione  delle   norme   o   dei   principi   di   ordine
 costituzionale  che  comportino  una  causa  impeditiva  -  espressa od
 implicita - dei  voti  popolari  abrogativi.  E,  su  questa  base,  la
 richiesta  mirante all'abrogazione - totale o parziale - di 97 articoli
 del codice penale dev'esser dichiarata inammissibile.
     Nella disposizione dell'art. 75  primo  comma  Cost.  ("E'  indetto
 referendum    popolare...    quando   lo   richiedono   cinquecentomila
 elettori...") e' certo ricompresa una vastissima  gamma  di  richieste,
 indeterminate ed indeterminabili a priori.
     Ma nello stesso modo che la cosiddetta discrezionalita' legislativa
 non  esclude  il  sindacato degli arbitri del legislatore, operabile da
 questa Corte in rapporto ai piu' vari  parametri;  cosi'  la  normativa
 dettata  dall'art. 75 non implica affatto l'ammissibilita' di richieste
 comunque strutturate, comprese quelle eccedenti  i  limiti  esterni  ed
 estremi  delle  previsioni  costituzionali,  che conservino soltanto il
 nome e non la sostanza del referendum abrogativo. Se  e'  vero  che  il
 referendum  non  e'  fine  a  se  stesso,  ma  tramite della sovranita'
 popolare, occorre che i quesiti  posti  agli  elettori  siano  tali  da
 esaltare  e  non  da coartare le loro possibilita' di scelta; mentre e'
 manifesto che un voto bloccato su molteplici  complessi  di  questioni,
 insuscettibili  di  essere  ridotte ad unita', contraddice il principio
 democratico, incidendo di fatto sulla  liberta'  del  voto  stesso  (in
 violazione degli artt. 1 e 48 Cost.).
     Ne'  giova  replicare - come hanno fatto i promotori del referendum
 in esame - che saranno gli elettori ad esprimere in proposito  il  loro
 libero  giudizio  politico:  approvando  o  respingendo  la  richiesta,
 secondo che il quesito sia stato  formulato  in  termini  piu'  o  meno
 chiari  e precisi. Sia che i cittadini siano convinti dell'opportunita'
 di abrogare certe norme ed a questo fine si rassegnino  all'abrogazione
 di  norme  del  tutto  diverse,  solo  perche'  coinvolte  nel medesimo
 quesito, pur considerando che meriterebbe mantenerle in vigore; sia che
 preferiscano orientarsi  verso  l'astensione,  dal  voto  o  nel  voto,
 rinunciando   ad  influire  sull'esito  della  consultazione,  giacche'
 l'inestricabile complessita'  delle  questioni  (ciascuna  delle  quali
 richiederebbe  di  essere  diversamente  e  separatamente valutata) non
 consente loro di  esprimersi  ne'  in  modo  affermativo  ne'  in  modo
 negativo;  sia  che  decidano  di  votare  "no", in nome del prevalente
 interesse di non far  cadere  determinate  discipline,  ma  pagando  il
 prezzo  della  mancata  abrogazione  di  altre norme che essi ritengano
 ormai superate (e vedendosi impedita la  possibilita'  di  proporre  in
 questo  senso  ulteriori  referendum,  prima che siano trascorsi almeno
 cinque anni, data la preclusione disposta dall'art. 38 della  legge  n.
 352  del  1970):    appare  evidente  come i risultati dell'esperimento
 referendario ne vengano falsati alla radice,  per  l'unico  motivo  che
 referendum  diversi  -  e  per  se  stessi  ammissibili  -  sono  stati
 conglobati a forza entro un solo contesto.
     Effettivamente,  liberta'  dei   promotori   delle   richieste   di
 referendum  e  liberta' degli elettori chiamati a valutare le richieste
 stesse non vanno confuse fra  loro:  in  quanto  e'  ben  vero  che  la
 presentazione   delle  richieste  rappresenta  l'avvio  necessario  del
 procedimento destinato a concludersi con la consultazione popolare;  ma
 non  e'  meno  vero  che  la  sovranita'  del  popolo  non  comporta la
 sovranita' dei promotori e che il popolo stesso dev'esser garantito, in
 questa sede, nell'esercizio  del  suo  potere  sovrano.  Uno  strumento
 essenziale  di  democrazia diretta, quale il referendum abrogativo, non
 puo' essere infatti trasformato - insindacabilmente -  in  un  distorto
 strumento  di  democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano
 in sostanza a proporre plebisciti  o  voti  popolari  di  fiducia,  nei
 confronti  di  complessive  inscindibili scelte politiche dei partiti o
 dei gruppi organizzati che abbiano assunto e  sostenuto  le  iniziative
 referendarie.
     Viceversa, proprio questo finisce per essere, in modo esemplare, il
 caso del referendum vertente su 97 articoli del codice penale.
     Per  quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni
 non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e
 cio' fornisce allora la  riprova  che  la  richiesta  non  puo'  venire
 ammessa, perche' incompatibile con le proclamazioni degli artt. 1, 48 e
 75 Cost.
     6.  - Analoghe considerazioni valgono ad escludere l'ammissibilita'
 della richiesta relativa al codice penale militare di  pace  (approvato
 dal regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303).
     Anche a prescindere dalle dimensioni del codice stesso (che pure si
 compone di ben 433 articoli), e' determinante la circostanza che questo
 atto legislativo implica le piu' diverse tematiche: dall'individuazione
 delle  categorie  di "persone soggette alla legge penale militare" alla
 determinazione delle specie delle relative pene; dalla  parte  generale
 alla  parte  speciale  della  legislazione penale militare; dal diritto
 penale militare sostanziale alla  procedura  penale  militare  ed  alla
 giurisdizione  dei  tribunali  militari;  dalla  definizione  dei reati
 esclusivamente militari, caratteristici  dell'ordinamento  delle  forze
 armate, fino ad un'amplissima serie di figure criminose che s'innestano
 sulle  parallele  previsioni del codice penale comune, aggravando pero'
 le sanzioni a causa delle condizioni delle persone che abbiano commesso
 il fatto.
     Ma l'eterogeneita' delle disposizioni del codice penale militare di
 pace risulta ancora piu' netta, in vista dei loro diversissimi rapporti
 con la Costituzione. Accanto a molte norme penali  o  processuali,  che
 possono    considerarsi    costituzionalmente    neutre    (prestandosi
 indifferentemente ad essere abrogate o mantenute in vigore,  modificate
 oppure  conservate  nei loro contenuti), sussistono altri precetti che,
 nei loro attuali nuclei normativi, si  saldano  con  le  corrispondenti
 disposizioni  costituzionali:  come si verifica - ad esempio - nei casi
 di reati di mancanza alla chiamata  alle  armi  e  di  diserzione,  che
 stanno  indubbiamente  in  funzione  delle  previsioni dell'articolo 52
 Cost., relative al servizio militare  obbligatorio  ed  all'ordinamento
 delle  forze  armate.  Il  fatto  stesso  che  la richiesta in esame si
 proponga di abrogare simili  figure  criminose  potrebbe  esser  dunque
 motivo  sufficiente  perche'  questa  Corte  la respinga. In ogni caso,
 pero', l'aver  voluto  coinvolgere  in  un  solo  referendum  le  parti
 accessorie  e  le  parti essenziali del codice penale militare di pace,
 comprese le norme a contenuto costituzionalmente vincolato, rappresenta
 una conferma della irriducibile  pluralita'  delle  questioni,  su  cui
 l'elettore verrebbe costretto ad esprimere un unico voto.
     Percio'  ne  deriva,  mancando  alla Corte poteri di scissione o di
 ridefinizione dei quesiti referendari,  l'inammissibilita'  dell'intera
 richiesta.
     7.  -  Quanto  alla  richiesta  di  referendum  avente  per oggetto
 l'ordinamento giudiziario militare, essa determina problemi  almeno  in
 parte  diversi da quelli concernenti il codice penale militare di pace.
 Nel caso del regio decreto 9 settembre 1941, n.  1022, non  e'  infatti
 sostenibile  che ci si trovi in presenza di una radicale disomogeneita'
 delle disposizioni da sottoporre al voto popolare, tale che  su  questo
 solo   dato   si   debba   fondare   un   giudizio  d'inammissibilita'.
 Disciplinando la tipologia e la composizione  dei  tribunali  militari,
 l'ordinamento  in  questione  considera  e  configura  un  ben  preciso
 complesso di organi di giurisdizione speciale (che  anzi  conservano  i
 loro caratteri essenziali - in virtu' della norma generale dell'art. 57
 r.d. cit. - sia per il tempo di pace sia per il tempo di guerra).
     Nondimeno,  e' anzitutto riscontrabile un collegamento strettissimo
 fra il codice penale  militare  di  pace  e  l'ordinamento  giudiziario
 militare. Da un punto di vista formale, e' significativo che entrambi i
 decreti  in  questione  (n. 303 e n.   1022 del 1941) ritrovino la loro
 comune matrice nella delegazione legislativa  operata  dalla  legge  25
 novembre  1926,  n. 2153; tanto piu' che, nella prima parte dell'art. 2
 di tale legge-delega, si prevedeva che a cio' sarebbe bastato un  unico
 atto  delegato  contenente  il  "nuovo  testo  delle disposizioni della
 legislazione penale militare". Dal punto di vista sostanziale, poi,  e'
 ancora  piu'  notevole  che  la materia dei giudizi penali militari sia
 stata suddivisa in una parte concernente la procedura  penale,  che  ha
 trovato  posto  nel  codice penale militare di pace, e nell'altra parte
 riguardante  l'ordinamento  giudiziario  propriamente   inteso;   fermo
 restando,  pero',  che  la materia rimane essenzialmente unitaria, come
 stanno a dimostrare i sistematici richiami ai tribunali militari che si
 ritrovano nei corrispondenti codici penali.
     Allo  stesso  modo che per il codice penale militare di pace, anche
 per l'ordinamento giudiziario militare si puo' dunque ritenere che esso
 corrisponda -  nel  suo  complesso,  piuttosto  che  nei  suoi  singoli
 modificabili disposti - alle comuni esigenze della difesa della Patria,
 dell'obbligatorieta'   del   servizio   militare  e  dell'indefettibile
 esistenza delle  forze  armate,  quali  sono  attualmente  affermate  e
 garantite  dall'art. 52 Cost. E gia' da questo nesso potrebbero trarsi,
 pertanto, argomenti atti a far concludere  che  i  due  referendum  sul
 codice  penale militare di pace e sull'ordinamento giudiziario militare
 debbano venire congiuntamente preclusi.
     Ma,  anche  a  voler  considerare  per   se'   solo   il   problema
 dell'ammissibilita'  di  un  voto  popolare abrogativo dell'ordinamento
 giudiziario militare, separato dal contesto normativo  del  quale  esso
 forma una parte integrante, la conclusione ultima non muta. In effetti,
 non  e'  che  il  referendum  sia  stato  qui  richiesto per privare di
 efficacia   norme   riguardanti   aspetti   determinati,    sia    pure
 importantissimi,   della   giurisdizione  militare:  con  lo  scopo  di
 obbligare il legislatore ordinario  ad  attivarsi  tempestivamente  per
 colmare o prevenire le lacune.
     Ben  diversamente,  l'iniziativa  in esame si propone di sopprimere
 l'intera giurisdizione militare, assoggettando  all'effetto  abrogativo
 anche  quelle  disposizioni a contenuto vincolato, sul tipo dell'art. 1
 del regio decreto n. 1022 del 1941, che non possono venir modificate  o
 rese   inefficaci,  senza  che  ne  risultino  lese  le  corrispondenti
 disposizioni costituzionali.
     In altre parole, il tema del quesito sottoposto agli  elettori  non
 e'  tanto  formato  -  in  questa come in tutte le ipotesi del genere -
 dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto  dal  comune
 principio che se ne ricava; ed il principio sul quale si fonda l'intero
 ordinamento  giudiziario  militare  consiste appunto nella disposizione
 dell'art. 1, per cui "la giustizia penale militare e' amministrata: dai
 tribunali militari; dal tribunale supremo militare". Di conseguenza, il
 senso che obiettivamente assume la richiesta di cui si  discute,  quali
 che   fossero  gli  intendimenti  soggettivi  dei  presentatori  e  dei
 sottoscrittori di essa, consiste nella volonta' di togliere  di  mezzo,
 attraverso  la congiunta abrogazione del codice penale militare di pace
 e dell'ordinamento giudiziario  militare,  la  totalita'  degli  organi
 della  giustizia militare di pace; per ritornare ai concetti ispiratori
 dell'art. 95 ultimo comma del progetto di Costituzione, elaborato dalla
 Commissione dei 75, onde i tribunali militari avrebbero potuto  "essere
 istituiti solo in tempo di guerra" (mentre in ogni altra circostanza si
 sarebbe  reso  necessario espandere la giurisdizione penale comune). Ma
 il progetto e' stato in questa parte superato irrevocabilmente -  salvo
 il   ricorso  ad  una  revisione  costituzionale  -  nell'atto  in  cui
 l'Assemblea Costituente ha  approvato  l'art.  103  terzo  comma  della
 Costituzione  ("I  tribunali  militari  in  tempo  di  guerra  hanno la
 giurisdizione  stabilita'  dalla  legge.  In  tempo   di   pace   hanno
 giurisdizione  soltanto  per  i reati militari commessi da appartenenti
 alle forze armate"), nonche' la  VI  disposizione  transitoria  ("Entro
 cinque  anni  dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla
 revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti,
 salvo le giurisdizioni... dei tribunali militari. Entro un  anno  dalla
 stessa  data  si  provvede  con  legge  al  riordinamento del tribunale
 supremo militare in relazione all'articolo 111").
     Pur   avvertendo  che  quest'ultima  previsione  costituzionale  e'
 rimasta inadempiuta, che l'adeguamento della giurisdizione militare  ai
 fondamentali  principi  informatori della giurisdizione comune tarda da
 oltre un trentennio, e che questa inerzia del legislatore ha fornito lo
 spunto ai promotori dei referendum sui regi decreti n. 303  e  n.  1022
 del  1941,  la Corte e' tenuta egualmente a dichiarare inammissibile la
 richiesta referendaria avente  per  oggetto  l'ordinamento  giudiziario
 militare.
     8.  -  Nella  memoria  depositata  dall'Avvocatura  dello Stato, si
 afferma che l'eterogeneita'  della  materia  regolata  dalla  legge  22
 maggio  1975,  n.  152  (intitolata  "Disposizioni a tutela dell'ordine
 pubblico"), sarebbe tale da precludere l'ammissibilita' della  relativa
 richiesta di referendum. Ma l'assunto non puo' esser condiviso.
     Non  e'  contestabile,  in vero, la varieta' di contenuti normativi
 della legge n. 152,  che  riguarda  -  fra  l'altro  -  i  limiti  alla
 concessione della liberta' provvisoria, i casi di fermo di indiziati di
 reato,  una serie di modifiche della legge n. 645 del 1952 (sul divieto
 di ricostituzione del disciolto partito fascista), l'uso delle armi  da
 parte  di  pubblici  ufficiali, la prescrizione dei reati, le misure di
 prevenzione, l'espulsione degli stranieri, le notificazioni  urgenti  a
 mezzo  del  telefono  o  del  telegrafo.    Senonche'  la  richiesta in
 questione  non  concreta  un  uso  cosi'  artificioso  del   referendum
 abrogativo,  da  farla considerare eccedente le previsioni dell'art. 75
 Cost. Al contrario, tale  iniziativa  ha  per  oggetto  un  particolare
 complesso   di  misure  legislative  eccezionali,  se  non  addirittura
 provvisorie  (non  si  dimentichi,   infatti,   che   le   disposizioni
 processuali  della  legge  n.    152  cesseranno  di avere applicazione
 all'atto dell'entrata in vigore del nuovo codice di  procedura  penale,
 per  espressa  previsione  dell'art.  35  della  legge  stessa): che il
 Parlamento ha disposto nel comune intento di fronteggiare  la  presente
 situazione di crisi dell'ordine pubblico, con particolare riguardo alla
 criminalita'  politica  e para-politica. Sotto questo aspetto, anzi, si
 puo' ben dire che il titolo della legge enuncia gia', nei  suoi  tratti
 essenziali,  la  questione  sulla  quale  il  corpo  elettorale  verra'
 chiamato a decidere.
     Non frapponendosi  altri  ostacoli  di  ordine  costituzionale,  la
 richiesta  di  referendum per l'abrogazione della legge n. 152 del 1975
 risulta quindi ammissibile (salvo quanto disposto in relazione all'art.
 5 - perche' sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533  -
 dall'ordinanza  6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale, avverso la quale
 i promotori del referendum hanno sollevato  conflitto  di  attribuzione
 davanti a questa Corte).
     9.  - L'ipotesi che spetti alla Corte di precludere i voti popolari
 abrogativi  sulle  "leggi   costituzionalmente   obbligatorie,   ovvero
 essenziali per il funzionamento dell'ordinamento democratico", e' stata
 sistematicamente  prospettata  dall'Ufficio centrale per il referendum,
 all'atto  di  dichiarare  la  legittimita'  delle   richieste   miranti
 all'abrogazione  di  97  articoli  del codice penale comune, del codice
 penale militare di pace e  dell'ordinamento  giudiziario  militare.  Ma
 l'Avvocatura  dello  Stato,  riprendendo e sviluppando questo genere di
 argomentazioni, ha  eccepito  in  tal  senso  l'inammissibilita'  della
 stessa  richiesta  di  referendum  avente per oggetto 12 articoli della
 legge 25 gennaio 1962, n.   20 (intitolata "Norme  sui  procedimenti  e
 giudizi  di  accusa"),  nelle  parti  attinenti ai poteri ed ai modi di
 funzionamento  dell'apposita  "Commissione  inquirente".  La  eventuale
 abrogazione  di  tali  disposti  determinerebbe,  infatti,  l'integrale
 disapplicazione  dell'art.  12  della legge cost. n. 1 del 153, per cui
 "la messa in istato di accusa  del  Presidente  della  Repubblica,  del
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e dei Ministri e' deliberata dal
 Parlamento in seduta comune su relazione di una Commissione, costituita
 di dieci deputati e di dieci senatori, eletti  da  ciascuna  delle  due
 Camere...";  con  l'ulteriore  conseguenza che il legislatore ordinario
 non potrebbe piu' porvi rimedio, senza per cio' stesso  contraddire  la
 volonta' popolare.
     Tesi  del  genere  difettano,  pero',  negli stessi presupposti dai
 quali procedono: in quanto non e' sostenibile che  siano  sottratte  al
 referendum  abrogativo tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od
 attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o
 previsti dalla Costituzione. A  parte  l'ovvia  considerazione  che  il
 referendum verrebbe in tal modo a subire limitazioni estremamente ampie
 e  mal  determinate,  il  riferimento  alle  leggi  "costituzionalmente
 obbligatorie" si dimostra viziato da un equivoco di fondo.  La  formula
 in  questione farebbe infatti pensare che quelle leggi e non altre, con
 i loro attuali contenuti normativi, siano indispensabili per concretare
 le corrispondenti previsioni costituzionali. Cosi' invece non  e',  dal
 momento  che  questi atti legislativi - fatta soltanto eccezione per le
 disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato - non  realizzano
 che  una  fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare la
 Costituzione.
     Tale e' appunto il caso della legge n. 20  del  1962.  In  realta',
 l'attuale  disciplina  della  "Commissione  inquirente" risponde ad una
 scelta politica del Parlamento, che poteva anche esser  diversa,  senza
 per  questo  violare  l'art.  12  della  legge  cost.  n.  1  del 1953.
 Nell'eventualita' di un voto popolare  abrogativo,  nulla  puo'  dunque
 impedire   al  legislatore  ordinario  di  colmare  in  altro  modo  il
 conseguente vuoto normativo (o d'intervenire prima ancora che la lacuna
 sia divenuta effettiva, in virtu' di  quella  previsione  dell'art.  37
 terzo  comma  della  legge  n.  352 del 1970, per cui lo stesso decreto
 presidenziale  dichiarativo  dell'avvenuta  abrogazione   della   legge
 sottoposta  al voto popolare puo' "ritardare" l'effetto abrogativo "per
 un termine non superiore a 60 giorni dalla data di pubblicazione").
     E questo conferma  che  la  legge  n.  20  del  1962,  nelle  parti
 coinvolte  dalla  richiesta  in  esame,  non  puo'  essere  esclusa dal
 complesso  degli  atti   legislativi   assoggettabili   al   referendum
 abrogativo.
     10.  -  Nemmeno  e'  fondata  la  tesi, problematicamente accennata
 dall'Avvocatura dello Stato, che la legge 2 maggio 1974,  n.  195  (sul
 "Contributo  dello  Stato  al  finanziamento  dei  partiti  politici"),
 rappresenti una legge finanziaria  connessa  alla  legge  di  bilancio;
 sicche'  la  relativa  richiesta di referendum potrebbe esser respinta,
 sulla base di una larga  interpretazione  dell'art.  75  secondo  comma
 Cost.
     Le  leggi  di bilancio cui si riferisce l'art. 75 - ben individuate
 come sono, sia per il loro procedimento  formativo,  sia  per  la  loro
 tipica  struttura,  sia  per  i limiti cui le sottopone l'art. 81 terzo
 comma Cost. - non vanno infatti confuse con le  innumerevoli  leggi  di
 spesa,  del  genere  di quella concernente il finanziamento dei partiti
 politici. E questo stesso atto, d'altra parte, non puo'  neppure  esser
 fatto rientrare fra le leggi finanziarie, intese nel senso piu' proprio
 del termine.
     In  definitiva,  anche  per  la legge n. 195 del 1974, la Corte non
 rileva ragioni impeditive, che valgano  ad  escluderne  la  abrogazione
 popolare  (mentre, per quanto riguarda la legge 16 gennaio 1978, n. 11,
 sopravvenuta nel corso dell'attuale  giudizio  a  modificare  l'art.  3
 terzo  comma  lettera  b)  della legge n. 195, le eventuali conseguenti
 valutazioni spettano all'Ufficio centrale per il referendum,  ai  sensi
 dell'art. 39 della legge 1 n. 352 del 1970) .
     11. - Finalmente, non sono riscontrabili cause d'inammissibilita' e
 nessuna  eccezione  e'  stata  comunque sollevata dall'Avvocatura dello
 Stato, circa la richiesta di referendum attinente agli artt. 1, 2, 3  e
 3-bis  delle norme "sui manicomi e sugli alienati", dettate dalla legge
 14 febbraio 1904, n. 36, e successive modificazioni.